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CAPITOLO 2: LA FILIERA TESSILE/ABBIGLIAMENTO: STRUTTURA ORGANIZZATIVA E PROCESSI TERRITORIALI

2.1. Gli scambi internazionali dei prodotti d’abbigliamento

Dal 1° gennaio 2005, dopo quasi 40 anni, l’intero comparto tessile mondiale è completamente liberalizzato, con un forte aumento di importazioni asiatiche, negli USA e nell’UE. Molte analisi concordano nel sostenere che l’unica realtà produttiva pronta a cogliere i frutti dell’abolizione del MFA sia la Cina.

Dal 2005, si assiste a una modifica della struttura delle importazioni europee, e italiane in particolare, contestualmente a una progressiva crescita della quota di mercato asiatica, che non solo penalizza gli altri importatori ma modifica anche la struttura del mercato interno, sottraendo quote di mercato a quelle produzioni italiane che basano il loro vantaggio competitivo sul fattore prezzo.

Se negli ultimi anni, le aziende italiane hanno attraversato la fase recessiva più acuta della storia del settore, e se a questo si aggiunge la liberalizzazione, le imprese sono costrette a modificare le loro strategie puntando al rafforzamento di ogni fattore competitivo no price, al fine di differenziare l’offerta italiana da quella dei competitor4.

In questo periodo si parla tanto di Cina e del suo atteggiamento “aggressivo” su ogni mercato dal punto di vista dei prezzi; e la ricetta propugnata da molti per contrastarla sembra essere proprio quella di puntare sull’innovazione in modo da combattere il prezzo basso con la qualità.

L’introduzione obbligatoria dell’indicazione di origine per le merci importate da paesi extra-europei è parte integrante di questa strategia di differenziazione, perché fornisce al consumatore un’informazione tale da poter valutare la differenza qualitativa e di prezzo, tra

4 Analizzando alcuni studi di mercato, come quello realizzato da Tedis – Venice International University, su “I distretti industriali italiani: strategie per vincere sul mercato globale” risulta come gli investimenti in Ict, in innovazione tecnologica, in prodotto e design hanno un impatto determinante sulla capacità di ottenere performance superiori alla media, risultati positivi che vanno dal 4,6% fino al 6% in più rispetto alla media di fatturato per chi ha sostenuto investimenti in questi settori, mentre le imprese che sono rimaste “immobili” sul versante innovazione hanno registrato performance negative rispetto la media comprese tra

prodotti europei e prodotti extra-europei.

A partire dagli anni ‘90, tutti gli organismi sovranazionali (OECD, WTO, IMF, World Bank, UNCTAD) e quasi tutti i principali centri di ricerca, governativi e non, hanno provato a stimare gli effetti economici e commerciali di tale liberalizzazione. Benché con differenti approcci, strumenti e dati utilizzati per quantificare e valutare l’impatto, emergono da tali lavori alcune conclusioni comuni sugli effetti dell’abolizione del sistema di quote all’importazione nel tessile/abbigliamento.

1. Un aumento del benessere mondiale, benché di ampiezza assai variabile, oscillante fra i 6,5 e i 324 miliardi di dollari.

2. Un consistente incremento del commercio mondiale in questo settore; secondo alcune stime, l’abolizione del sistema di quote comporta un aumento delle esportazioni in volume tra il 17% e il 72% nel tessile e tra il 70% e il 190% nell’abbigliamento.

3. Un aumento della quota di mercato dei produttori dei paesi in via di sviluppo (soprattutto asiatici) e una parallela contrazione per i paesi industrializzati (Figura 2.1.1).

4. Effetti negativi in termini occupazionali nei paesi industrializzati, mentre si creano nuovi posti di lavoro nei paesi in via di sviluppo.

5. Un consolidamento della produzione a favore dei grandi gruppi, in seguito ai vantaggi dovuti alle economie di scala, a discapito dei piccoli produttori.

6. Effetti positivi per i consumatori, in termini di maggiore accesso a prodotti a prezzi più competitivi, in seguito ad un aumento della concorrenza internazionale e ad una maggiore efficienza nella distribuzione delle risorse. Alcuni studi hanno previsto una riduzione dei prezzi nel tessile di circa il 2% e nell’abbigliamento tra il 5% e il 10%.

Figura 2.1.1: Abbigliamento, quote di mercato prima e dopo la fine dell’Accordo Multifibre.

Fonte: WTO

La liberalizzazione del settore tessile/abbigliamento porterà, nel lungo periodo, ad un aumento del benessere nei paesi industrializzati. Ciò è motivato dalla specializzazione della produzione nei settori in cui vi è un vantaggio comparato, da una conseguente più efficiente allocazione delle risorse e quindi da una riduzione dei prezzi dei beni al consumo.

D’altra parte, nel breve e medio periodo, l’uscita dal sistema ATC genera una perdita di quote di mercato per i produttori dei paesi industrializzati.

Per ciò che riguarda l’Unione Europea, l’impatto di questo processo ha proporzioni diverse per i vari paesi membri, a seconda della differenziazione delle proprie industrie, della maggiore specializzazione nella produzione di tessili o di articoli di abbigliamento, nonché in funzione delle strategie industriali e commerciali seguite da ciascun paese. A questo proposito, alcune stime sull’andamento della produzione del settore nei prossimi 15 anni, evidenziano che i paesi più colpiti dalla liberalizzazione potrebbero essere la Germania e il Regno Unito, anche in ragione del rilevante peso delle loro esportazioni di abbigliamento verso il mercato dell’UE, rispetto agli altri partner comunitari. Al contrario, per l’Italia (ma anche Spagna e Portogallo), l’impatto della liberalizzazione del settore dovrebbe essere meno rilevante, non solo per la minore esposizione sul mercato UE ma, anche per la maggiore diversificazione della produzione che influirebbe positivamente sulla capacità di competere sui mercati internazionali.

Il ridimensionamento dei produttori dei paesi industrializzati potrebbe innescare degli aggiustamenti sul livello dell’occupazione del settore che potrebbe portare ad una forte accelerazione di una tendenza alla flessione già da tempo in atto. In particolare, si prevede un prevalente impatto negativo sull’occupazione nell’industria dell’abbigliamento, essendo questa caratterizzata da un più alto numero di lavoratori non specializzati. L’aumento di competizione a livello globale potrebbe innescare una pressione verso il basso non solo dei salari, ma anche delle condizioni di lavoro nel settore.

Il tessile/abbigliamento è un settore fondamentale per le economie di molti paesi in via di sviluppo (PVS) e meno sviluppati. Studi empirici hanno evidenziato come il reddito medio di un paese sia più elevato lì dove questo settore è in più “buona salute”. L’abolizione del sistema di quote, quindi, genera nuove opportunità e nuove sfide per questi paesi.

A livello aggregato il miglioramento in termini di benessere per i PVS, è dovuto dunque alla liberalizzazione del settore tessile e dell’abbigliamento. Tale miglioramento, tuttavia, non è omogeneamente diffuso. Al contrario, si distribuisce e si differenzia in base alle aree geografiche e soprattutto in funzione dell’esistenza o meno di accordi preferenziali stipulati con i paesi industriali (ad esempio il Messico con gli USA e il Canada, o la Romania con l’UE) e dell’essere o meno soggetti al vincolo delle quote.

Con riferimento all’Asia si stanno realizzando i più grossi cambiamenti nella distribuzione della produzione. La Cina, l’India e il Pakistan sono i paesi maggiormente favoriti dall’abolizione del sistema di quote, essendo stati i più danneggiati da tale pratica commerciale. In particolar modo, è la Cina che registra la più elevata crescita della produzione: e ciò in conseguenza non solo del minore costo del lavoro (fra i più bassi al mondo), ma anche perché alla sua forte tradizione tessile si è aggiunta la grande esperienza nel settore finanziario e del marketing di Hong Kong.

La Cina, è già una potenza nel settore, e le sue esportazioni aumentano di un valore compreso fra il 50% e il 150%; perciò, potrebbe raggiungere quote di mercato tra il 30% e il 50% della produzione mondiale. La forte crescita della Cina potrebbe avere delle ripercussioni negative anche sugli altri due giganti della regione – l’India e il Pakistan – i quali potrebbero, in ogni caso, registrare dei guadagni di quota, ma notevolmente più modesti.

Mentre un’uscita rapida dal sistema di quote è benefica per alcuni paesi in via di sviluppo esportatori, per altri sarebbe stata più auspicabile una fase di transizione più lenta, che avesse maggiormente garantito e protetto le loro quote di esportazioni. Questo è particolarmente vero per quei paesi meno sviluppati, finora favoriti dal sistema di quote e altamente dipendenti dal settore tessile e dell’abbigliamento. In un sistema liberalizzato, su questi paesi gravano i gap di produttività nei sistemi industriali e soprattutto le loro carenti infrastrutture a vantaggio di altri paesi caratterizzati da un costo del lavoro relativamente ancora inferiore. Tra i paesi più sfavoriti vi sono: il Bangladesh, lo Sri Lanka, l’Indonesia, le Filippine, il Nepal, la Cambogia, il Lesotho, Haiti, la Jamaica, Honduras, El Salvador, il Kenya e il Nicaragua.

Alcuni paesi in via di sviluppo dovrebbero ancora riuscire a limitare la concorrenza di colossi come la Cina, l’India o il Pakistan grazie ad accordi di libero scambio o ad accordi preferenziali di carattere regionale con i due principali mercati mondiali: l’Unione Europea e gli Stati Uniti. Pur perdendo parte della loro posizione protetta a seguito dell’abolizione del sistema di quote, paesi come la Turchia, la Romania, il Marocco e la Tunisia (nei confronti dell’UE) e il Messico (nei confronti degli USA) mantengono pressoché invariate le loro quote di mercato (Tabella 2.1.1).

Altro fondamentale elemento che permette a questi paesi di difendersi dalla concorrenza internazionale è la loro posizione geografica, particolarmente vantaggiosa rispetto ai principali mercati mondiali (USA e UE). La vicinanza ai mercati gioca un ruolo determinante specie nel tessile/abbigliamento, giacché sarà sempre più importante il tempo di risposta alle richieste e la velocità nel servizio offerto; ciò almeno fino a quando tali vantaggi non saranno erosi da una forte riduzione dei costi di trasporto e di comunicazione.

Tabella 2.1.1: Importazione e di Esportazione dei prodotti T/A