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I Goti, nemici giurati dell’Impero

ricostruire. Secondo Cassiodoro143 e Giordane144, l’origine di questa popolazione sarebbe da ricercarsi in un’isola di nome Scanzia, in ambito presumibilmente scandinavo. In seguito, in un’epoca che non è possibile conoscere, la tribù avrebbe soggiornato sul Baltico, mentre nel I secolo d.C. autori romani come Plinio e Tacito individuavano i Goti nella Germania nordorientale, anche se di fatto è impossibile dimostrare le tappe dei loro stanziamenti, data la mancanza di riscontro di prove archeologiche. Tra il II e il III secolo i Goti sarebbero giunti sul lato

nordoccidentale del Mar Nero, mentre i loro territori si estendevano tra i Carpazi, il Don, la Vistola e il mare d’Azov, avendo come asse centrale la valle inferiore del Dnepr145. In quest’area essi

vennero a contatto e convissero con molte altre popolazioni, compresi gli antenati degli Slavi, e subirono una pesantissima influenza culturale da parte dei popoli delle steppe, tanto da modificare moltissimo il loro costume e modo di vivere. I Goti divennero, di fatto, cavalieri semi-nomadi dai tratti orientali e la cosa è dimostrata dal fatto che, agli occhi degli osservatori greci e romani, essi apparivano come appartenenti ad una qualche stirpe iranica, come gli sciti o gli Avari. Siamo abituati a pensare, erroneamente, che i Goti fossero di stirpe germanica. In realtà, essi possono essere ricondotti alle gentes germaniche solo in virtù della lingua che parlavano, la quale era di ceppo germanico. Il Gotico, peraltro, ci è interamente conservato grazie alla traduzione della Bibbia che fece il vescovo Ulfila, verso la metà del IV secolo.

Al III secolo sembra risalire la bipartizione del loro popolo in due gruppi, denominati dapprima tervingi e greutingi. Nonostante questa divisione, non venne meno in loro il senso comune di appartenenza ad un medesimo popolo e l’uso della stessa lingua. Alcuni studiosi, tuttavia, non sono d’accordo con questa distinzione e pensano piuttosto ad una razionalizzazione a posteriori, nelle fonti, della differente distribuzione dei Goti all’epoca della migrazione verso occidente, con quelli che vennero denominati Visigoti diretti n Gallia e in Spagna146.

L’esercito ostrogoto che Teodorico guidò in Italia doveva essere composto da circa 20000 – 25000 individui, fra guerrieri e uomini inabili alla guerra, come donne o bambini. Nell’insieme si tratta di un numero abbastanza modesto e di certo inferiore rispetto al gran numero dei romani, con cui i

143 Queste notizie erano presenti nell’opera perduta De origine actibusque getarum 144 Giordane, Getica, I

145 C. Azzara, L’Italia dei barbari, Bologna, 2002

Goti si trovarono a convivere, ma il loro impatto deve essere calcolato non tanto in base alla massa degli abitanti, quanto, piuttosto, deve essere commisurato al ceto di possessores, cioè al ceto dirigente romano, al quale essi si affiancarono per rango e funzioni147. Gli ostrogoti si insediarono

sul territorio italico in virtù dell’hospitalitas, cioè l’acquartieramento militare, tradizionalmente applicato dall’impero ai foederati barbari, ovvero gli alleati. Essi, per il servizio prestato, avevano diritto a un terzo delle terre, della cui distribuzione fu incaricato il prefetto del pretorio Liberio il quale, dopo aver compiuto le misurazioni e le ripartizioni, dava ai beneficiati dei reali titoli di possesso chiamati pittacia.

Secondo uno studio di Walter Goffart148, l’acquartieramento dell’esercito di Teodorico non sarebbe avvenuto secondo i regolari criteri dell’hospitalitas, perciò con la cessione della tertia, ma piuttosto venne data loro una quota dell’imposta fondiaria, già versata dai possessores allo stato romano, corrispondente al terzo sancito dall’hospitalitas. Questo, secondo Goffart, spiegherebbe l’assenza di lamentele da parte coloro che dovevano essere espropriati, in quanto dovettero subire una perdita del terzo di un’imposta che avrebbero dovuto pagare in ogni caso. La soluzione sarebbe stata vantaggiosa anche per i Goti, i quali avrebbero goduto di un guadagno sicuro senza doversi sobbarcare l’onere del versamento dell’imposta fondiaria, cui sarebbero stati obbligati se fossero stati possessori di un terzo delle terre italiane. Comunque stiano le cose, il punto fermo è che l’insediamento dei Goti nella penisola non si svolse in maniera violenta o brusca, ma seguì l’iter legale dei dettami dell’hospitalitas.

Teodorico prese possesso dell’Italia nel 493, dopo aver ucciso a tradimento Odoacre. Il suo regno, centrato sull’Italia con la Sicilia, comprendeva anche la Rezia, la Pannonia Savia e la Dalmazia. Dopo il 505 il sovrano acquisì il controllo dell’intera Pannonia e nel 508 cadde in suo potere anche la Provenza. Inoltre un’abile politica diplomatica gli permise di avere una certa autorità anche su zone esterne al suo dominio, come le regioni dal Danubio ai Pirenei, con particolare riguardo per il regno dei Visigoti, su cui aveva comunque un forte ascendente.

Lo stanziamento ostrogoto non fu, comunque, omogeneo. Le regioni meridionali, ad esempio, rimasero estranee alla presenza gota: ad esempio, in Apulia e Calabria era presente un numero poco consistente di Goti e non era possibile riscontrare loro insediamenti a sud della linea Roma –

Pescara, con l’eccezione di alcuni centri: Cuma, Napoli, Benevento, Acerenza, Rossano, Siracusa, Palermo149.

147 C. Azzara, Op. cit.

148 W, Goffart, Barbarians and Romans, A.D. 418-584: The Techniques of Accommodation, Princeton University Press,

1980

Contingenti di Goti più numerosi si trovavano nell’Italia centrale, soprattutto nella zona

appenninica, nelle odierne regioni dell’Umbria e delle Marche, ma anche lungo la fascia adriatica, dove erano ubicati centri fortificati di particolare importanza strategica, come Ancona, Ascoli Piceno, Rimini od Osimo, quest’ultimo punto di passaggio quasi obbligato per poter accedere a Ravenna. Le zone di massimo popolamento dei Goti erano nell’Italia settentrionale, nella pianura padana e in centri come Brescia e Belluno. L’odierna Lombardia ospitava centri di assoluto rilievo, come Milano e Ticinum – Pavia, nella quale risiedeva il sovrano ed era presente una parte del tesoro regio. Teodorico, inoltre, aveva fatto costruire la sua dimora a Ravenna, in passato sede imperiale. Le tre città regie, cioè Pavia, ravenna e Verona, erano collegate fra di loro tramite un sistema viario che faceva perno sul nodo di Ostiglia. I Goti, come si vede, predilessero città che avevano una certa importanza anche in epoca romano – imperiale, con aggiustamenti minimi o trascurabili. Inoltre, la continuità sostanziale del sistema produttivo e della rete stradale della tarda romanità non richiese alcuna modificazione o ricollocazione dei centri urbani in epoca gota. Le città più rilevanti nel basso impero continuarono ad esserlo nel regno goto. Anche in chiave strategico – militare, i Goti non fecero registrare alcun cambiamento, continuando l’orientamento verso nord con le

conseguenze sulla trama urbana che era in vigore al tempo. Nel meridione, invece, la presenza gota era così scarsa che non ebbe modo di modificare gli equilibri preesistenti150.

L’identificazione del settentrione come luogo privilegiato dell’insediamento ostrogoto ci è peraltro confermata da Agazia, il quale riferisce che, dopo la fine della guerra fra Bizantini e Goti, ci dice che coloro che erano presenti in Tuscia e Liguria si dispersero verso la zona di Venezia151. Le

indicazioni che provengono dalle fonti letterarie trovano riscontro nelle testimonianze

archeologiche, che si trovano nelle regioni padane, in Romagna, nelle Marche, mentre risultano pressoché assenti nel Mezzogiorno e in Sicilia, lungo la fascia tirrenica e anche a nord – ovest. Il motivo di una diffusione tanto parziale è sicuramente dovuto allo scarso numero di individui di stirpe gota e dalla loro necessità di concentrarsi nei centri di maggior importanza strategica,

piuttosto che rimanere dispersi su aree più vaste. Le città maggiori erano in genere munite di opere difensive, anche se spesso mancavano mura vere e proprie ma vi erano opere di fortificazione minori, che potevano proporsi come nuclei di resistenza estrema nel caso la città fosse stata invasa. Ne abbiamo alcuni esempi a Tortona e ad Asti, Adria, Padova e Ancona, confermati dall’evidenza archeologica.

Il regno di Teodorico sostanzialmente conservò inalterata l’impalcatura burocratica e

amministrativa di tradizione romana, giustapponendo ad essa una struttura gota, che si riservò in via

150 C. Azzara, Op. cit.

esclusiva solo la competenza militare152. D’altra parte l’alternativa che si pose agli Ostrogoti fu

quella di venire a patti con la classe dirigente romana, ovvero l’aristocrazia senatoria, oppure produrre una traumatica rottura e imporre il loro dominio tramite l’eliminazione fisica di tale ceto. I Goti, in effetti, si erano portati nella penisola non per iniziativa autonoma ma per delega

dell’imperatore e optarono per intraprendere una politica pacifica di coesistenza con il popolo romano e di accordo con l’aristocrazia senatoria. L’elemento barbaro tuttavia, si proponeva come unico detentore della forza militare, mentre la vecchia classe dirigente romana concentrava nelle sue mani il potere politico ed economico. La convivenza fra Romani e Goti si poneva, peraltro, in termini di coesistenza sullo stesso territorio di organismi mantenuti distinti nelle funzioni civili e militari e nel diritto (ius imperiale per gli uni, legge nazionale per gli altri), oltre che nella religione (i Romani erano cristiani, i Goti ariani) e non ci fu alcun tentativo di assimilazione o fusione. Per questo si è parlato di dualismo o bipolarismo a proposito dei modi di espressione politico – istituzionale, sociale e culturale, di tale convivenza tra due popoli che restarono separati, anche se indotti alla collaborazione153.

Visto anche il caso dell’Africa, in cui i Vandali distrussero totalmente il sistema politico vigente tramite l’eliminazione fisica dell’aristocrazia terriera, sembra opportuno parlare di “mutamenti nella continuità”154, della ricerca, cioè, di nuovi equilibri e di nuove soluzioni all’interno di un quadro di

riferimento tradizionale e di valori consolidati. Il voler inserire il regno di Teodorico nel solco di una continuità sostanziale con la tradizione antica ha portato ad evidenziare tutti gli aspetti di evidente analogia con l’assetto politico – amministrativo tardoromano. Sono stati messi in luce il rispetto del re ostrogoto per il senato e il mantenimento della struttura burocratico – amministrativa romana, la continuità in campo fiscale e giuridico e persino in ambiti come le prerogative del

princeps.

Riassetti significativi, invece, si possono riscontrare nell’ordinamento delle province. Queste furono sempre affidate ai consolari romani e a governatori di rango inferiore, ma essi vennero affiancate dai Goti. Accanto al governatore civile agivano i comites goti, con funzioni soprattutto militari, non disgiunte da compiti giudiziari. In quanto foederati, ai Goti era riconosciuta la facoltà di conservare le loro consuetudini nazionali a titolo di ius singulare, ma essi avevano contestualmente l’obbligo di garantire alla popolazione romana di vivere secondo il diritto imperiale. Teodorico mantenne perciò l’impegno di far osservare lo ius romano e gli editti che emanò per i Romani del suo regno

restarono entro i limiti dei poteri di un magistrato imperiale, cui spettava il compito di dare

152 T. S. Burns, Op. cit.

153AA. VV. Teoderico il Grande e i Goti d’Italia, Atti del XIII congresso internazionale di studi sull’alto Medievo,

Milano, 2 – 6 Novembre, 1992

esecuzione alle leggi imperiali e di farle osservare. I Goti continuavano a regolarsi secondo le loro antiche consuetudini nazionali.

Dal punto di vista giuridico, non è accertata l’esistenza di un corpus di leggi. Tuttavia, si può dire che due erano le giurisdizioni: lo iudex romano e il comes goto. Le liti tra Goti e Romani erano sottoposte al comes, coadiuvato per l’occasione da un romano esperto del proprio diritto. Un goto, invece, era sempre giudicato da un suo connazionale. I comites possono essere suddivisi in almeno tre livelli: al più alto grado c’era i comites provinciarum, con compito di mantenimento dell’ordine pubblico; poi c’erano i comites civitatum, posti a capo delle guarnigioni cittadine; infine i comites

Gothorum per singulas civitates, con mansioni prevalentemente giudiziarie. Nei rapporti con le

istituzioni provinciali il monarca si avvaleva di comitaci, cioè funzionari romani, e saiones, ovvero “seguaci” del re nel senso barbarico del termine, che operavano come suoi agenti o messaggeri personali.

Nel regno ostrogoto d’Italia, quindi, a fronte di una continuità dell’ordinamento amministrativo e dell’organizzazione provinciale, vennero a realizzarsi per vie come quelle descritte, trasformazioni di fatto destinate a mutare in modo profondo il funzionamento interno delle province stesse, il tenore di vita dei cittadini e gli assetti generali del regno.

L’esperienza di Teodorico ha lasciato una traccia quasi indelebile nella memoria di quelli venuti dopo di lui. Le fonti di tipo cristiano, come il Liber Pontificalis e i Dialogi di Gregorio Magno, ovviamente connotano la sua epoca come un’era di violenza e persecuzione, ma non c’è dubbio che egli rimase un mito per il popolo dei Goti e, per un certo verso, egli era gradito anche

all’amministrazione romana. Quando Giustiniano, dopo la conquista dell’Italia, emanò la

Prammatica sanzione nel 554, con la quale estendeva le leggi di Bisanzio a tutto l’impero, furono

molti gli individui che rimpiansero Teodorico e il suo regno155.

Capitolo 8: La Guerra Gotica, una “crociata

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