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2. La promozione del contratto a tempo determinato

2.2. Il percorso di incentivazione dopo il d.lgs n 368/2001

Sebbene con oscillazioni variabili, in base al colore politico della maggio- ranza governativa in carica, le politiche che sono state attuate, negli ultimi quindici anni, per regolare l’uso del contratto a tempo determinato, hanno contribuito a sostenere lo sviluppo della fattispecie e ad aumentarne l’in- cidenza, nel mercato del lavoro, rispetto alle altre tipologie contrattuali flessibili.

Il primo passo sulla strada della piena liberalizzazione dell’istituto è stata l’introduzione della disciplina organica del d.lgs. n. 368/2001, che ha in- trodotto un nuovo sistema di legittimazione per l’apposizione del termine finale al contratto di lavoro attraverso il richiamo alle ragioni generali «a carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo» (art. 1), con l’abrogazione dei limiti connessi alla tassatività delle ipotesi della l. n. 230/1962 e la sostituzione delle altre ipotesi di legittimazione che, in via integrativa, erano state sino ad allora stabilite da singole previsioni legi- slative ovvero disposte dalla contrattazione collettiva189.

Sebbene sia stata oggetto di rilevanti problemi interpretativi, sotto il pro- filo della riconducibilità al caso concreto delle ipotesi di legittimazione, previste solo in maniera generica190, la liberalizzazione delle causali giu-

stificative per l’apposizione del termine ha fatto sì che l’istituto fosse uti- lizzabile, non solo in via difensiva, per far fronte ad evenienze specifiche

188 Cfr. L. Menghini, Il lavoro a termine, Torino, Utet, 2009, 963.

189 V. l’art. 11 comma 1 del d.lgs. n. 368/2001 che, tra le altre disposizioni di legge, ha anche previsto l’abrogazione dell’art. 23 della l. 28 febbraio 1987 n. 56.

190 Non a caso la a-causalità dei contratti a tempo determinato, stipulati ai sensi della l. n. 92/2012, è stata ritenuta come uno dei maggiori contributi che il legislatore abbia dato alla de- flazione del contenzioso giudiziario v. G. Ferraro, Flessibilità in entrata: nuovi e vecchi modelli

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già predeterminate (sostituzione di lavoratori assenti, attività stagionali, opere eccezionali, ecc.), ma anche come strumento attrattivo per estendere il raggio d’azione delle imprese, contribuendo a diminuire il rischio che esse sostengono quando decidono di intraprendere nuovi investimenti in settori accessori o differenti da quelli relativi alla attività principale. Il riferimento alle ragioni giustificative, previsto all’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 ha, in effetti, ridotto il rischio d’impresa, avendo esautorare i datori di lavoro dalla necessità di programmare i costi fissi da pagare per le assunzioni di lavoratori permanenti, quando non vi sono ancora certezze di lungo periodo circa il bisogno di forza lavoro e, in tale maniera, contri- buendo ad accentuare la propensione e la capacità di intervento del tessuto imprenditoriale nei nuovi mercati.

Sotto il profilo politico-normativo, la nuova disciplina è nata formalmente dalla necessità di trasporre le disposizioni della direttiva europea 99/70/CE, che però definiva ancora come «forma comune di rapporto di lavoro» il contratto a tempo indeterminato191. Le modalità di recepimento,

nel nostro paese, di tale provvedimento sono state infatti stigmatizzate per la propensione liberista che le ha caratterizzate, visto che l’intervento sull’istituto è avvenuto con una sostanziale deregolamentazione della di- sciplina di legge e con la consegna, alla fonte individuale, dei principali poteri di regolazione, nonostante le consuete problematiche che accompa- gnano ogni forma di attuazione del princìpio della libertà contrattuale di origine civilistica nell’ambito dei rapporti di lavoro192.

In specie, la possibilità di concordare lo svolgimento della prestazione a termine senza, ad esempio, la previsione di una monetizzazione della in- stabilità che deriva dalla temporaneità del rapporto o la definizione di ipo-

191 V. considerando n. 6 della direttiva europea 99/70/CE.

192 Sul tema della interconnessione tra la libertà contrattuale di diritto civile e il diritto del lavoro cfr. supra, capitolo I, paragrafo n. 3.

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tesi di legittimazione a carattere solo straordinario, ha consentito di accre- scere la contrattazione vis a vis tra le parti individuali del rapporto di la- voro, alimentando un percorso di progressivo aumento nell’utilizzo della fattispecie, che ha portato l’istituto ad essere considerato la modalità pre- valente per l’ingresso della manodopera nel mercato del lavoro.

Nel climax crescente di interventi promozionali di cui si è detto, la stipula dei contratti a tempo determinato è stata ammessa anche quando il ri- chiamo alle ragioni generali, dettate all’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, è ri- ferito allo svolgimento della «ordinaria attività del datore di lavoro», se- gnale della volontà legislativa di limitare gli effetti di quella giurispru- denza che ha ritenuto valida l’apposizione del termine solo in presenza di ragioni di giustificazione connotate del requisito della temporaneità193.

I (pochi) segnali di discontinuità, in questo percorso di laissez faire, sono stati dettati in quegli interventi che hanno tentato, in linea di princìpio, di rimarcare la necessità di rispettare i vincoli comunitari, sancendo espres- samente che il contratto di lavoro è «di regola» stipulato a tempo indeter- minato194 ed è quindi ancora da ritenersi come «forma comune di rapporto

di lavoro»195: in occasione di tali interventi, sono state introdotte delle di-

sposizioni anti-abusive tese ad evitare un allungamento eccessivo della in- stabilità del lavoro temporaneo, come la previsione di limiti di durata mas- sima all’impiego a termine196 e più ampi intervalli minimi entro i quali è

193 V. d.l. 25 giugno 2008 n. 112 convertito con modifiche nella legge 6 agosto 2008 n. 133. Ciò nonostante la maggior parte della dottrina ha ritenuto, anche a seguito delle modifiche del 2008, il carattere “ordinario” delle attività come un elemento che non esclude la temporaneità delle ragioni, intese come requisito da valutare in sede giudiziaria v. ex plurimis Cass. sez. lav. sen- tenza 27 aprile 2010 n. 10033; cfr. G. Ferraro, Tipologie di lavoro flessibile, Giappichelli, To- rino, 2009, 79; C. Cordella, Introduzione allo studio sistematico del contratto a termine, cit., 55. 194 V. art. 1 comma 39 della l. n. 247/2007 con il richiamo alle indicazioni del Preambolo della direttiva europea sul lavoro a termine.

195 V. art. 1 comma 1 lett. a) della l.n. 92/2012.

196 Si tratta del limite massimo di trentasei mesi di attività che il lavoratore può svolgere al ser- vizio del medesimo datore di lavoro, in mansioni equivalenti, con contratti a tempo determinato successivi, compresivi di relative proroghe e rinnovi v. art.1 comma 40 della l. n. 247/2007.

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preclusa la riassunzione del medesimo lavoratore197, misure che, da un

lato, hanno aumentato il livello di protezione garantito ma che, d’altro canto, non hanno avuto effetti diretti sul livello di flessibilità numerica, cioè sul grado di diffusione quantitativa che la disciplina normativa ha consentito per questo istituto.