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Gli studi di Underwood e Moray: shadowing vs monitoring e il fattore voce

CAPITOLO 2 LO SHADOWING NEGLI STUDI DI PSICOLOGIA COGNITIVA

2.2 Attenzione selettiva: ricerche e contributi dallo shadowing

2.2.4 Gli studi di Underwood e Moray: shadowing vs monitoring e il fattore voce

Due studiosi della facoltà di psicologia dell’Università di Sheffield dedicarono una complessa ricerca al tema dell’attenzione selettiva, confrontando shadowing e monitoring (ossia ascolto semplice). L’obiettivo consisteva nell’analizzare le differenze fra queste due attività per quanto riguarda l’individuazione di termini target in presenza di input trasmessi con varie modalità, ad esempio ad un orecchio per volta, oppure in modalità dicotica (Underwood e Moray, 1971).

Lo shadowing, richiedendo al soggetto che lo pratica di ripetere ad alta voce uno dei due messaggi in ingresso ignorando l’altro, consente agli esperti di verificare la direzione dell’attenzione, ovvero verso quale dei due messaggi si dirige l’attenzione dello shadower. Il

monitoring, al contrario, non prevedendo una risposta orale, non permette di controllare se il

soggetto si stia concentrando sull’input primario o secondario.

Un ulteriore aspetto che distingue lo shadowing dal monitoring è il fatto che nel primo interviene come variabile anche la voce dello shadower stesso che, agendo come terzo segnale acustico, può ostacolare la percezione dell’input.

Nell’esperimento condotto da Underwood e Moray, articolato in varie parti, un numero pari di studenti e studentesse non allenati nella pratica dello shadowing ricevette un messaggio acustico costituito da varie liste di lettere: quelle inviate ad un solo orecchio dovevano essere in parte semplicemente ascoltate e in parte ripetute in shadowing; altre liste, invece, venivano presentate in modalità dicotica e dovevano parimenti essere ripetute in shadowing oppure solo

ascoltate, con l’attenzione rivolta in entrambi i casi al canale primario. In ciascuna lista era presente una cifra, l’elemento che i soggetti dovevano memorizzare: in metà dei casi essa veniva letta dalla medesima voce che pronunciava le lettere (voce maschile), nell’altra metà da una voce femminile. Mentre nella prima parte dell’esperimento nella modalità dicotica la cifra compariva solo nella lista a cui prestare attenzione, nella seconda parte essa poteva essere presente anche nella lista da ignorare.

Dai risultati dello studio Underwood e Moray conclusero che in condizioni di monitoring con input entrante in un solo orecchio i soggetti non ebbero alcuna difficoltà a cogliere di volta in volta la cifra giusta. Lo stesso esito emerse anche dal confronto tra ascolto semplice e

shadowing nella modalità dicotica, a conferma dell’ipotesi che i meccanismi dell’attenzione

selettiva agiscono anche nella modalità di monitoring.

L’aspetto però più interessante agli occhi dei due esperti è che durante lo shadowing la corretta individuazione della cifra avveniva con maggiore frequenza quando essa veniva pronunciata da una voce diversa da quella dello shadower (dunque, ad esempio, dalla voce maschile nel caso di soggetti femminili e viceversa). Infatti

[...] subject’s own voice does consistently interfere with the shadowed stimuli, and impairs perception of messages of the same voice type more than those of the different voice type (Underwood e Moray, 1971: 289).

Nel 1974 Underwood realizzò un secondo esperimento sullo shadowing in modalità dicotica coinvolgendo questa volta un solo partecipante, il collega Moray che, a differenza dei partecipanti allo studio precedente, era molto allenato nell’esercizio dello shadowing. L’obiettivo della ricerca con un solo soggetto altamente qualificato, in cui dunque l’ascolto simultaneo alla produzione del parlato era già automatizzato, era quello di “investigate a situation in which the shadowing response may not consume as much processing capacity as it does with inexperienced shadowers” (Underwood, 1974: 368). In altre parole, Underwood desiderava comprendere cosa accade quando tutte le risorse cognitive (che in soggetti poco allenati vengono in buona parte assorbite dallo sforzo di gestione della sovrapposizione di ascolto e produzione orale) possono essere dedicate all’elaborazione e analisi dell’input. Per lo studio vennero utilizzate 96 liste di lettere scelte casualmente, in cui al posto di una lettera era stata inserita una cifra, l’elemento che Moray aveva il compito di individuare. La modalità prescelta per la trasmissione dell’input era quella dicotica: alle due orecchie venivano cioè presentate contemporaneamente due liste diverse, una costituente lo stimolo

primario (che Moray avrebbe ripetuto in shadowing), l’altra rappresentante invece lo stimolo secondario (da ignorare nello shadowing). La cifra poteva comparire sia nel canale attended sia in quello unattended. Nel primo caso, alla comparsa della cifra Moray avrebbe dovuto interrompere lo shadowing della lista di lettere pronunciando come ultimo elemento la cifra stessa. Nel secondo caso, avrebbe dovuto interrompere lo shadowing dell’input primario e ripetere il numero sentito nel canale secondario. Metà delle lettere e metà delle cifre vennero lette da una voce maschile mentre l’altra metà da una voce femminile, in modo tale che potesse presentarsi anche la situazione: lettere pronunciate da voce maschile e cifra da voce femminile e viceversa. Fu proprio in queste condizioni “incrociate” che Moray fu in grado di riconoscere nel canale unattended più cifre rispetto a quando lettere e cifre venivano pronunciate dalla stessa voce.

Confrontando i risultati di questo studio con quelli dell’esperimento del 1971 condotto su soggetti per i quali lo shadowing non era pratica familiare, Underwood notò che il collega “allenato” nello shadowing si distinse dai soggetti meno esperti non tanto nel riconoscimento di cifre trasmesse nel canale primario (ambito in cui tutti i soggetti raggiunsero risultati pressoché identici, compreso Moray), bensì nell’individuazione di cifre presentate nel canale

unattended (8% di cifre individuate dai meno esperti vs. 67% di Moray). Underwood spiegò

questo risultato con l’ipotesi che Moray, padroneggiando ad altissimo livello la tecnica dello

shadowing, fosse in grado di destinare più risorse cognitive rispetto ai soggetti meno esperti

all’analisi del significato dell’input trasmesso nel canale secondario.

2.2.5 Interazione tra shadowing e input visivi: gli studi di Kroll e le ricerche di Rollins e