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GLI OSTACOLI DA AFFRONTARE Secondo un’indagine condotta nel

PARTE TERZA

3. OPEN GOVERNMENT E OPEN DATA PER COMBATTERE LA CORRUZIONE: VANTAGGI E DIFFICOLTÀ

3.10. GLI OSTACOLI DA AFFRONTARE Secondo un’indagine condotta nel

Eurosistema, i principali ostacoli da affrontare per favorire lo sviluppo dell’ essenzialmente in

- competenze digitali inadeguate da parte dei cittadini

- uso delle ICT da parte delle Pubbliche Amministrazioni diretto principalmente alla soddisfazione di esigenze interne e meno alla prestazione di servizi

- scarsa capacità dei sistemi informativi di fare rete, essendo stato spesso affidato il processo di digitalizzazione ai singoli enti in un contesto di

(Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016)

Secondo le analisi svolte dagli organismi internazionali in materia di ritardo nel processo di digitalizzazione

Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016): in base al rapporto nel 2014 la percentuale di cittadini e imprese che risultata pari al 20%, valore che colloca

cittadini, inoltre, solo la metà aveva avuto con la Pubblica Amministrazione uno scambio di informazioni bidirezionale, inoltrando all’amministrazione via rete un documento compilato (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016). I dati sono rappresentati n

In termini assoluti la percentuale di imprese che ha interagito con la Pubblica Amministrazione telematiche risultava superiore, attestandosi al 78%

internazionale. Inoltre soltanto il 58% delle imprese

istanze compilati (OECD, 2015). I dati sono rappresentati nella figura 3. effettuate dalla Commissione Europea relative al grado di raggiungimento

Digitale Europea, la propensione generale all’utilizzo di internet in Italia risulta più bassa se confrontata agli altri Paesi dell’Unione Europea. Poco più del 58% degli individui in Italia dichiara di utilizzare il web quotidianamente, mentre la media UE si attesta al 65% e il valore massimo, raggiunto dal Lussemburgo, e dell’87% (Commissione Europea, 2014).

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DA AFFRONTARE

16 da alcuni autori per conto di Banca d’Italia, in c principali ostacoli da affrontare per favorire lo sviluppo dell’e-government competenze digitali inadeguate da parte dei cittadini

uso delle ICT da parte delle Pubbliche Amministrazioni diretto principalmente alla soddisfazione di esigenze interne e meno alla prestazione di servizi

acità dei sistemi informativi di fare rete, essendo stato spesso affidato il processo di digitalizzazione ai singoli enti in un contesto di governance debole a livello centrale.

(Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016)

li organismi internazionali in materia di e-government, l’Italia registra un ritardo nel processo di digitalizzazione rispetto a quanto osservato negli altri Paesi industrializzati (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016): in base al rapporto Government at a glance 2015 dell’OCSE, in Italia ini e imprese che interagivano con la Pubblica Amministrazione era pari al 20%, valore che collocava il nostro Paese terzultimo in classifica (OECD, 2015). Di questi adini, inoltre, solo la metà aveva avuto con la Pubblica Amministrazione uno scambio di informazioni bidirezionale, inoltrando all’amministrazione via rete un documento compilato (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi,

o rappresentati nella figura 2.

In termini assoluti la percentuale di imprese che ha interagito con la Pubblica Amministrazione

attestandosi al 78%, ma in termini relativi rimaneva bassa nel confronto il 58% delle imprese aveva inviato via rete all’amministrazione documenti o istanze compilati (OECD, 2015). I dati sono rappresentati nella figura 3. Inoltre, secondo le misurazioni effettuate dalla Commissione Europea relative al grado di raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea, la propensione generale all’utilizzo di internet in Italia risulta più bassa se confrontata agli altri Paesi dell’Unione Europea. Poco più del 58% degli individui in Italia dichiara di utilizzare il web anamente, mentre la media UE si attesta al 65% e il valore massimo, raggiunto dal Lussemburgo, e dell’87% (Commissione Europea, 2014).

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collaborazione con in Italia risiedono

uso delle ICT da parte delle Pubbliche Amministrazioni diretto principalmente alla soddisfazione di acità dei sistemi informativi di fare rete, essendo stato spesso affidato il processo di

debole a livello centrale.

, l’Italia registra un rispetto a quanto osservato negli altri Paesi industrializzati (Arpaia, dell’OCSE, in Italia con la Pubblica Amministrazione era il nostro Paese terzultimo in classifica (OECD, 2015). Di questi adini, inoltre, solo la metà aveva avuto con la Pubblica Amministrazione uno scambio di informazioni bidirezionale, inoltrando all’amministrazione via rete un documento compilato (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, In termini assoluti la percentuale di imprese che ha interagito con la Pubblica Amministrazione in modalità bassa nel confronto aveva inviato via rete all’amministrazione documenti o Inoltre, secondo le misurazioni degli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea, la propensione generale all’utilizzo di internet in Italia risulta più bassa se confrontata agli altri Paesi dell’Unione Europea. Poco più del 58% degli individui in Italia dichiara di utilizzare il web anamente, mentre la media UE si attesta al 65% e il valore massimo, raggiunto dal Lussemburgo, e

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Da Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016

Da Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016 Per quanto riguarda l’e-government, l’utilizzo da parte di cittadini e imprese di servizi legati ad esso è rilevato dall’Istat in un’indagine apposita chiamata Uso dell’E-Government da parte di consumatori e

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imprese (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016)35. I risultati hanno mostrato che la quota dei

consumatori che nel 2012 aveva dichiarato di aver interagito nell’ultimo anno con la Pubblica Amministrazione tramite sportello ammontava al 64%; solo il 15%, invece, aveva dicharato di utilizzare il canale internet o l’e-mail e appena il 4% la posta elettronica certificata (ISTAT, 2013).

Sempre secondo le rilevazioni dell’ISTAT36, la percentuale delle famiglie italiane con possibilità di accesso a

internet da casa e con a disposizione una connessione a banda larga37 sarebbe cresciuta dal 2013 al 2014

rispettivamente dal 60,7% al 64% e dal 59,7% al 62%. Questi dati sono tuttavia dispersi intorno alla media: i nuclei familiari in cui è presente almeno un minorenne presentano percentuali che si attestano all’87,1% e all’89%, mentre i nuclei di soli anziani presentano soltanto un 17,8 dotato di computer e un 16,3% dotato di una connessione internet (ISTAT, 2014).

Le ragioni dell’indisponibilità degli accessi a Internet sono prevalentemente legate ai costi e alla possibilità di accedere a Internet fuori casa nel caso di nuclei familiari con almeno un minorenne; la mancanza di capacità e la scarsa percezione dell’utilità dello strumento sono le motivazioni prevalentemente addotte dai nuclei di soli anziani. Tuttavia, la percentuale di famiglie con età media più bassa che segnala mancanza di competenze digitali è comunque significativa, in quanto supera il 20% (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016).

In media, infine, la mancanza di adeguate capacità informatiche risulta la ragione prevalente per cui l’accesso a Internet non è disponibile all’interno delle famiglie (figura 6).

Le indagini condotte dall’ISTAT mostrano quindi che, per quanto riguarda i cittadini, la ragione per cui lo sviluppo dell’e-government in Italia non è ancora pienamente soddisfacente risiede in una carenza di domanda di servizi online, motivata principalmente da scarsa cultura digitale e da una bassa propensione all’utilizzo della rete (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016).

Da Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016

35 L’indagine ISTAT a cui gli autori fanno riferimento e di cui anche in questo lavoro si parla è quella effettuata nel

2012.

36 Indagine riferita al 2014

37 Intesa come possibilità di accedere a Internet da casa mediante tecnologie DSL o mediante connessione senza fili

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Per quanto riguarda le imprese, invece, le analisi mostrano che la ragione per cui lo sviluppo dell’e- government in Italia non è ancora pienamente soddisfacente risiederebbe in prevalenza in una carenza di offerta dei servizi e-government. Infatti, benché ancora un’impresa su cinque dichiarasse nel 2012 di utilizzare lo sportello come modalità prevalente di interazione con la Pubblica Amministrazione38 e benché

il canale internet/e-mail fosse all’epoca sfruttato da poco meno di due imprese su tre39 (ISTAT, 2012), le

imprese italiane, specialmente quelle di maggiori dimensioni, mostrano una buona “maturità digitale”40

rispetto alle altre imprese dell’Unione Europea e appaiono preparate e ricettive per accogliere le innovazioni portate dall’e-government (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016).

Per quanto riguarda, invece, l’offerta di e-government da parte delle Amministrazioni Pubbliche, le dotazioni di ICT relative a infrastrutture di base, quali connessione a internet a banda larga, presenza sul web o intranet, appaiono abbastanza diffuse, mentre risultano più scarse le dotazioni orientate alla comunicazione con gli utenti, in particolare per quanto riguarda gli enti coinvolti nell’offerta diretta di servizi pubblici (ISTAT, 2012, da Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016).

I dati della rilevazione dell’Istat Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle pubbliche amministrazioni locali mostrano che l’informatizzazione ha riguardato soprattutto attività interne, con l’obiettivo di avvalersi degli strumenti digitali per sostituire processi manuali e cartacei, quali il protocollo, la contabilità economico-finanziaria, la gestione del personale, atti amministrativi e delibere; mentre sono rimaste meno informatizzate le attività proiettate all’esterno, come quelle legate alla gestione di contratti, alle gare di appalto, ai concorsi e agli Uffici di Relazione con il Pubblico (ISTAT, 2013, da Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016). Nel complesso, l’utilizzo dell’ICT da parte della Pubblica Amministrazione italiana sembra essersi orientato più alla ricerca di miglioramenti nell’efficienza dei processi interni che all’informatizzazione dell’erogazione di servizi a cittadini e imprese, non investendo a sufficienza sulla comunicazione agli utenti delle innovazioni apportate e inibendo i vantaggi del processo di digitalizzazione (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016).

Inoltre il processo di informatizzazione della Pubblica Amministrazione è avvenuto a ritmi diversi a seconda del tipo di amministrazione, causando disomogeneità (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016): alcuni enti delle Amministrazioni centrali, quali il Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Agenzia delle Entrate e l’INPS, sono ormai dotati di sistemi informatici e database di alto livello che consentono ai cittadini modalità di interazione avanzate e possibilità di svolgere operazioni complesse, mentre negli enti decentrati, in particolare in quelli territoriali (Regioni, Province, Comuni) il processo ha invece assunto un carattere particolarmente variegato, dovuto prevalentemente ai divari socio-economici (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016).

Tra le cause principali della digitalizzazione della Pubblica Amministrazione “a macchia di leopardo”, vi sono - la mancanza di un’azione contestuale nel riorganizzare internamente la Pubblica Amministrazione; - una governance dei processi inadeguata che ha provocato disordine nello sviluppo;

38 Il range varia dal 20% del settore manifatturiero al 23% del settore dei servizi (ISTAT, 2012 da Arpaia, Ferro, Giuzio,

Ivaldi, Monacelli, 2016)

39 Il range va da un massimo del 69% relativo alle imprese manifatturiere ad un minimo del 54% per le imprese

commerciali (ISTAT, 2012 da Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016)

40 Evidenza mostrata dai dati della Commissione Europea a proposito della diffusione delle comunicazioni strutturate,

ossia degli scambi di documenti che non richiedono una lavorazione manuale successiva alla ricezione e possono essere processati direttamente dai sistemi di chi interagisce con l’impresa: sia nel 2011 sia nel 2012 la percentuale di imprese italiane che avevano scambiato comunicazioni strutturate risultava superiore alla media europea. Lo Scoreboard dell’Agenda Digitale Europea è disponibile al sito https://ec.europa.eu/digital-agenda/en/digital-agenda- scoreboard. (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016)

71 - la carenza di risorse.

(Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016)

Il problema principale, sottolineato dagli autori, risiederebbe nella sovrapposizione dell’utilizzo delle ICT all’operatività precedentemente in atto, nell’aver calato la tecnologia su attività preesistenti senza rivisitare strutture e processi caratterizzanti l’offerta di servizi e senza mettere in discussione le procedure e le modalità operative adattandole ai nuovi obiettivi: l’Amministrazione italiana avrebbe quindi digitalizzato formalmente le procedure, continuando tuttavia a seguire una modalità operativa “analogica”, lasciando in sostanza inalterati l’esecuzione e l’organizzazione dei processi (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016).

Secondo gli autori, le ragioni del fallimento dei tentativi di riforma consisterebbero in - resistenza da parte dei soggetti operanti nel settore pubblico;

- cultura disinteressata al risultato dell’azione pubblica;

- ostilità all’accountability e alla valutazione delle performance da parte della burocrazia e della politica;

- instabilità politica.

(Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016)

Il processo di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione è stato inoltre ostacolato dai cambiamenti pressoché continui che hanno interessato i meccanismi di governance del processo dopo il 2000: gli assetti e i compiti degli organismi di supervisione e coordinamento sono stati accorpati, ridefiniti, razionalizzati e trasformati tanto da avviare con ritardo le manovre di riaggregazione e accentramento della governance, necessarie per lo sviluppo di un e-government efficace (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016). Inoltre, l’accresciuta autonomia riconosciuta agli enti decentrati, conseguente alla riforma costituzionale del Titolo V, ha reso più difficile per gli organismi di supervisione gestire in maniera unitaria e coordinata il processo di digitalizzazione. Di conseguenza, l’applicazione a livello locale dei progetti lanciati a livello nazionale è stata spesso lasciata, di fatto, alla discrezione dei singoli enti, facendo sì che, al massimo, si sviluppassero progetti di informatizzazione limitati alle esigenze contingenti di tali enti, ad esempio la dematerializzazione dei processi interni; mentre l’attenzione al servizio offerto ai cittadini e alla capacità dei sistemi informativi di fare rete hanno finito per essere relegati ad aspetti secondari (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016). Questo approccio ha quindi prodotto una carenza di standard comuni tra i sistemi delle diverse amministrazioni, rendendo difficile l’interazione tra i diversi processi la condivisione dei dati (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016).

Un aspetto che, infine, ha condizionato notevolmente lo sviluppo dell’e-government in Italia è stato l’urgente intervento di risanamento della finanza pubblica (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016). La riduzione della spesa pubblica ha infatti portato a

- politiche restrittive in materia di assunzioni, con conseguente mancanza di ricambio generazionale e rallentamento della diffusione della cultura digitale, solitamente appannaggio dei lavoratori più giovani;

- limitazione delle risorse da destinare all’innovazione dei processi

- scarsi investimenti nella dotazione di ICT innovative, che consentono di ottenere vantaggi differiti nel tempo, a causa della necessità di ottenere un ritorno finanziario immediato.

(Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016)

I suggerimenti proposti dagli autori del saggio per affrontare queste difficoltà riguardano, innanzitutto, l’esigenza di un rafforzamento della governance dei processi di digitalizzazione, che garantisca la coerenza dei loro sviluppi e che si estenda a tutta la Pubblica Amministrazione (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi,

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Monacelli, 2016): per conseguire questo obiettivo, gli autori propongono un approccio “centrale”, pur nel rispetto delle autonomie locali, e l’imposizione di standard uniformi sia a livello di destinatari sia a livello di progetti e funzioni all’interno dei singoli enti, in modo tale da garantire l’interoperabilità dei sistemi e la gestione in rete.

In secondo luogo, gli autori propongono l’adozione di un approccio sistemico all’e-government, ossia di un approccio che coinvolga un ampio perimetro di amministrazioni, che sia in grado di incidere su determinate leve per intensificare il processo generale di digitalizzazione e che possa influenzare il livello base di informatizzazione delle singole amministrazioni grazie alla diffusione di standard tecnici e procedurali e all’impatto trasversale esercitato sui sistemi informativo-contabili (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016). Questo approccio, portando maggiore uniformità nelle modalità dell’offerta, consentirebbe inoltre di garantire ai cittadini parità di accesso ai servizi pubblici, estendendo le potenzialità dell’offerta a una platea più ampia di enti e livellando la qualità delle prestazioni grazie al rispetto di un grado minimo di standardizzazione, in modo tale da riuscire a ridurre i divari territoriali nella fornitura dei servizi (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016).

Infine, gli autori suggeriscono di prestare particolare attenzione alla selezione dei progetti di informatizzazione, dando priorità a quelli con maggior impatto sulla produttività del settore privato e della Pubblica Amministrazione (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016). Per attuare questo obiettivo gli autori propongono alle amministrazioni di diffondere le rispettive best practices e di condividere non solo infrastrutture e procedure, ma anche modelli operativi e organizzativi vincenti. Propongono inoltre di introdurre un regolare monitoraggio dei progressi registrati dai piani di e-government in modo tale da poter verificare lo stato di avanzamento dei singoli progetti e, soprattutto, la coerenza degli sviluppi fino a quel momento realizzati: ciò permetterebbe di attuare tempestivi cambi di strategia in caso di fallimenti o deviazioni dal progetto complessivo (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016).

Questi interventi, tuttavia, come sottolineano gli autori, sono soltanto parziali, poiché agiscono soltanto sul lato dell’offerta di e-government: per promuovere un e-government efficace è necessario altresì compensare le carenze che operano dal lato della domanda di servizi online da parte di cittadini e imprese (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016). Oltre al supporto della cultura digitale, secondo gli autori, occorrerebbe investire maggiormente nella comunicazione con l’utenza, nel diffondere e nell’incoraggiare il ricorso alle procedure e ai servizi digitalizzati già disponibili, spesso poco conosciuti, e nell’attivazione di una funzione di ascolto, in modo tale da poter verificare periodicamente il grado di soddisfazione dei clienti (Arpaia, Ferro, Giuzio, Ivaldi, Monacelli, 2016).

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CONCLUSIONI

In un mondo in cui i big data stanno diventando tanto importanti da rappresentare un mercato da 150 miliardi di dollari (Il Sole 24 Ore), avere a disposizione una fetta consistente di questi dati (formata dai dati della Pubblica Amministrazione) gratuitamente e in formato aperto costituisce un’enorme opportunità economica per cittadini e imprese, sia a livello diretto, per fare business, sia a livello indiretto, ossia per poter monitorare e controllare le attività della burocrazia e degli enti pubblici, prevenendo gli sprechi, combattendo la corruzione e migliorando la qualità e la sicurezza dei servizi offerti.

Attualmente in Italia risultano presenti 13822 amministrazioni con almeno una base di dati, per un totale di 159448 basi di dati (basidati.agid.gov.it), la posizione nelle classifiche mondiali sugli open data del nostro Paese è in crescita e le riforme attuate negli ultimi anni hanno portato ad una maggiore accessibilità dei dati, attuando in concreto il principio di trasparenza e di apertura introdotto dal Decreto Legislativo 97 del 2016.

Le iniziative che, attraverso le possibilità offerte dal web, sollecitano la partecipazione attiva dei cittadini, promuovendo il riutilizzo e la fruizione degli open data, non mancano e sono in aumento: alcune sono piattaforme gestite dalle amministrazioni stesse, altre sono siti e portali organizzati “dal basso”, altre sono canali social che si occupano di monitoraggio civico e altre sono raduni e manifestazioni, quali i ritrovi della comunità “Spaghetti Open Data” o la Settimana Dell’Amministrazione Aperta, attualmente alla sua seconda edizione, avvenuta tra il 5 e l’11 febbraio 2018. Tuttavia, il fatto che solo una minoranza della popolazione si serva delle fonti prime dei dati, ossia dei dataset, oggi apertamente accessibili, per avere informazioni su cattiva amministrazione, sprechi e corruzione, preferendo invece far riferimento a materiale già rielaborato da blog, trasmissioni televisive e quotidiani, indica che il potenziale degli open data di favorire il controllo della legalità non è ancora pienamente sfruttato. Se da una parte la causa risiede nella scarsa propensione alla partecipazione da parte dei cittadini, problema peraltro affrontato con campagne di sensibilizzazione e con iniziative rivolte ai più giovani, ad esempio il progetto A Scuola di OpenCoesione, dall’altra parte si assiste ad una diffusa mancanza di capacità digitali tra la popolazione, che impedisce a molte persone, soprattutto anziane ma non solo, di usufruire dei dati e dei servizi messi a disposizione dalle amministrazioni. Accanto agli interventi sul lato dell’offerta di open data, quali un maggior coordinamento centrale delle politiche e delle iniziative e un maggiore e migliore impiego di risorse per digitalizzare i processi, occorre anche formare cittadini e imprese in grado di produrre una consistente domanda di open data, facendo sì che questo importantissimo materiale non sia soltanto appannaggio di esperti ma di chiunque intenda servirsene per dare il proprio contributo al controllo della legalità.

La propensione ad informarsi direttamente all’origine dei dati, accompagnata dalle capacità necessarie per farlo, consentirebbe non solo di smascherare più episodi di corruzione e di disincentivare il comportamento illecito, ma anche di allineare maggiormente la percezione che i cittadini hanno del fenomeno corruttivo con la realtà dei fatti. I più utilizzati indicatori della corruzione si basano, infatti, su misure soggettive; misure che rischiano di diventare tanto meno attendibili quanto più le opinioni sono basate su informazioni di seconda mano e conoscenze diffuse anziché sui dati grezzi: servirsi dei dati resi aperti dalle amministrazioni può quindi essere utile ai cittadini per farsi un’idea più precisa dell’entità della corruzione, avvicinando quando più possibile la personale percezione all’oggettività del fenomeno.

Lungi dal voler sostenere che la corruzione in Italia sia soltanto una proiezione mentale della popolazione, risulta tuttavia evidente dalle ricerche empiriche una discrepanza tra esperienza diretta di episodi di corruzione e opinione sulla diffusione del fenomeno da parte degli intervistati: secondo il rapporto Tacod, ad esempio, a fronte di un 97% di persone che ritiene la corruzione in Italia un fenomeno molto o abbastanza diffuso (rispettivamente, 58% molto diffuso e 39% abbastanza diffuso), meno del 10% ha

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dichiarato di aver vissuto o assistito nei dodici mesi precedenti l’intervista ad un episodio di corruzione. In particolare alla domanda “Qualcuno in Italia ha mai chiesto o si è mai aspettato che un membro della tua

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