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La guerra gotica, una “crociata ante litteram”

Come sostiene Ravegnani, Giustiniano vedeva la riconquista dell’Occidente caduto in mano ai barbari come una sorta di missione affidatagli da Dio156. Effettivamente, durante la traduzione di Procopio, ho avuto spesso questa sensazione, vale a dire l’impressione che la guerra contro i Goti, giustificata più che altro da motivazioni ideologiche, possa essere assimilata ad una sorta di “crociata” contro gli illegittimi possessori di un territorio che, storicamente, apparteneva di diritto all’impero romano.

Subito dopo la vittoria contro i Vandali, Giustiniano pensò di proseguire l’opera di riconquista pianificando l’invasione dell’Italia. Il casus belli gli si presentò opportunamente. Teodorico,

deceduto nel 526, aveva designato come erede suo nipote Atalarico. Essendo, però, Atalarico troppo giovane per gestire il potere, ad assumere le redini del regno dei Goti fu sua madre Amalasunta. Essa, malvista dai Goti più conservatori che sopportavano con animo iniquo la presenza di una donna al governo, decise di associare al trono il cugino Teodato, un grande proprietario terriero più dedito alla letteratura e alla filosofia che al governo e caratterizzato da un’enorme avidità157.

Amalasunta, già da tempo amica dell’imperatore e di Bisanzio, non incontrava però il favore della parte aristocratica della società gotica. Per questo motivo Teodato, accordatosi con i Goti a lei avversi, nel 535 la fece imprigionare su un’isola del lago di Bolsena, per poi farla strangolare poco più tardi. L’eliminazione fisica di un’alleata dell’impero fu motivo sufficiente per far sì che

Giustiniano dichiarasse guerra agli Ostrogoti e, forse, era proprio l’occasione che stava aspettando. Giustiniano, però sapeva bene che combattere la guerra da solo non sarebbe stata per l’impero la situazione ottimale. Approfittò, dunque, dell’antica rivalità fra Franchi e Goti e, dopo aver inviato messaggeri con ingenti somme di denaro, diede ai Franchi un piccolo incoraggiamento in caso, promettendo ricompense maggiori in caso avessero voluto entrare in guerra al loro fianco158. La guerra, in realtà, non cominciò direttamente in Italia, bensì in Dalmazia, dove i Goti Gripa e Asinario nel 536 marciarono con le loro truppe contro Salona, avendo la peggio in battaglia ma uccidendo il generale Maurizio e suo padre, il comandante Mundo. Mundo era stato il baluardo

156 G. Ravegnani, Soldati e guerre a Bisanzio, Bologna, 2009. 157 Procopio, La guerra gotica, I, 3

bizantino contro i Goti nei Balcani e questa perdita danneggiava moltissimo l’impero bizantino159,

lasciando di fatto aperta ai barbari l’invasione della penisola balcanica.

Nel frattempo Belisario partì con la flotta alla volta dell’Italia. Giustinaino non gli diede moltissime truppe e Procopio parla di una forza di circa 15000 soldati160. Non è ben chiaro se la cifra si

riferisca alle truppe regolari compresi i foederati o senza di loro. La cavalleria era guidata da Valentino, Magno e Innocenzio, mentre a capo della fanteria erano Erodiano, Paolo, Demetrio e Ursicino. Belisario aveva a disposizione anche 3000 Isaurici al comando di Enne, assieme ad un piccolo contingente di Unni. Infine, era accompagnato dai suoi buccellarii, ovvero le sue guardie personali, solitamente soldati scelti o comunque uomini particolarmente valorosi ed energici. Belisario venne appuntato da Giustiniano come generale plenipotenziario dell’intera spedizione. L’imperatore sapeva bene che le truppe assegnate a Belisario non erano sufficienti per condurre una guerra su larga scala. Ritenne dunque vantaggioso cominciare la conquista dell’Italia dalla Sicilia, in modo da avere una base d’appoggio solida per poter inviare successivamente rinforzi in

sicurezza. La tattica di Giustiniano era quella di dare l’impressione di andare a Cartagine e approdare poi, a sorpresa, in Sicilia. La strategia era rischiosa e voleva prima di tutto saggiare la fedeltà dei Sicelioti nei confronti del governo goto. La strategia era rischiosa, ma a qualsiasi avvisaglia di pericolo Belisario avrebbe potuto benissimo ripiegare in Africa con una relativa facilità161. L’intuizione di Giustiniano diede i suoi frutti: Belisario, sbarcato nei pressi di Catania,

non incontrò alcuna resistenza, ma, al contrario, fu la città ad arrendersi spontaneamente a lui. Infatti la presenza dei Goti in Sicilia era esigua e moltissima città erano sguarnite di qualsiasi tipo di corpo di guardia. Maggiori difficoltà, Belisario le dovette affrontare a Palermo. La città rifiutava di arrendersi e il generale non aveva le forze sufficienti per un attacco alle mura162. Ma, non appena giunto in prossimità del porto, si rese conto che gli alberi delle navi erano più alti delle mura della città e con un abile stratagemma riuscì ad espugnarla. Dopo aver fatto issare, con delle corde, le scialuppe sugli alberi delle navi, riempì le piccole imbarcazioni con arcieri che, in questo modo, si trovavano ad essere ad un’altezza superiore rispetto alle guardie dei Goti. Bersagliandole dall’alto, i soldati bizantini riuscirono ad ucciderne la maggior parte e ad ottenere la resa della città. Con la conquista di Palermo, visto lo scarso numero di Goti presenti nell’isola, la conquista della Sicilia poteva dirsi completa.

Non appena Giustiniano fu informato di ciò, inviò presso Teodato il suo ambasciatore Pietro, con l’ordine di intimare al sovrano dei Goti di accettare la perdita della Sicilia e di abdicare in favore

159 Procopio, Op. cit., I, 7, 160 Procopio, Op. cit., I, 5 161 I, Hughes, Op. cit. 162 Procopio, Op. cit., I, 12

dell’imperatore. Il re, incapace di resistere alla pressione della situazione, accettò la proposta e subito Giustiniano ingiunse a Belisario di avanzare verso Ravenna in attesa di nuovi ordini. Dopo aver saputo della sconfitta in Dalmazia, che aveva però causato la morte di Maurizio e Mundo, Teodato riprese coraggio e si rifiutò di ratificare l’accordo preso con l’imperatore.

Contestualmente, Giustiniano ordinò a Belisario di dare inizio all’invasione dell’Italia. Il generale incontrò pochissime resistenze. Dopo aver attraversato lo stretto, la città di Reggio si consegnò a lui in resa assieme al comandante della guarnigione gota Ebrimuth. Penetrato in Italia meridionale, conquistò senza sforzo alcuno le regioni del Bruzio, della Lucania e della Campania, non avvezze alla guerra e perciò con città prive di alcuna difesa. Ma quando arrivò a Napoli, si trovò di fronte ad un grosso ostacolo. La città, difatti, aveva una buona posizione, un sistema di fortificazioni solido e in buono condizioni e, soprattutto, un corpo di guardia goto. I Napoletani mandarono a Belisario tre inviati, che vengono nominati da Procopio163: Stefano, che sembrava favorevole ai bizantini, poi Pastore e Asclepiodoto, che invece propendevano per rimanere leali a Teodato. Belisario disse che avrebbe lasciato decidere ai cittadini di Napoli e esortò Stefano a tornare in città e riferire agli abitanti che li avrebbe accontentati in ciò che avrebbero voluto. Stefano tornò dal comandante con una lunga lista di richieste da parte dei cittadini e Belisario acconsentì a concedere loro ciò che volevano. Tuttavia, Pastore e Asclepiodoto, i quali naturalmente non si aspettavano che Belisario accettasse tutte le condizioni imposte dai Napoletani, aizzarono la popolazione contro i Bizantini e li convinsero a rifiutarsi di cedere la città e se stessi al comandante. I Napoletani vennero persuasi dalle loro parole e l’assedio ebbe inizio. I Napoletani mandarono subito messaggeri a Teodato per chiedergli aiuto.

Inizialmente Belisario condusse infruttuosamente alcuni assalti alle mura, poi tagliò l’acquedotto, nonostante gli abitanti potessero sempre approvvigionarsi tramite una grande quantità di pozzi presenti all’interno della città. A questo punto ebbe un colpo di fortuna: un isaurico che stava esaminando per curiosità la struttura dell’acquedotto scoprì un piccolo foro, che poteva essere allargato tramite appositi strumenti, in modo da permettere ai soldati di entrare in città passando da lì164 e riferì la cosa al comandante. Belisario mandò allora alcuni uomini per effettuare il lavoro e, una volta che l’entrata venne allargata a sufficienza, inviò 600 uomini al suo interno. Nel frattempo Belisario comandò a Bessa di distrarre le sentinelle sulle mura parlando loro in gotico, così che i soldati potessero entrare senza essere visti. I soldati arrivarono in città all’incirca alle 3 di notte e, dopo aver ucciso le guardie, occuparono due torri nella parte settentrionale sulle mura, suonando le trombe di guerra e accendendo torce per avvertire Belisario. Quest’ultimo, accortosi che

l’operazione aveva avuto successo, ordinò un assalto immediato, in seguito al quale le porte

163 Procopio, Op. cit., I, 8 164 Procopio, Op. cit., I, 9

vennero aperte e i soldati poterono entrare in città, saccheggiandola. Belisario, dopo la frenesia iniziale, diede l’ordine che i militari interrompessero la razzia e riportò l’ordine. A causa della tensione dell’assedio, Pastore morì a causa di un colpo apoplettico, mentre Asclepiodoto venne linciato dai Napoletani per averli indotti alla resistenza.

I Goti, dopo aver saputo della caduta di Napoli, divennero ostili a Teodato per non aver mandato rinforzi alla città. Teodato fuggì atterrito verso Ravenna, ma un goto di nome Optari, inviato da Vitige, un generale energico e feroce, lo raggiunse e lo trucidò165. Vitige, di conseguenza, venne eletto re dei Goti.

Il nuovo sovrano subito si trovò di fronte a un dilemma: si aspettava, naturalmente, che Belisario avrebbe mosso verso nord, ma allo stesso tempo temeva anche un’irruzione in Italia da parte di Costanziano, stanziato col suo esercito nell’Illirico. Inoltre, anche i Franchi erano una minaccia più che reale. Lasciò allora 4000 uomini a Roma sotto Leuderi e marciò verso Ravenna con il resto dell’esercito. Una volta giunto a Ravenna, si sposò con Matasunta, figlia di Amalasunta, in modo di connettere la sua casata con quella di Teodorico. Subito dopo, mandò messaggeri ai Franchi, i quali promisero che sarebbero rimasti neutrali nei confronti di Goti e Bizantini.

Mentre Vitige trattava coi Franchi, le regioni della Calabria e dell’Apulia si arresero a Belisario e il generale si preparò ad avanzare su Roma. La situazione, a questo punto, tornò a suo favore: papa Silverio e i Romani, spaventati dalla caduta e dal sacco di Napoli, decisero di arrendersi e di consegnare la città a Belisario. Il corpo di guardia dei Goti si accorse dell’accaduto solo quando l’esercito bizantino entrò dalla porta Asinaria e non poterono far altro se non fuggire dalla porta Flaminia166. Dopo essere entrato a Roma, Belisario mandò le chiavi della città a Giustiniano

assieme a Leuderi. Era il 9 Dicembre 536167.

La prima cosa che Belisario fece una volta che si fu attestato con l’esercito a Roma fu ordinare di scavare un grande fossato attorno alla cinta e di riparare le parti delle mura che erano state

danneggiato: sapeva benissimo, infatti, che Vitige non avrebbe tardato ad arrivare con tutto l’esercito dei Goti. Nel frattempo, mandò Costantino ad occupare la Tuscia. Egli, dopo aver conquistato Spoleto e Perugia, collocò lì un corpo di guardia prima di tornare a Roma. La reazione dei Goti non tardò ad arrivare: Vitige, dopo essere venuto a conoscenza della conquista di Spoleto e Perugia da parte di Costantino, si affrettò a muovere contro Roma, nonostante aspettasse i rinforzi di Marciano dalla Gallia, per cogliere i Bizantini quando le loro forze erano divise168. Inoltre, inviò

165 Procopio, Op. cit., I, 10 166 Procopio, Op. cit., I, 14 167 I. Hughes, Op. cit. 168 Procopio, Op. cit., I, 17

un contingente comandato da Unila e Pissa in Tuscia contro Costantino, ma i Bizantini ebbero la meglio su di loro in battaglia.

Belisario aveva ordinato ai suoi subordinati di conquistare i centri della Tuscia perché sperava che i Goti, occupati in numerosi assedi, arrivassero a Roma indeboliti. Per rallentarli ulteriormente, costruì una torre sul ponte Milvio e la fece presidiare da Innocenzio e un contingente di cavalleria. Vitige, tuttavia, si rese conto che assediare città di importanza secondaria, con pochi uomini di gaurdia, non avrebbe avuto alcun senso e puntò dritto verso Roma. Belisario, avendo previsto l’arrivo di Vitige, uscì presso il ponte Milvio con 1000 cavalieri e lì venne sorpreso

dall’avanguardia dell’esercito nemico169. In aggiunta, gli uomini posti a difesa della torre,

spaventati dall’esercito di Vitige, avevano deciso di fuggire in Campania. I Goti avevano perciò incontrato per caso Belisario e la sua cavalleria dopo aver superato il ponte senza alcuna

opposizione. Belisario si vide costretto ad attaccare battaglia, combattendo in prima linea assieme ai suoi soldati. I Goti, vedendolo impegnato nel combattimento, puntarono subito contro di lui, ma le sue guardie unirono gli scudi e lo difesero. Alla fine, i Goti vennero messi in fuga. Secondo

Procopio, i Goti in questa battaglia persero 1000 uomini, ma ancora una volta sembra che lo storico di Cesarea esageri, magnificando le gesta del suo “eroe”. Quando tornarono presso la porta Salaria, i Romani non li fecero entrare, perché era giunta loro notizia che Belisario e i suoi uomini erano morti. Quando il grosso delle forze dei Goti arrivò, Belisario, con una manovra a sorpresa, ordinò ai suoi uomini di caricare il nemico. I Goti, credendo in una sortita delle truppe in città, batterono in ritirata ancora una volta, permettendo a Belisario e ai suoi uomini di entrare.

All’inizio di Marzo del 537, Vitige fece allestire sette campi fortificati attorno a Roma, in modo da bloccare le truppe bizantine in città. Comincia da questo punto l’estenuante assedio di Roma, che durerà precisamente un anno e nove giorni.

Questo assedio è stato il più lungo che la città eterna abbia mai dovuto affrontare ed è stata un’enorme prova di nervi e resistenza per entrambi gli eserciti. Dell’entità delle truppe poco sappiamo. Procopio ci informa che Vitige aveva a disposizione circa 150000 uomini170, ma sicuramente si tratta di una cifra iperbolica. Più avanti nell’opera, infatti, sostiene che i Goti non avevano abbastanza soldati per circondare tutto il perimetro di Roma171, cosa che, sicuramente, sarebbe potuta avvenire senza difficoltà con una disponibilità di 150000 soldati. Roy Boss sostiene, su basi più oggettive, che l’esercito goto contasse circa 40000 uomini, anche se il numero andrebbe ridotto tenendo conto del fatto che alcuni soldati erano stati reclutati fra gli Italici e che i Goti

169 Procopio, Op. cit., I, 18 170 Procopio, Op. cit., I, 16 171 Procopio, Op. cit., I, 19

avevano dovuto lasciare alcuni corpi di guardia nelle città settentrionali172. Contando anche le

diserzioni in Italia meridionale, Hughes asserisce che, con ogni probabilità, Vitige aveva a disposizione per l’assedio circa 25000 uomini173. Si capisce bene, allora, le grandi difficoltà a cui

dovette andare incontro Belisario per difendere le mura di Roma: essendo in netta inferiorità

numerica, era obbligato a difendere gli attacchi goti sull’intera cinta muraria dosando attentamente i soldati, in modo da perderne il meno possibile.

Vitige contava sulla scarsità del numero dei Bizantini e, sperando di prenderli per fame, concentrò la maggior parte dei suoi campi fra la porta Flaminia e la porta Prenestina, assicurando così il Ponte Milvio. Belisario prese subito le dovute contromisure: assunse il controllo della porta Pinciana e Salaria, distribuì gli uomini in maniera proporzionale alle sue forze, stabilì i turni di guardia, piazzò le macchine d’assedio sulle mura. I Goti, dal canto loro, tagliarono gli acquedotti, in modo da ridurre la disponibilità d’acqua in città e bloccare le correnti dei canali che azionavano i mulini. Belisario ovviò al problema sospendendo delle macine fra due imbarcazioni e facendole girare sfruttando la forza del Tevere. Dopo 18 giorni di assedio, Vitige scagliò un attacco contro le mura, con tanto di torri d’assedio, ma i Bizantini, grazie anche alla loro artiglieria, riuscirono a metterli in fuga e ad inseguirli. Procopio ci dice che in questo frangente vennero uccisi 30000 Goti174, ma la cifra sembra inaffidabile. Ci fu un attacco anche presso la porta Chiusa, ma Belisario assieme a Cipriano riuscirono a mettere in rotta i nemici. Le torri d’assedio vennero bruciate e i soldati dell’imperatore si barricarono ancora una volta all’interno delle mura.

Ian Hughes descrive questo successo di Belisario come un “masterpiece of defensive warfare”175. In

effetti, il generale aveva mostrato ai nemici con chi avevano a che fare e allo stesso tempo aveva dato prova ai soldati che i Goti, seppure in superiorità numerica, potevano essere sconfitti.

Contestualmente, però, era ben conscio di non avere le forze necessarie per resistere ad un assedio di lunga durata, perciò chiese rinforzi a Giustiniano. Procopio ci informa che, a questo punto, le sue forze erano ridotte a 5000 uomini, numero ovviamente poco realistico, che confessa la tendenza di Procopio ad esagerare, in positivo o in negativo, con le cifre. Ad ogni modo, per aumentare il numero delle sue forze, Belisario arruolò per i turni di guardia anche i cittadini, fornendo loro una regolare paga. Poi, per ridurre il numero di persone da sfamare, inviò le donne e i bambini a Napoli e favorì una maggior rotazione dei turni di guardia, in modo da evitare tradimenti o diserzioni a favore dei nemici. I Goti, dal canto loro, il 13 Marzo 537 conquistarono Porto, lo scalo della città, stanziandovi 1000 soldati a difesa. Venti giorni dopo, arrivarono Martino e Valeriano, con 16000

172 R. Boss, Justinian's Wars: Belisarius, Narses and the Reconquest of the West, Monvert, 1993 173 I. Hughes, Op. cit.

174 Procopio, Op. cit., I, 23 175 I. Hughes, Op. cit.

unità di foederati, soprattutto cavalieri Unni, Slavi ed Anti. Belisario, rincuorato dai rinforzi mandati dall’imperatore, assunse un comportamento più aggressivo, ordinando quotidianamente delle sortite improvvise contro il nemico, in modo da assottigliarne i ranghi. Grazie alla sua idea di porre le catapulte sulle mura, la ritirata dei suoi uomini in fuga verso le mura della città era sempre coperta. Procopio ci informa che solo nel corso delle prime tre sortite vennero trucidati 4000 Goti176.

I successi risollevarono senza dubbio il morale delle truppe romane, tanto che a poco a poco la loro fiducia si trasformò in vera e propria esaltazione. Le truppe al completo si recarono difatti presso Belisario, facendo pressione su di lui affinché li facesse scendere in battaglia per ingaggiare uno scontro decisivo contro l’esercito di Vitige. Inizialmente Belisario era riluttante e preferì continuare per un po’ la sua tattica di sortite imprevedibili. Ma quando le sue mosse divennero prevedibili, si risolse ad accontentare i soldati e li schierò in battaglia davanti alla porta Nomentana. Inviò poi Valentino e i suoi uomini attraverso la porta Aurelia nel Campo di Nerone, per affrontare Marciano. Vitige rispose al generale bizantino e schierò il suo esercito in maniera molto tradizionale, con la fanteria pesante al centro e la cavalleria ai lati. La battaglia cominciò con uno scontro a distanza fra gli arcieri; poi, man mano che i dardi si esaurivano, si arrivò allo scontro frontale. Procopio ci racconta qui le gesta di valore di Atenodoro, guardia di Belisario e di Teodorisco e Giorgio, guardie di Martino177. La battaglia cominciò ad infuriare nella parte centrale dello schieramento e i

Bizantini, almeno all’inizio, ebbero la meglio. I Goti reagirono facendo caricare l’ala destra della loro cavalleria, che riuscì a mettere in rotta l’ala sinistra bizantina e parte della fanteria. La battaglia si sarebbe conclusa con un disfatta se una sezione della fanteria, quella guidata da Principio e Tarmato, resistendo strenuamente non avesse bloccato l’avanzata della cavalleria e permesso ai soldati alleati di rifugiarsi presso il fossato e le mura. I cittadini, che stavano guardando la battaglia, non li fecero entrare, ma i Goti, vedendo un gran numero di uomini schierati sopra le mura, nono osarono avanzare per annientarli. Anche nel Campo di Nerone le cose non andarono come sperato. Accadde che truppe irregolari di cittadini si unirono all’esercito, creando una confusione e un disordine che Valentino non riuscì a controllare, con il risultato che fu costretto a rifugiarsi

nuovamente all’interno delle mura dopo aver perso molti soldati durante la fuga. In seguito a questa battaglia di esito incerto, Bizantini e Goti non scesero più in campo per un combattimento decisivo. All’indomani dello scontro, Belisario tornò alla vecchia tattica del “mordi e fuggi”. Procopio

sostiene che, nel corso delle sortite, l’esercito Bizantino usciva per lo più vittorioso178, senza però

ottenere alcun risultato definitivo. Poco dopo l’equinozio di primavera, una carestia e una pestilenza

176 Procopio, Op. cit., I, 27

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