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Lo sfavore sindacale manifestato contro la riduzione delle garanzie, con- nesse alla disciplina limitativa dei licenziamenti, non sembra aver riguar- dato l’aumento della flessibilità in entrata che, in un continuum con i se- gnali di intervento manifestati nel corso degli anni ‘80104, ha visto il sin-

dacato svolgere in tale materia un ruolo di primo piano, anche nel corso dei due decenni successivi, quando per gli schemi contrattuali atipici sono stati aperti nuovi spazi di sviluppo. Nel corso degli anni ’90, le principali associazioni sindacali dei lavoratori hanno lasciato piena facoltà al legi- slatore di intervenire sul tema della flessibilità senza l’esercizio di forme particolari di contrasto, negoziando piuttosto la promozione della flessibi- lità, con maggiori poteri di intervento collettivo; ciò è confermato dall’at- teggiamento assunto già nel 1993, con l’accordo trilatero tra governo e parti sociali, con il quale il sindacato ha concordato con il governo la linea

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strategica di politica sindacale e del lavoro da adottare per superare il pe- riodo di crisi economica e sociale che stava caratterizzando il nostro Paese. La stipula del Protocollo del 23 luglio 1993 ha avuto un’ampia partecipa- zione da parte delle parti sociali e ha permesso di aprire il dialogo con il Governo, al fine di sviluppare, tra gli altri temi, «pacchetti di misure di politica attiva, di flessibilità e di formazione professionale»105. Alla luce

del difficile contesto storico che stava caratterizzando il nostro paese, agli inizi degli anni ’90, questo documento ha infatti acquisito, per tutte le parti trattanti, «il senso […] di un patto nazionale di solidarietà economica»106:

in specie, per il Governo, la definizione dell’accordo ha permesso di limi- tare gli effetti di discredito sulla classe politica che il fenomeno di Tan- gentopoli stava generato oltre a contribuire a rendere effettivamente prati- cabili le riforme che, nonostante la loro impopolarità, erano state richieste per entrare a far parte dei Paesi che applicano la moneta unica europea107.

Il compito svolto dalle parti sociali nella fase delle trattative fu, in effetti, riconducibile alla esecuzione di una funzione di natura “istituzionale” vi- sto che la loro partecipazione è divenuta un rimedio al deficit democratico e consensuale che aveva investito la capacità rappresentativa dei partiti politici; l’atteggiamento concertativo che fu assunto dalle associazioni di categoria, nel corso del lungo confronto politico, fu mantenuto sino alla effettiva approvazione dell’accordo che, per il governo “tecnico” di desi-

105 Cfr. G. Ghezzi, Considerazioni sull’accordo tra Governo e sindacati del 23 luglio 1993 in

PD, 1994, n. 1, 3; M. D’Antona, Il protocollo sul costo del lavoro e l’«autunno freddo» dell’oc- cupazione in RIDL, 1993, n. 4, 411.

106 Ibidem, 412.

107 Cfr. per una analisi sul fenomeno di Tangentopoli che non tiene conto solo dello stato di decadimento dei partiti politici, ma che pone l’accento sull’esercizio abusivo che, in quel conte- sto storico, è stato fatto dei poteri giudiziari da parte della magistratura inquirente cfr. M. De Pizzo, La trattativa fallita, Roma, Formiche, 2012.

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gnazione presidenziale, allora in carica, volle dire ottenere la legittima- zione dinanzi alla cittadinanza, di cui non aveva goduto per via eletto- rale108.

Il profilo “istituzionale” che i sindacati hanno acquisito nell’iter che li ha visti coinvolti nelle scelte di politica sociale ed economica azionate dai Governi, ha avuto la sua massima espressione nel citato Protocollo del 1993, che ha anche segnato il punto di massimo splendore del metodo con- certativo.

Nel nostro paese, la “concertazione” è stato un importante strumento che ha dato ampia espressione alle pretese dinanzi al potere politico, dei gruppi di interesse sindacale legati al fenomeno del lavoro; i vantaggi di tale me- todo decisionale sono riconducibili, in primo luogo, alla più ampia valo- rizzazione che ne deriva del princìpio costituzionale del pluralismo delle formazioni sociali, con il quale si auspica il dialogo democratico e la con- divisione delle scelte, in specie sui temi che hanno diretto appeal sui cit- tadini; inoltre, un secondo effetto positivo riguarda il più alto grado di sta- bilità delle politiche sociali che vengono adottate, considerato che l’ac- cordo concertativo realizza le condizioni per la coesione sociale e dà più ampio spazio ai tempi necessari alla attuazione dei programmi che in esso sono decisi109.

L’utilizzo della concertazione, come metodo decisionale, ha prodotto an- che dei costi in termini politici che probabilmente sono stati sostenuti, in misura maggiore, dalle parti sociali coinvolte: nel contesto degli anni ’90, la governabilità del consenso delle associazioni di categoria, che è stata garantita dall’azione concertativa, ha fortemente limitato l’opera di con- trasto e di rivendicazione sindacale rispetto alle politiche governative in

108 Cfr. F. Carinci, La concertazione in (a cura di) F. Lunardon, Trattato di diritto del lavoro.

Vol. III. Conflitto, concertazione e partecipazione, Torino, Cedam, 2011, 934.

109 Ibidem, 926; cfr. etiam L. Bellardi, Mercato del lavoro: alcune risposte a molti interrogativi.

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atto e, in effetti, il conflitto che tali organizzazioni sono state capaci di azionare non ha potuto assumere la “veemenza” che ha caratterizzato, ad esempio, la condotta dei sindacati italiani durante gli anni ‘60 e per parte degli anni’70110.

In questa prospettiva, va inquadrata la connivenza, o la poca resistenza, che il sindacalismo italiano ha dimostrato nei riguardi delle decisioni po- litiche che, nel corso degli anni ’90, hanno definito l’aumento delle tipo- logie contrattuali flessibili, come metodo per la modernizzazione del mer- cato del lavoro111; se, infatti, da un lato, il movimento sindacale si è preoc-

cupato di non perdere la sua funzione di rappresentare gli interessi dei la- voratori associati, tentando di allentare le misure peggiorative che li ri- guardavano (si pensi, al tema delle retribuzioni)112, l’interesse alla stabilità

dei nuovi rapporti di lavoro, che avrebbe riguardato i soggetti che ancora dovevano entrare nel mercato, è sembrato quello meno difeso dalle parti sociali e, anche per questo, quello più compromesso dalle politiche del lavoro di questi anni.

110 Cfr. F. Carinci, La concertazione, cit., 926; l’Autore descrive gli anni ’90 come il periodo di piena maturazione del metodo concertativo, considerato che la nascita di tale strumento di nego- ziazione viene ricondotta agli accordi degli anni ’80 (Protocollo Scotti del 22 gennaio 1983 e il Protocollo di S. Valentino del 14 febbraio 1984). Dal nostro punto di osservazione interessa sottolineare che la relazione tra lo sviluppo dei contratti flessibili nel mercato e i protocolli con- certativi è stata confermata anche in questi ultimi accordi menzionati, che già prevedevano l’in- troiezione di maggiori forme di flessibilità nel rapporto di lavoro (come il contratto di formazione e lavoro). Dopo la fine della Prima Repubblica, la concertazione tra i sindacati e i partiti politici si è fatta meno intensa a causa della “caduta” dei partiti politici che avevano una stretta affinità ideologica con le posizioni dei sindacati; l’intervento delle associazioni di categoria nelle politi- che sociali è continuato, così, solo per i governi “amici” di centro-sinistra, visto che i governi di centro-destra hanno accettato solo forme di partecipazione meno incisive come il dialogo sociale cfr. L. Bellardi, Mercato del lavoro: alcune risposte a molti interrogativi. Dalla concertazione

al dialogo sociale: scelte politiche e nuove regole, cit., 183; G. Giugni, La lunga marcia della concertazione, Bologna, Il Mulino, 2003, 94.

111 Cfr. W. Streeck, Le relazioni industriali oggi in DRI, 2009, n. 2, 264.

112 Il tema delle retribuzioni unitamente a quello dell’occupazione, in relazione alle politiche adottate nel corso degli anni ’90, sono trattati nella prima parte del saggio di F. Liso, Autonomia

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La perdita delle garanzie di stabilità del lavoro dei soggetti con minore voce nella dialettica sociale, e cioè le generazioni future, è stata percepita come un rischio condivisibile: in specie, sotto il profilo politico, l’introie- zione di maggiori dosi di flessibilità contrattuale nel mercato del lavoro del nostro paese, è stata accolta come un rimedio per combattere la disoc- cupazione e per diminuire il lavoro irregolare, anche in assenza di mag- giori e più consolidate certezze sulla effettività di tali relazioni, ma soprat- tutto senza misure di rinforzo immediato contro i rischi di segmentazione e precarietà per i lavoratori113.