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Gli stabilizzatori automatici e le politiche discrezional

LA POLITCA FISCALE

3.3. Le componenti della politica fiscale

3.3.2 Gli stabilizzatori automatici e le politiche discrezional

Si supponga ora, che il governo abbia deciso a quale livello di spesa mantenere in equilibrio nel tempo il bilancio del settore pubblico. Se questa rappresenta l’idea di lungo periodo, è vantaggioso mantenere tale ipotesi anche nel breve periodo? Gran parte degli economisti è solita rispondere in maniera negativa. Secondo la tendenza prevalente, sia in teoria che nella pratica, è auspicabile che il bilancio del settore pubblico sia caratterizzato da una certa flessibilità nel breve periodo, a seconda delle fasi del ciclo economico. Ovvero (partendo dal pareggio) che vi sia un certo disavanzo nelle fasi di recessione e un corrispondente avanzo nelle fasi di espansione. In altri termini, è normale e auspicabile che la politica fiscale abbia un andamento anticiclico, e che sia di aiuto nello stabilizzare il ciclo economico. Ma come conseguire questo trend del bilancio pubblico? Essenzialmente sussistono due diversi modi: attraverso i soli stabilizzatori automatici oppure anche in maniera discrezionale.

I primi rappresentano degli strumenti di politica fiscale che si attivano “automaticamente” al modificarsi del reddito o della produzione, senza alcun provvedimento (legislativo o amministrativo) specifico. Le due tipologie più rilevanti di stabilizzatori automatici sono un sistema d’imposte proporzionale, o progressivo, e i trasferimenti a famiglie e imprese, come i sussidi di disoccupazione. Questi agiscono nel modo seguente:

 se l'economia entra in una fase di recessione, diminuisce il reddito e conseguentemente la base imponibile su cui vengono calcolate le imposte, per cui si riduce il gettito fiscale, seppure in presenza di aliquote d'imposta invariate, equilibrando in parte il calo del reddito disponibile; inoltre, con la recessione cresce la disoccupazione, e quindi aumentano anche i sussidi di disoccupazione e altri trasferimenti a favore del sistema, sostenendo anche in questa situazione il reddito disponibile.

 se l'economia è in una fase espansiva, si riscontrano variazioni che presentano un segno opposto.

78 I disavanzi pubblici, in conclusione, variano in modo anticiclico, mediante le imposte proporzionali (o progressive), i sussidi di disoccupazione, ecc. Proprio per questo vanno a stabilizzare il sistema economico: nelle recessioni riducono le entrate e incrementano le uscite pubbliche, comportando un sostegno del reddito disponibile e quindi della domanda aggregata, riequilibrando la recessione iniziale; discorso inverso avviene nelle fasi espansive.

Le politiche discrezionali di stabilizzazione derivano invece da provvedimenti ad hoc, adottati in funzione della situazione congiunturale, per incrementare o ridurre le spese o le entrate pubbliche: un esempio è sicuramente la scelta di diminuire le aliquote fiscali nel corso di una recessione.

La maggior parte degli economisti reputa che il peso esclusivo della stabilizzazione debba essere affidato, per quel che riguarda le politiche fiscali, agli stabilizzatori automatici. Le ragioni che dissuadono il ricorso alle politiche discrezionali sono principalmente due:

 Un problema piuttosto importante concernente i tempi di attuazione;

 Un ulteriore problema riguardante la “divisione dei compiti” tra la politica fiscale e quella monetaria. Nonostante quest’ultima debba principalmente tenere sotto controllo l'inflazione, per far ciò essa deve stabilizzare allo stesso tempo anche gli shock di domanda aggregata: shock positivi (o negativi) di domanda aggregata si tradurranno in pochi trimestri in shock positivi (o negativi) al tasso d'inflazione. Per riuscire a stabilizzare efficacemente la domanda aggregata (e di conseguenza l'inflazione) la politica monetaria deve quindi muoversi con largo anticipo: se nel frattempo la politica fiscale si muove in maniera non coordinata e imprevedibile, questo renderà più complicato il lavoro della Banca centrale (quanto appena descritto, sarà approfondito nel prossimo capitolo attraverso degli esempi pratici).

Nel caso in cui si decida di utilizzare delle politiche discrezionali invece, viene da chiedersi se sia opportuno assegnare la stabilizzazione discrezionale dell'economia alla politica monetaria anziché alla politica fiscale. Alcuni studiosi tendono a rispondere positivamente a tale quesito, soprattutto per due motivi principali:

79  Diversamente dalla politica fiscale, le decisioni di politica monetaria vengono prese con gran rapidità (la BCE si riunisce ogni due settimane, per decidere se e come modificare l'orientamento della sua politica, ovvero il livello dei tassi d'interesse d'intervento). Tale velocità è sconosciuta a gran parte delle decisioni di politica fiscale, che sono prima discusse e poi approvate tramite un complesso iter istituzionale che interessa governo e parlamento.

 Le decisioni riguardanti la politica monetaria, contrariamente a quelle concernenti la politica fiscale, sono facilmente reversibili. Sarebbe infatti, parecchio impopolare per il parlamento decretare la riduzione delle tasse, e poi rinnegare tale scelta dopo pochi mesi: viceversa, per la Banca centrale comportamenti simili (riferiti al livello dei tassi d'interesse) sono piuttosto nella norma. È quindi conveniente lasciar fare agli stabilizzatori automatici e alla politica monetaria.

Sembra, dunque, che la politica fiscale debba essere decisa in gran parte dalla politica monetaria. Ma come abbiamo già visto, in linea di principio è chiaro che le due politiche sono decise e poste in essere da autorità differenti: il governo manovra la spesa pubblica e la tassazione, mentre la Banca centrale regola l'offerta di moneta. Tuttavia, se consideriamo il metodo con cui la Banca varia l'offerta di moneta, ci si rende subito conto che, dietro tutto, e in maniera poco celata, c'è in realtà un legame abbastanza diretto tra le due politiche, senza il quale l'economia non si svilupperebbe.

Infatti, in che modo interviene la Banca centrale? Principalmente in due modi:

 Fissando il tasso d'interesse al quale soddisfa la domanda di liquidità delle banche, e dunque anche i tassi ai quali le banche si scambiano liquidità (i tassi del mercato monetario);

 Tramite delle operazioni di mercato aperto, ovvero offrendo o acquistando base monetaria sul mercato dei titoli di Stato, in cambio di acquisti o vendite di tali titoli.

Nella prima situazione, un livello più basso dei tassi d'interesse sul mercato monetario renderà più attraenti i titoli di Stato: incrementerà la domanda di questi ultimi e ne diminuirà il rendimento, con un chiaro beneficio per l'emittente. Nel secondo caso, il

80 tornaconto per quanto riguarda l'emittente dei titoli (il ministero del Tesoro) è ancora più immediato.

Prendiamo in esame, per esempio, il caso di un governo che opti per una politica fiscale espansiva. In altri termini, vuole aumentare le spese o diminuire le entrate fiscali: in entrambi i casi dovrà collocare più titoli di Stato sul mercato. Se allo stesso tempo la Banca centrale incrementerà l'offerta di moneta (ovvero acquista titoli di Stato con un'operazione di mercato, o incoraggia all'acquisto altri operatori, aumentandone la liquidità), il collocamento dei nuovi titoli risulterà agevolato e potrà realizzarsi a un tasso d'interesse più basso. O, se perfino tutto l'ammontare del nuovo debito fosse acquistato dalla Banca centrale (a fronte di un incremento corrispondente della base monetaria, o della totale monetizzazione del nuovo debito), il problema di collocare il nuovo debito sul mercato sarebbe completamente evitato.

Proprio per questo motivo, un governo che sceglie una politica fiscale espansiva è spesso indotto a chiedere alla Banca centrale di attuare allo stesso tempo una politica monetaria espansiva(quella che nel gergo degli economisti viene definita come una politica di accomodamento monetario). Nel compiere tale richiesta molti governi solitamente trascurano che un'eccessiva quantità di moneta si traduce, specie nel lungo periodo, in un innalzamento dei prezzi.

Per evitare problemi e respingere tentazioni simili, le banche centrali tendono a essere molto gelose della loro autonomia. Per esempio, tra il 1989 e il 1995, gli statuti di almeno venticinque banche centrali di tutto il mondo sono stati modificati, per assicurare loro un maggior livello d’indipendenza legale nei confronti dei rispettivi governi, e per ribadire che la politica monetaria deve essere orientata alla stabilità dei prezzi.

Come si può ben cogliere, questo è un problema spinoso, poiché dopotutto il governo in carica è frutto di un meccanismo di voto da parte dell’elettorato. Quindi, perché mai bisognerebbe privare un governo democraticamente eletto delle leve della politica monetaria, ossia del controllo di un’intera branca della politica economica? La risposta a questa domanda viene fornita dalle moderne teorie di politica economica: se i due strumenti, politica fiscale e monetaria, vengono affidati ad autorità diverse, e se le autorità monetarie si trovano in una posizione nella quale non traggono alcun beneficio dal compiacere il governo in carica, esse non saranno tentate di conciliare potenziali

81 espansioni fiscali con analoghe espansioni monetarie. Effettivamente si è notato come, da quando il grado di autonomia delle banche centrali è stato rafforzato istituzionalmente, i banchieri centrali si sono convertiti nei più severi “cani da guardia” contro l'indisciplina fiscale dei governi.