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perquisizione e cattura di navi e aeromobili sospetti

IN TEMA DI LOTTA AL TRAFFICO DI STUPEFACENTI

B) perquisizione e cattura di navi e aeromobili sospetti

Ritardo od omissione degli atti di cattura, di arresto o di sequestro

La collaborazione internazionale.

L’art. 11 della Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope con annesso atto finale e relative raccomandazioni, firmata a Vienna il 20 dicembre 1988, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 5 novembre 1990 n. 328 contempla le “consegne controllate”, prevedendo che “le Parti pren-dano i provvedimenti necessari .... per consentire un adeguato ricorso alle consegne sorvegliate a livello internazionale, in base ad accordi o intese da esse eventualmente stipulati”, al fine di identificare gli individui implicati nei reati afferenti al traffico di stupefacenti.

“Le spedizioni illecite, per le quali sia stato convenuto di sorve-gliare la consegna, possono, con il consenso delle parti interessate, essere intercettate ed autorizzate a proseguire il loro percorso, sia nel contenuto originario, sia dopo che gli stupefacenti o le sostanze psicotrope siano state sottratte o sostituite in tutto o in parte da al-tri prodotti”.

L’art. 98 del D.P.R. 309/90 ha sostanzialmente sussunto nel di-ritto interno la disposizione di didi-ritto internazionale esplicitata nel-la Convenzione, al fine di consentire l’acquisizione di più significa-tivi elementi di prova a carico di responsabili e, soprattutto, in mo-do da penetrare più profondamente nell’organizzazione criminale e individuarne i vertici.

La norma consente il ritardo dell’emissione o dell’esecuzione di provvedimenti di cattura, di arresto o di sequestro, quando ciò sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori ovvero per l’in-dividuazione o la cattura dei responsabili dei delitti di cui agli artt.

73 e 74.

Il 1° comma dell’art. 98 riguarda il caso in cui il provvedimen-to sia adottaprovvedimen-to dall’auprovvedimen-torità giudiziaria; il comma 2° dello stesso ar-ticolo disciplina l’ipotesi in cui a provvedere siano gli ufficiali di po-lizia giudiziaria addetti alle unità specializzate antidroga o le auto-rità doganali.

L’art. 98 D.P.R. 309/90 - in conformità della citata Convenzione - prevede non solo l’ipotesi che l’operazione si concluda nel territo-rio dello Stato, ma anche quella del transito degli stupefacenti in en-trata o in uscita dal territorio dello Stato.

L’Autorità giudiziaria impartisce alla polizia giudiziaria le di-sposizioni di massima per il controllo degli sviluppi dell’attività cri-minosa, comunicando i provvedimenti adottati all’autorità giudizia-ria competente per il luogo attraverso il quale si prevede sia effet-tuato il tramite in uscita dal territorio dello Stato ovvero quello in entrata nel territorio dello Stato.

La consegna controllata internazionale è quella che investe due o più paesi e può essere diretta o con transito.

La prima si riferisce al caso in cui il territorio nazionale costi-tuisca luogo di destinazione o di partenza di una partita di stupefa-centi e solo due sono gli Stati coinvolti: l’uno perché luogo di par-tenza, l’altro come luogo di destinazione. In tale ipotesi bisogna che gli organi inquirenti dello Stato di partenza si determinino nel non intervenire immediatamente, limitandosi a controllare la spedizione e l’uscita dal territorio della droga e dei corrieri, informando tem-pestivamente gli organi competenti del Paese destinatario, che assi-cureranno il controllo dall’ingresso fino alla destinazione finale, in-tervenendo, in conseguenza, solo al termine dell’operazione.

La consegna controllata con transito è caratterizzata dal coin-volgimento di almeno tre Stati, dei quali uno interessato solo per il transito sul proprio territorio; trattasi di ipotesi più complessa che postula il preventivo assenso collaborativo non solo a livello di ser-vizi di polizia, ma di istituzioni giudiziarie.

In materia di consegna controllata internazionale un ruolo di as-soluto rilievo eserciterà la Direzione Centrale per i servizi antidroga, alla quale la funzione di coordinamento - allorché gli organi di po-lizia procedono di iniziativa - è attribuita esplicitamente dal 2° co.

dell’art. 98 D.P.R. 309/90.

Gli interventi e la cooperazione tra gli organi investigativi dei di-versi paesi interessati andranno differenziati a seconda che vi siano

in concreto i tempi per programmare il coordinamento delle attività di sorveglianza e si conoscano preventivamente le modalità di tra-sporto ed il percorso ovvero che tale possibilità non sussista.

Nel primo caso - che può verificarsi, per esempio, quando noti-zie siano state assunte attraverso intercettazioni telefoniche o infor-mazioni fornite da infiltrati - occorrerà prendere contatti con la Di-rezione Centrale per i servizi antidroga e con le autorità giudiziarie dei paesi interessati per fornire i dati acquisiti nel corso del proce-dimento e raggiungere intese operative. La Direzione Centrale per i servizi antidroga prenderà i necessari contatti con gli organi colla-terali stranieri e, eventualmente, favorirà, attraverso questi, i colle-gamenti dell’A.G. italiana con quella degli altri Stati interessati. So-litamente i contatti saranno diretti e, direi, informali, per la brevità dei tempi a disposizione.

Ad una consegna controllata internazionale si perverrà, quando i paesi coinvolti siano unanimemente concordi nell’adozione della procedura.

Ai servizi di sorveglianza - fuori del territorio nazionale - tranno essere applicati come osservatori, insieme agli organi di po-lizia locali e con il loro consenso, anche elementi della Direzione Centrale distaccati presso le autorità consolari italiane nei paesi di passaggio: ciò, naturalmente, può avvenire in base a rapporti di pu-ra cortesia nel rispetto della sovpu-ranità del Paese sul cui territorio l’operazione si svolge ed in conformità dell’art. 9 della convenzione delle N. U. di Vienna.

Raggiunta l’intesa ciascuna Autorità giudiziaria potrà emettere il provvedimento di ritardo o omissione dell’arresto dei responsabili o del sequestro dello stupefacente, fino all’arrivo della droga a de-stinazione e all’identificazione dei soggetti coinvolti.

A seguito di contatti diretti ciascuna Autorità giudiziaria prov-vederà a trasmettere, attraverso gli organismi di rappresentanza, al-le altre che hanno collaborato, copia autentica degli atti che con-sentiranno la ricostruzione dell’operazione internazionale. Ai sensi dell’art. 78 disp. att. c.p.p. tale documentazione potrà essere acqui-sita a norma dell’art. 238

c.p.p.-Quando, la presenza di stupefacente è rilevata casualmente in tran-sito, il meccanismo di collaborazione è più complicato, perché i tem-pi sono ristretti e non v’è possibilità di raggiungere intese vincolanti tra le Autorità giudiziarie e gli organi di polizia dei diversi paesi.

La prontezza nella mobilitazione delle forze di polizia dei paesi interessati e la rapidità della circolazione delle informazioni, unita-mente alla professionalità, sono presupposti indispensabili per la riu-scita dell’operazione.

Alcuni giorni orsono a Napoli vi è stata una consegna control-lata - a seguito di intercettazione casuale di un carico - ad opera di due funzionari dell’Autorità doganale Francese, su autorizzazione del Procuratore della Repubblica di Parigi, di due valige contenenti stu-pefacenti provenienti dalla Colombia, con destinazione Napoli e tran-sitate in quella città. Le valige sono state affidate a Napoli ad un uf-ficiale della Guardia di Finanza, anch’egli autorizzato dalla Procura della Repubblica di Napoli ad una consegna controllata.

Il passaggio della droga dall’autorità doganale francese alla G.

di F. italiana è avvenuto senza formalità particolari, con la semplice compilazione e sottoscrizione di un verbale di consegna, avallato dal Procuratore della Repubblica di Parigi.

La sorveglianza della sostanza oggetto di consegna controllata dovrà essere esercitata da personale dotato di elevate doti investiga-tive, perfettamente consapevole del ruolo affidatogli. Detto persona-le dovrà costantemente rammentare che quando il controllo della il-lecita sostanza è attuato con modalità che comportino il pericolo di perdita della sostanza stupefacente, si impone l’opportunità di inter-rompere immediatamente la operazione e procedere al sequestro.

Perquisizione e cattura di navi ed aeromobili sospetti

È un’applicazione della Convenzione di Vienna alla legislazione interna.

L’art. 99, 1° co. del D.P.R. 309/90 attribuisce alla “nave italiana da guerra o in servizio di polizia” che incontri in mare territoriale o in alto mare una nave nazionale, anche da diporto, che si sospetti essere adibita al trasporto di sostanze stupefacenti o psicotrope, il potere di fermarla, sottoporla a visita ed a perquisizione del carico, catturarla e condurla in un porto dello Stato o nel porto estero più vicino in cui risieda un’Autorità consolare.

L’art. 99, 2° co. attribuisce gli stessi poteri su navi non nazionali nelle acque territoriali e, al di fuori di queste, nei limiti previsti dal-le norme dell’ordinamento internazionadal-le.

A) Per “mezzi da guerra” devono intendersi quelli militari, co-mandati ed equipaggiati da personale militare e che manifestino la qualità militare attraverso l’uso degli appositi segni distintivi (cfr. artt.

11 c.p.p. 133 e 230 R.D. 18 luglio 1938 n. 1415, nonché l’art. 8 del-la Convenzione di Ginevra sull’alto mare del 29 aprile 1958): cioè i mezzi della Marina Militare.

Per “mezzi in servizio di polizia” devono intendersi quelli ap-partenenti alle forze di polizia e cioè - per l’art. 16 L. 1.4.1981 n. 121 (Nuovo ordinamento dell’amministrazione della Pubblica Sicurezza) - alla polizia di Stato, all’Arma dei carabinieri e al Corpo della guar-dia di finanza.

B) Poteri di controllo e cattura

L’attività di controllo, perquisizione, cattura potrà essere eserci-tata sul presupposto del “sospetto” che la nave sia adibita al trasporto di sostanze stupefacenti.

Il “sospetto”, presupposto di tali poteri di accertamento e di-spositivi, dovrà quanto meno integrare il “fondato motivo” richiesto per la perquisizione dall’art. 352 c.p.p. e per il controllo e l’ispezio-ne dei mezzi di trasporto, dei bagagli e degli effetti personali dall’art.

103 D.P.R. 309/90.

“Motivi ragionevoli” di sospettare che una nave pratichi un traf-fico illecito occorrono per attivare la cooperazione prevista dall’art.

17 della Convenzione del 1988.

B1) Intervento su nave nazionale

L’intervento, quando ha ad oggetto una nave nazionale, può es-sere compiuto in acque territoriali o in alto mare.

La nozione di mare territoriale è contenuta nell’art. 2 del codi-ce della navigazione. Lo Stato non esplica la sua sovranità esclusi-vamente nei limiti del territorio, ma anche oltre tali limiti nell’eser-cizio della sua attività di governo sulle cc.dd. comunità distaccate, tra le quali si fanno rientrare le comunità navali.

Non solo le navi pubbliche o di Stato (quelle cioè adibite all’espli-cazione di una funzione di potere: navi da guerra, navi di polizia), ma anche le navi private (quelle cioè adibite a fini economico - pri-vati, non importa se di proprietà dello Stato o proprietà di privati) in alto mare sono soggette all’esclusivo potere dello Stato di ban-diera, dello Stato cioè del quale hanno la nazionalità. Anche

quan-do si trovino in acque territoriali straniere lo Stato della bandiera conserva una serie di poteri.

Il problema della delimitazione reciproca fra potestà navale (cioè dello Stato di bandiera) e potestà territoriale (cioè dello Stato co-stiero) si risolve nel senso che la nave privata straniera resta un’en-tità estranea allo spazio territoriale fin quando e nei limiti in cui la nave come comunità non venga ad interferire nella vita locale; tutto ciò che non trascende l’ambito della nave e non si ripercuote, quin-di, sulla comunità territoriale è di competenza esclusiva dello Stato di bandiera.

È evidente che la delimitazione reciproca di cui si è detto è su-perata quando la nave stazioni in porto straniero, ove la sovranità territoriale avrà maggiori possibilità di manifestarsi per la compe-netrazione notevole fra comunità navale e comunità territoriale.

Va solo ricordato che la nazionalità è condizione per il godi-mento della libertà dei mari. Ciò vuol dire che una nave senza na-zionalità è oggetto in alto mare del concorrente eguale potere di tut-ti gli Statut-ti della comunità internazionale. Alla nave senza naziona-lità viene assimilata la nave pirata, poiché la pirateria fa perdere la protezione e quindi l’esclusività dello Stato della bandiera.

Da tali premesse discende la legittimità, per conformità ai prin-cipi del diritto internazionale, del controllo della nave nazionale fuo-ri dalle acque terfuo-ritofuo-riali.

B2) Intervento su nave non nazionale

Quando si tratta di una nave non nazionale, bisogna prelimi-narmente precisare che la disciplina è differenziata a seconda che l’intervento si esegua nelle acque territoriali o fuori di queste. Nelle acque territoriali ben potrà estrinsecarsi la sovranità dello Stato in tutte le sue manifestazioni e in particolar modo nell’esercizio dei po-teri di prevenzione e repressione penale e di quelli giurisdizionali.

Al di fuori delle acque territoriali l’intervento potrà avvenire in conformità delle norme dell’ordinamento internazionale.

Va ricordato, a tal riguardo, che la Convenzione di Ginevra sull’al-to mare del 29 aprile 1958 resa esecutiva in Italia con legge 8 di-cembre 1961 n. 1658 consente il fermo ed il controllo della nave stra-niera in alto mare, purché sia stata intercettata nell’ambito del ma-re territoriale dello Stato e da qui inseguita senza soluzione di con-tinuità, allorché le autorità operanti abbiano buone ragioni di

rite-nere che siano state violate le leggi ed i regolamenti dello Stato (cfr.

art. 23 della Convenzione).

La Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti redatta a Vienna il 20 dicembre 1988 prevede che una parte che “ha motivi ragionevoli di sospettare che una nave che eser-cita la libertà di navigazione conformemente al diritto internaziona-le e che inalbera la bandiera o porta l’immatricolazione di un’altra Parte, pratichi un traffico illecito può notificarlo allo Stato di ban-diera, domandare conferma dell’immatricolazione e se questa è con-fermata, chiedere a questo Stato l’autorizzazione a prendere misure appropriate nei confronti della nave”.

In particolare lo Stato di bandiera può autorizzare lo Stato ri-chiedente a: 1) fermare la nave in alto mare per ispezionarla, 2) vi-sitare la nave, 3) prendere adeguati provvedimenti se sono scoperte prove attestanti la partecipazione ad un traffico illecito...

Per l’attuazione di tali disposizioni ciascuna parte risponde sen-za indugio ad ogni domanda rivoltale.

Una parte che ha adottato una delle misure sopraindicate infor-ma senza indugio lo Stato di bandiera interessato dei risultati di ta-le misura (art. 17). Il 23 marzo 1990 è stato firmato tra il Regno di Spagna e la Repubblica Italiana un trattato per la repressione del traffico illecito di droga in mare, attribuendosi e riconoscendosi re-ciprocamente, nel caso di fondato sospetto di traffico illecito di so-stanze stupefacenti o psicotrope, il potere di intervenire, anche al di fuori del limite del proprio mare territoriale, nei confronti di navi battenti bandiera dell’altra parte o che ne abbiano comunque la na-zionalità.

Nell’esercizio di tale potere le navi da guerra o gli aeromobili militari o altre navi o aeromobili a tal fine autorizzati possono in-seguire, fermare ed abbordare la nave, verificare i documenti, inter-rogare le persone che si trovano a bordo e, se permangono i fonda-ti sospetfonda-ti, visitare la nave stessa, procedere al sequestro della droga ed all’arresto delle persone coinvolte e, se occorre, condurre la nave al porto più vicino, informandone (se possibile prima, altrimenti su-bito dopo) lo Stato di cui la nave batte bandiera o di cui abbia co-munque la nazionalità.

Gli atti giudiziari sono regolati dall’ordinamento dello Stato che ha proceduto all’intervento e quindi ad essi provvede la competente autorità giudiziaria (art. 5 trattato cit.).

Brevi notazioni sulla gestione dei pentiti

Il legislatore con la normativa contenuta nel d.l. 15 gennaio 1991 n. 8 conv. in l. 15 marzo 1991 n. 82 ha finalmente prestato atten-zione alla questione dei “collaboratori della giustizia” ed ha predi-sposto mezzi di protezione, così implicitamente accogliendo le istan-ze pressanti della magistratura inquirente che riteneva da tempo i collaboranti uno strumento irrinunciabile e insostituibile, soprattut-to nei procedimenti di criminalità organizzata.

L’esigenza di adeguate misure di protezione è stata sentita come improrogabile necessità con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, che rinvia alla fase del dibattimento l’acquisizio-ne probatoria.

La disciplina sui collaboratori di Giustizia è maturata su nega-tive esperienze che hanno indotto il legislatore ad eliminare il peri-colo che nel periodo intercorrente tra le prime dichiarazioni accu-satorie e la reiterazione di esse in sede dibattimentale il “testimone”

(intendendosi con tale termine i chiamati in correità ed i dissociati che rendono dichiarazioni esclusivamente su fatti commessi da altri appartenenti all’organizzazione) ed i propri congiunti rimangano esposti a violenza e minaccia da parte delle organizzazioni delin-quenziali che tenteranno in ogni modo di impedire la deposizione.

Il 1° co. dell’art. 9 l. 82/1991 pone, quali condizioni generali per l’adozione di misure di protezione:

a) l’esposizione della persona a grave ed attuale pericolo per ef-fetto della collaborazione o delle dichiarazioni rese;

b) collaborazione prestata nel corso delle indagini preliminari o del giudizio per alcuno dei delitti previsti dall’art. 380 c.p.p.

Il 1° comma dell’art. 10 l. cit. subordina l’ammissione allo spe-ciale programma di protezione (comprendente, se necessario, anche misure di assistenza) alle ulteriori condizioni che:

c) le misure di tutela ordinariamente adottabili non siano rite-nute adeguate ad assicurare l’incolumità dei collaboratori;

d) il pericolo derivi dagli elementi forniti (o che possono essere forniti) per lo sviluppo delle indagini o per il giudizio.

Prima della richiesta di ammissione allo speciale programma di protezione andrà - da parte del magistrato - operata una verifica sul-la serietà, credibilità ed affidabilità delle dichiarazioni rese dal te-stimone, per evitare che speciali misure di sicurezza vadano

appli-cate a persone immeritevoli con notevole dispendio di uomini e di mezzi. Occorrerà nei primi contatti con il collaborante individuare i motivi che lo hanno indotto a rendere dichiarazioni: già su questa base può iniziarsi a tracciare un quadro della personalità del di-chiarante e della serietà della collaborazione.

Per valutare l’attendibilità del collaborante è consigliabile ac-quisire verifiche fin dalle prime dichiarazioni: occorre immediata-mente, quindi, a mio avviso, delegare ad organismi di P.G. la ricer-ca di riscontri. Tale attività, indispensabile per una valutazione com-pleta delle dichiarazioni, deve essere il risultato di cauta determina-zione, nel senso che fin dal primo momento si dovrà procedere all’ac-certamento dei fatti narrati, ma la ricerca delle verifiche nell’am-biente criminale del dichiarante - quando trattasi di chiamante in correità -, dovrà essere il frutto di scelte strategiche ponderate per evitare di pregiudicare, con frettolose attività di acquisizione di da-ti, gli ulteriori accertamenti.

La segretezza della collaborazione è il presupposto essenziale per una proficua e prolungata acquisizione dei riscontri e per un’ampia attività d’indagine, soprattutto quando essa trae origine dalle stesse dichiarazioni del collaborante.

Naturalmente, il problema della segretezza e quello della sicu-rezza si pongono in termini diversi a seconda che si tratti di “testi-mone” in stato di detenzione o in stato di libertà.

Quando il dichiarante è detenuto e la collaborazione ha assun-to i connotati della serietà e affidabilità, andrà richiesta al Ministe-ro di G.G. - D.A.P. l’assegnazione ad un istituto dotato di sezioni spe-cializzate per “pentiti”, il più possibile vicino alle sedi giudiziarie do-ve si procede, in modo che l’Autorità Giudiziaria possa disporne in ogni momento.

La vicinanza alle sedi giudiziarie comporterà un notevole mino-re disagio per i servizi di traduzione e di scorta ed eviterà i lunghi, stressanti e pericolosi viaggi, molto spesso anche quotidiani cui so-no oggi sottoposti i collaboranti.

Nell’assegnazione alle sezioni specializzate e nella sistemazione all’in-terno di esse bisognerà preoccuparsi che il collaborante non svolga vi-ta comune con detenuti “provenienti dai medesimi ambienti criminali”.

Necessaria è la separazione fra collaboranti, soprattutto se ap-partenenti alla stessa area geografica, per il grave rischio di “inqui-namento reciproco” e di versioni concordate.

La prevalente giurisprudenza ritiene che “la molteplicità delle chiamate in correità non può essere considerata di per sé uno stru-mento di riscontro incrociato di attendibilità di ciascuna di esse, ove non venga accertato con il dovuto grado di certezza che ogni chia-mata ha una propria autonoma origine, distinta e diversa da quella di altre, e che soprattutto venga escluso che le accuse possano esse-re frutto di esse-reciproca influenza tra i vari chiamati in coresse-reità” (Cass.

I sent. n. 329 del 15.1.91 (ud. 22.10.90); Cass. Sez. I sent. 16464 del 14.10.90).

Grave pregiudizio ne riceverebbe l’attendibilità dei dichiaranti che fossero posti nella stessa cella o nella stessa sezione carceraria,

Grave pregiudizio ne riceverebbe l’attendibilità dei dichiaranti che fossero posti nella stessa cella o nella stessa sezione carceraria,