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PARTITI E GRUPPI POLITICI ITALIANI DI FRONTE ALLA GRANDE GUERRA

7.3 La polemica dell'Unità con Giolitti

L'Unità riprende le sue pubblicazioni il 4 dicembre 1914, tre mesi dopo averle sospese, prendendo atto dell'impreparazione militare italiana e della disgustosa campagna austrofila condotta nel corso di tutto l'autunno dagli organi giolittiani e clericali: la rivista salveminiana denuncia il pessimo stato dell'opinione pubblica italiana, avvelenata da menzogne favorevoli agli Imperi Centrali, e dichiara di avere “qualche cosa da dire ai giovani, che si erano stretti fiduciosi intorno al nostro giornale. E perciò riprendiamo il nostro lavoro”.49

E' chiaro fin da subito che il maggiore timore della rivista culturale è un ritorno al Governo di Giolitti, nemesi del foglio da vari anni, al posto del ministero Salandra: è stato infatti il politico piemontese a sfiancare l''Italia con la Guerra di Libia del 1911-1912, oltre ad aver firmato il rinnovo della Triplice Alleanza nel 1912. Conoscendo infatti Giolitti, L'Unità paventa che, qualora il gabinetto Salandra venisse disarcionato dall'uomo politico, egli “potrà fare tutto quello che vorrà”,50 dal preparare l'opinione pubblica alla guerra contro la Francia, impugnando qualche casus belli creato ad hoc, come è stato fatto in occasione della Guerra di Libia con l'affondamento del Manouba e del Carthage, tragico evento sfruttato per coprire una vera e propria invasione imperialista del Paese nord-africano, così come potrà rompere la Triplice Alleanza o trincerarsi dietro una neutralità armata, fattore prontamente sfruttato dagli speculatori e dai pescecani dell'industria

49 L'UNITÀ, Ripresa, in L'Unità, anno III n.37, 4 dicembre 1914.

50 Idem.

bellica, pesando sulle casse dello Stato e arricchendo la solita ristretta cerchia di grandi industriali protezionisti.

L'Unità critica fortemente l'opposizione socialista, decisa nell'attaccare Salandra ma effimera e confusa nei riguardi di Giolitti, come i precedenti ministeri del politico piemontese dimostrano. Contemporaneamente il foglio salveminiano vede nei grandi industriali protezionisti una piaga della Penisola: i pescecani si arricchiscono grazie alle commissioni governative per preparare il Paese alla guerra, premendo nello stesso tempo affinché l'Italia si mantenga neutrale e possano così continuare a produrre materiali bellici che non verranno mai usati. Nello stesso tempo, “tutto si giustifica colla guerra, colla necessità di rinvigorire la economia «nazionale» in vista della guerra”,51 in riferimento all'azione compatta intrapresa dai protezionisti per recuperare tutti quei privilegi economici di aiuti statali persi negli ultimi anni di feroci lotte nell'agone dell'opinione pubblica. L'Unità è sempre in prima linea nel denunciare gli scandali finanziari delle grandi industrie siderurgiche, dei latifondisti e degli zuccherieri, battendosi per una politica economica liberista, e combatte tenacemente quel mito propugnato dai protezionisti che “ogni nazione dovrà circondarsi di una muraglia cinese e bastare tutta a se stessa in pace e in guerra”,52 mantenendo una visione positiva del futuro dell'Europa all'indomani del conflitto.

Il mantenimento ad libitum della neutralità attiva e vigilante, vista la situazione dell'Europa nell'autunno 1914, sarebbe un errore geopolitico senza precedenti.53 L'Unità è attenta a dimostrare come la posizione relativa dell'Italia sullo scacchiere europeo si sia rafforzata dal settembre al dicembre 1914: mentre le potenze europee si scagliano l'un l'altra colpi terribili, l'organizzazione militare e produttiva del Paese migliora gradualmente. La rivista salveminiana depreca, complice anche la malnata campagna di

51 L'UNITÀ, Ripresa, in L'Unità, anno III n.37, 4 dicembre 1914.

52 Idem.

53 “Ma in realtà anche la posizione di neutrale non sarebbe stata così lieta per l'Italia. Essa si trovava per la sua posizione geografica nel mezzo tra le due parti in lotta; e sebbene le sue forze militari fossero notevolmente inferiori a quelle delle maggiori potenze, né il suo prestigio guerresco fosse grande, grazie appunto alla sua posizione essa poteva non solo impegnare molte forze del gruppo cui facesse guerra, ma anche render libere molte altre del gruppo cui si associasse: la sua efficienza veniva quindi in certo modo raddoppiata”.

P. PIERI, L'Italia nella Grande Guerra, Roma 2003, p. 29.

Libia, la scarsissima preparazione bellica italiana allo scoppio del conflitto, di gran lunga inferiore alle aspettative del pubblico e alle promesse degli industriali; alla fine del 1914 l'Italia è finalmente in grado di poter prendere una pur debole iniziativa nel conflitto, minacciando un intervento armato, anche se ancora non è in grado di mettere in pratica un'eventuale provocazione.

Il 18 dicembre L'Unità pubblica un editoriale sdegnoso verso la farsa parlamentare organizzata dai giolittiani per far cadere il ministero Salandra prima della chiusura natalizia del Parlamento, dove “le trincee sotterranee di Montecitorio erano, dal 6 al 13 dicembre, il terreno di una lotta accanita, da cui dipendeva nientemeno che la sostituzione del «grande ministero democratico» dell’on. Giolitti, al «piccolo ministero conservatore»

dell'on. Salandra”,54 accompagnando con lodi la preveggenza e l'abilità politica di quest'ultimo, “Hindenburg del parlamentarismo italiano”55 sfuggito all'accerchiamento. Il Presidente del Consiglio riesce abilmente ad evitare le insidiose interrogazioni parlamentari preparate dall'opposizione giolittiana nell'ambito di quella “prospettiva di restaurazione giolittiana”56 temuta dagli organi liberal-democratici, L'Unità in testa, che sarebbe fatale alla guerra contro gli Imperi Centrali, rimanendo in carica e impedendo un avvicendamento col gabinetto del politico piemontese, cambio di rotta che sarebbe fatale, nell'ottica della rivista culturale, ai reali interessi italiani nella catastrofe europea.

Salvemini esterna ancora una volta in un dettagliato articolo la propria fiducia all'attuale ministero Salandra: l'intellettuale esprime le ragioni per cui non è necessario né augurabile un ritorno al potere di Giolitti per completare il compito nazionale. Al contrario, Salandra “non ha dietro a sé nessun passato di indegnità morale come il « grande uomo della democrazia»”;57 mentre a Sonnino “nessuno può negare un coraggio delle proprie responsabilità, uno spirito di sacrifìcio, un’ aspirazione idealistica”;58 infine, un eventuale ritorno al potere di Giolitti sarebbe da temersi perché rafforzerebbe il partito neutralista-triplicista (il direttore annota a margine che Radicali, Repubblicani e Riformisti,

54 L'UNITÀ, Farse parlamentari nella tragedia mondiale, in L'Unità, anno III n.39, 18 dicembre 1914.

55 Idem.

56 V. CASTRONOVO, La stampa italiana dall'Unità al Fascismo, Laterza, Bari 1970, p.221

57 G. SALVEMINI, Il ministero e il Paese, in L'Unità, anno III n.40, 25 dicembre 1914.

58 Idem.

nel dicembre 1914 interventisti, “hanno molte tenerezze”59 verso il politico piemontese, e non si farebbero scrupolo a cambiare opinione sull'intervento). La condotta politica di Giolitti è conosciuta e biasimata da tempo dalla rivista culturale, e è impensabile che il politico impronti le sue decisioni all'integrità: qualora tornasse al potere, l'Italia sarebbe un Paese in vendita, “tutto dipenderebbe da qualche chèque di cinquantamila lire, che fosse intascato al momento opportuno da qualche intimo amico del «grande uomo della democrazia»”.60

Al contrario, la decisione da prendere nel presente conflitto deve essere non un fine, ma un mezzo. La scelta del mezzo deve essere però calibrata secondo il fine: il direttore si chiede cosa vogliono gli italiani nel presente conflitto: se l'obiettivo è semplicemente evitare gli orrori della guerra, allora l'insufficiente risposta socialista alla catastrofe europea è perfettamente adatta; se è la conservazione intatta dell'Austria-Ungheria e il predominio politico che la Chiesa Cattolica vi gode, allora l'azione consigliabile sarebbe stata seguire pedissequamente gli Imperi Centrali nella loro guerra imperialista; se invece lo scopo nazionale deve essere il consolidamento dell'indipendenza e la sconfitta della minaccia pangermanica, allora è giocoforza lavorare di comune accordo con l'Entente;

infine, posto che le aspettative italiane si riducano al solo Trentino, regione che il Principe di Bülow nella sua missione a Roma del dicembre 1914 offrirebbe in cambio della neutralità benevola verso gli Imperi Centrali, ciò implicherebbe una discesa in campo prospettando un ampliamento delle colonie e una politica di potenza, e allora sarebbe stato necessario l'intervento dell’Italia a fianco dell'Austria e della Germania fin dall'estate 1914.

Salvemini è consapevole di come oramai le espressioni “sacro egoismo”, “interessi nazionali” o “giuste aspirazioni” siano diventate vuoti slogan in voga in tutte le manifestazioni della vita politica del Paese: la verità è che tutti i partiti aspettano consapevolmente che il quadro europeo si delinei con maggior chiarezza per definire concretamente gli obiettivi del “sacro egoismo”, che in caso di vittoria asutro-tedesca

59 G. SALVEMINI, Il ministero e il Paese, in L'Unità, anno III n.40, 25 dicembre 1914.

60 Idem.

significherebbe attaccare la Francia con l'obiettivo della Corsica e della Tunisia, mentre un successo dell'Entente identificherebbe i vitali interessi italiani nel Nord-Est e nell'Adriatico.

Salvemini sottolinea il lavoro incessante d'informazione e dibattito sugli scopi reali della guerra condotto dalle minoranze coscienti dell'intellighenzia italiana, a dispetto delle

“frasi insulse”61 con cui la politica prende tempo. Quasi come pendant dell'articolo di Salvemini, viene riportato un discorso del Primo Ministro inglese Lloyd George del settembre 1914, in cui il Premier difende la discesa in guerra dell'Inghilterra in difesa del Belgio, della Serbia e delle piccole nazioni contro l'aggressione germanica. Ancora una volta, l'infelice espressione sui trattati internazionali, definiti dal Cancelliere Bethmann-Hollweg “pezzi di carta”, è fonte di nuove accuse contro il prussianesimo, capace di riconoscere solo la forza della spada, tanto da permettere al Primo Ministro inglese di affermare che “la nostra è una lotta contro la barbarie”:62 l'Inghilterra, al contrario, fa una questione di onore nazionale l'adempimento degli obblighi contratti, siano essi tanto di tipo commerciale quanto diplomatico.

Un esame di coscienza è il significativo titolo con cui il collaboratore dell'Unità Balbino Giuliano (1879-1958), docente e storico, sintetizza in poche pagine alcune delle grandi questioni della politica italiana che hanno portato il Paese a trovarsi nell'estate 1914 senza alcuna preparazione militare, anche se i fondi destinati all'esercito negli anni passati hanno pesato sensibilmente sulle spalle dei contribuenti; contemporaneamente, la situazione internazionale è peggiorata dalla Triplice Alleanza stessa, “un’alleanza contraria alle nostre aspirazioni ed ai nostri interessi solo per paura dell’alleata, perché sciupavamo i quattrini in Africa invece di pensare a difenderci in Europa”.63 Balbino Giuliano evidenzia alcuni errori della politica internazionale italiana post-unitaria: la neonata nazione pretende fin da subito il suo posto tra le grandi potenze, sperperando gran parte delle proprie risorse in una folle politica imperialista a cui il Paese non è economicamente pronto. I governi che si sono succeduti, piuttosto che sanare alcune delle piaghe del Paese (l'intellettuale evidenzia in particolare l'analfabetismo diffuso, la riforma delle scuole, la costruzione di ferrovie

61 G. SALVEMINI, Il ministero e il Paese, in L'Unità, anno III n.40, 25 dicembre 1914.

62 D. LLOYD GEORGE, Germania e Italia, in L'Unità, anno III n.40, 25 dicembre 1914.

63 B. GIULIANO, Un esame di coscienza, in L'Unità, anno IV n.1, I gennaio 1915.

efficienti e la disparità di ricchezza e industrializzazione tra Nord e Sud della Penisola) hanno preferito tenere una politica espansionista malgrado l'impreparazione economica e sociale della Penisola. La spregiudicata politica di espansione imperialistica da grande potenza ha portato Roma “a rodere gli ossi lasciati dagli altri e s’è rotti i denti, senza pure una speranza di averne futuri guadagni”:64 secondo Balbino, la politica estera italiana degli ultimi cinquant'anni ha portato il Paese ad essere come quel proverbiale “vaso di creta, costretto a far viaggio coi vasi di ferro”.65

È troppo semplice dare la colpa ai governi che si sono assecondati: l'intellettuale afferma come siano state la classe liberale italiana e la borghesia colta a fallire nella loro missione storica di modernizzazione del Paese, invocando per il futuro la nascita di un nuovo partito veramente liberale in grado di risollevare il Paese economicamente e spiritualmente. La redazione dell'Unità concorda con Giuliano,66 evidenziando come qualora l'Italia prendesse parte alla guerra europea avrebbe la possibilità di sanare alcuni dei problemi che la affliggono, in particolar modo quello relativo alle ingenti spese militari necessarie per rimanere al passo con le vere potenze del continente, “in modo da assicurar meglio la libertà futura di vita e di sviluppo dell'Italia”.67 Dalle parole della redazione della rivista è evidente quanto siano vaste e stratificate le aspettative italiane nei confronti del conflitto, il quale dovrebbe portare ad una risoluzione sia dei contrasti europei così spesso evidenziati (questione delle minoranze, il crescente militarismo prussiano ecc.) sia ad una sistemazione della situazione interna della Penisola.

La condizione italiana di “vaso di creta, costretto a far viaggio coi vasi di ferro”, così ben tratteggiata da B. Giuliano all'inizio del gennaio 1915, viene indirettamente riproposta e utilizzata tatticamente dall'Unità del numero successivo, attraverso la pubblicazione di un breve scritto di Mazzini del 1871, in cui il grande intellettuale risorgimentale esorta la Penisola a “piantare risolutamente sulle sue frontiere una bandiera che dica ai popoli:

64 B. GIULIANO, Un esame di coscienza, in L'Unità, anno IV n.1, I gennaio 1915.

65 Idem.

66 “Per ora vorremmo unire all'augurio del Balbino anche il nostro: che un nuovo partito liberale conservatore sorga in Italia dalle ceneri delle vecchie clientele sfruttatrici della tradizione del risorgimento. Ma questo tentativo deve venire dal partito conservatore, non dalle file della democrazia”.

L'UNITÀ, Postilla a Un esame di coscienza, in L'Unità, anno IV n.1, I gennaio 1915.

67 Idem.

Libertà, Nazionalità, ed informare a quel fine ogni atto della sua vita internazionale”.68 L'Unità sceglie di usare le parole di Mazzini per evidenziare l'indirizzo a cui la politica estera del Paese dovrebbe attenersi, mettendosi a capo di una “Lega degli Stati Minori europei, stretta a un patto comune di difesa contro le possibili usurpazioni d'una o d altra grande Potenza”,69 piuttosto che tentare vanamente di ascendere al grado di grande potenza europea.

L'atteggiamento della Voce e dell'Unità verso il gruppo giolittiano è caratterizzato da una forte negatività e contrapposizione, mentre viene dimostrato più volte il sostegno al gabinetto Salandra. Giolitti, e la tradizione da lui iniziata e alimentata, si trova agli antipodi delle idee delle riviste culturali ben prima dello scoppio della Grande Guerra.

Inoltre Giolitti, dimostratosi fedele esecutore delle direttive arrivate da Berlino in occasione della Guerra di Libia, oltre che principale responsabile del rinnovo della Triplice Alleanza nel 1912, quando era oramai chiaro che gli interessi nazionali italiani e quelli austro-ungarici in primis, e in secundis tedeschi, divergevano per motivi evidenti.

La storia della neutralità italiana è anche la storia delle battaglie parlamentari combattute dal gruppo giolittiano per riportare in carica il politico piemontese: dalle parole delle riviste culturali si deduce che gli intellettuali democratici vedono con timore un ritorno di Giolitti al potere, che sarebbe concretizzato nella neutralità benevola verso gli Imperi Centrali, se non persino nella guerra alla Francia. Al messaggio chiaro d'intervento contro l'Austria-Ungheria da parte di Salandra e Sonnino, Giolitti risponde con vaghe promesse di compensi territoriali, quel “parecchio” che fa sembrare l'Italia un Paese in vendita a chi offra di più.