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LA QUESTIONE DELLA TRIPLICE ALLEANZA E LA NEUTRALITÁ ITALIANA NEL QUADRO EUROPEO

6.1 Gli intellettuali democratico-interventisti e la Triplice Alleanza

La spinosa questione dell'Italia all'interno della Triplice è analizzata una prima volta nell'edizione dell'Unità della terza settimana di agosto: un articolo del collaboratore della rivista Observer descrive la nascita e gli sviluppi dell'alleanza, sostenendo che, almeno dal 1902, anno in cui viene rinnovato il patto, più che di un accordo tra pari si possa a ben ragione parlare di “una confederazione in cui l'iniziativa nei Balcani spetti all'Austria-Ungheria”,2 come dimostrato in seguito in occasione delle crisi marocchine del 1905 e 1911 e dell'annessione austriaca della Bosnia-Erzegovina nel 1908.

Non bisogna però dimenticare che i dettagli della Triplice Alleanza sono segreti all'opinione pubblica, in particolare nei riguardi della parte italo-tedesca del patto, e che quindi l'autore Observer può solo intuire dall'andamento delle questioni internazionali e dalle affermazioni di alcuni membri del governo le effettive condizioni dell'accordo. In particolare, il collaboratore della rivista si focalizza sulla politica balcanica italiana e austro-ungarica degli ultimi vent'anni, territorio diplomatico dove invece i due Paesi hanno avuto vario modo di interagire in passato e che quindi danno occasione all'osservatore attento d'intuire alcuni dei lati dell'accordo.

L'autore segue passo dopo passo le modifiche apportate alla Triplice nel corso dei vari rinnovamenti, evidenziando come, riguardo ai Balcani, la politica dell'Austria-Ungheria sia mutata radicalmente dalla nuova stipulazione dell'accordo nel 1897. Infatti, sconfessando quella politica di conservazione dello status quo nel Sud-Est europeo, seguita alla nascita del protettorato in Bosnia-Erzegovina sotto l'egida degli accordi di Berlino del 1878, tramite il trattato di Pietroburgo di vent'anni successivo si permette la creazione di imprecisati interessi economico-commerciali d'accordo con la Russia, sollevando i due Imperi centro-orientali dall'onere di conquistare militarmente i Balcani ma contemporaneamente stabilendo i presupposti per una conquista futura.

L'accordo di Monza austro-italiano del 1897 riguardo all'Albania, in cui i due Paesi

2 OBSERVER, I patti della Triplice Alleanza e la questione balcanica, in L'Unità, anno III n.34, 21 agosto 1914.

dichiarano il proprio disinteresse verso la regione, secondo Observer è il modo escogitato da Vienna per placare l'inquietudine dell'alleato meridionale verso un eventuale ingrandimento territoriale della Monarchia, limitando il ruolo giocato dall'Italia nei Balcani alla sola realtà albanese. Infatti, nonostante le garanzie reciproche in caso di un mutamento dello status quo nei Balcani, solamente l'indipendenza o l'autonomia di Valona sono vincolate dall'accordo: Observer richiama alla mente il malcontento suscitato nelle sfere dirigenziali italiane tra il 1902 e il 1903, anni di forte ripresa irredentista, durante cui fu sfiorata la guerra con Vienna.

L'ultimo rinnovamento della Triplice Alleanza avviene nel 1912, e, a detta dell'Unità, non sono state fatte modifiche: rimangono i punti riguardanti l'indipendenza albanese e i compensi reciproci nelle rispettive sfere d'interessi austro-italiani (l'autore cita il caso della ferrovia Danubio-Adriatica, ottenuta dall'Italia nel 1908 come compensazione della Uvae-Mitroviza, di proprietà austriaca – entrambe, peraltro, ancora da costruire. Nel trattato rimane inoltre il carattere difensivo dell'alleanza, evidente per il fatto che “l'Italia abbia potuto dichiararsi neutrale nella presente guerra senza che la Germania abbia potuto mostrare altro che del... malumore”,3 lasciando quindi intravvedere scappatoie diplomatiche dall'accordo già nell'estate del 1914.

L'autore conclude calando gli accordi della Triplice con l'Austria nella guerra europea, fondamentalmente tacciando Vienna di assoluta mancanza di tatto diplomatico e di arroganza verso l'alleato italiano: ancora una volta, tanto dopo gli accordi di Pietroburgo del 1897 quanto dopo quelli di Mürzsteg del 1903, l'azione militare contro la Serbia è stata messa in pratica “senza alcuna intesa preventiva con l'Italia”.4 La giustificazione di Vienna a questo dato di fatto, che cioè non si tratta di conquiste territoriali, ma solo di una estensione della sfera d'interessi, viene rigettata con sprezzo dal collaboratore Observer: l'autore taccia infatti la Monarchia di sfruttare a proprio vantaggio la Triplice Alleanza, insinuandosi nelle maglie dell'accordo e camuffando le proprie intenzioni egemoniche nei Balcani, pretendendo solamente di controllare le ferrovie, le

3 OBSERVER, I patti della Triplice Alleanza e la questione balcanica, in L'Unità, anno III n.34, 21 agosto 1914.

4 Idem.

dogane, l'esercito, la giustizia e l'istruzione della Serbia, anzi persino spacciando l'azione militare seguita all'ultimatum per un castigo. Secondo Observer, la spedizione punitiva in Serbia sarebbe stata solo un'ennesima sopraffazione di Vienna su Roma e sul trattato della Triplice Alleanza, se non fosse stato per il deciso intervento russo in difesa del piccolo Stato balcanico, trasformando quella mossa imprevista e inconsulta della Ballplatz viennese nella tragedia mondiale.

Le parole di Observer sono chiare: la malafede diplomatica di Vienna verso Roma, la farsa dell'ultimatum alla Serbia e la politica di potenza tedesca, scontrandosi con la decisa resistenza russa, sono risultate nella tragedia bellica.

Il pubblico italiano dell'Unità dimostra un certo turbamento di coscienza, man mano che la guerra europea si evolve e cresce, nei riguardi dei patti stipulati dall'Italia con le Potenze Centrali, rinnovati nel 1912: infatti, come alcuni lettori argomentano, se è giusto indignarsi per lo spregio con cui la Germania tratta i pezzi di carta con cui è stata stabilita la neutralità del Belgio, una delle motivazioni con cui Lloyd George, nel suo discorso dell'agosto 1914, motiva l'intervento britannico contro il Paese mitteleuropeo, come deve comportarsi l'Italia verso la Triplice Alleanza, anch'essa un pezzo di carta?

A distanza di cinque mesi dall'inizio delle ostilità la questione legata ai patti con Berlino e Vienna sembra ancora attuale, e Salvemini si incarica personalmente di chiarire sull'Unità la posizione italiana nei riguardi degli accordi della Triplice Alleanza, premettendo che le sue sono solo deduzioni, visto che il testo effettivo dei trattati è segreto. Già di per sé il fatto che Roma abbia potuto dichiarare la propria neutralità, nei primi giorni dell'agosto 1914, dimostra che l'Italia non è tenuta da alcun punto degli accordi ad adottare un comportamento aggressivo verso l'Entente, a dispetto delle proteste dei filo-triplicisti. Il comportamento del partito pro-Germania è inoltre indicativo delle possibilità di manovra che si offrono al Bel Paese: infatti, se nel gennaio 1915 è oramai assodato che l'Italia ha potuto con pieno diritto dichiarare la neutralità nell'estate 1914, ciò non vuol dire che lo stato di cose debba durare a lungo, come invece desidererebbero i filo-triplicisti dell'inverno 1915. Gli ondeggiamenti manifestati dai filo-triplicisti tra guerra alla Francia e neutralità benevola verso la Germania dimostrano definitivamente, a detta

di Salvemini, che la neutralità dell'Italia nella guerra europea non è un punto fermo del trattato.

Salvemini conduce un'analisi approfondita dell'esame di coscienza degli italiani verso i patti della Triplice Alleanza, evidenziando come, ovviamente, in caso di un diretto attacco austro-tedesco contro l'Italia, quest'ultima avrebbe il diritto di prendere le armi contro i suoi precedenti alleati: l'ovvietà di questa affermazione la lascia sembrare “una burletta”,5 ma nonostante il fatto che non si sia ancora verificato per mano degli Imperi Centrali uno scontro diretto contro la Penisola, Vienna e Berlino, in cerca dell'egemonia mondiale, muovendo guerra ai Balcani e alle nazioni europee democratiche, in pratica hanno dichiarato guerra anche all'Italia.

L'affermazione provocatoria dell'intellettuale pugliese si richiama in parte al disprezzo con cui l'alleato meridionale è trattato dalle Potenze Centrali: l'Italia infatti non è stata consultata al momento delle fatali decisioni dell'estate 1914, venendo semplicemente messa di fronte al fatto compiuto. La minaccia di egemonia austriaca nei Balcani inoltre contrasta il punto della Triplice Alleanza in cui si stabilisce il mantenimento dello status quo nella regione. Salvemini individua chiaramente la rottura definitiva tra l'Italia e le Potenze Centrali nell'invio dell'ultimatum a Belgrado senza nessun accordo preventivo con l’Italia, decretando con ciò de facto la fine della Triplice Alleanza.

La proditoria invasione del Belgio, chiave di volta della strategia tedesca per ottenere una rapida vittoria sulla Francia, d'altro canto si dimostra essere uno dei capisaldi delle motivazioni di Salvemini per la guerra contro gli Imperi Centrali: per spiegare meglio il proprio pensiero, il direttore dell'Unità scrive che “avete un bell'aver firmato un contratto che vi obbliga per la durata di sette anni a viaggiare in compagnia di altri due soci per affari comuni: se questi due soci si mettono a un certo momento a svaligiare i viandanti per le strade, voi avete il diritto e il dovere di disdire il contratto”,6 a dimostrazione dell'indignazione da parte degli interventisti democratici per lo sprezzo con cui la Germania militarista tratta i patti internazionali. Salvemini va oltre, affermando che, dopo

5 G. SALVEMINI, I legami della Triplice, in L'Unità, anno IV n.4, 22 gennaio 1915.

6 Idem.

il proditorio attacco, l'Italia ha tutte le ragioni per disdire in toto l'accordo con gli Imperi Centrali, decisione rimandata solo a causa dell'impreparazione militare di Roma nell'estate 1914. Nel gennaio 1915, vista l'indecisione del governo italiano a dichiarare guerra agli Imperi Centrali, Salvemini suggerisce un attacco contro la Turchia, alleata di quest'ultimi, come un possibile escamotage in aiuto alle forze dell'Entente, visto il fatto che uno scontro armato tra Roma e Istanbul si è già verificato nel 1911-1912 con la Guerra di Libia, rimanendo perfettamente nella cornice della Triplice Alleanza e senza causare particolare indignazione né a Vienna né a Berlino.

Il collaboratore G.L. nel febbraio del 1915 tenta di mitigare l'imbarazzo che provano gli intellettuali italiani verso gli eventuali vincoli che legano il Paese alla Triplice Alleanza, chiarendo come, rifacendosi alla pubblicazione di Arthur Singer Geschichte des Dreisbundes (Storia della Triplice Alleanza), edita a Lipsia nel 1914, si deduca, secondo l'autore dell'Unità, che in Germania e in Austria-Ungheria “si è insistito sempre ad assegnare alla Triplice Alleanza il carattere di una alleanza puramente difensiva”,7 valida solo nell'eventualità di un attacco francese alle Potenze mitteleuropee e che in ogni caso esclude la necessità dell'intervento italiano finanche nel caso di una mossa offensiva di Pietroburgo contro Vienna. Viste invece le dichiarazioni di guerra austro-tedesche ad Est e ad Ovest, secondo gli intellettuali dell'Unità, l'Italia dovrebbe essere definitivamente libera da ogni vincolo con la Triplice Alleanza.

Per quanto riguarda la Triplice Alleanza, se da un lato è importante sottolineare come gli intellettuali italiani siano all'oscuro dei dettagli dell'accordo, dall'altro è interessante osservare il lavoro di deduzioni e valutazioni fatto nei mesi della neutralità italiana e necessario per prevedere le future mosse del governo. La questione della mancanza di comunicazione e coordinazione con l'Italia riguardo l'ultimatum alla Serbia, per non citare la proditoria invasione del Belgio da parte della Germania, costituiscono i due punti principali di opposizione alla guerra a fianco degli Imperi Centrali, una volta dimostrata la natura difensiva della Triplice Alleanza.

La Germania e l'Austria-Ungheria passano dalla parte del torto quando invadono i

7 G.L., Documenti, in L'Unità, anno IV n.9, 29 febbraio 1915.

due piccoli Paesi: nel caso del Belgio, perché la neutralità di Bruxelles è stabilita da accordi internazionali, firmati anche da Roma, che ne garantiscono l'intoccabilità qualora non sia essa ad intraprendere un'azione offensiva contro Berlino, fatto non verificatosi nei primi giorni dell'agosto 1914; nel caso della Serbia perché l'Austria-Ungheria, decidendo di vendicare la comunque ingiusta morte dell'Arciduca Francesco Ferdinando e della sua consorte con una guerra d'invasione, si mostra irrimediabilmente come una Potenza imperialista in cerca di un'egemonia maggiore sui Balcani, mutando drasticamente quello status quo, già peraltro messo in discussione dall'annessione della Bosnia-Erzegovina del 1908 e delle Guerre Balcaniche del 1912-13, che gioca un ruolo così importante nell'ambito dei patti della Triplice.

Rispetto alle minacce violente tedesche susseguitesi negli anni antecedenti al grande conflitto, l'Inghilterra appare l'unico interlocutore con cui è possibile trovare un accordo di pace: le tradizioni democratiche dello stato insulare lo rendono il candidato ideale affinché si arrivi ad una pace equilibrata nel Vecchio Continente; al contrario, la decrepita aristocrazia feudale e clericale che governa l'Austria-Ungheria identifica immediatamente la Monarchia come un fossile anacronistico che sbarra la strada alle piccole nazioni, capeggiate idealmente dall'Italia, la quale sconta la propria minorità non solo territoriale ma sopratutto politica nei confronti degli alleati-rivali nord-orientali.

Vienna e Berlino pagano quella condizione d'inferiorità politica in cui è stata tenuta Roma, a detta degli intellettuali democratici, per tutta la durata della Triplice Alleanza. Il fatto poi che dall'inizio del XX secolo l'alleanza si sia ridotta ad uno strumento nelle mani della Germania per far pressione sulla Francia e sull'Inghilterra in vista di una maggiore, se non assoluta, egemonia tedesca nel Vecchio Continente, impedisce spiritualmente gli autori della Voce e dell'Unità di sostenere la corsa al dominio assoluto degli Imperi Centrali: nella nuova Europa che scaturirebbe da una guerra vinta da Berlino, Roma si troverebbe ad avere una posizione geografica, strategica e economica di gran lunga peggiore di quella antecedente all'estate del 1914, condannando la Penisola ad un vero e proprio rapporto di vassallaggio con i potenti alleati e contemporaneamente rivali per l'egemonia sul Mediterraneo e sui Balcani.