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4.7. Il vincolo funzionale

4.7.1. Il limite funzionale per le spese facoltative degli enti locali

Il legislatore statale, al fine di contenere la spesa locale, in passato ha limitato le attività non autoritative dell’ente territoriale minore ponendo il limite territoriale alle “spese facoltative” dei Comuni.

Le leggi comunali e provinciali successive all’Unità di Italia - come la legislazione degli Stati preunitari, sulla scia della legge comunale belga del 30 marzo 1831 (art. 130) e della legge comunale francese del 18 luglio 1837 (art. 10) - all’interno di un sistema improntato alla subordinazione gerarchica dell’ente minore rispetto allo Stato, disciplinavano le finanze locali distinguendo tra spese obbligatorie e spese facoltative dei Comuni e delle Province. Erano obbligatorie le spese, indicate in un elenco contenuto nella stessa legge comunale e provinciale, e in altre leggi, “destinate a provvedere il Comune di organi e mezzi materiali, a porlo in condizione di svolgere un’attività adeguata ai suoi scopi, e quelle destinate al disimpegno di funzioni e di servizi che il legislatore (…) ha giudicato indispensabili, per quel tantum di tutela giuridica e per quel minimum di aiuto e indirizzo al perfezionamento sociale che sono insiti nel concetto di pubblica

424 Cfr. C. V

ITALE, Il territorio nella definizione e gestione del servizio pubblico locale, in M. CAMMELLI (a cura di) Territorialità e delocalizzazione nel governo locale, Bologna, 2007, p. 723 ss.

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amministrazione proprio dello Stato moderno”425. Le altre spese, cioè quelle che potevano “contribuire ad arricchire l’organizzazione o la dotazione di mezzi materiali del Comune oltre il limite strettamente necessario, a far espandere la sua attività, specialmente nel campo della amministrazione sociale, al di là di quel

minimum reputato dal legislatore indispensabile ed inseparabile dalla qualità di

ente pubblico territoriale”426, erano definite come facoltative.

Fu la legge comunale e provinciale del 14 giugno 1874, a stabilire nell’art. 2, positivizzando un canone della giurisprudenza, che queste ultime dovessero avere per oggetto servizi ed uffici di utilità pubblica entro i termini della rispettiva circoscrizione amministrativa427.

La ragione del regime delle spese facoltative e, in particolare, della loro limitazione territoriale, era di evitare che il Comune, per estendere il campo delle proprie attività oltre a quelle individuate come obbligatorie dallo Stato, reperisse le risorse necessarie o utilizzando quelle per le attività obbligatorie o gravando sui contribuenti428.

La dottrina429 interpretava il fatto che esse dovessero essere limitate ai confini della circoscrizione amministrativa nel senso che ciò che doveva rimanere compreso nella circoscrizione comunale era l’effetto utile, non l’esercizio del servizio, soprattutto nei casi di Comuni con territorio limitato, insufficiente alla estrinsecazione completa della propria attività economico-sociale: la limitazione si intendeva, quindi, come di tipo funzionale, non territoriale in senso stretto.

425 U.B

ORSI,Le funzioni del Comune italiano, cit., p. 442.

426 U.B

ORSI,ibid.

427 Oltre a stabilire limitazioni particolari per i Comuni che avessero applicato una sovraimposta

superiore a stabiliti valori massimi; ma l’art. 29 della l. 29 marzo 1903, n. 103, stabilì che l’eccedenza oltre il limite legale della sovraimposta non era di ostacolo all’assunzione di pubblici servizi e all’erogazione delle relative spese, anche se a carattere facoltativo.

428

U.BORSI,op. cit.,p. 454.

429 U.B

ORSI,op. cit.,p. 454; G. DEGANELLO, I limiti della circoscrizione territoriale del Comune in rapporto alla natura dei servizi comunali, in La legge, 1908, p. 81. Così ancheG.MIELE,I poteri degli enti autarchici fuori del loro territorio, cit., pp. 33-36, il quale affermava che la limitazione territoriale per le spese facoltative non andava interpretata letteralmente; tuttavia, criticando la lettura di Deganello, sottolineava che in generale fosse da escludersi la possibilità per un Comune di impiantare un suo pubblico servizio in territorio appartenente a un altro ente, salvo eccezioni che osservassero certi limiti, tra i quali la necessità che il pubblico servizio fosse istituito a beneficio degli appartenenti all’ente nel cui interesse era attivato e non degli abitanti il territorio in cui avrebbe avuto sede; inoltre, secondo l’Autore, in questo caso l’ente territoriale “ospite” avrebbe mantenuto la potestà pubblicistica su beni e persone comprese nel proprio territorio.

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La giurisprudenza sul punto, da un lato ritenne che il contributo per erigere una statua in memoria di un proprio concittadino, se il monumento veniva eretto fuori dal territorio comunale, non potesse essere concesso430; dall’altro riconobbe la possibilità di derogare al limite territoriale, qualora le circostanze lo richiedessero, concedendo a un Comune di impiantare nel territorio di altro Comune limitrofo un proprio servizio pubblico431.

Dopo la soppressione432 della distinzione tra spese obbligatorie e facoltative, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che ciò abbia comportato il venir meno

430 Cons. Stato, 18 gennaio 1906, in R. amm., 1906, 378. 431 Cons. Stato, parere 3 maggio 1907, in Foro it., 1907, III, 177.

432 Le previsioni sulle spese facoltative non sono state esenti da rilievi critici, che notavano da un

lato che la definizione da parte dell’autorità centrale delle spese obbligatorie, comportando una mole eccessiva di oneri, causasse la crisi finanziaria di molti Comuni: si parlava di “viziosa composizione della categoria di funzioni obbligatorie, alla quale ha presieduto più spesso il principio di sgravare o di non aggravare il bilancio dello Stato, che l’oculata ed imparziale considerazione della entità e degli scopi sociali propri del Comune” (U.BORSI,op. cit.,p. 446); e dall’altro si notava che le limitazioni alle spese facoltative, pur essendo rispondenti a un principio d’ordine e di equità, pur essendo ragionevoli, prudenti e opportune (U.BORSI, op.cit., p. 454, 455; E.MAZZOCCOLO, La nuova legge comunale e provinciale, Milano, 1912, p. 852, affermava che “si è voluto a proposito di questo articolo tirare in ballo l’autonomia comunale. Però esso non toglie ai Comuni che la sola libertà di dissipazione”), non erano seguite nella pratica: pratica che sembrava precorrere una modificazione della legge, in quanto adattamento della uniformità della legge alla varietà delle condizioni per grandezza, ricchezza, misura dei bisogni, dotazione di servizi, dei Comuni italiani (adattamenti da non giudicarsi con troppa severità, secondo U.BORSI, op. cit., p. 455; così, anche G.RICCA SALERNO, Finanze locali, cit., p. 728, osservava che l’azione limitatrice delle spese locali si rivelava inefficace e spesso lettera morta.

E “la prassi amministrativa, a livello sia di gestione comunale sia di controllo statale e regionale, tendente ad ampliare la sfera dell’intervento pubblico in tutti i casi in cui esso si presentasse essenziale in relazione alle reali esigenze della collettività locale, aveva poi trovato fondamento nel sistema politico-istituzionale, a partire dalla Carta costituzionale”, e aveva trovato riconoscimento da parte della giurisprudenza, che aveva ritenuto assoggettati alla disciplina delle spese obbligatorie “gli interventi indispensabili, in relazione alle dimensioni, alla localizzazione o a altri caratteri più o meno diffusi delle comunità locali interessate” (Cons. Stato, sez. VI, 11 aprile 1975, n. 118, in Cons. Stato, 1975, I, 491; così Cons. Stato, sez. VI, 2 ottobre 1979, n. 734, in Cons. Stato, 1979, I, 1465, che inoltre rilevava che il divieto di assumere spese facoltative non poteva essere più applicato dopo l’emanazione del D.P.R. 638/1972 che aveva fatto venir meno, tra le altre, la potestà tributaria della sovraimposta sul reddito dei terreni e dei fabbricati, e aveva fatto quindi cadere la possibilità per i Comuni di autorizzare eccedenze di prelievo tributario, condizione del divieto di assunzione di spese facoltative).

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del limite della territorialità imposto alle spese degli enti locali, e un’espansione della sfera di attività del Comune, che avrebbe trovato come unica limitazione la propria capacità finanziaria e la destinazione delle risorse a beneficio della cittadinanza facente parte del proprio territorio.

Non vi è più, dunque, limitazione territoriale, ma funzionale, che richiede un obiettivo collegamento tra l’attività eccedente l’ambito locale e la necessità della comunità locale433: la spesa dell’ente territoriale minore deve tradursi in un vantaggio - diretto e immediato - per la comunità locale434.

La Corte costituzionale, in particolare, in una serie di pronunce riguardanti attività regionali ha affermato che non si può applicare il limite territoriale all’attività di diritto comune degli enti territoriali, poiché ciò che va considerato è solo l’esistenza di un rapporto servente o di collegamento strumentale con le finalità proprie dell’ente territoriale, come ente rappresentativo degli interessi della comunità territoriale435.

La legittimità della decisione di svolgere un’attività al di fuori della circoscrizione amministrativa del Comune per i giudici amministrativi deve, quindi, essere valutata “alla luce dell’utilità pubblica che l’autorità comunale si ripromette di raggiungere con la propria iniziativa”, senza “escluderla, aprioristicamente, per il

La distinzione tra spese obbligatorie e facoltative e la disciplina del relativo regime, contenuta in ultimo nel Testo Unico della legge comunale e provinciale del 1934, fu quindi soppressa dall’art. 7 del d.l. 10 novembre 1978, n. 702 (conv. da l. 8 gennaio 1979, n. 3).

433 Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 1988, n. 1291, in Consiglio di Stato, 1989, I, 1503; Corte

Conti, sez. II, 19 settembre 1988, n. 175, in Foro amm., 1988, 3899; Corte Conti, sez. I, 27 aprile 1978, n. 39, in Foro it., 1978, 476, III; Corte Conti, sez. II, 2 novembre 1988, n. 214, in Riv. amm. R. It., 1989, 335.

434 Cons. Stato, sez. IV, 7 dicembre 1988, n. 926, in Foro amm., 1988, 12. Giurisprudenza con

poche eccezioni, come Corte Conti, sez. I, 27 aprile 1978, n. 40, in Foro amm., 1978, I, 2367, secondo la quale è legittima l’effettuazione di una spesa facoltativa destinata a conseguire effetti fuori dell’ambito territoriale del Comune (nella specie per la ricostruzione economica e sociale della provincia vietnamita di Quang-tri) “in quanto il limite della territorialità posto dall’art. 312 l. com. prov. concernente i servizi e gli uffici di pubblica utilità, non limita la possibilità, prevista dall’art. 92 l. cit., di soddisfare quelle particolari esigenze delle singole popolazioni che trascendono per il loro contenuto, anche di mero ordine morale, ogni materialistico rapporto con l’elemento”.

435 Corte Cost., 19 maggio 1988, n. 562, in Finanza locale, 1988, 1427; Corte Cost., 21 luglio

1988, n. 829, in Giur. cost., 1988, I, 3969; Corte Cost., 2 febbraio 1990, n. 51, in Quaderni regionali, 1990, 1000.

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solo fatto che l’attività ad essa connessa [venga] espletata all’esterno della circoscrizione territoriale del Comune”436.

In questo modo si continua a ritenere persistente il principio secondo cui l’azione e le spese degli enti locali debbano essere improntate alla salvaguardia dell’interesse della collettività amministrata entro i termini della rispettiva circoscrizione amministrativa; non si ritiene che sussista libertà di spesa per gli enti locali, “la cui autonomia non può intendersi come libertà di fini idonea a legittimare ogni esigenza che travalichi i limiti circoscrizionali degli stessi”437.