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Dalla filiera al sistema di interdipendenze: processi evolutivi e criticità del settore

2.4 Gli attori della filiera discografica: le case discografiche

Un’attività particolarmente difficile consiste nella trasformazione del lavoro dei musicisti in “merce”.

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Se da un lato, infatti, i brani musicali devono mantenere lo status di prodotti artistici, dall’altro devono risultare vendibili sul mercato e questo duplice obiettivo si configura come un’operazione assai ardua (Corciolani, 2010). Questo compito è demandato ai discografici.

La creazione del master, e cioè la registrazione dei brani musicali su supporti che possano essere distribuiti sul mercato, è un’attività fondamentale. Tramite questo processo di mastering le case discografiche diventano anch’esse titolari di diritti, al pari degli autori, degli interpreti e degli editori, con i quali condividono un obiettivo di massima: sfruttare al meglio le opere realizzate.

Al pari di qualsiasi altra impresa, anche per le case discografiche (o etichette) è decisiva la composizione del portafoglio attività (che nel caso di imprese discografiche si chiama “parco artisti” o “catalogo”). Una maggiore qualità del parco artisti garantisce una maggiore diffusione dei loro brani e conseguenti livelli di redditività maggiori. Le royalties corrisposte agli artisti, d’altra parte, rappresentano una delle più influenti voci di costo per le etichette.

La creazione di cataloghi misti, contenenti, cioè, artisti affermati ed emergenti, è una strada particolarmente praticata perché permette di ammortizzare i costi derivanti dalle royalties da corrispondere ai “big” su quelli più contenuti dei cantanti sconosciuti che, come tali, hanno minore potere contrattuale (Stante, 2007), e consente di ripagare col successo dei primi anche il rischio assunto promuovendo i dischi che hanno avuto

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scarso esito (diversificazione del portafoglio).

Il mercato discografico è sostanzialmente dominato da un numero ridotto di grandi case discografiche (major) che, grazie ai mezzi finanziari a disposizione e alla capacità di spesa in pubblicità e promozione (fondamentali già in passato ed ancora di più oggi), lasciano poco spazio alle numerose etichette indipendenti che si dividono il resto del mercato in piccolissime quote.

Per comprendere al meglio il funzionamento dei mercati discografici occorre precisare che si tratta di mercati basati su una non-price competition. Infatti, la scelta da parte dei consumatori di acquistare un prodotto discografico invece di un altro è connessa a componenti estremamente soggettive e psicologiche che rendono bassa la sostituibilità dei prodotti ed inutile la discriminazione basata sul prezzo (Scialò, 2003). La concorrenza si impone con forza, invece, sulla qualità dei prodotti che può essere comunicata al meglio quanto maggiori sono le disponibilità finanziarie dell’impresa (Bertini e Wathieu, 2010).

Attualmente l’industria discografica mondiale è sostanzialmente un oligopolio formato da tre grandi major, Universal Music Group, Sony Music e Warner Music Group, che controllano circa il 75% dell’intero mercato della musica (Report IFPI 2014). Le major, in particolare, operano in modo globale e sono fortemente centralizzate nei paesi anglosassoni, in base ai cui canoni svolgono attività di mediazione culturale: controllano il mercato, decidono tendenze e generi da “spingere” e quali frenare. Queste

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imprese presentano una struttura piuttosto complessa che si articola su quattro livelli (Corciolani, 2010) generalmente individuabili in:

- reparto artistico, che si occupa dello sviluppo del prodotto;

- edizioni (o publishing), che curano diritti d’autore connessi alle opere musicali e quelli relativi all’incisione, alla riproduzione e alla vendita di un disco;

- marketing e promozione, che gestiscono soprattutto l’immagine dei dischi e degli artisti, che vengono sempre più trattati come autentici brand;

- distribuzione (fisica e digitale) che, garantendo un’adeguata esposizione, cerca di favorire l’incontro tra domanda ed offerta.

Figura 5 – Suddivisione in quote del mercato discografico.

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Le etichette indipendenti, di contro, detengono il restante 25% del mercato ed il loro ruolo è soprattutto quello di soddisfare una domanda di nicchia, promuovendo generi specifici. Le caratteristiche di maggiore flessibilità ed elasticità hanno fatto sì che le etichette indipendenti divenissero importanti soprattutto per la loro capillarità nei territori, potendo quindi individuare prima e meglio le nuove tendenze che potrebbero esplodere in futuro.

Come dimostrano i mutamenti nello scenario globale dei mercati discografici, ormai si va verso una relazione tra major e indipendenti non più basata sul conflitto, al fine di ottenere una maggiore quota di mercato, ma su relazioni di collaborazione, tant’è che, a partire dal 2010, si è assistito a un fenomeno che ha visto molte indipendenti essere acquisite da major.

Il fenomeno si spiega in maniera piuttosto semplice: da un lato, le major posseggono disponibilità finanziarie per pubblicità e promozione e strutture logistico/organizzative complesse per la distribuzione, mentre dall’altro, alle indipendenti, è demandato il compito di scoprire nuovi talenti e di implementare la parte creativa della produzione. Il vantaggio è duplice: le etichette indipendenti e gli artisti possono controllare direttamente i propri guadagni, senza dover appositamente investire in una struttura complessa, mentre le major, che hanno già questo tipo di struttura, si ritrovano, grazie alla licenza di distribuzione e senza alcun costo di produzione, dei guadagni aggiuntivi

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proporzionali alle vendite (Sibilla, 2006). Lo scenario conflittuale non solo sembra non configurarsi, ma secondo alcuni studiosi del settore (Hesmondhalgh, 2007; Sibilla, 2006; Stante, 2007), la presenza di accordi di collaborazione tra major e indipendenti sembra assolutamente indispensabile al suo funzionamento. Tendenzialmente, le acquisizioni delle etichette indipendenti da parte delle major possono avvenire in due modalità differenti:

- acquisizione dei cataloghi passati e futuri: in questo caso, le major diventano proprietarie dei cataloghi precedentemente appartenenti alle indipendenti. Il grado di autonomia delle indipendenti risulta quasi nullo rispetto alle scelte artistiche, strategiche ed organizzative. Spesso, addirittura, nel caso in cui l’etichetta indipendente versi in condizioni di squilibrio economico-finanziario, questa viene completamente acquisita dalla major;

-

acquisizione mediante contratti di diritto privato solo di alcuni cataloghi: in questo caso il grado di autonomia dell’indipendente è maggiore e regolato dalle clausole presenti all’interno del contratto.

Avviene sovente, ad esempio, che alla major spetti la distribuzione dell’album e parte dei proventi derivanti dai diritti d’autore, mentre alle indipendenti venga riservato il compito dello scouting e della diversificazione del parco artisti. In taluni casi avviene che sull’album siano riportati entrambi i marchi delle due case discografiche, a testimonianza delle specifiche competenze che le etichette

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mettono in campo a seconda degli accordi contrattuali previsti. In questo caso l’indipendente non cede necessariamente l’intero catalogo alla major, che seleziona solo alcuni artisti del catalogo, in base a criteri di redditività e potenzialità future (seconda delle opzioni di cui sopra).