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GLI APPALTI PUBBLICI: ATTIVITÀ INVESTIGATIVE NEL SETTORE

Relatore:

col. Mario MORI

vice-Comandante ROS-CC di Roma

Premessa

Tra i settori della struttura economica nazionale oggetto dell’in-teresse della criminalità organizzata, quello relativo al controllo dei pubblici appalti, è l’ambito dove le esperienze investigative acquisi-te sono tali da poacquisi-ter trarre indicazioni e considerazioni di caratacquisi-tere generale, ritengo indicative dell’andamento del fenomeno.

In particolare, in questa breve disamina, cercherò di evidenzia-re:

– i punti di riferimento costanti del sistema elaborato dalle or-ganizzazioni mafiose per il controllo degli appalti;

– le modalità operative adottate dai gruppi criminali per indi-rizzare l’aggiudicazione dei singoli appalti;

– il ruolo delle imprese ed il grado di condizionamento rispetto al fenomeno mafioso;

– alcune possibili ipotesi di intervento, in sede legislativa ed am-ministrativa, per prevenire gli illeciti e migliorare il sistema di con-trollo del settore.

Aspetti generali

Le diverse indagini svolte in materia dimostrano l’estremo inte-resse, anzi quasi l’esigenza, da parte della criminalità organizzata di ottenere il controllo degli appalti pubblici e ciò in relazione al fatto che, in particolare nelle zone ad alto indice di mafiosità, il

raggiun-gimento dell’obiettivo si configura, oltre che per il suo “ritorno” eco-nomico, come l’estrinsecazione stessa dell’espressione mafiosa, es-sendo strettamente legato al dominio del territorio ed alle capacità di coartare ogni volontà attraverso la corruzione o l’intimidazione.

Il sistema, delineatosi attraverso le diverse attività di indagine, consente di individuare alcune costanti, quali:

– l’esistenza di appositi “gruppi operativi” deputati esclusivamente all’acquisizione della gestione del settore imprenditoriale pubblico, pressoché capillare in alcune zone del territorio nazionale;

– la materiale conduzione ed effettiva proprietà di imprese di va-lenza nazionale ed internazionale, al fine di garantire, all’attività dell’organizzazione, una copertura ed immagine di “pulizia” e “ri-spettabilità”;

– la costante penetrazione nel tessuto economico del paese a mezzo di ingenti investimenti in affari leciti e di associazioni con so-cietà e gruppi finanziari anche a partecipazione statale;

– la capacità d’infiltrazione in apparati ed organismi pubblici e privati o di condizionamento delle volontà a mezzo della forza inti-midatrice e della corruttibilità di pubblici funzionari ai vari livelli.

In particolare le esperienze maturate dimostrano che la crimi-nalità organizzata ha potuto indirizzare l’aggiudicazione di molti ap-palti in base a precise modalità operative, quali:

– l’imposizione di un preventivo accordo alle impresse circa le offerte di ribasso da presentare all’ente appaltante (licitazione priva-ta), reso possibile solo dalla conoscenza, a priori, dell’elenco delle dit-te invitadit-te a pardit-tecipare alla gara e dit-teoricamendit-te noto solo al pre-detto ente;

– la formazione di bandi di gara contenenti clausole particolari, anche non inerenti specificatamente le modalità di realizzazione dell’opera, tali però da favorire alcune imprese ed evitare la parteci-pazione di altre non controllabili, con la necessaria complicità dell’or-gano tecnico competente;

– la ripartizione di appalti di modesta entità, in genere gestiti dai comuni, tra le piccole imprese locali o ciò per evitarne malu-mori, possibili motivi di contrasto e quindi reazioni (delazioni, col-laborazioni con organi investigativi) dannose all’intero sistema;

– l’interferenza nelle scelte delle opere pubbliche da finanzia-re, mediante la cooperazione di tecnici che si pongono come “me-diatori” tra gli enti pubblici finanziatori, le imprese destinate ad

aggiudicarsi gli appalti e gli enti pubblici finanziati. Questa me-diazione – laddove si verifica – produce, tra l’altro, il perverso ef-fetto di alterare il fisiologico processo di programmazione delle ope-re pubbliche;

– la gestione dei subappalti, che nel sistema di controllo non co-stituiscono più semplicemente, come nel passato, una forma di in-gerenza parassitaria, ma piuttosto una tecnica di equilibrato coin-volgimento di gruppi mafiosi locali;

– la ricerca di compiacenze e omissioni nella fase dell’esecuzio-ne dei lavori nonché in quella conclusiva dei collaudi.

In un sistema talmente condizionato, il ruolo delle imprese è in-dubbiamente di difficile lettura, ove si consideri che, nelle zone parti-colarmente sensibili al fenomeno mafioso, le tipologie comportamen-tali non sembrano discostarsi molto dalle seguenti alternative capestro:

– accettare le “regole del gioco” ed inserirsi, quindi, in un siste-ma nel cui ambito ciascuna otterrà l’aggiudicazione degli appalti as-segnatigli secondo la regia discrezionale dell’organizzazione;

– rifiutare dette regole e partecipare ugualmente alle gare, su-bendo, però, poi, le ritorsioni dell’organizzazione;

È evidente, peraltro, che per le imprese non può valere, sempre, lo stereotipo delle vittime costrette a piegarsi alle intimidazioni ma-fiose.

Ciò è vero allorché le imprese risultino semplici “pedine” ester-ne al’organizzazioester-ne, di cui sono costrette a subire passivamente la forza intimidatrice per evitarne le pesanti ritorsioni.

L’assunto non è più sostenibile, invece, allorché le imprese ac-quisiscono via via un ruolo di partecipazione attiva al sistema delle combines, usufruendo in maniera continuativa dei vantaggi del mo-dulo di manipolazione delle gare.

In questi casi, infatti, appare incontestabile la rilevanza pena-le delpena-le condotte e spetta all’indagine di merito stabilire se la par-tecipazione attiva dell’impresa implichi, sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato, l’adesione alle metodologie tipiche dell’asso-ciazione mafiosa, ovvero configuri l’esclusiva ricerca di vantaggi compensativi dei pregiudizi subiti per la sottomissione all’organiz-zazione.

In un quadro così definito, l’individuazione di forme di collabo-razione da parte delle imprese per ottenere minore permeabilità del sistema appare problematica.

Casi esemplificativi

Si espongono, qui di seguito, le vicende connesse a due inchie-ste concernenti illecite gestione di appalti pubblici, esemplificative delle tecniche e delle modalità operative usate nel settore.

1. Tra l’estate del 1988 e la primavera del 1990, i Carabinieri di Palermo consegnavano alla locale Procura della Repubblica una se-rie d’informative relative all’attività di un gruppo di persone facenti capo al noto Vito Calogero CIANCIMINO esponente politico già ri-tenuto collegato al gruppo mafioso dei corleonesi.

Gli accertamenti avevano preso avvio a seguito di una denuncia presentata da un tecnico dell’impresa “RO.CO.A.MA.” s.r.l., circa una serie di irregolarità relative alla conduzione dei lavori dell’appalto per il potenziamento della rete idrica della città di Palermo. Nel me-rito si stabiliva che:

– l’Aziende Municipalizzata Acquedotto Palermo (AMAP), col fi-nanziamento della Agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno, esperi-va gara, a mezzo di licitazione priesperi-vata, per l’affidamento dei lavori dell’appalto (lire 6.607.000.000) per il “risanamento e potenziamen-to della rete idrica ad ovest di viale Michelangelo”, secondo disposi-zioni legislative nazionali e regionali ammettendo anche offerte in aumento stante la riconosciuta inadeguatezza dei prezzi posti a ba-se del progetto non più remunerativi in considerazione del tempo trascorso tra la data di redazione (01.09.1979) e quella di delibera-zione (26.05.1982). I lavori venivano aggiudicati il 20.07.1983 al rag-gruppamento d’imprese ICES – ROCOAMA con un’offerta dell’87,98%

in aumento rispetto l’unica altra partecipante (impresa Arturo CAS-SINA) che offriva il 90,50%;

– La ICES società del gruppo VASELLI si era aggiudicata anche l’appalto per la “ricerca delle perdite nella rete idrica cittadina” per un importo di lire 9.120.000.000 esperito sempre dall’AMAP col si-stema dell’appalto-concorso, il 6 agosto 1981, nel quale l’offerta del-la ICES era stata valutata come del-la più vantaggiosa in redel-lazione al va-lore tecnico degli interventi proposti ai prezzi offerti ed al termine di esecuzione. Vale la pena di evidenziare che, nel 1981, la ICES ave-va una struttura tecnica modesta, non aveave-va esperienze nel settore acquedotti ed in Palermo non aveva nemmeno un proprio ufficio. In-fatti, conservando il ruolo ufficiale di aggiudicataria dell’appalto,

ave-va affidato i relativi lavori in sub-appalto ad imprese locali fino, ov-viamente, all’entrata in vigore della legge 23.12.1982 n. 936. La so-cietà, inoltre, risultava, aggiudicatoria dell’appalto del II lotto della ricerca perdite nella rete idrica per un importo complessivo di lire 15.000.000.000 e di quello per la “Manutenzione degli edifici scola-stici cittadini” ottenuto, nel luglio 1985, con il sistema dell’asta pub-blica, per un importo di lire 10.050.000.000.

La massiccia presenza dell’impresa romana nel mercato im-prenditoriale palermitano, soprattutto in considerazione della sua ri-dotta capacità tecnico-operativa, trovava unica spiegazione nel ruo-lo di prestanome svolto a favore dell’ex sindaco Vito Caruo-logero CIAN-CIMINO da Romolo VASELLI, imprenditore, socio di maggioranza al 97% del pacchetto azionario della ICES.

Il sodalizio tra i due risultava risalire al 1975, stante l’esistenza di intensi rapporti costituiti da cospicue rimesse di denaro dall’ex sindaco all’imprenditore. L’esame della documentazione bancaria in sede di perizia giudiziaria permetteva infatti di stabilire che, tra il 1975 e il 1985, risultavano affluite al VASELLI dal CIANCIMINO di-sponibilità finanziarie per oltre due miliardi e quattrocento milioni.

La fondatezza dalle risultanze investigative veniva confortata dalle dichiarazioni dello stesso VASELLI il quale, al Giudice Istruttore, am-metteva che:

“…qualsiasi libretto di deposito al risparmio o qualsiasi opera-zione su titoli, firmata VASELLI Romolo, non riguarda me bensì CIANCIMINO Vito…”. L’imprenditore romano affermava di operare in tal senso, oltre che per un mero interesse personale, anche per esaudire “…le richieste di CIANCIMINO Vito poiché, data la qualità del personaggio, sarebbe stato impossibile non accoglierle…”.

La ICES s.r.l. si era presentata sulla piazza palermitana fondan-do il suo intento di aggiudicarsi appalti sul fatto di essere estranea al mercato locale. Tutto ciò assecondava, in effetti, quella campagna di trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica all’epoca so-stenuta da molti e basata sull’inserimento nei grandi appalti cittadi-ni di società non siciliane, nella convinzione di ottenere così mino-ri condizionamenti di tipo ambientale.

L’aggiudicazione di tali appalti andava a costituire il risultato di una meditata e specifica programmazione. Infatti, nel 1978, era sta-to nominasta-to presidente dell’AMAP Vincenzo ZANGHI’, cugino del CIANCIMINO.

Proprio lo ZANGHI’, già inquisito perché in passato autore di operazioni d’intermediazione finanziaria con il congiunto aveva vo-luto quale direttore dell’Azienda, l’amico Eugenio VOLPES. I due fun-zionari, in aperto contrasto con le direttive della Cassa per il Mez-zogiorno, consentivano, per la gara d’appalto del “Michelangelo”, la partecipazione di imprese fornite della sola iscrizione all’Albo Re-gionale, favorendo, di conseguenza, il successo della ICES.

In particolare, pur non essendo previsto nel bando originario di gara ed in contrasto con le norme legislative in materia, veniva affi-dato alla ICES, a trattativa privata, il già citato II lotto dell’appalto per la ricerca perdite.

In tale quadro, assumevano un ruolo di primaria importanza al-tri funzionari dell’AMAP e dell’impresa appaltante, e soprattutto l’in-gegnere ITALIANO Vincenzo, direttore dei lavori e NOTO Francesco Benito, addetto alla contabilizzazione dei lavori.

Infatti i predetti, in concorso con gli altri sopra richiamati, tut-ti poi riconosciutut-ti come facentut-ti parte di un’associazione per delin-quere finalizzata all’illecito controllo di appalti relativi alla città di Palermo, risultavano documentalmente responsabili di aver abusato del proprio ufficio per distrarre a favore dell’impresa ICES:

– la somma complessiva li lire 800.000.000 per pagamento di materiale a piè d’opera, cioè presente in cantiere ma non ancora uti-lizzato, in realtà inesistente e la cui contabilizzazione comunque non era consentita dal capitolato speciale dell’appalto;

– somme ingenti contabilizzate e pagate alla predetta società per lavori di scavo effettuati con l’ausilio di martello pneumatico ove in-vece era stato impiegato escavatore con un guadagno fittizio del 50%

al metro cubo;

– la somma complessiva di lire 2.400.000.000 non spettanti all’im-presa perché riferentesi a lavori mai eseguiti e fraudolentemente con-tabilizzati;

– la somma di lire 400.000.000 attestanti la presenza in cantie-re di ingenti quantità di materiali in cantie-realtà inesistenti;

– il pagamento della fornitura e posa in opera di materiali vari ri-sultanti, con documentazione contabile falsa, acquistati ed in realtà dati in prestito dall’AMAP senza che ciò fosse espressamente previsto.

Per quanto sopra riportato, la Procura della Repubblica di Pa-lermo richiedeva ed otteneva provvedimenti restrittivi a carico di tut-te le persone coinvoltut-te nella vicenda.

Il prosieguo delle investigazioni evidenziava ulteriori illeciti nel-la gestione dell’appalto renel-lativo alnel-la “Manutenzione degli edifici sco-lastici della città”.

In particolare, il CIANCIMINO ed il VASELLI, avvalendosi del-la complicità di funzionari dell’Assessorato aldel-la Pubblica Istruzione e del direttore generale della ICES, riuscivano a:

– ottenere somme non dovute di rilevante importo, a titolo di compenso di lavori e forniture in realtà mai effettuati e falsamente rappresentati negli atti di contabilità;

– corrompere il direttore tecnico dei lavori con denaro e l’ese-cuzione di lavori in immobili di proprietà dello stesso.

Praticamente, in oltre ottanta edifici scolastici, non venivano ef-fettuati gli interventi di manutenzione, nonostante la presentazione anche di due perizie supplettive di variante che procuravano alla ICES notevoli introiti.

Per tali risultanze l’Autorità Giudiziaria emetteva ulteriori prov-vedimenti cautelari a carico del CIANCIMINO, del VASELLI e degli altri compartecipi.

L’aspetto più significativo dell’intera inchiesta consisteva nella di-mostrazione dell’accertata volontà, da parte dei gruppi della crimi-nalità organizzata, di “monopolizzare” il settore imprenditoriale pub-blico palermitano.

Il tutto potendo sfruttare connivenze ed appoggi nella “rete” di tecnici e funzionari collocati in tutti gli snodi più importanti degli uffici pubblici e pronti, per interesse o timore, ad agevolare i dise-gni dei gruppi di potere collegati a “Cosa Nostra”.

2. Nel corso d’indagini relative ad illecita gestione di appalti in Sicilia, il Raggruppamento di appalti in Sicilia, il Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri (ROS) metteva a fuoco l’attività dell’impresa Tor di Valle Costruzioni, una società per azioni con se-de a Roma.

In tale contesto si evidenziava la figura di SIINO Angelo, sog-getto legato alla famiglia mafiosa di S. Giuseppe Iato (PA), che do-veva risultare come l’elemento deputato da “Cosa Nostra” al controllo ed alla gestione degli appalti pubblici.

Nello specifico l’attività investigativa riusciva a delineare le me-todologie con cui il SIINO realizzava la sua opera di “convincimen-to” nei confronti della società Tor Di Valle, “responsabile” di non

es-sersi mantenuta ai patti .Si ritengono a tal proposito esaustive le pa-role usate a proposito dal G.I.P. di Palermo:

“A titolo esemplificativo, vanno qui ricordate, per il loro signifi-cato generale ed emblematico, talune vicende emerse dalle intercet-tazioni. La prima è quella della rinuncia da parte della Tor Di Valle s.p.a a proporre ricorso giurisdizionale amministrativo avverso il provvedimento con cui detta società era stata esclusa dalla fase dell’esame delle offerte per la licitazione privata indetta dalla SIRAP s.p.a. per l’appalto dei lavori di completamento infrastrutturale dell’area mista della “‘Madonnuzza” in Petralia Soprana (importo di circa 26 miliari) aggiudicato poi alle imprese di Angelo SIINO e Ca-taldo FARINELLA. E’ opportuno premettere a riguardo, che l’orga-nizzazione del SIINO si proponeva di manipolare una numerosa se-rie di gare di appalto che la SIRAP aveva (o avrebbe) indetto con fondi della Regione Sciliana per la costruzione di venti aree attrez-zate per importi di circa 50 miliardi ciascuna.

L’“affare” complessivo, quindi era di 1000 miliardi, e qualsiasi comportamento imprenditoriale non aderente alle “regole del gioco”

avrebbe messo in pericolo la distribuzione degli appalti predetermi-nata dall’organizzazione.

Si spiega, così, la ragione dell’intervento sulla Tor Di Valle, che essendo stata esclusa dalla gara, a suo avviso illegittimamente, in-tendeva proporre ricorso.

Come risulta dalle intercettazioni telefoniche dei Carabinieri, le pressioni sulla Tor Di Valle vengono inizialmente esercitate, nei con-fronti dell’ing. Giorgio ZITO, responsabile della società per la Sici-lia, da Giuseppe LI PERA, capo-area della RIZZANI de ECCHER nell’isola, ed emissario del gruppo facente capo ad Angelo SIINO. Il LI PERA spiega allo ZITO che già “si sa in giro che il suo manager (e cioè il dr. CATTI, amministratore della Tor di Valle) vorrebbe fa-re un pò di casino”; che il ricorso, destinato ad essefa-re certamente accolto perché fondato su ragioni inoppugnabili, metterebbe in pe-ricolo l’intero sistema di gare di appalto indette, o ancora da indi-re, da parte della SIRAP, definito come i “lavori che noi (cioè il LI PERA, e i suoi referenti, SIINO, FARINELA, ecc.) abbiamo orga-nizzato”; che in tal modo si creerebbe un “vespaio tale che in pra-tica qui (in Sicilia) è difficile lavorare”; che vi è una situazione te-sa che ha bisogno di un mediatore” ‘e cioè lo stesso LI PERA); che la Tor Di Valle deve rinunciare al ricorso “perché altrimenti avrà

grossi guai e viceversa, facendo così avrà diversi vantaggi”; che quel-lo siciliano è “un mondo un pò particolare in cui bisogna abituarsi alle regole del gioco”; che la “Tor Di Valle (rinunziando al ricorso) ha la possibilità di entrare dalla porta principale e non dalle fine-stre rompendo i vetri”.

Dopo questo primo approccio, LI PERA accompagna SIINO e Vito BUSCEMI presso l’ing. ZITO, il quale bene intende la persona-lità mafiosa dei suoi interlocutori e ne resta palesemente intimidito.

Invero, in un successiva conversazione con altro funzionario la Tor Di Valle, e quindi in una conversione con il responsabile del-la società, dott. CATTI, lo ZITO evita persino di fare i nomi dei suoi interlocutori (“quello che comincia con la S” “quello che conta di più”) e sottolinea preoccupato che (il SIINO) “è molto assuadente ma nello stesso tempo è un... molto ... insomma nel contesto del di-scorso trapelano chiaramente anche se non in maniera evidente le possibilità negative di interrompere le trattative con lui...“.

Come si osserva nell’informativa del Carabinieri del 16.2.1991, ciò che sconcerta in queste conversazioni, è il rispetto, il timore, la rassegnazione dimostrata nei confronti “dell’uomo che conta … per-ché altrimenti avremo grossi guai e viceversa facendo così avremmo diversi vantaggi…”, quello che inizia con la S, è da lui che il dr. CAT-TI vuole la risposta.

L’incontro tra ZITO, SIINO, BUSCEMI e gli altri costituisce l’esemplificazione pratica del dettato dell’art. 416 bis del codice pe-nale. Raramente si era ottenuta una prova così diretta immediata ed efficace di come gli uomini di Cosa Nostra si muovessero nell’ambi-to dell’attività economico imprendinell’ambi-toriale.

Il pericolo è colto subito dall’ing. ZITO e dai suoi colleghi che, evidentemente, ben conoscono l’interlocutore.

Il geometra LI PERA, d’altronde, aveva già consigliato ZITO di fungere da mediatore nella controversia, tentando di operare a favore della mancata presentazione del ricorso per la gara di Petralia Sopra-na. LI PERA è uomo d’onore e, a ragione veduta, consiglia l’amico.

“…qui si può lavorare bene, però devi adeguarti alle regole del gioco, questo è il senso del messaggio sembra questo … adesso c’è la possibilità di entrare dalla porta principale, non entrare dalla fi-nestra rompendo i vetri…”.

“…e mi ha detto, poi, a lei personalmente, quando ha bisogno di qualsiasi cosa, per qualsiasi cosa, pensa che possiamo

interveni-re, si consigli con il mio amico che era lì presente pure lui e siamo disposti ad aiutarla a risolvere tutti i problemi...“.

“ ...e dice che sono mille miliardi che ha da giocarsi...“.

Sebbene sia inutile qualsiasi commento, è da sottolineare che le conversazioni costituiscono la prova del controllo capillare e pun-tuale di ogni appalto di opere pubbliche da parte di “Cosa Nostra”.

controllo che praticamente, significa gestione. Lo stesso ZITO ne for-nisce la riprova: “...direi che potremmo verificarlo subito con la ga-ra successiva...“; e SIINO si dice disponibile per gaga-rantire la “perdi-ta” subita dalla Tor Di Valle con l’assegnazione di un altro appalto.

Il titolare della Tor di Valle decide di adeguarsi.

L’ing. ZITO palesemente sollevata, si affretta quindi a

L’ing. ZITO palesemente sollevata, si affretta quindi a