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Per le società miste quotate è stata prevista una “disciplina derogatoria della disciplina derogatoria” cui sono sottoposte le altre società a partecipazione pubblica locale, essendo state escluse dal campo di applicazione di numerose previsioni di stampo pubblicistico.

Questa scelta legislativa di favore è stata dettata dall’esigenza di non pregiudicare il valore di mercato di queste società, per tutelare il risparmio e i mercati finanziari. Ma è stata anche letta come trattamento sbilanciato, in cui “i tempi lunghi previsti per l’attuazione del decremento della quota del socio pubblico e la probabile conservazione in capo allo stesso del controllo di fatto fanno sorgere qualche sospetto sulle ragioni di fondo di tali benefici”355.

In particolare, in materia di reclutamento di personale non si applicano le disposizioni contenute nell’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 né l’art. 4, co. 17, del d.l. n. 138 del 2011, che vincolano all’adozione di procedure trasparenti e imparziali le altre società a partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali. In materia di incompatibilità, poi, si applica la disciplina definita dagli organismi di controllo competenti e non gli artt. 19 e seguenti del d.l. n. 138 del 2011.

Il comma 11 dell’art. 35 della l. n. 448 del 2001, poi, prevede un’eccezione alla proprietà pubblica di reti, impianti e altre dotazioni, disponendo la conservazione della proprietà di queste in capo alle società per azioni quotate in borsa (e alle società per azioni i cui enti locali soci avessero già deliberato al 1° gennaio 2002 di avviare il procedimento di quotazione in borsa concluso entro il 31 dicembre 2003), di cui, alla data di entrata in vigore della legge n. 448 del 2001, gli enti locali detenessero la maggioranza del capitale, salvo il diritto di uso perpetuo e inalienabile a favore degli enti locali; l’art. 12 del D.P.R. n. 168 del 2010 non ha

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S.VANONI, Le società miste quotate in mercati regolamentati, in C. Ibba, M.C. Malaguti, A. Mazzoni (a cura di), Le società “pubbliche”, cit., p. 219.

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compreso questa tra le disposizioni abrogate dall’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008.

Altro elemento di differenziazione del regime di queste società è rappresentato dal fatto che non sono assoggettate a limiti operativi, pur se destinatarie dirette. Così è stabilito dall’art. 4, co. 33, del d.l. n. 138 del 2011: quanto in esso prescritto “non si applica alle società quotate in mercati regolamentati e alle società da queste direttamente o indirettamente controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile”356.

356 L’esclusione delle società controllate da società quotate, introdotta dal d.l. n. 138 del 2011, non

presente nell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, ha superato l’orientamento giurisprudenziale in base al quale la deroga all’applicazione dei limiti operativi stabilita per le società quotate non si sarebbe applicata alle società da queste controllate (T.A.R. Brescia, sez. II, 28 agosto 2009, n. 1577; T.A.R. Milano, sez. I, 16 giugno 2010, n. 1845; Cons. Stato, sez. V, 9 novembre 2010, n. 7964, in www.dirittodeiservizipubblici.it); le argomentazioni di tale lettura restrittiva, sono ripercorse nell’ultima pronuncia, in cui si afferma che i limiti operativi degli affidatari diretti rafforzano i principi di tutela della concorrenza e di parità di accesso al mercato, e “tale scelta ha il preciso scopo di inibire l’accesso al mercato a quelle imprese per le quali la quota di mercato detenuta non è stata il frutto di una competizione paritaria con altri operatori economici ma è avvenuta in maniera anomala, senza il previo esperimento di una gara pubblica”, per questo la deroga a tale principio soggiace ad un’interpretazione letterale e restrittiva della norma, e “se anche fosse vero che tale interpretazione incide negativamente sui conti economici della quotata (...), poiché la società da essa controllata non può partecipare alle gare, è altrettanto vero che la stessa (...) beneficia in via indiretta degli affidamenti che [la controllante] ha ottenuto senza il confronto competitivo fra imprese. Il che determina non già un impoverimento, ma semmai un bilanciamento fra il vantaggio determinato dalla quota di mercato riservata ed il pregiudizio arrecato dalla disciplina ostativa”).

In senso critico,B.GILIBERTI, L’esenzione per le società quotate dal divieto di partecipazione alle gare di servizio pubblico locale alla luce della giurisprudenza comunitaria in tema di rapporti infragruppo, cit., che, argomentando a favore di un’interpretazione non restrittiva dell’esenzione dal divieto di partecipazione alle gare, ha posto la questione su una prospettiva differente, sostenendo, condivisibilmente, che nel ragionare intorno ai rapporti di specialità tra norme “si può affermare che una norma A (l’esenzione per le quotate dal divieto di partecipazione alle gare) è eccezionale rispetto alla norma B (il divieto di partecipazione alle gare per gli affidatari diretti), ma, se la norma B è a sua volta eccezionale rispetto alla norma C (il generale principio della massima apertura delle gare alla concorrenza, che declina l’ancor più generale principio di libertà di iniziativa economica), il parametro di riferimento per valutare l’eccezionalità della disposizione A è costituito dalla norma C e non dalla norma B. Ne consegue, muovendo sempre dallo schema proposto, che se la norma A (l’esenzione per le quotate dal divieto di partecipazione alle gare) esprime una regola in linea con quella desumibile dalla norma C (il generale principio della massima apertura delle gare alla concorrenza, che declina l’ancor più generale principio di libertà di iniziativa economica e quelli comunitari di libera circolazione dei servizi e dei capitali), a

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Ciò significa che, anche se titolari della gestione di servizi pubblici locali non affidati mediante procedure competitive – realtà di molte di queste società, ex- municipalizzate ancora titolari di concessioni affidate direttamente – oppure se affidatarie della gestione di reti, impianti, e altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, separata dall’attività di erogazione dei servizi, possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, e svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, sia direttamente, sia tramite loro controllanti o altre società che siano da esse controllate o partecipate, sia partecipando a gare.

A prescindere dalle considerazioni di politica legislativa357, si può osservare che l’aver escluso tali società dai limiti operativi posti agli affidatari diretti è in linea con la loro qualificabilità come società-imprese, per natura rivolte al mercato. L’affidamento diretto di cui sono titolari queste società, infatti, non deriva da situazioni di contiguità rispetto all’ente locale giuridicamente rilevanti, cioè dalla presenza di elementi che lo consentono a norma del diritto europeo in materia, ma da pregressi atti di affidamento che cesseranno, senza possibilità di rinnovo, una volta scaduto il contratto di servizio.

Parallelamente a queste disposizioni di favore, il legislatore ha però disciplinato il regime transitorio degli affidamenti a tali società attuando un’inversione di tendenza netta rispetto alle previgenti disposizioni in cui si era sollecitata la

differenza della norma B (il divieto di partecipazione alle gare per gli affidatari diretti), la norma A non può ritenersi speciale, spettando tale ultima qualificazione soltanto alla norma B”, concludendo che “l’esenzione per le quotate, in questa prospettiva, non costituisce norma eccezionale, sicché, in linea di principio, può ritenersi che non sussistano preclusioni alla sua applicazione a quelle società che siano interamente partecipate da società quotate in borsa”; inoltre, l’estensione della deroga previste per le quotate in favore delle loro controllate appariva in linea con la considerazione che “società madre e la sua affiliata fanno parte di una stessa unità economica e, pertanto, formano una sola impresa”, nel caso in cui l’affiliata, nonostante abbia personalità giuridica distinta, non determini in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, ma applichi sostanzialmente le istruzioni impartitele dalla società madre, situazione presunta nel caso in cui la società madre detenga il 100% del capitale della sua affiliata (Trib. I grado U.E., sez. IV, 27 ottobre 2010, T-24/05, in Foro amm. CDS, 2010, 10, 2061).

357 Commentata criticamente da D.A

RTUS, I servizi pubblici locali e la concorrenza, in Giorn. dir. amm., 2010, 5, p. 471; C. DE VICENTI, I servizi pubblici locali nel decreto-legge n. 135 del settembre 2009: a che punto siamo?, in www.astrid-online.it; G.BASSI, La riforma dei servizi pubblici locali, cit., per il quale appare difficile sostenere che il momento concorrenziale possa essere individuato nelle procedure aperte previste dal mercato regolamentato per la negoziazione dei valori mobiliari.

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creazione e il mantenimento di tali società (con la l. n. 448 del 2011 e la l. 350 del 2003)358, incentivando la dismissione delle partecipazioni in tali società. Infatti, l’art. 4, co. 32, lett. d, del d.l. n. 138 del 2011, prevede che “gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione in capo a soci pubblici detentori di azioni alla data del 13 agosto 2011, ovvero quella sindacata, si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 40 per cento entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per cento entro il 31 dicembre 2015; ove siffatte condizioni non si verifichino, gli affidamenti cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante, rispettivamente, alla data del 30 giugno 2013 o del 31 dicembre 2015”.

4.4. Sulla possibilità di costituire o assumere partecipazioni in società non