• Non ci sono risultati.

4. I punti salienti della disciplina normativa come modificata con le riforme del

4.3. Gli intervalli minimi per la riassunzione a termine

Le misure introdotte con la l. n. 99/2013 hanno incasellato, come in un climax crescente, ulteriori tasselli nel processo di liberalizzazione del con- tratto a termine, mettendo in discussione diverse delle garanzie che erano state ammesse (o introdotte per la prima volta) con la riforma del 2012. La disciplina sugli intervalli minimi per la riassunzione a termine, dopo la scadenza di un primo contratto, è uno degli strumenti utili ad evitare che il riutilizzo del lavoratore avvenga in maniera temporanea, nonostante la presumibile sussistenza di ragioni per la stipula di un contratto a tempo

244 Tra i primi, sul punto, A. Vallebona, La riforma del lavoro 2012, cit., 20.

245 Cfr. tra le varie opinioni P. Tosi, Il contratto a tempo determinato dopo la legge n. 92/2012, cit., 5; G. Franza, La riforma del lavoro a tempo determinato, cit., 63; R. Voza, Il lavoro a tempo

determinato dopo la Riforma Fornero, cit., 1147; L. Menghini, Contratto a termine (art. 1, commi 9-13, l. n. 92/2012, cit., 934.

145

indeterminato247: laddove tali intervalli fossero violati, infatti, l’art. 5

comma 3 del d.lgs. n. 368/2001, già nella sua formulazione originaria, aveva espressamente previsto che il rapporto fosse considerato a tempo indeterminato dalla data di stipula del secondo contratto, aggiungendo tale sanzione, a quella più grave del comma 4, per l’ipotesi di riassunzione senza soluzione di continuità, dalla quale deriva la conversione a tempo indeterminato dalla data del primo contratto.

Come già anticipato, nell’ambito del più generale interesse alla lotta con- tro la disoccupazione, la l. n. 92/2012 ha stabilito un serie di misure per favorire la diffusione della flessibilità buona, attraverso il contrasto all’uso improprio e strumentale dei contratti flessibili: in relazione al contratto a tempo determinato, tali finalità sono state perseguite con misure anti-abu- sive come l’allungamento degli intervalli minimi per la riassunzione che, in base alla nuova formulazione dell’art. 5 comma 3, sono stati estesi sino a sessanta giorni, per i contratti iniziali di durata inferiore a sei mesi e, sino a novanta giorni, per i contratti ultra-semestrali248.

In tale contesto normativo, l’equilibrio tra le nuove garanzie introdotte e le ragioni occupazionali, pur sempre perseguite, è stato cercato con il ri- conoscimento di maggiori poteri, sul tema, alla contrattazione collettiva: nel consueto temperamento delle finalità, il legislatore aveva già aggiunto una seconda parte al testo del medesimo art. 5 comma 3249, rinviando alla

247 Sul tema dell’“identità giuridica” dei contratti a termine, intesa come identità delle mansioni oltre che delle ragioni di giustificazioni, per l’applicazione della disciplina sugli intervalli minimi per la riassunzione, nel contesto normativo antecedente l’entrata in vigore del d. lgs. n. 368/2001 cfr. A. Preteroti, Il contratto di lavoro a tempo determinato in (a cura di) G. Santoro Passarelli,

Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale privato e pubblico, Torino, Utet Profes-

sionale, 2013, 357.

248 V. art. 5 comma 3 del d.lgs. n. 368/2001 come modificato dall’art. 1 comma 9 lett. h) della l. n. 92/2012. In senso critico rispetto all’allungamento degli intervalli minimi cfr. G. Franza, La

riforma del lavoro a tempo determinato, cit., 64.

249 Si tratta del seguente inciso: «I contratti collettivi di cui all’articolo 1 comma 1bis [n.d.a. quelli cioè stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro compara- tivamente più rappresentative sul piano nazionale], possono prevedere, stabilendone le condi- zioni, la riduzione dei predetti periodi, rispettivamente, fino a venti giorni e trenta giorni nei casi

146

contrattazione collettiva nazionale e, in via delegata, a quella decentrata (o, in assenza, al Ministero del lavoro) 250, il compito di diminuire gli in-

tervalli per la riassunzione, nel limite di venti o trenta giorni (rispettiva- mente per contratti di durata inferiore o superiore a sei mesi), quando l’as- sunzione fosse riconducibile ad uno dei processi organizzativi indicati nella medesima disposizione ovvero, a seguito delle modifiche della l. n. 134/2012, in ogni altro caso individuato dai contratti collettivi di ogni li- vello stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale251.

In assenza di disposizioni di coordinamento, tra il riferimento ai poteri collettivi contemplati nella delega condizionata alla individuazione dei processi produttivi di cui alla l. n. 92/2012 e quelli derivanti dalla legitti- mazione in bianco prevista dalla successiva l. n. 134/2012, le due ipotesi sono state qualificate come complementari e il primo rinvio è stato consi- derato come assorbito dal secondo, nella parte in cui, quest’ultimo, attri- buiva alle parti sociali qualificate il potere di ridurre gli intervalli minimi legali in «ogni altro caso previsto dai contratti collettivi stipulati ad ogni livello»252.

in cui l’assunzione a termine avvenga nell’ambito di un processo organizzativo determinato: dall’avvio di una nuova attività; dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; implemen- tazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente».

250 Cui è lasciato il compito, in via sostitutiva, decorsi dodici mesi dalla entrata in vigore della disposizione, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparati- vamente più rappresentative sul piano nazionale, di provvedere ad individuare le specifiche con- dizioni in cui possono operare le prefate riduzioni.

251 V. art. 46 bis comma 1 lett. a) del d. l. 22 giugno 2012 n. 83 convertito, con modifiche, nella legge 7 agosto 2012 n. 134, che integra l’art. 1 comma 9 lett. h) della l. n. 92/2012 (cfr. etiam circ. n.27 del 7/11/2012). Nella medesima disposizione, inoltre, è stata prevista l’applicazione dei termini ridotti per le attività stagionali, indicate all’art. 5 comma 4 ter del d.lgs. n. 368/2001 per le quali la riduzione dei termini si applica ex lege senza bisogno di attuazione da parte della contrattazione collettiva; in senso analogo v. interpello Ministero del lavoro 22 novembre 2012 n. 37.

252 In senso analogo ex plurimis cfr. V. Speziale, La riforma del contratto a termine nella legge

28 giugno 2012, n. 92, cit., 19; A. Morone, La nuova disciplina dei contratti a tempo determi- nato, cit., 73.

147

La caratteristica che accomuna entrambe le due ipotesi di delega succitate è quella di prevedere un tipico esempio di rinvio aperto in base al quale le parti sociali sono fortemente agevolate nell’addivenire ad una negozia- zione liberalizzante della disciplina dell’istituto: nel contesto normativo di riferimento l’esercizio dei poteri collettivi era di interesse sia per le im- prese, intenzionate ad ottenere una deroga alle rigidità predisposte sul tema dal legislatore, ma anche per i sindacati i quali, a seconda del settore produttivo, erano chiamati ad evitare che l’applicazione rigida degli inter- valli minimi avesse come controindicazione l’implementazione del feno- meno del turn over della manodopera253. Anche per tali ragioni, oltre che

per la solerzia dettata dal legislatore attraverso il riconoscimento di poteri sostitutivi al Ministero del lavoro, in assenza di intervento da parte delle parti sociali, nel termine di dodici mesi dalla entrata in vigore della l. n. 92/2012, sono stati prontamente attuati, in diversi settori produttivi, ac- cordi collettivi che hanno ridotto gli intervalli minimi previsti254, giun-

gendo in alcuni casi a prevedere anche la soppressione di tale istituto, seb- bene con un evidente difetto di validità di tali clausole collettive per l’as- senza di potere di intervento in tal senso255.

253 Tra i tanti a rilevare questo rischio cfr. G. Falasca, Sul contratto a termine la colpa della

“precarietà”, cit., 13; L. Menghini, Contratto a termine (art. 1, commi 9-13, l. n. 92/2012), cit.,

935.

254 V. accordo del 7 settembre 2012, Agidae, Flc-Cgil, Cisl Scuola, Uil-Scuola, Snals-Confal e Sinasca; ccnl alimentaristi 27 ottobre 2012; accordo del 21 novembre 2012 (federalalberghi) con efficacia sino al 30 giugno 2013; accordo del 22 novembre 2012 (federalturismo) con efficacia sino al 30 giugno 2013; ccnl cooperative di trasformazione di prodotti agricoli 5 dicembre 2012; accordo del 12 dicembre 2012 per i dipendenti delle imprese esercenti servizi di pulizia e servizi integrati/multi servizi con efficacia sino al 30 giugno 2013; ccnl telecomunicazioni Confindu- stria del 1 febbraio 2013; ccnl panificatori Fippa, Assopanificatori del 13 febbraio 2013; ccnl elettrici del 18 febbraio 2013; ccnl elettrici Confindustria del 18 febbraio 2013; ccnl cemento calce e gesso Confindustria del 20 marzo 2013; ccnl chimica, farmaceutica, coibentazioni acu- stiche del 4 aprile 2013; ccnl Energia concorrente del 20 maggio 2013; ccnl laterizi del 24 giugno 2013.

255 Come viene rilevato da M. Lozito, Tendenze della contrattazione nazionale in materia di

contratto a termine, part time e apprendistato professionalizzante, cit., il quale sottolinea oppor-

tunamente che tale potere di soppressione non era ad essi stato conferito al momento della sot- toscrizione degli accordi, essendo stato per la prima volta consentito con l’entrata in vigore

148

Come anticipato, le barriere giuridiche edificate dal legislatore del 2012 sono state superate con la successiva legge n. 99/2013 che ha abolito parte delle misure anti-abusive appena introdotte nell’intervento dell’anno pre- cedente: come in un ping pong giuridico sono stati riesumati i termini tem- porali minimi, vigenti prima della disciplina del 2012, e sono state poste le basi per la soppressione legittima di queste disposizioni, con il conferi- mento dei relativi poteri alle parti sociali.

Nella versione dell’art. 5 comma 3 del d.lgs. n. 368/2001, come modificato dopo l’intervento del 2013, gli intervalli minimi per la riassunzione a ter- mine del lavoratore sono stati ridotti sotto il limite che la contrattazione collettiva era autorizzata ad introdurre in base al rinvio della l. n. 92/2012: sono stati, infatti, riproposti i limiti temporali della versione originaria del d.lgs. n. 368/2001, nella quale era consentito riassumere a termine il lavo- ratore solo dopo almeno dieci o venti giorni dalla scadenza del precedente contratto, rispettivamente di durata inferiore o superiore a sei mesi. La scelta del legislatore è stata caratterizzata dall’obiettivo di innalzare il livello di flessibilità consentito, rendendo meno rigida la regolazione le- gale degli intervalli minimi per la riassunzione e, inoltre, ampliando gli spazi di semplificazione gestionale della manodopera attraverso il confe- rimento all’intervento collettivo del potere di derogare il precetto legale in senso ancor più liberalizzante. Nella nuova versione dell’art. 5 comma 3, le parti sociali qualificate acquisivano infatti, il potere di prevedere le mo- dalità (quomodo) in base alle quali le tutele previste dalla legge possono essere derogate («in relazione alle ipotesi individuate dai contratti collet- tivi[…]») ed, inoltre, anche la facoltà di sopprimere (an) l’applicabilità di

dell’art. 5 comma 3 del d.lgs. n. 368/2001 nella formulazione prevista con l’art. 7 comma 1 lett. c) n. 3 del d.l. n. 76/2013.

149

tale garanzia («non trovano applicazione […]»)256, escludendo per l’ef-

fetto anche il divieto di riassunzione senza soluzione di continuità di cui all’art. 5 comma 4.

Occorre chiedersi, a questo punto, che efficacia vada riconosciuta a quegli accordi negoziali, intervenuti nel periodo intercorrente tra la disciplina del 2012 e quella 2013, considerato che, in ragione della modalità che hanno caratterizzato il rinvio della l. n. 92/2012 (rinvio aperto con poteri sostitu- tivi al Ministero del lavoro), ampia e variegata è stata la mole di contratti collettivi intervenuti sul punto: in particolare, occorre chiedersi se, nelle more dell’attuazione del rinvio alla contrattazione collettiva previsto con la l. n. 99/2013, le clausole collettive relative agli intervalli minimi attuate in base alla precedente disciplina (che prevedeva la riduzione degli inter- valli minimi a trenta e cinquanta giorni in base alla ultra-semestralità) pos- sano ritenersi ancora applicabili o, se al contrario, con il venir meno del precetto legale, venga meno anche la loro validità.

Sul punto già c’è stato chi si è espresso per l’efficacia di tale disciplina contrattuale, anche nel quadro normativo della l. n. 99/2013: in specie, è stato sostenuto che nonostante tali disposizioni siano state prefigurate e ammesse in attuazione della l. n. 92/2012, per quanto è stato disposto sul tema gli intervalli minimi, esse hanno introdotto una disciplina più garan- tista per i lavoratori e, in tal senso, possono ritenersi ancora applicabili sotto la vigenza della successiva normativa della l. n. 99/2013257. Tale tesi,

però, per quanto sia rivolta, in maniera comprensibile, a salvaguardare la disciplina collettiva già sorta, ponendo freno agli effetti negativi derivanti dalla stratificazione normativa che ha caratterizzato la disciplina dell’isti- tuto, non pare potersi sostenere in ragione della tipologia di rinvio che le

256 O in alternativa di prevedere, in maniera più tenue, la loro riduzione considerato che nel più è compreso anche il meno.

257 Cfr. M. Lozito, Tendenze della contrattazione nazionale in materia di contratto a termine,

150

parti sociali sono state chiamate ad attuare con la l. n. 92/2012: in questo caso, il rinvio della legge alla contrattazione collettiva si inquadra tra le tipologie di deleghe che il legislatore ha predisposto in tema di flessibilità, con l’esercizio cioè di una funzione autorizzatoria che permette alle parti sociali delegate di stabilire clausole collettive, nel rispetto delle condizioni e del contenuto della delega, ma soprattutto nei limiti della capacità del potere delegante di porre in essere atti giuridici validi per l’ordina- mento258: il difetto di validità del precetto legale, dal quale promana l’eser-

cizio di questo potere, viene infatti ad investire anche la regolazione con- trattuale che ne è derivata, né in senso contrario può riconoscersi signifi- cato alla sussistenza di una legittimazione delle medesime parti sociali, in applicazione della successiva normativa della l. n. 99/2013 vista l’anterio- rità delle regole collettive, di che trattasi, rispetto alla delega formulata dal legislatore del 2013.

4.4. I termini di impugnazione e l’indennità risarcitoria

Tra le modifiche degli ultimi anni che hanno caratterizzato il contratto a tempo determinato, vi sono quelle con le quali è stato introdotto un sistema di decadenze, che il lavoratore ha l’onere di rispettare, al fine di esercitare il suo diritto d’azione, contro le presunte illegittimità attinenti l’apposi- zione del termine finale al contratto di lavoro.

Con la disciplina della l. n. 183/2010, infatti, l’esercizio del diritto di azione del lavoratore è stato, per la prima volta, assoggettato a una rigida disciplina di termini perentori in base alla quale, entro sessanta giorni dalla scadenza del contratto, il lavoratore deve impugnare il contratto in via stra- giudiziale ed, in caso di eventuale silenzio o di mancato accoglimento della pretesa, entro duecentosettanta giorni dalla prima impugnazione,