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2. La promozione del contratto a tempo determinato

2.1. La disciplina normativa antecedente il 2001 Brevi cenni

rire l’incremento dell’occupazione aveva già portato all’introduzione di rilevanti modifiche a tale impianto normativo, estendendo il campo di ap- plicazione oggettivo per l’utilizzo del contratto a tempo determinato. In base alla disciplina originaria del 1962, infatti, erano ammesse come causali di giustificazione, per l’apposizione del termine al contratto di la- voro, le solo ipotesi tassativamente indicate nel testo di legge, secondo una impostazione garantista che, ben si adattava al contesto di sviluppo economico del periodo, ma che si rivelò, già all’indomani degli anni ’80, inefficace a soddisfare l’esigenza primaria di favorire l’occupazione dei lavoratori, al di là del loro interesse concreto alla stabilità.

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Nel corso degli anni ’80, il contratto a tempo determinato è stato oggetto così di una progressiva liberalizzazione della disciplina delle causali di giustificazione, le quali erano intese come requisito essenziale, la cui sus- sistenza deve risultare dal contratto di lavoro, affinché sia giustificata di fronte all’ordinamento, l’assunzione del lavoratore secondo uno schema differente da quello tipico del lavoro subordinato a tempo indetermi- nato180.

La tendenza all’allargamento delle ipotesi di apposizione del termine era auspicata dai datori di lavoro, evidentemente interessati alla possibilità di utilizzare l’istituto, in maniera confacente alle concrete esigenze legate alla specificità dei contesti produttivi in cui la richiesta di beni viene sod- disfatta solo con tecniche di produzione just in time ovvero in cui l’im- piego della forza lavoro è strettamente legato ai periodi di punta delle at- tività181. In tal senso, le rivendicazioni che l’imprenditoria italiana avan-

zava si incentravano sulla possibilità di utilizzare quote di lavoratori, in maniera temporanea, bypassando le rigidità legate alla disciplina dei licen- ziamenti per il lavoro a tempo indeterminato, in un contesto storico-nor- mativo in cui ancora, non erano presenti o, comunque, avevano avuto dif- fusione, sistemi alternativi di assunzione flessibile della manodopera182.

180 In relazione al contesto normativo degli anni ’80 cfr. ex plurimis M. D’Antona, I contratti a

termine in (a cura di) M. D’Antona, Occupazione flessibile e nuove tipologie del rapporto di lavoro, Napoli, Ed. Scientifica, 1988, 112;

181 Già in questi anni ha avuto inizio l’aggiunta di nuove causali di legittimazione rispetto a quelle prevista nella n. 230/1962. In tal senso, l’ipotesi delle punte stagionali di attività, prevista ai sensi del disposto dell’art. 8 comma 2 bis della l. 25 marzo 1983 n. 79. In seguito, con l’art. 1 della l. n. 84/1986 (che ha aggiunto la lettera f), all’elenco dell’art. 1 comma 2 della l. n. 230/1962), è stata prevista una specifica causale, riferita al settore produttivo del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali, in base alla quale le aziende ivi impiegate potevano assumere con contratti a ter- mine, nei limiti direttamente fissati dalla legge circa le mansioni, le modalità temporali e il nu- mero di lavoratori (poi riproposta ex art. 2 del d.lgs. n. 368/2001). Sia consentito il rinvio a C. Cordella, Introduzione allo studio sistematico del contratto a termine, cit., 12.

182 Cfr. F. Berton, M. Richiardi, S. Sacchi, Flex-insecurity. Perché in Italia la flessibilità diventa

precarietà, Bologna, Il Mulino, Studi e Ricerche, 2009, 2; S. Mastrovita (a cura di), Alcuni indi- catori del mercato del lavoro dal Panel europeo sulle famiglie, Italia 1994-2000 in Istituto na- zionale di statistica. Informazioni, 2003, n. 26, 53.

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Sotto questo profilo, l’art. 23 della l. 28 febbraio 1987 n. 56, ha aperto alla contrattazione collettiva, di qualsiasi livello, la possibilità di prevedere ipotesi di legittimazione per l’apposizione del termine, al fine di consentire lo sviluppo di un meccanismo concertato e virtuoso di apertura alle ra- gioni produttive e organizzative delle imprese, legittimando una prassi che ha poi ricevuto conferme, anche negli anni successivi, nell’ambito della più ampia apertura cui il sindacato è stato chiamato ad adoperarsi con la flessibilità contrattata183.

Anche nel corso degli anni ’90, vi sono state delle previsioni normative che hanno integrato la disciplina dell’istituto, estendendone il campo di applicazione: in questo decennio sono state introdotte sia nuove ipotesi di legittimazione calibrate sulla base delle condizioni soggettive dei lavora- tori, aggiuntesi a quelle di natura solo oggettiva di cui alla legge n. 230/1962, sia ipotesi integrative stabilite dalla contrattazione collettiva ai sensi dell’art. 23 della l. n. 56/1987. Queste nuove causali di apposizione del termine hanno confermato la destinazione composita che il legislatore ha inteso riconoscere all’istituto e hanno permesso di individuare nel suo utilizzo, una finalità anche di natura strettamente sociale laddove il con- tratto a termine è stato ammesso per aumentare le opportunità lavorative di categorie a rischio di emarginazione (i lavoratori disabili) o aventi mag- giori difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro (i lavoratori in mobi- lità)184.

Nonostante il descritto percorso di progressivo allargamento delle ipotesi di legittimazione, fino alla fine degli anni ’90, tale fenomeno non ha preoc- cupato la dottrina, sotto il punto di vista degli effetti destabilizzanti che il

183 Sul tema della flessibilità contrattata cfr. amplius, supra, capitolo II, par. 3.2. In relazione all’art. 23 della l. n. 56/1987 si rinvia al commento di M. D’Antona I contratti a termine, cit., 112.

184 Furono previste specifiche ipotesi di legittimazione per l’assunzione con contratti a termine dei lavoratori in mobilità (v. art. 8 della l. n. 223/1991), dei lavoratori disabili (v. art. 11 della l. n. 68/1999), dei pensionati (v. art. 75 comma 2 lett. b) della l. 23 dicembre 2000 n. 388).

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lavoro temporaneo avrebbe potuto procurare nella vita dei lavoratori; i ri- schi di instabilità, insiti nell’utilizzo di questa figura contrattuale, veni- vano in parte arginati con il sistema di garanzie che il legislatore e la giu- risprudenza avevano previsto.

La violazione delle ipotesi di legittimazione, secondo l’orientamento pre- valente della giurisprudenza di legittimità, permetteva la conversione del rapporto come a tempo indeterminato, ai sensi del comma 2 dell’art. 1419 c.c. 185, e ciò rappresentava un primo efficace motivo di deterrenza, per

evitare che l’applicazione dell’istituto avvenisse in maniera elusiva; inol- tre, all’art. 2 della legge n. 230/1962 erano già previste forme di tutela contro l’utilizzo di contratti a termine successivi, poi integrata dalle dispo- sizioni della l. n. 196/1997: nella versione originaria del testo di legge era espressamente previsto l’effetto della conversione del rapporto come a tempo indeterminato, con efficacia ex tunc dalla data di stipula del primo contratto a termine, sia che il lavoratore fosse riassunto senza soluzione di continuità o a distanza di un periodo inferiore a quindici o a trenta giorni (per i rapporti iniziali, rispettivamente inferiori o superiori a sei mesi), sia che l’attività fosse proseguita di fatto oltre la scadenza inizialmente fissata o prorogata.

Nella versione aggiornata dell’art. 2 della l. n. 230/1962 come modificato dall’art. 12 della l. n. 196/1997, la riassunzione lavoratore senza soluzione di continuità o entro un intervallo minimo dalla scadenza del precedente rapporto, continuava ad essere sanzionata con la conversione del rapporto

185 Per l’applicazione dell’art. 1419 comma 2 c.c., come fondamento per la trasformazione del contratto a tempo indeterminato v. Cass. sez. III, sentenza 21 agosto 1997 n.7822; Cass. sez. III, sentenza 22 Maggio 2001 n. 6956; Cass. 5 dicembre 2003 n. 18654; Cass. sez. III., 22 marzo 2005 n. 6170; contra Cass. sez. II, sentenza 28 giugno 2000 n. 8794; cfr. V. Speziale, La nuova

legge sul lavoro a termine in GDLRI, 2001, fasc.91; Id., La riforma del contratto a termine dopo la legge n. 247 del 2007 in WP “UDA DSG”, n. 6; S. Ciucciovino, Il contratto a tempo deter- minato: la prima stagione applicativa del d.lgs. n. 368 del 2001 in GDLRI, 2007, 480; L. Men-

ghini, Precarietà del lavoro e riforma del contratto a termine dopo le sentenze della Corte di

Giustizia in RGL, 2006, n. 4, 707; contra A. Vallebona, La nullità dei contratti di lavoro «ati- pici» in ADL, 2005, n. 2, 532.

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come a tempo indeterminato anche se con effetto solo dalla data del se- condo rapporto stipulato a tempo determinato (efficacia ex nunc); gli in- tervalli minimi entro i quali erano precluso riassumere lo stesso lavoratore erano stati, comunque, ridotti a dieci o a venti giorni, a seconda che il con- tratto di durata iniziale fosse inferiore o superiore a sei mesi.

Per le ipotesi di prosecuzione di fatto delle attività, oltre la scadenza ini- zialmente fissata o successivamente prorogata, erano stati introdotti dei termini minimi di tollerabilità, che evitavano ai datori di lavoro l’irroga- zione della sanzione più grave della conversione del rapporto per i casi di abuso meno rilevanti: solo nel caso di prosecuzione di fatto per un periodo superiore a venti o trenta giorni (per i rapporti rispettivamente inferiori o superiori a sei mesi) aveva effetto la conversione del rapporto a tempo indeterminato (dalla data di scadenza dei predetti termini), essendo previ- ste per le ipotesi di prosecuzione meno gravi l’irrogazione di sanzioni solo a carattere economico186.

Sotto la vigenza della precedente disciplina normativa, comunque, ciò che ha contribuito, in maniera predominante, a qualificare come controllabili gli effetti della liberalizzazione del contratto a tempo determinato, sono state le concrete condizioni di sviluppo del sistema economico-produttivo: il livello di innovazione e di mutamento nell’organizzazione dei fattori di produzione non aveva, sino ad allora, suggerito di mutare la scelta di fondo da parte delle imprese di utilizzare, in maniera prevalente, il contratto a tempo pieno e indeterminato187 e, in tal senso, la disciplina del contratto a

tempo determinato era stata quasi sempre in grado di corrispondere alle

186 Era prevista la maggiorazione retributiva del 20% per i rapporti a tempo determinato protrat- tesi sino a dieci giorni e del 40% per ogni giornata ulteriore.

187 V. M. Roccella, I rapporti di lavoro a termine in (a cura di) P. Varesi e M. Roccella, Le

assunzioni: prova e termine nei rapporti di lavoro in (diretto da) P. Schlensiger, Comm. cod. civ., Milano, Giuffré, 1990, 159.

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necessità delle imprese senza opposizioni significative per il rischio di pre- carietà che ne poteva derivare per i lavoratori188.