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E-government e open data: strumenti di lotta alla corruzione

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di laurea magistrale in

Strategia, Management e Controllo

percorso Strategia e Governo delle Aziende

E-GOVERNMENT E OPEN DATA:

STRUMENTI DI LOTTA ALLA

CORRUZIONE

Relatore:

Dott.ssa Caterina Giannetti

Controrelatore:

Dott.ssa Alessandra Rigolini

Anno

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di laurea magistrale in

Strategia, Management e Controllo,

percorso Strategia e Governo delle Aziende

GOVERNMENT E OPEN DATA:

STRUMENTI DI LOTTA ALLA

CORRUZIONE

Candidato:

Cecilia Baldini

Anno Accademico 2016/2017

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

percorso Strategia e Governo delle Aziende

GOVERNMENT E OPEN DATA:

STRUMENTI DI LOTTA ALLA

Candidato:

Cecilia Baldini

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2

INDICE

INTRODUZIONE

p.3

1. PARTE PRIMA: La corruzione: definizioni e implicazioni

p.5

1.1. Il fenomeno corruzione: una definizione giuridica p.5

1.2. Corruzione: la definizione economica p.7

1.3. La teoria economica della corruzione: cenni p.8

1.4. La situazione italiana p.9

1.5. Perché occuparsi di corruzione p.12

1.6. Come si misura la corruzione p.14

1.7. Come si contrasta la corruzione? p.18

2. PARTE SECONDA: E-Government: una possibile soluzione

p.20

2.1. E-Government: una soluzione innovativa p.20

2.2. E-Participation: l’altra faccia dell’e-government p.21

2.3. Modelli econometrici: esempi tratti dalla letteratura che dimostrano

empiricamente l’efficacia dell’e-government p.22

2.3.1. Shim & Eom p.22

2.3.2. Elbahnasawy p.24

2.3.3. Andersen p.29

2.3.4. Mistry e Jalal p.33

3. PARTE TERZA: Open Government e Open Data per combattere

p.39

la corruzione: vantaggi e difficoltà

3.1. Servirsi delle ICT per creare una cultura della trasparenza p.39

3.2. Open Government, l’amministrazione aperta p.42

3.3. Dall’Open Government agli Open Data p.43

3.4. Gli Open Data in Italia p.46

3.5. I risultati italiani in materia di Open Data p.48

3.6. Best practices e ostacoli p.52

3.7. Open Data contro la corruzione p.54

3.8. Le iniziative p.55

3.9. Difficoltà: una rivoluzione rimandata? P.64

3.10. Gli ostacoli da affrontare p.67

CONCLUSIONI

p.73

APPENDICE

p.75

(3)

3

INTRODUZIONE

“Corruption is one of the main obstacles to sustainable economic, political and social development, for developing, emerging and developed economies alike. Overall, corruption reduces efficiency and increases inequality. Estimates show that the cost of corruption equals more than 5% of global GDP (US$ 2.6 trillion,

WorldEconomic Forum) with over US$ 1 trillion paid in bribes each year (World Bank). It is not only a question of ethics; we simply cannot afford such waste.”

“La corruzione è uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo sostenibile, economico, politico e sociale, sia per le economie in via di sviluppo, sia per le economie emergenti, sia per le economie sviluppate. In generale la corruzione riduce l’efficienza e incrementa la disuguaglianza. Le stime dimostrano che il costo della corruzione equivale a più del 5% del PIL mondiale, pari a 2,6 miliardi di dollari americani secondo il WorldEconomic Forum, con più di un miliardo di dollari pagato ogni anno in tangenti (Banca Mondiale). Non è soltanto una questione di etica: il mondo non può semplicemente permettersi un tale spreco”.

Così si esprime efficacemente l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, all’interno dell’iniziativa CleanGovBiz, per spiegare perché sia tanto importante che i governi di tutto il mondo si adoperino per combattere la corruzione.

La corruzione rende più oneroso fare impresa, produce spreco o cattivo impiego delle risorse collettive, perpetua condizioni di povertà e causa sfiducia nelle istituzioni (OECD, 2014), deprimendo quindi la crescita mondiale e ostacolando il processo di riduzione delle disuguaglianze economiche e sociali. Rifacendoci ad una definizione di corruzione che inquadra il fenomeno come un caso di abuso di potere finalizzato al conseguimento di benefici privati, appare logico pensare che più i connotati e i meccanismi di tale potere sono chiari, espliciti e comprensibili dalla collettività più essa è in grado di difendersi da usi impropri ed illegali di tali poteri. Rendere il potere esplicito e comprensibile, oltre ad essere una prerogativa della democrazia, è ciò che può essere efficacemente riassunto con il termine “trasparenza”.

Promuovere la trasparenza, e quindi rimuovere le zone d’ombra in cui è possibile per chi detiene il potere abusarne per trarne illeciti vantaggi personali, è la direzione principale in cui i governi mondiali si stanno muovendo per combattere la corruzione. Oggigiorno, grazie al potenziale di Internet e delle tecnologie di informazione e comunicazione (ICT), che permettono di diffondere in rete enormi quantitativi di dati e di renderli accessibili simultaneamente ad un numero pressoché illimitato di utenti, dare visibilità ai meccanismi del potere ed esplicitarli per sottoporli al controllo di un pubblico vastissimo appare finalmente una possibilità concreta. L’ipotesi degli studiosi è che, automatizzando le procedure, riducendo gli spazi di discrezionalità umana e mettendo i dati a disposizione di milioni e milioni di utenti, si riducano le zone d’ombra in cui la corruzione può annidarsi; e, perciò, proprio in questa direzione si sono indirizzati alcuni studi empirici della dottrina che hanno statisticamente dimostrato una correlazione significativa tra amministrazione “aperta” e “digitale” (e-government) e contenimento della corruzione.

Inoltre, se l’apertura al pubblico dei dati e delle procedure si accompagna ad una gratuità dell’accesso ad essi, all’uso di linguaggi informatici leggibili dal più ampio numero possibile di macchine e all’assenza di licenze o diritti che ne limitino la fruibilità e il riutilizzo, in accordo con i principi open data, l’impatto di tale materiale nella lotta alla corruzione può risultare ancor più dirompente: i dati aperti, accompagnati da un utilizzo del web e dei social media sempre più diffuso, che ne permette una rapida e semplice condivisione, sono potenzialmente in grado di sollecitare un controllo dal basso dei meccanismi amministrativi fino ad ora mai stato possibile, rendendo sempre più difficile per chi detiene il potere abusarne a scapito della collettività.

Se gli interventi per fornire un’adeguata offerta di open data sono indispensabili, è, tuttavia, altrettanto importante rilanciare la domanda di open data, ossia far sì che i cittadini e le imprese sappiano sfruttare

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l’enorme potenziale di questi dati. Affinché ciò accada, occorre quindi sensibilizzare gli utenti sull’importanza di utilizzare il materiale che le amministrazioni rendono accessibile, a fini informativi e a fini di controllo; occorre che gli utenti abbiano le capacità necessarie per accedere ai dati e per comprenderli; e occorre che la cittadinanza sia coinvolta in un processo di controllo democratico del corretto funzionamento delle istituzioni. Il potenziale mostrato dalla tecnologia e dall’apertura delle amministrazioni (open government) è quindi molto grande, ma i passi che l’Italia deve ancora compiere in questa direzione sono ancora molti.

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PARTE PRIMA

1. LA CORRUZIONE: DEFINIZIONE E APPLICAZIONI

1.1. IL FENOMENO CORRUZIONE: UNA DEFINIZIONE GIURIDICA

Definire la corruzione non è operazione semplice, a causa dell’impossibilità di trovare un’interpretazione puntuale ed univoca del fenomeno.

Seguendo un’impostazione strettamente giuridica, in accordo con la normativa italiana, desumiamo il concetto di corruzione dagli articoli 318 e seguenti del Codice Penale, i quali disciplinano le sanzioni comminate a chi commette un reato riconducibile alle diverse fattispecie di corruzione ai danni della pubblica amministrazione. Da ciò si può immediatamente notare sia l’assenza di una definizione esplicita di corruzione sia la presenza di una pluralità di reati ascrivibili tutti al concetto di corruzione, la quale potrebbe essere più propriamente considerata una categoria descrittiva di reati corruttivi piuttosto che un reato definito e punito univocamente.

Le principali fattispecie criminose che rientrano nel concetto di corruzione sono le seguenti (Diritto.it): - Corruzione per l’esercizio della funzione (art.318)

- Corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio (art.319) - Corruzione in atti giudiziari (art.319-ter)

- Corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (art.320) - Corruzione tra privati (art.2635 Codice Civile)

In particolare è soprattutto dagli articoli 318 e 319 del Codice Penale e dall'articolo 2635 del Codice Civile che possiamo ricavare la definizione del concetto di corruzione. Analizziamo quindi specificamente i succitati articoli.

L’articolo 318, modificato ai sensi della legge 190/2012, cosiddetta “Legge anticorruzione” recita: “Il pubblico ufficiale, che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, riceve indebitamente, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da due a sei anni”. (ai sensi dell’articolo 320 del Codice Penale la disposizione vale anche qualora si tratti di un incaricato di pubblico ufficio). Questa fattispecie è definita anche corruzione impropria, dato che la corresponsione di denaro o di altra utilità in cambio di una ricezione o di una promessa comporta soltanto una modifica dell’esercizio delle funzioni pubbliche, atta ad avvantaggiare un terzo, e non il compimento di un atto estraneo al suo ufficio.

L’articolo 319 recita invece: “Il pubblico ufficiale, che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni”. (ai sensi dell’articolo 320 del Codice Penale la disposizione vale anche qualora si tratti di un incaricato di pubblico ufficio). Questa fattispecie è definita corruzione propria ed è considerata più grave e lesiva del buon funzionamento dell’amministrazione, come si può evincere dalla maggior pena comminata a chi commette questo tipo di reato. Nel caso della corruzione propria, infatti, lo scambio illecito tra denaro e favore si concretizza in un’omissione, in un ritardo o nel compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio del pubblico ufficiale, atto che, in assenza di dolo, non verrebbe compiuto, al contrario del caso di corruzione impropria, in cui l’atto sarebbe stato in ogni caso compiuto, poiché rientrante nell’ambito di competenza della funzione pubblica.

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Un’altra definizione di corruzione è riscontrabile al primo comma dell’articolo 2635 del Codice Civile, il quale disciplina il caso della corruzione tra privati: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni.”

Combinando le informazioni, possiamo inquadrare la corruzione come un reato plurisoggettivo bilaterale a concorso necessario, ossia un reato in cui la partecipazione di più soggetti è imprescindibile per la commissione dello stesso, in cui corrotto e corruttore sono ugualmente colpevoli dello stesso tipo di reato, come si evince dall'articolo 321 del Codice Penale, il quale recita “Le pene stabilite nel primo comma dell'articolo 318, nell'art. 319, nell'art. 319-bis, nell'articolo 319-ter e nell'art. 320 in relazione alle suddette ipotesi degli artt. 318 e 319, si applicano anche a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio il denaro o altra utilità”.

In generale, quindi, il reato di corruzione si configura in un accordo tra soggetto privato e pubblico ufficiale (o tra soggetto privato e incaricato di pubblico servizio, o ancora tra un soggetto privato ed un altro soggetto privato), in cui il primo corrisponde denaro o altra utilità all'altro affinché quest'ultimo compia un atto del suo ufficio (ex art.318) o ritardi o ometta un atto del suo ufficio (ex art.319) o compia un atto contrario al suo ufficio (ex art.319).

Con la legge 190/2012, inoltre, è stato introdotto anche nel nostro ordinamento il reato di “traffico di influenze illecite”, di derivazione sovranazionale, fino ad allora estraneo alla nostra tradizione giuridica: nell’articolo 346-bis del Codice Penale, che disciplina tale reato, vengono puniti anche il mediatore tra corrotto e corruttore e colui che, sfruttando le proprie relazioni, si pone tra pubblico ufficiale e soggetto privato, facendosi pagare da quest’ultimo in cambio di un’illecita intermediazione verso il pubblico ufficiale, divenendo egli stesso corruttore. Tale articolo, al primo comma, recita: “Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, è punito con la reclusione da uno a tre anni”. Nonostante di per sé il traffico di influenze illecite non rientri nella fattispecie corruzione, dato che il denaro o gli altri vantaggi patrimoniali sono destinati semplicemente a retribuire un’opera di mediazione e non direttamente a far sì che il pubblico ufficiale ometta o ritardi un atto del proprio ufficio, tale reato confluisce, tuttavia, in quello di corruzione propria allorquando l’utilità viene corrisposta o la loro promessa viene accettata.

La definizione di corruzione precedentemente esposta ci porta a distinguere il reato di corruzione, oltre che dal traffico di influenze illecite, anche da altri reati affini, quali la concussione, l'abuso d'ufficio o l'induzione indebita a dare o promettere utilità.

Nel reato di concussione, ad esempio, manca l'accordo tra il pubblico ufficiale e il privato: è infatti il pubblico ufficiale che, per porre in essere un atto di sua competenza, costringe il privato a dare o promettere denaro o altra utilità, abusando della propria posizione di supremazia e di potere. In particolare la suddetta fattispecie è disciplinata dall'articolo 317 del Codice Penale (“ll pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni”). In questo caso concussore e concusso non sono in condizione di parità sinallagmatica come

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accade tra corruttore e corrotto, bensì il pubblico ufficiale sfrutta la propria autorità per coartare la volontà del soggetto, facendo capire a questi che non dispone di alternative ad una arrendevole adesione alle sue ingiuste richieste.

L'induzione indebita, fino alla riforma del 2012, rientrava nel concetto di concussione, configurandosi come concussione per induzione, sanzionata nell'articolo 317 del Codice Penale insieme all'altra fattispecie di concussione, ossia quella per costrizione. Dopo l'introduzione della legge 190/2012, l'articolo 317 del Codice Penale contempla solamente la fattispecie della concussione per costrizione, mentre l'induzione indebita è confluita nel nuovo articolo 319-quater, che la regolamenta in maniera dedicata.

L'induzione indebita si configura quindi come il reato commesso dal pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, il quale, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità. Il dibattito giurisprudenziale circa l'identificazione della linea di demarcazione tra i due reati si è risolta con il pronunciamento delle Sezioni Unite del 2013, il quale ha stabilito quanto segue: “il delitto di concussione, di cui all'art. 317 c.p. nel testo modificato dalla l. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno "contra ius" da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall'art. 319 quater cod. pen. introdotto dalla medesima l. n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest'ultimo non si risolva in un'induzione in errore), di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico”. Nel caso dell'induzione indebita, quindi, il destinatario, pur non trovandosi in una posizione paritaria rispetto al pubblico agente e pur subendo un'alterazione del proprio processo volitivo, mantiene comunque più ampi margini decisionali per resistere alle pressioni rispetto al soggetto costretto e minacciato. Ciò implica, di conseguenza, la punibilità dell'indotto, diversamente a quanto accade per il soggetto concusso.

L'abuso d'ufficio, infine, disciplinato dall'articolo 323 del Codice Penale, contempla il caso in cui un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto. Questa fattispecie si differenzia da quella corruttiva poiché mancano sia l'accordo con un altro soggetto, sia il concorso necessario e si differenzia dalla concussione e dall'induzione indebita poiché l'abuso non si estrinseca nella costrizione o induzione di un altro individuo a corrispondere denaro o altra utilità, bensì nel danneggiare in generale il corretto funzionamento della pubblica amministrazione, nell'atto di procurare intenzionalmente, sfruttando il proprio potere, vantaggi o danni ad un soggetto specifico. Si tratta quindi di un reato plurioffensivo, in cui può anche non verificarsi il profitto.

1.2. CORRUZIONE: LA DEFINIZIONE ECONOMICA

Nell'analisi economica del fenomeno, tuttavia, queste distinzioni decadono e la corruzione viene semplicemente definita come l'uso improprio, da parte di un soggetto, del potere pubblico o dell'autorità a lui affidato al fine di ottenere vantaggi personali; definizione che comprende quindi sia il reato di

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corruzione strictu sensu, sia i reati di concussione, di induzione indebita e di abuso di ufficio, sia il clientelismo, il nepotismo, il favoritismo, il peculato, l'offerta di tangenti, lo state capture, ossia il tentativo di estrarre rendite dallo Stato distorcendo o influenzando la formazione di leggi e regolamenti, e il patronage, ossia l'illecito conferimento a determinati individui di supporti, privilegi e aiuti finanziari da parte di un'organizzazione. Si noti che definire la corruzione come abuso di pubblico ufficio per l’ottenimento di un guadagno privato (in denaro o personale) implica l’esclusione di tutte le transazioni corrotte che si possono svolgere tra i privati e quindi la circoscrizione del fenomeno alla pubblica amministrazione.

Tale accezione di corruzione, utilizzata ad esempio da Trasparency International1, dall’OECD2, dalla Banca

Mondiale3 e dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo4, è stata recentemente fatta propria anche

dalla disciplina giuridica italiana: ad esempio, nella determinazione n. 12 dell’ANAC del 28 ottobre 2015, relativa all’aggiornamento 2015 al Piano Nazionale Anticorruzione, si specifica che il fenomeno corruttivo va fatto coincidere con la cosiddetta maladministration, intesa come assunzioni di decisioni devianti dalla cura dell'interesse generale a causa del condizionamento improprio da parte di interessi particolari; oppure nella Circolare n. 1 del 25/1/2013 del Dipartimento della Funzione Pubblica si precisa che “Il concetto di corruzione deve essere inteso in senso lato, come comprensivo delle varie situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontri l’abuso, da parte di un soggetto, del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati. Le situazioni rilevanti sono quindi evidentemente più ampie della fattispecie penalistica...”.

Affinché si possa parlare di corruzione non occorre più, quindi, la presenza dell'accordo o il concorso necessario, ma è sufficiente che si verifichino contemporaneamente tre condizioni (http://www.masteranticorruzione.it/glossario/):

 la delega di un potere discrezionale, quindi un rapporto di agenzia tra un soggetto delegante (il principale) e uno delegato (l’agente), in cui il secondo ha il dovere di agire nell’interesse (primario) del primo;

 la presenza di un interesse secondario nel soggetto delegato, di tipo finanziario o di altra natura, definibile come rendita personale;

 l'abuso di potere, conseguente al prevalere dell'interesse secondario su quello primario. 1.3. LA TEORIA ECONOMICA DELLA CORRUZIONE: CENNI

Analizzando il fenomeno corruttivo da un punto di vista strettamente economico, ossia di bilanciamento tra svantaggi e benefici, possiamo riscontrare due elementi incentivanti il comportamento illecito, ossia il potere discrezionale e la rendita personale, e un elemento disincentivante, ossia il costo della corruzione, la probabilità di essere scoperti e condannati.

Questo tipo di studi ha preso avvio dalla teoria microeconomica del crimine formulata da Becker nel 1968, la quale misura il costo atteso della scelta criminale compiuta da un individuo perfettamente razionale e neutrale al rischio. Applicando questa teoria al reato di corruzione, otterremo il costo atteso della corruzione come media pesata tra 0 (assenza di sanzione) e s (sanzione applicata in caso di condanna), in cui i pesi sono rappresentati da p, la probabilità di essere scoperti e condannati, e da (1 – p), ossia la

1. “Corruption is the abuse of entrusted power for private gain” da www.trasparency.org/what-is-corruption 2. “Active or passive misuse of the powers of Public officials (appointed or elected) for private financial or

other benefits” da https://stats.oecd.org/glossary/detail.asp?ID=4773

3.WorldBank, 1997 4.UNDP, 1999

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probabilità di non essere scoperti. Sinteticamente, il costo atteso della corruzione a è rappresentato dalla seguente formula:

a = 0*(1 – p) + s*p

Il soggetto sarà quindi portato a commettere l'illecito qualora a sia minore del costo della scelta non criminale, ossia qualora scegliere di essere onesti sia più costoso del comportarsi disonestamente.

La corruzione quindi appare come un reato basato sul calcolo, il cui manifestarsi è tanto più probabile quanto minori sono i rischi e le sanzioni e quanto maggiori sono le ricompense.

Seguendo questa impostazione, Robert Klitgaard (1988), esperto della materia, ha semplificato la propensione alla corruzione in questo modo:

C = M + S – R

laddove M sta per monopolio, S per segretezza e R per responsabilità civile e penale.

In sostanza, quindi, più è forte la supremazia della gerarchia sul mercato (M), minore è la trasparenza (-S) e minori sono le sanzioni, maggiore sarà la propensione a macchiarsi del reato di corruzione.

Al di là della mera quantificazione di sanzioni e probabilità di essere condannati, vi è una serie di fattori economici, sociali, politici ed istituzionali, identificata da studiosi di economia e scienze politiche, che potrebbe influenzare l'analisi dei costi e dei benefici. Ad esempio, secondo la teoria della modernizzazione di Lipset, vi sarebbe una correlazione inversa tra grado di democrazia, livello di benessere economico e di istruzione e propensione alla corruzione. Empiricamente è stato anche ampiamente confermato che una maggiore disuguaglianza di reddito favorisce il fenomeno corruttivo. (Lipset, 1959)

Vi sono inoltre fattori giuridici che incentivano la corruzione: ad esempio, un sistema di regole eccessivamente articolato, farraginoso e poco accessibile ai cittadini si associa empiricamente ad un livello più alto di corruzione (De Soto, 1989; Manion, 1996). L'alternanza politica, la separazione dei poteri fondamentali, il controllo popolare esercitato attraverso il canale elettorale, la diffusione di informazione dipendente e la difesa delle libertà civili, caratteristiche tipiche dei sistemi di governo democratici, giocano, invece, un ruolo importante a sfavore del fenomeno corruttivo.

Infine, la storia e le istituzioni informali di un popolo sono fattori determinanti la maggiore o minore inclinazione alla corruzione: i Paesi con sistema giuridico di common law sono tendenzialmente meno corrotti di quelli con sistema giuridico di civil law, in quanto ricorrono in misura inferiore alla gerarchia e presentano procedure meno formali e articolate (AA.VV., 2015); la stessa corruzione alimenta altra corruzione, favorendo la persistenza del fenomeno; una forte fiducia dei cittadini nelle istituzioni e la loro coesione nella comunità di appartenenza incoraggiano la lealtà e disincentivano la corruzione. (Treisman, 2000)

1.4. LA SITUAZIONE ITALIANA

Fin dagli anni Settanta del Novecento l’Italia ha presentato un alto e crescente tasso di corruzione, testimoniato dai dati ISTAT sui reati di corruzione e da quelli di Trasparency International, contro cui, tuttavia, non sono state prese misure efficaci per molti anni con pesanti ricadute sulla nostra economia, di cui ancora oggi sentiamo gli effetti. Benché tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta la crescita del debito pubblico, la perdita di competitività e una serie di scandali, in particolar modo quello di Tangentopoli, abbiano contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica in materia, la successiva ripresa economica dovuta alla svalutazione della Lira ha portato, invece, a sottovalutare il problema.

Inoltre, nel periodo successivo all’entrata nell’euro, in particolare dopo la seconda metà del 2000, il Parlamento ha approvato una serie di leggi, quali la riduzione della prescrizione per i reati di corruzione e la depenalizzazione del falso in bilancio, che di fatto hanno ridotto la probabilità di condanna per corruzione,

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contribuendo, complice l’assenza di norme chiare per ridurre, attraverso sequestri del patrimonio e dei profitti, il guadagno di corruzione per le imprese corrotte coinvolte negli appalti, ad incentivare tale forma di reato.

Soltanto nel 2012, in piena crisi economica, pressata dai dati europei, che stimavano il costo della corruzione nel nostro Paese pari al 3,8% del PIL, e dai dati di Transparency International, che posizionavano il nostro Paese al terzo posto in graduatoria, tra i Paesi OCSE, per grado di corruzione percepita, l’Italia si è finalmente dotata di una legge anticorruzione (cosiddetta “Legge Severino”, numero 190 del 2012), basata, oltre che sulla repressione dei reati commessi, sulla prevenzione e sull’attenzione all’integrità. Tale riforma, infatti, non solo ha riveduto gli articoli del codice penale inasprendo le pene per i reati di corruzione e introducendo il reato di “traffico di influenze illecite”, ma ha anche introdotto importanti misure preventive, tra le quali:

- l’obbligo di predisporre un piano anticorruzione per tutte le istituzioni pubbliche

- l’introduzione di regole di integrità più stringenti (disciplina più stringente a proposito di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi che possono essere conferiti ai dipendenti pubblici; obbligo della rotazione dei dirigenti preposti agli uffici ove c'è maggior rischio di corruzione; obbligo del fuori ruolo per tutta la durata dell'incarico per i soggetti che siano chiamati a svolgere funzioni apicali o semiapicali presso istituzioni, organi ed enti pubblici; nuove cause ostative alle candidature negli enti locali e nuovi casi di decadenza o sospensione dalla carica)

- la tutela del dipendente pubblico che denuncia gli illeciti alle autorità di vertice nella amministrazione nella quale lavora (whistleblowing)

- l’introduzione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, responsabile della strategia globale, un organismo indipendente con poteri istruttori, consultivi, di vigilanza e di controllo, con il compito di collaborare con organizzazioni regionali e internazionali per combattere la corruzione, di approvare il Piano Nazionale Anticorruzione, di analizzare le cause della corruzione e di individuare interventi che ne possano favorire il contrasto e di riferire in Parlamento sull’azione di contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione

- l’elenco della attività d'impresa particolarmente esposte al rischio di infiltrazione mafiosa e l’istituzione presso ogni prefettura dell’elenco dei fornitori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa

- l’incremento del catalogo dei reati alla cui condanna consegue, per l'appaltatore, la risoluzione del contratto con una pubblica amministrazione

(Wikipedia, Misure per la prevenzione della corruzione)

Secondo l’Indice di Percezione della Corruzione di Trasparency International, dal 2012, anno dell’approvazione della Legge Severino, l’Italia ha scalato dodici posizioni nella classifica mondiale dei Paesi più virtuosi in tema di corruzione, passando dalla settantaduesima posizione del 2012 alla sessantesima attuale e segnando quindi un miglioramento.

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(Fonte: www.transparency.it) Recentemente, in materia di trasparenza, con l’entrata in vigore in Italia del Freedom of Information Act (decreto 97/2016, cosiddetto FOIA, approvato nel maggio 2016), il nostro Paese è balzato dalla novantasettesima alla cinquantaquattresima posizione nella classifica del Right to Information (RTI) rating, che misura l’accessibilità a informazioni della pubblica amministrazione, divenendo, quindi, nell’opinione mondiale un Paese più trasparente.

(Fonte: Global Right to Information Rating, http://www.rti-rating.org/) Nello stesso periodo, inoltre, l’Italia ha scalato la classifica mondiale con il più alto indice di sviluppo di e-government. Secondo l'ultimo rapporto delle Nazioni Unite, e-Government Survey 2016, il nostro Paese si posiziona all'ottavo posto nel mondo per quel che riguarda la partecipazione digitale ed è risultato ventiduesimo su 193 Stati membri in tema di trasparenza ed e-government. Rispetto all'ultima classifica, effettuata nel 2014, l'Italia ha guadagnato una posizione nel ranking mondiale complessivo e ben 11 per quel che riguarda la partecipazione attiva dei cittadini per il governo elettronico.

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Inoltre l’Italia nel 2014 si è classificata quarta su 33 Paesi partecipanti al premio internazionale OpenGovernment Partnership Award, grazie alla partnership tra l’iniziativa governativa OpenCoesione e il programma di monitoraggio civico delle politiche pubbliche Monithon, ottenendo il punteggio massimo in assoluto per i criteri di credibilità della partnership e di evidenza dei risultati.

Nonostante tutto ciò, attualmente, il problema della corruzione in Italia continua ad essere di primaria importanza: nel 2016 l’Italia si attestava pur sempre al sessantesimo posto nel mondo su 176 Paesi per livello di corruzione (soltanto una posizione più in alto rispetto all’anno precedente), con un voto pari a 47 su 100 (3 punti in più rispetto all’anno precedente), mentre in Europa l’Italia era fanalino di coda davanti a Grecia e Bulgaria, rispettivamente al sessantanovesimo e al settantacinquesimo posto della classifica mondiale. Inoltre, secondo i dati dell’ultimo Barometro globale della corruzione pubblicato nel 2016, che raccoglie le risposte di un campione di 1.500 italiani, solamente il 4% di questi ha l’impressione che la corruzione si sia ridotta negli ultimi quattro anni e il nuovo Report Agenda 2017 di Transparency International ha segnalato che quanto fatto dal nostro Paese in questi anni per combattere la corruzione è ancora troppo poco.

1.5. PERCHÉ OCCUPARSI DI CORRUZIONE?

Per la Banca Mondiale la corruzione rappresenta uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo economico e sociale dei Paesi e perciò essa costituisce una delle più grandi sfide da affrontare per raggiungere l’obiettivo di eliminare la povertà estrema nel mondo entro il 2030 e di diffondere il benessere tra il 40% della popolazione più povera dei Paesi in via di sviluppo (Kim, 2013).

Si stima che ogni anno le imprese e gli individui paghino millecinquecento miliardi di tangenti l’anno, pari al 2% circa del PIL mondiale e a dieci volte il valore degli aiuti allo sviluppo. I danni causati dalla corruzione allo sviluppo sono, infatti, un multiplo della dimensione del fenomeno stesso, dato l’impatto negativo della corruzione sui soggetti più poveri e sulla crescita economica.

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Secondo studi empirici sono proprio i poveri a pagare le tangenti più alte: in Paraguay e in Sierra Leone, ad esempio, i poveri pagano rispettivamente il 12,6% e il 13% del loro reddito in tangenti contro il 6,4% e il 3,8% delle famiglie benestanti. La corruzione, inoltre, oltre a privare la popolazione più povera di opportunità di sviluppo, contribuisce anche ad inibire l’accesso ai servizi sanitari, producendo un’influenza negativa, ad esempio, sulla mortalità infantile, e fa aumentare la criminalità: quando il denaro si disperde in flussi finanziari illeciti è, infatti, probabile che esso si orienti verso il traffico di droga e di esseri umani. Allo stesso modo anche l’attività economica è danneggiata dalla corruzione. In primo luogo, la corruzione influisce negativamente sul PIL in quanto determina una cattiva allocazione delle risorse: vengono premiati gli imprenditori più capaci di corrompere anziché gli imprenditori professionalmente migliori; i soggetti più abili nel lavoro vengono soppiantati da quelli più corrotti e i servizi costano di più. Tutto ciò, quindi, determina progetti meno buoni, meno redditizi e più onerosi, con evidenti ripercussioni sul prodotto interno lordo, la cui diminuzione innesca, a sua volta, un meccanismo di tipo cumulativo: un PIL inferiore provoca un calo del gettito fiscale; minori risorse e maggiore spesa pubblica generano un saldo negativo di bilancio, il quale si traduce in maggiori interessi da pagare e, quindi, in un aggravamento del debito. Inoltre, un Paese corrotto avrà più difficoltà ad attrarre investimenti esteri, deprimendo ulteriormente la crescita. In particolare, la corruzione:

- agisce come un’imposta occulta che sposta risorse da investimenti produttivi al pagamento di tangenti, deprimendo quindi il livello degli investimenti privati e la capacità di attrarre investimenti esteri

- premia e sviluppa le competenze degli agenti per ottenere risorse dalle amministrazioni pubbliche invece di premiare gli imprenditori migliori;

- distorce il corretto funzionamento dei mercati;

- altera il funzionamento del mercato del lavoro, influenzando negativamente il meccanismo di reclutamento del personale e abbassando quindi il tasso di progresso tecnologico e di crescita; - modifica la composizione della spesa pubblica, in quanto i politici corrotti preferiscono investire in

grandi progetti, da cui è più facile estrarre tangenti, piuttosto che in piccoli progetti, favorendo investimenti che non sempre rispondono alle esigenze della collettività;

- accentua la tendenza ad aumentare i controlli ex ante e quindi ad accrescere la complessità per le procedure di spesa e il numero di passaggi di una delibera fra i vari organismi amministrativi, rallentando in tal modo i tempi della spesa e facendo aumentare il numero di burocrati sui quali gli interessati devono intervenire, con mezzi leciti e illeciti, per far approvare un provvedimento; - crea una spirale negativa di debito e deficit pubblico.

(Del Monte, 2014)

La stretta correlazione tra deficit pubblico e corruzione, per quanto riguarda l’Italia, è stata evidenziata da Del Monte e Papagni (2007), utilizzando come indicatore di corruzione del livello di reati di corruzione pro capite che si possono estrarre dalle statistiche giudiziarie relative al periodo 1963-1991 sulle venti Regioni italiane. In particolare, le stime mostrano che un aumento dell’indice di corruzione di un ammontare pari alla deviazione standard riduce il tasso di crescita dello 0,145 per cento l’anno.

L’entità del deficit è inoltre pesantemente influenzata dalle situazioni passate, a causa dell’effetto a cascata del meccanismo minori entrate-maggior debito-maggiori interessi: una piccola variazione nel livello del PIL porta gravi conseguenze anche a distanza di diversi anni. Si prenda ad esempio una riduzione annua del PIL pari allo 0,14% dovuta alla corruzione a partire dal 1995 e si prenda in esame il periodo intercorso tra il 1995 e il 2009, anno in cui hanno cominciato a farsi maggiormente sentire le politiche di austerità: il Pil effettivo nel 2009 è inferiore del 2 per cento rispetto a quello che si sarebbe avuto in assenza di corruzione nel periodo 1995-2009. Ma gli effetti più pesanti si riscontrano sul rapporto debito/PIL, più ancora che sul

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debito: in assenza di corruzione tale valore sarebbe stato nel 2009 del 17 per cento inferiore all’effettivo e cioè pari a 1,06 rispetto all’effettivo 1,26 e contro un valore effettivo di 1,20 nel 1995.

(Fonte: lavoce.info) Quantificati in cifre, i costi economici della corruzione nel nostro Paese risultano essere estremamente rilevanti: secondo uno studio condotto da Picci (2016), essere uno Stato più corrotto della Germania costa agli italiani circa diecimila euro di reddito annuo in meno rispetto all’ipotesi di un pari livello di corruzione tra Italia e Germania; diecimila euro a testa che corrispondono all’incirca a 585 miliardi di reddito nazionale, ossia al 36% del Prodotto Nazionale Lordo dello Stato. A questo si aggiungano i danni non economici provocati dalla corruzione, tra i quali la sfiducia nelle istituzioni e nei rapporti interpersonali, ben più alti di quelli economici e assai più difficile da misurare e da quantificare.

1.6. COME SI MISURA LA CORRUZIONE?

Misurare la corruzione è un’operazione necessaria per investigare sulla natura, sulle cause e sugli effetti del fenomeno e per studiare efficaci soluzioni per il problema; tuttavia si tratta di un calcolo molto difficile da svolgere, principalmente a causa della difficoltà di definire e circoscrivere il fenomeno, dell’impossibilità di osservarlo direttamente di quantificarne l’entità. Le statistiche giudiziarie sul numero di condannati o di indagati per reati di corruzione, pur rientrando tra gli strumenti utilizzati per misurare la corruzione, non forniscono, tuttavia, un quadro esaustivo del fenomeno, dato che la percentuale dei condannati, o inquisiti, rispetto al totale dei rei è ignota e varia considerevolmente da paese a paese.

Per questi motivi gli indici di corruzione perlopiù si affidano alla percezione del fenomeno, misurata chiedendo a persone "informate" quale sia, secondo loro, il livello di corruzione in un certo paese; tuttavia, data la multidimensionalità del fenomeno e data la difficoltà di identificare parametri di misurazione universalmente valida, accanto alle misure soggettive basate sulla percezione, vi sono anche indicatori basati sull’esperienza diretta, indicatori oggettivi, quali, ad esempio, il rapporto tra infrastrutture effettivamente realizzate e cumulo delle spese loro destinate oppure i prezzi di beni standardizzati acquistati dalle pubbliche amministrazioni italiane (misurano la forma di corruzione cosiddetta “spreco attivo” che si differenzia da forme di semplice inefficienza o incompetenza nel gestire gli acquisti), e, infine, anche misure giudiziarie, quali denunce e sentenze (ANAC, 2014).

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- il Corruption Perception Index (CPI), l’indice di percezione della corruzione elaborato da Trasparency International: tale indice si concentra sulla corruzione nel settore pubblico, definita come abuso di pubblico ufficio per fini privati, e classifica i Paesi in base alla percezione della corruzione dei cittadini, attribuendo loro un punteggio da 0 (massima corruzione) a 100 (assenza di corruzione)

- il Corruption Control Index (CCI), elaborato dalla Banca Mondiale nell’ambito di un più ampio progetto di World Governance Indicator, il quale definisce la corruzione come “potere esercitato per fini privati” e come “cattura degli Stati da parte di élite e di interessi privati”. Il CCI misura la corruzione percepita a partire da interviste multiple effettuate ad analisti e ad esperti del mondo degli affari e, diversamente dal CPI, pesa la interviste sulla base della loro presunta affidabilità anziché standardizzare semplicemente i dati e le informazioni raccolti.

Complessivamente il CCI e il CPI forniscono risultati analoghi:

(Fonte: www.transparency.it) - il Bribe Payers Index, indice di propensione alla corruzione, elaborato anch’esso da Trasparency International: il BPI evidenzia la graduatoria dei Paesi corruttori tra le principali nazioni industrializzate ed emergenti e misura la propensione alla corruzione delle imprese esportatrici che continuano a ricorrere alla corruzione per ottenere contratti, pur operando in paesi che hanno aderito alla Convenzione OCSE anti-corruzione, oltre ad identificare i 19 settori in cui la corruzione è prevalente. Il punteggio varia da 0 a 10 e più alto è il punteggio di una nazione, più bassa è la propensione delle aziende di quella nazione a corrompere quando operano all’estero.

- il Global Corruption Barometer (GCB), elaborato dal 2003 ad oggi da Transparency International in collaborazione con Gallup International, è frutto di un sondaggio che si rivolge direttamente ai cittadini di circa 100 paesi per misurare la percezione che essi hanno nella quotidianità della diffusione della corruzione in vari settori, quali politica, sistema giudiziario, istituzioni pubbliche, settore privato, media, istituzioni religiose, sulla base dell’esperienza diretta.

- il Public Integrity Index (PII) è un indice basato su opinioni di esperti che valutano all’interno del Paese l’esistenza e l’efficacia di meccanismi che prevengono gli abusi di potere e promuovono l’integrità pubblica. Esso misura l’esistenza di meccanismi di integrità, l’efficacia di questi meccanismi e l’accesso che i cittadini hanno all’informazione pubblica al fine di responsabilizzare i

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loro governi, classificando i Paesi in cinque livelli (Molto forte, Forte, Moderato, Debole, Molto debole) sulla base dei sistemi di integrità che il Paese prevede.

- il World Business Environment Survey (WBES), risultato di un’indagine realizzata dalla Banca Mondiale per valutare in più di 80 paesi il contesto in cui le imprese si trovano ad operare e, quindi, il grado di corruzione, la capacità degli Stati di sostenere le attività produttive, il livello di efficienza dei mercati, la trasparenza, le norme che regolano il commercio internazionale, il livello delle infrastrutture

- il Business Environment and Enterprise Performance Survey (BEEPS), frutto di un’iniziativa congiunta della European Bank for Reconstruction and Development e della Banca Mondiale, intrapresa nel 1999 e attualmente alla quarta iterazione, basato sulla raccolta di micro-dati a livello di imprese su una serie di aspetti quali le relazioni con le istituzioni, il contesto imprenditoriale, i meccanismi di finanziamento, le infrastrutture, l’innovazione e la corruzione per un campione di circa 11000 imprese in 29 paesi di Europa e Asia Centrale

- i Worldwide Governance Indicators (WGI), indicatori che misurano la qualità complessiva della governance attraverso varie dimensioni quali l’accountability, la stabilità politica e l’assenza di violenza/terrorismo, l’efficienza della pubblica amministrazione, la qualità della regolamentazione, la tutela dello stato di diritto e la capacità di controllo della corruzione, intesa come fenomeno di “cattura” delle istituzioni da parte di gruppi di interesse privati e misurata specificamente con il Corruption Control Index (CCI).

Le misure soggettive presentano importanti vantaggi, ad esempio

- creano consapevolezza nell’opinione pubblica e nei governi in merito a un fenomeno tanto diffuso quanto dannoso per lo sviluppo sociale ed economico;

- favoriscono processi di riforma volti a rafforzare l’integrità delle istituzioni pubbliche; - sollecitano misure anti-corruzione a livello nazionale e internazionale;

- consentono di operare confronti internazionali tra Paesi nel tempo; - animano il dibattito internazionale in merito al fenomeno;

(ANAC, 2014)

tuttavia non mancano le critiche a questi indicatori soggettivi in termini di accuratezza, coerenza e possibilità effettiva di riempire di significato e di contenuti complessi il punteggio attribuito a ciascun Paese, anche a causa delle difficoltà di definizione del fenomeno e della sua percezione che può variare da un Paese all’altro (e anche tra diverse aree territoriali all’interno di uno stesso paese) e da un anno all’altro. Inoltre si pone un problema di affidabilità degli indici, dato che essi si fondono sulla percezione e non sull’esperienza diretta. Ma anche ammettendo l’affidabilità degli indicatori, essa, tuttavia, tende a deteriorarsi nel tempo, dato che la pubblicità data all’indice tende ad influenzare le risposte dei soggetti che rispondono alle interviste nell’anno successivo.

Infine tali indicatori possono dimostrarsi poco obiettivi: infatti

- le percezioni possono cambiare rapidamente senza alcun fondamento oggettivo a causa di scandali politici che possono condizionare la percezione, ma che non riflettono il livello reale di corruzione; - le percezioni possono essere condizionate da impostazioni culturali e concezioni diverse di quale sia

effettivamente un reato di corruzione, per cui la stessa domanda può essere interpretata in modo sostanzialmente diverso;

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- le risposte degli intervistati possono essere influenzate dalla qualità e dalla coerenza nella formulazione delle domande;

- alcuni intervistati potrebbero non avere l’esperienza e le conoscenze necessarie per esprimere una percezione affidabile della corruzione;

- alcuni intervistati potrebbero volutamente sottostimare i pagamenti di tangenti per timore, imbarazzo o perché ne beneficiano, mentre altri strategicamente potrebbero sovrastimarli per favorirne la prevenzione o la condanna.

(ANAC, 2014)

Accanto agli indicatori soggettivi esistono misure di natura oggettiva, che si possono distinguere in misure economiche e misure giudiziarie. Una modalità economica oggettiva di misurazione indiretta della corruzione consiste, ad esempio, nell’uso di proxy, ovvero di indicatori di mercato o statistici collegati in qualche misura al fenomeno in esame, come i prezzi degli input acquistati dalla pubblica amministrazione o le discrepanze esistenti fra fonti di dati amministrativi diverse. Tra questi citiamo il contributo di Di Tella e Schargrodsky (2003), il cui studio in materia compara i prezzi per l’acquisizione di fattori produttivi omogenei degli ospedali pubblici nella città di Buenos Aires e rileva variazioni significative nel periodo precedente e successivo ad un inasprimento delle politiche di repressione della corruzione, e il metodo sviluppato da Golden e Picci (2005).

Tale studio si basa sulla differenza esistente tra le Regioni italiane nella capacità di trasformare le risorse finanziarie in dotazioni infrastrutturali compiute. Gli autori utilizzano e comparano due misure alternative del capitale pubblico: la prima, basata sui dati dell’ISTAT (1999), consiste nello stock di spesa pubblica in conto capitale erogata per dotare le Regioni di infrastrutture; la seconda consiste in un inventario fisico delle infrastrutture effettivamente esistenti a livello provinciale e regionale (chilometri di strade e ferrovie, numero e dimensione degli edifici pubblici, numero di posti letto negli ospedali pubblici, numero di aule nelle scuole pubbliche, ecc.) elaborato da ECOTER (2000) per il 1997. Il divario esistente tra le due misure di capitali, quindi la differenza tra quanto è stato speso e quanto è stato realizzato, rileva l’esistenza di fenomeni di rent-seeking, di frodi e malversazioni e quindi, per estensione, misura il grado di corruzione. Tale metodologia, tuttavia, presenta dei limiti: prima di tutto, essa prende in esame soltanto 95 province e 20 regioni per il solo anno 1997, riducendo quindi notevolmente il campione di osservazione e non consentendo comparazioni internazionali; in secondo luogo, l’indicatore non è in grado di distinguere a priori tra inefficienza e corruzione e necessita del supporto di ulteriori informazioni provenienti da cronache giornalistiche e ricostruzioni delle investigazioni giudiziarie degli anni Novanta per poter attribuire tale divario all’effettiva presenza di attività illegali.

Vi sono, infine, le misure giudiziarie, basate sul numero di denunce e di condanne per i reati di corruzione commessi da pubblici ufficiali così come identificati dall’ordinamento giuridico. Pur nella consapevolezza del fatto che i reati di corruzione giunti a conoscenza dell’autorità giudiziaria rappresentano misure solo parziali della dimensione del fenomeno, le misure giudiziarie nella loro duplice forma delle denunce e delle condanne vengono frequentemente utilizzate per catturare l’evoluzione dei reati di corruzione nel tempo e a livello territoriale, nell’ipotesi che l’efficienza e l’integrità del sistema giudiziario e gli strumenti sanzionatori di cui esso dispone siano costanti nel tempo e all’interno delle diverse aree geografiche. Data la natura oggettiva delle statistiche utilizzate e il loro grado di disaggregazione per tipologia di reati, aree territoriali e settori dell’amministrazione, tali misure possono fornire un contributo informativo importante sull’entità della corruzione; tuttavia occorre considerare che i dati relativi alle denunce e alle condanne non riflettono l’effettiva consistenza del fenomeno corruttivo reale ma solo la sua componente emersa, scontando, quindi, lo scarto tra criminalità reale e criminalità registrata nelle statistiche ufficiali. Inoltre,

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sebbene tali dati abbiano il pregio di essere reperibili per un lungo arco temporale, essi hanno, tuttavia, lo svantaggio di essere spesso elaborati con notevole ritardo, perdendo quindi significatività ai fini della definizione delle politiche di prevenzione.

In questo lavoro si farà riferimento il più delle volte al Corruption Perception Index; tuttavia verranno anche utilizzati il Control of Corruption Index e le misure giudiziarie (in particolare le condanne di dipendenti pubblici per reati di cattiva condotta o abuso d’ufficio, quali corruzione di testimoni, appropriazione indebita o furto di proprietà governative, uso improprio di fondi pubblici, estorsione, minacce ai danni di giurati o funzionari, ostacolo di indagini giudiziarie).

1.7. COME SI CONTRASTA LA CORRUZIONE?

Tradizionalmente la letteratura identifica alcuni fattori fondamentali per il contrasto della corruzione, tra i quali Shim ed Eom (2008) citano:

- gli incentivi alla professionalità dei lavoratori pubblici; - il miglioramento della burocrazia;

- il rafforzamento della legalità.

Secondo uno degli approcci tradizionali, una più alta professionalità dei lavoratori pubblici determinerebbe una maggiore integrità nel comportamento di tali figure: in particolare un adeguato bagaglio di conoscenze e competenze specifiche in possesso dei dipendenti agirebbe come uno scudo contro indebite influenze politiche e garantirebbe una più efficace erogazione dei servizi pubblici.

I lavoratori pubblici, inoltre, plasmano il proprio ruolo e costruiscono le proprie relazioni informali sulla base delle loro conoscenze specifiche e della loro formazione culturale: più alto è il livello di tali conoscenze professionali, maggiore sarebbe quindi la propensione a perseguire gli interessi pubblici in accordo con la propria mansione e minore la tendenza ad agire come un mero strumento al servizio di una volontà politica manipolatrice. In questo senso, la professionalità, intesa come insieme di comportamento indipendente e di elevate conoscenze specifiche in grado di motivare il lavoratore, determina l’integrità.

Secondo questo approccio tradizionale, occorre quindi far leva sui valori dei singoli dipendenti pubblici, tanto più forti quanto più è professionale è la loro figura, per prevenire la corruzione: l’erogazione del servizio pubblico dovrebbe essere quindi vista dagli stessi incaricati come una responsabilità personale basata sulle proprie competenze professionali.

Tale approccio, in sintesi, presuppone l’interiorizzazione di un codice etico da parte dei lavoratori pubblici, veicolato da un’elevata professionalità, per prevenire la corruzione, e lascia quindi ampio potere discrezionale nelle mani dei dipendenti, i quali sono tanto più incentivati a comportarsi correttamente quanto più elevati sono il loro senso di responsabilità e le loro competenze professionali.

Diametralmente opposto è invece l’approccio tradizionale che vede i lavoratori pubblici come agenti in grado di scegliere se perseguire l’interesse pubblico (quindi l’interesse del principale, in teoria dell’agenzia) oppure il proprio interesse personale. In tal caso, supponendo che l’agente sia naturalmente portato ad anteporre il proprio tornaconto, la probabilità che esso accetti di farsi corrompere sarà tanto più alta quanto maggiore sarà il potere discrezionale affidatogli. Perciò, secondo tale approccio, è auspicabile potenziare il sistema burocratico in modo tale da ridurre al minimo la discrezionalità degli agenti. Secondo Lipsky (2010) il potere discrezionale affidato ai pubblici ufficiali di livello più basso aumenterebbe, infatti, la propensione al nepotismo e al favoritismo.

Secondo tale approccio tradizionale, il possesso di conoscenze altamente specifiche e scarsamente comprensibili dai cittadini da parte dei burocrati implicherebbe l’impossibilità di un controllo pubblico

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efficace sul loro operato. Per evitare che l’asimmetria informativa consenta alle élite governative di dominare unilateralmente i processi decisionali, le organizzazioni pubbliche dovrebbero quindi standardizzare le procedure che fisiologicamente non sono influenzabili dai singoli lavoratori pubblici. Grazie alla riduzione della discrezionalità dei dipendenti all’interno della struttura organizzativa burocratica, la corruzione tenderebbe quindi a ridursi.

Inoltre, se l’impianto burocratico è di alto livello, il controllo amministrativo risulta più affidabile; e quindi, con la predisposizione di procedure standardizzate, i manager pubblici hanno più opportunità di monitorare eventuali comportamenti illeciti messi in atto dai dipendenti.

Il terzo fattore tradizionale di contrasto alla corruzione, citato nell’articolo di Shim & Eom (2008), consiste nel rafforzamento e nella più efficace applicazione delle norme giudiziarie in materia di corruzione.

Essendo l’atto corruttivo un comportamento rischioso, i dipendenti pubblici saranno tanto più propensi a coinvolgersi nell’illecito quanto meno la legge viene fatta rispettare nella società, secondo una ponderazione dei rischi e dei benefici. Incrementando gli sforzi per scoprire gli illeciti, i dipendenti che pongono in atto reati di corruzione sarebbero più facilmente perseguiti e quindi sarebbero meno incentivati a farsi corrompere.

Mentre gli approcci scientifici e progressisti si concentrano sulle strutture di controllo e sui valori degli individui, l’approccio del rafforzamento della legge si focalizza, quindi, sull’esercizio di un’intensa sorveglianza esterna, ponendo magistrati, consulenti e ispettori come attori principali del processo. Le misure di controllo esterno, ad esempio il controllo sulla contabilità o i processi di revisione, sarebbero intensificate.

Stabilendo e legittimando un sistema legale forte contro la corruzione, definendo esplicitamente la corruzione ed estendendo il suo significato anche ad altri fenomeni quali il conflitto di interesse, la mancata ottemperanza degli obblighi di trasparenza finanziaria o la dichiarazione del falso in atto pubblico, i dipendenti pubblici percepirebbero più efficacemente il rischio di essere arrestati nel caso commettano un illecito di questo genere e sarebbero consapevoli di quanto la società condanni i comportamenti corruttivi. Questi metodi tradizionali, tuttavia, presentano inconvenienti: un controllo eccessivo, ad esempio, può portare l’organizzazione ad essere troppo rigida. Secondo Anechiarico e Jacob (1994), le attività di controllo legale, quali l’investigazione contabile e la sorveglianza interna, possono causare ritardi nell’erogazione del servizio e far crescere la burocrazia; secondo Merton (2004) un quantitativo eccessivo di regole ed una pedissequa conformità a tali regole da parte dei lavoratori pubblici renderebbe il servizio “impersonale” e darebbe ai cittadini l’impressione che i lavoratori pubblici siano arroganti e altezzosi. Inoltre, i burocrati potrebbero rimanere ancorati a regole superate, non più in vigore nelle situazioni correnti, risultando quindi incapaci di lavorare e comportarsi in maniera adeguata. Imporre sanzioni contro la corruzione potrebbe anche ridurre la morale dei lavoratori pubblici e ostacolare la propensione dei dipendenti a migliorare spontaneamente il servizio. Infine, un controllo eccessivo può indurre i soggetti a deresponsabilizzarsi, e, non ultimo, più i controlli sono stringenti più sono costosi, ponendo problemi di accettabilità di tali costi da parte della collettività.

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PARTE SECONDA

2. E-GOVERNMENT: UNA POSSIBILE SOLUZIONE

2.1. E-GOVERNMENT: UNA SOLUZIONE INNOVATIVA

Gli approcci tradizionali alla lotta contro la corruzione pongono, quindi, importanti criticità: la loro applicazione è conveniente dal punto di vista economico? L’eventuale diminuzione del fenomeno corruttivo è in grado di ridurre i costi dei servizi? Vale la pena perseguire i lavoratori disonesti a costo di ritardare l’intero processo di erogazione dei servizi pubblici?

L’e-government, ossia l’utilizzo di internet e del web per veicolare informazioni governative e servizi ai cittadini, secondo la definizione dell’UNPA (United Nations Division for Public Administration) e dell’ASPA (American Society for Public Administration) (UNPA, ASPA, 2001), costituisce un efficace compromesso, riducendo la corruzione e promuovendo la trasparenza grazie ad una migliore gestione dei servizi e ad un più stretto controllo sui funzionari e sugli incaricati di pubblico servizio (Von Haldenwang, 2004).

L’e-government, infatti, appare in grado, contemporaneamente, di innalzare la qualità dei servizi pubblici riducendone i costi, di incrementare la trasparenza e l’affidabilità e di migliorare i processi decisionali aumentando le competenze (Ndou, 2004).

L’uso dell’e-government per la lotta alla corruzione presenta diverse implicazioni: esso, infatti

- riduce l’intervento umano arbitrario e monitora i processi di erogazione dei servizio, operando un controllo del comportamento dei dipendenti pubblici più efficace rispetto a quello degli strumenti tradizionali (Ho, 2002);

- riduce il comportamento corrotto promuovendo un legame diretto con i cittadini (Ho, 2002); - permette di rendere immediatamente noto il comportamento corruttivo grazie all’uso dei dati

digitali: nel momento in cui i log file sono archiviati sistematicamente nei server, esperti informatici di alto profilo possono tracciarne il progresso di lavoro in qualsiasi istante e rilevare facilmente e a bassissimo costo eventuali problemi, disincentivando in tal modo azioni arbitrarie da parte dei funzionari di livello più basso (Bhatnagar, 2001)

Diversi Stati, tra cui Corea del Sud, India, Russia, Argentina, Cile e Brasile, hanno adottato l’e-government come misura di lotta alla corruzione e hanno conseguito risultati positivi nell’arginare il fenomeno (Bhatnagar, 2001; Chawla, Bhatnagar, Bhoomi, 2001; Im, 2001; Kang, 2001).

Ad esempio, il sistema OPEN (Online Procedures Enhancement for Civil Application), adottato in Corea del Sud, ha contribuito a ridurre la corruzione nel Paese, contenendo l’intervento umano grazie a tale sistema informatizzato (Shim & Eom, 2008). Prima dell’applicazione di OPEN, i cittadini richiedenti servizi amministrativi erano costretti ad attendere settimane o mesi prima di ricevere i risultati della loro richiesta e, in alcuni casi, alcuni di essi preferivano pagare una tangente ai responsabili pur di accelerare il processo. In tal modo, i dipendenti pubblici finivano per stabilire la priorità delle diverse richieste in base ai contributi illegali versati dai cittadini. Il nuovo sistema OPEN è stato quindi progettato per eliminare i processi ridondanti, per permettere ai cittadini di monitorare ogni fase successiva all’inoltro delle loro richieste e per ridurre la discrezionalità dei dipendenti pubblici grazie alla possibilità di indagare le cause dei ritardi e degli incagli.

Il Brasile è, invece, testimone della capacità dell’e-goverment di promuovere efficacemente la trasparenza. Il governo brasiliano ha creato un sistema digitale di approvvigionamento chiamato “Comprasnet”, nel

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quale le acquisizioni pubbliche di risorse sono registrate e in cui sono elencati i prezzi dei servizi esternalizzati e dei loro erogatori. Ciò permette a dipendenti pubblici di alto profilo di confrontare il prezzo proposto in un dato contratto con precedenti simili e di rinegoziare eventualmente i termini nel caso in cui il prezzo risultasse eccessivo, consentendo alle tasche dello Stato un risparmio stimato di circa centocinquanta milioni di dollari all’anno (Von Haldenwang, 2004).

2.2. E-PARTICIPATION: L’ALTRA FACCIA DELL’E-GOVERNMENT

Un altro limite degli approcci tradizionali di lotta alla corruzione è dato dalla difficoltà di indagare e prevenire la corruzione politica: secondo Kobrak (2002), ad esempio, negli Stati Uniti, i processi decisionali politici sono pilotati dal 40% più ricco della popolazione, il quale ha legalmente monopolizzato il potere e trae beneficio dalla propria posizione a scapito degli interessi collettivi, facendo sì che la burocrazia tenda a controllare il pubblico anziché viceversa (Kobrak, 2002; Kweit, Kweit, 1981).

La partecipazione attiva dei cittadini può essere considerata un efficace strumento per superare questo limite (Schachter, 1997). Tuttavia la partecipazione attiva dei cittadini intesa in maniera tradizionale risulta difficoltosa, dato che richiede un grande impiego di tempo e di denaro, lo sforzo di coordinare assemblee pubbliche, la motivazione del pubblico, il coinvolgimento dei cittadini e, non ultimo, un aggravio di lavoro per i dipendenti pubblici (Ho, 2002). Ancora una volta l’e-government, nella sua forma di e-participation, risulta d’aiuto poiché permette ai cittadini di esprimere le proprie opinioni in qualsiasi momento, snellisce e velocizza il processo di coinvolgimento dei cittadini nella vita pubblica, abbassa i costi di coordinamento, garantisce l’accesso ad un’ampia gamma di partecipanti, rende più immediato il contatto tra dipendenti pubblici e collettività e contribuisce, quindi, a promuovere l’apertura e la trasparenza dei processi politici (Von Haldenwang, 2004).

La città di Fujisawa in Giappone è famosa per l’applicazione dell’e-participation a partire da un piccolo progetto avviato nel 1997. Attraverso una bacheca pubblica, i cittadini propongono al sindaco nuove politiche o suggeriscono modifiche alle politiche esistenti, spesso al fine di migliorare la qualità di un servizio o di abbatterne i costi di erogazione, e tali idee vengono poi esaminate da esperti: se sono innovative ed economiche, i funzionari le tengono in considerazione e le sottopongono all’ente di riferimento; quindi, se l’applicazione della proposta ha successo, il cittadino che l’ha ideata viene menzionato dal sindaco della città.

Anche in Perù è stato avviato un progetto per promuovere la trasparenza e incentivare la partecipazione democratica, chiamato “Public Window”, a partire dalle città di Ayacucho, Cajamarca e Tarapoto (ONU, 2005). Attraverso la “Public Window”, i cittadini possono ottenere informazioni riguardanti il servizio pubblico, possono tracciare la spesa dei soldi pubblici o venire a sapere come si ottiene un certificato di nascita, possono esprimere opinioni o proposte riguardo ai servizi pubblici e possono risolvere problemi della collettività direttamente con i funzionari pubblici. Ad esempio, nella città di Huamanga, condividendo idee e informazioni nella “Public Window” a proposito del problema della raccolta dei rifiuti, i cittadini si sono resi conto del fatto che la città non era in grado di destinare più risorse alla nettezza urbana e, contemporaneamente, che sarebbe bastato ridurre l’ammontare della spazzatura e pagare le tasse alla scadenza per migliorare la situazione; di conseguenza, grazie al dialogo permesso dalla partecipazione pubblica, il problema è stato efficacemente risolto (Vertice mondiale sulla Società dell’Informazione, 2005). Anche la città metropolitana di Seoul possiede uno strumento di e-participation, chiamato Cyber Policy Forum. Attraverso di esso, i cittadini hanno la possibilità di comprendere le questioni politiche riguardanti la città, esprimendo opinioni e proponendo idee in materia. I cittadini ricevono poi attraverso Internet un giudizio e i loro suggerimenti vengono tenuti in considerazioni nelle scelte politiche: ottenendo il parere

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pubblico prima della loro formulazione e della loro applicazione, il governo della città è in grado di ridurre gli errori e di abbattere costi e tempi del processo di programmazione (ONU, 2005).

L’e-government contribuisce quindi ad arginare il problema della corruzione in due modi:

- eliminando la discrezionalità dei dipendenti pubblici e riducendo la possibilità di mettere in pratica azioni arbitrarie (Bhatnagar, 2001)

- promuovendo la trasparenza grazie al monitoraggio pubblico del lavoro dei funzionari (Shim&Eom, 2008);

e si è cercato di dimostrarne l’efficacia attraverso modelli econometrici, alcuni dei qualsi sono di seguito esposti.

2.3. MODELLI ECONOMETRICI: ESEMPI TRATTI DALLA LETTERATURA CHE DIMOSTRANO EMPIRICAMENTE L’EFFICACIA DELL’E-GOVERNMENT

2.3.1. Shim & Eom

Il primo modello econometrico presentato è tratto da un articolo scritto di Shim ed Eom (Shim & Eom, 2008) ed esamina principalmente l’impatto dell’e-government sulla riduzione della corruzione pubblica, utilizzando dati di diverse nazioni, oltre ad esaminare l’efficacia dei metodi tradizionali di lotta alla corruzione.

I dati utilizzati per quantificare il livello di corruzione degli Stati considerati riguardano il CPI (Corruption Perception Index) del 2004, calcolato come coefficiente a media mobile con lag di tre anni (2002, 2003, 2004). Di base il CPI va da 10, assenza di corruzione, a 0, corruzione massima, ma in questo lavoro i due autori hanno invertito i valori, in modo tale da non creare confusione con l’interpretazione del valore dei coefficienti durante il processo di inferenza.

Il modello si serve dei risultati ottenuti da Darrel M. West in un suo studio sull’e-government (West, 2003), utilizzandoli come indice di efficacia dell’e-government. Per dedurre l’efficacia dell’e-government nei vari Stati, West ha raccolto da oltre 2000 siti pubblici materiale in grado di fornire ai cittadini informazioni, servizi e archivi di dati, con caratteristiche tali da facilitarne la fruizione da parte di fasce deboli della popolazione, quali disabili e stranieri, e un’attenzione alla trasparenza tale da rassicurare i cittadini preoccupati per la loro privacy o per la sicurezza di Internet (West, 2003), attribuendo un punteggio da 0 a 100.

Siccome West (2003) non ha tenuto in considerazione l’e-participation nella formulazione del suo indicatore, Shim ed Eom hanno usato l’indicatore di e-participation fornito dall’ONU (ONU, 2003). Tale indice valuta la qualità, la rilevanza, l’utilità dei siti della pubblica amministrazione e la loro disponibilità a fornire informazioni online, strumenti di partecipazione e servizi ai cittadini, misurando quindi l’attitudine dell’e-government e delle infrastrutture tecnologiche a favorire un processo di interazione costruttiva tra amministrazione e cittadini. Il range di punteggio va da 0, bassa partecipazione, a 1, alta partecipazione. Per quanto riguarda, invece, gli strumenti tradizionali di lotta alla corruzione, Shim ed Eom considerano:

- la professionalità, sotto il duplice aspetto di

o competenza professionale del personale amministrativo, comparata con quella dei lavoratori del settore privato (punteggio: 1, competenze inferiori rispetto al settore privato; 7, competenze superiori rispetto al settore privato)

o anti-favoritismo, ossia attitudine ad agire unicamente in base alla propria professionalità, non alcun tipo di favoritismo in grado di condizionare i processi decisionali o la stipula di

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