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Il Gottardo cento anni dopo

Nel documento Cronache Economiche. N.358, Ottobre 1972 (pagine 38-44)

Piera Condulmer

La dinamica dei trafori ferroviari alpini.

« Più si considera la situazione del Piemonte e più è favorevole. Posta tra Italia e Francia, appare come, attraverso certi arrangiamenti, può divenire la intermediaria dei loro commerci, a imitazione degli olandesi. È un dogma della nostra politica dopo Carlo Emanuele I I di av-vantaggiare la scala per il Cenisio, su ogni strada ».

Cosi diceva il Perrone, governatore della Savoia.

Fu questa una costante della politica eco-nomica perseguita dai conti, dai duchi, dai re sabaudi dal!'XI al X I X secolo, dettata del resto da una logica geografica, sia quando essi dominavano uno stato di versante o di valico, sia quando questo gradatamente perdette tale caratteristica geopolitica, dopo il XVI secolo. Questo perché il Cenisio aveva il pregio e di essere posseduto da un solo sovrano nei suoi due versanti, e perché il suo passaggio sud dava accesso alla valle più breve e più comoda delle Alpi, quella di Susa, sia perché metteva in comunicazione diretta, si può dire, la pianura Padana con il corso del Rodano e il centro di Lione, che fin dall'inizio della sua storia fu em-porio commerciale di prim'ordine, per certe sue peculiari caratteristiche ambientali; sia in-fine perché il baricentro politico amministra-tivo francese andò gradatamente spostandosi verso nord rendendo sempre più attuale il Cenisio rispetto al Monginevro.

Abbiamo già accennato all'intero capitolo dei valichi scritto dallo Stato sabaudo nella storia della geografia politica ed economica; capitolo che studiato in sé, nella dinamica delle sue componenti e delle forze centripete in un punto e centrifughe in un altro, lo hanno carat-terizzato: possiamo dire che in certi momenti è assurto a valore di opera d'arte, creatore di un complesso di norme, di personale, di servizi di organizzazione, di risorse nuove, di dottrine nuove, di una nuova amministrazione infine. E su di esso lo Stato ha poggiato, nei momenti più infausti, la sua sopravvivenza stessa. La lotta per i valichi alpini prima fu solo di natura fiscale, più tardi assunse aspetti mer-cantilistici.

I valichi; croce e delizia dello Stato pie-montese, da cui riceveva tributi, daciti, gabelle, pedaggi, fonti inesauribili per l'erario; croce per il traffico commerciale di mezza Europa.

Politica dei valichi e poi dei trafori: capi-tolo di storia politica, geografica, economica squisitamente piemontese, i cui protagonisti han maneggiato passi, vie di accesso, strade, come strumenti vivi di una diplomazia perenne, aprendo, chiudendo, ampliando, restringendo, moltiplicando, dividendo, rincarando, diminuen-do dazi e pedaggi, in colloquio continuo con il momento, le circostanze, le varie forze prementi ai confini. Tutto questo anche se in forma talvolta criticabile, per i criteri odierni, perché fuori della temperie che aveva determinato tali forme.

In questa visione dinamica della interpre-tazione del territorio, per raggiungere certi fini di politica commerciale, l'agilità mentale di alcuni sovrani, in un contesto politico profon-damente diverso da quelli precedenti, giunge nell'ottocento ad ampliare il suo orizzonte molto al di là dei confini politici, lino a concepire, con Carlo Alberto, di finanziare trafori alpini in territorio svizzero, ai primordi della ferrovia, per captare linee commerciali che stavano per sfuggire al suo controllo, se non si fossero immediatamente a t t r a t t e (1). E questa è una ansia che non è molto lontana da noi, perché è del X I X secolo. Ed è tanto poco lontana, che ci verrebbe da dire che certi problemi sono

ancora oggi assillanti; ed invece dobbiamo dire

che sono di nuovo oggi presenti, in certi punti nevralgici della nostra cosiddetta infrastruttura dei trasporti.

II periodo carloalbertino fu assillato da due minacce nell'ambito delle vie di commercio; ad ovest e ad est. Ad ovest la politica del rifor-nimento del sale alla Savoia, fondamentale per la sua economia pastorale, tendeva a divenire vessatoria da parte della Francia: il sale non veniva fornito da governo a governo, ma attra-verso impresari appaltatori legati alla dogana di Lione, che ad un certo punto tentarono di

(1) Bisogna ricordare che già nel 1840 era stata costi-tuita a Torino la Commissione per le strade ferrate, presie-duta da Giuseppe Manno, con C. Alfieri e C. Cavour.

CARTA DIMOSTRATIVA DELLE FERROVIE DELLA REGIONE SOTTO ALPINA

appaltare t u t t e le gabelle della Savoia, con complicità e collusione franco-savoiarde, nel tentativo subdolo e sempre più pressante di legare la Savoia alla Francia. Di qui derivavano t u t t i gli sforzi da parte dei re piemontesi di mantenere aperti e transitabili i valichi del Cenisio e del S. Bernardo, per mantenere i più frequenti contatti possibili con la provincia ultramontana, e approvvigionarla di sale, valen-dosi anche della concorrenza del rosso sale spagnolo. Preoccupazione che secoli addietro aveva spinto Carlo Emanuele II a praticare l'impervia strada di Tenda.

Il pericolo verso est era rappresentato, dopo l'annessione di Genova al Piemonte, dal f a t t o che il movimento del porto di Genova, orientato verso Milano durante il periodo napoleonico e con grande suo beneficio, avesse a decadere per la necessaria politica antiaustriaca dello Stato Sardo, che mirava a sottrarre la maggiore cor-rente di traffico possibile alla Lombardia, anche quello di transito verso la Svizzera di coloniali e cotone. Per cui occorreva dare un adeguato sbocco a Genova nella valle P a d a n a e collegarla ai mercati centroeuropei, con una strada che puntasse verso nord fino al Lago Maggiore.

L'avvento della ferrovia fu salutata da

Carlo Alberto come la panacea ai suoi guai, ma voleva che essa nascesse con una s t r u t t u r a di rete commercialmente, ma anche politica-mente adeguata e valida. Per questo le sue realizzazioni tardarono a farsi vedere, fino al '48; ma furono concepite globalmente e con visione europeistica. La questione della Savoia, (dopo i molti tentativi andati a vuoto del giova-ne ex ufficiale del Genio militare, Camillo di Ca-vour in accordo con società finanziarie ginevrine), Carlo Alberto la risolse con una linea ferrata, Torino-Susa, da continuare poi come si sarebbe potuto; la questione genovese l'affrontava con un'altra linea ferrata, che congiungesse Genova con Torino, ma che s o p r a t t u t t o ad Alessandria trovasse la via aperta per salire fino al Lago Mag-giore, al lago di Costanza, al Reno e via via (1).

Il problema ferroviario acquistava t u t t a u n a coloratura politica che non era solo italiana ma europea, e implicando il libero rapporto di scambio commerciale tra gli stati, implicava la libertà e la indipendenza di essi.

E verso questa concezione c'era una v a s t a corrente giornalistica gravitante intorno al

Gio-(1) Per i trafori del Fréjus e dei Giovi vedi « Cronache Economiche » n. 350/1 e n. 353/4.

berti, oltre che di uomini come il Cavour, il Petitti e molti altri. Per questo il Baden, la Baviera, il Wurtemberg approvano il vasto progetto ferroviario proposto da Piemonte e Svizzera, per formare con esso un vasto si-stema economico attraverso il Luckmanier, con lo Zollverein germanico e gli stati italiani più indipendenti dell'Austria. Pertanto echi del problema ferroviario italiano si trovano nelle discussioni del Parlamento di Francoforte del '48, per l'espansione dell'unità commerciale centro-Europea.

Trattative perciò furono condotte con i cantoni di San Gallo, dei Grigioni e Ticino. Le successive guerre infauste e fauste, non consentirono mai una realizzazione completa del progetto, finché dopo Villafranca la carta politica d'Italia veniva modificata, ed altre necessità bisognava far collimare, con l'annes-sione a p p u n t o della Lombardia.

Dal Menabrea fu allora nominata una Com-missione per lo studio della nuova ubicazione di trafori. La Commissione coneluse i suoi lavori riconoscendo che il traforo più conve-niente era quello del Luckmanier già individuato da Carlo Alberto, ma « per l'avvenire d'Italia e per gli interessi generali del commercio europeo, doversi scegliere quello che unisca maggior somma di vantaggi commerciali, economici, politici ». Un'altra Commissione formata da esperti di t u t t a Italia, doveva decidere sulla maggiore convenienza tra il traforo dello Spluga e quello del S. Gottardo: lo Spluga avrebbe a v u t o ingresso in Italia, a Chiavenna, il

Got-tardo presentava il vantaggio di unire, la Svizzera centrale, la Lombardia, il Canton Ticino, la Renania, e attraverso il Reno il nord d'Europa. I l „ £ o t t a r d o poi ha una particolare posizione, tra i valichi occidentali.

L'Austria capi che il traforo del Gottardo avrebbe minacciato il traffico j>er il Brennero, allora costruì la galleria orizzontale dell'Arlberg tra Inn e Reno.

Carlo Cattaneo, fervente gottardista, voleva persuadere in ogni modo i genovesi ad accettare di buon grado il Gottardo per la sua convenienza, che lo avrebbe fatto preferire ad ogni altra linea di trasporto, perché abbreviava di 100 lometri la distanza Calais-Brindisi, di 200 chi-lometri l'Anversa-Brindisi, e si avvantaggiava pure di 200 chilometri rispetto a Marsiglia, per l'Egitto. Si doveva perciò costituire un Consorzio Internazionale per la costruzione del traforo, quando la Prussia offerse all'Italia una alleanza offensiva contro l'Austria, che diede luogo alla discutibile terza guerra d'indipen-denza. Finita la guerra si ripresero le tratta-tive, ma il ministro Jacini dovette tenere gli occhi bene aperti, perché la Germania voleva far ricadere il costo dell'impresa quasi t u t t o sull'Italia. Nell'autunno del '69 Italia, Svizzera, Germania convennero a Berna per deliberare, per dare ad una Società internazionale la con-cessione della rete svizzera, per 102 milioni. Ma un'altra guerra venne di nuovo ad inter-rompere ogni conclusione: la guerra franco-germanica del '70, che doveva portare la Con-federazione tedesca all'Impero germanico.

L I N E A P R E A L P I N A '

P R O F I LI DELLE LINEE F E R R O V I A R I E

PROPOSTE

P E R U N I R E T O R I N O A L G O T T A R D O rilevali sullo carie dello Sialo.Maggiore

Uopo la pace, poco prima che le truppe italiane entrassero in Roma, il Parlamento ita-liano approvava la spesa prevista per il traforo del Gottardo, convenuta per l'Italia in 45 milioni, cioè più di quanto Svizzera e Germania insieme avrebbero sborsato. In più dovemmo ancora sborsare 13 milioni per lavori imprevisti, e costruirci il tronco Novara-Pino per agevolare il transito per Genova.

Si stava intanto ultimando la grande im-presa modello per l'Europa, del Fréjus, e gli esperti operai italiani furono quasi tutti pre-notati per la nuova impresa (2); si sperava che anche la direzione e l'esecuzione venisse af-fidata ad italiani, invece, di fronte all'offerta di 47.800.000 per dare l'opera finita, da parte dell'impresa dello svizzero Fabre, fu respinta quella della Società italiana dei lavori pubblici, del Grattoni, di 67.280.000.

Ma il ginevrino non aveva fatto bene i suoi calcoli, e non seppe j^roporzionare bene le spese, profondendo inutili pietre pregiate nella costru-zione di stazioni svizzere; inoltre il suo sistema di avanzamento suscitava continue discussioni; e dire che i mezzi tecnici erano già molto supe-riori a quelli usati per il Fréjus; non si preoc-cupò a sufficienza dei sistemi igienici per i lavo-ratori, t a n t o che ne morirono 187 di malattie polmonari, mentre nemmeno uno era morto al Cenisio per tale causa. Data l'enorme lunghezza di 19 chilometri del traforo, bisognava subito predisporre sistemi per diminuire la forte umi-dità dell'aria (dovuta anche ad enormi fuoru-scite d'acqua impreviste), fino allo stabilirsi dell'areazione normale con l'apertura totale della galleria.

Inoltre si produsse una malattia epidemica dovuta alla morsicatura di un insetto, che aveva trovato un magnifico habitat in quella temperatura di 31° e in un ambiente saturo di umidità.

Nei 13 anni di lavoro sotto il Fréjus nulla di t u t t o questo.

Il povero Fabre nel gorgo di un'impresa fallimentare, sgomento per le sfavorevoli im-previste condizioni ambientali (il Gottardo in-fatti non diede del t u t t o ragione alle previsioni dei geologi), si senti sommerso, e mori di un colpo sul lavoro. Subentrò un altro svizzero, ma di origine italiana, il conte Rossi, milanese, figlio di un fuoruscito, che portò a termine l'opera, immane. Essa comportò 62 gallerie mi-nori per un totale di 41.454 metri, con 63 ponti di varia n a t u r a per 3.050 metri. In essa si applicarono nel corso dei lavori alcune novità meccaniche e tecniche, come la perforatrice ad acqua compressa dell'ingegner B r a n d t per un rapidissimo avanzamento, che giunse fino a

7 metri al giorno usando per la prima volta la dinamite; si costruirono 7 gallerie elicoidali, già proposte dall'ing. Pressel, che consentono di superare in breve tratto forti dislivelli. Fu superata e vinta presso l'imbocco di Airolo, la terribile sorpresa dello sgorgare di acque tor-renziali anche a 340 litri al secondo. Contraria-mente al previsto, s'incontrarono terreni forte-menti spingenti, gneiss decomposti dell'Urseren, che costrinsero a sospendere la perforazione meccanica, a fare e rifare varie puntellature sempre sfasciate dalla forte pressione, fino a ricostruire la volta della galleria in pietra da taglio, dell'enorme spessore di due metri. Si dovette portare la testa della galleria ad una cinquantina di metri più avanti in galleria arti-ficiale, per evitare il suo ingombro da neve, massi di caduta, valanghe, frane.

Opera veramente ciclopica, che consumò la vita e le sostanze di un uomo che l'aveva con-siderata con troppo ottimismo, e che dovette abbandonare la figlia alla carità degli inflessi-bili amministratori tedeschi della nuova Società del Gottardo, che tuttavia si decisero a darle una pensione di 10.000 franchi annui per non lasciarla morire di fame.

La nuova amministrazione ebbe l'accortezza di portare al rapido esercizio tronchi ad un solo binario, mentre si allestiva il secondo; di realizzare forti economie, che le consentirono di portare alla piena efficienza dell'esercizio l'imponente apparato viario, compresa la fer-rovia di Monte Ceneri, il 1° luglio 1882. In questa occasione un inviato straordinario sviz-zero portò un album ricordo a Umberto I, in cui era detto che l'idea prima di tale opera era da ricercarsi in un t r a t t a t o di commercio stipulato tra Carlo Alberto e il Canton Ticino nel 1845.

L'apertura della linea f u come girare una chiavetta magica: merci e viaggiatori si preci-pitarono su quella ferrovia, premendo ai suoi imbocchi.

Nei primi sei mesi la Società fece un incasso lordo di 5.686.074,71 franchi, e il ricavo netto risultò di 1.800 franchi al chilometro; l'anno successivo il ricavo lordo al chilometro fu di 43.559 franchi, e nel 1903 fu di 83.873,16, che al n e t t o risultava di 36.475,16 al chilometro, contro ogni previsione, specialmente italiana.

Dopo di che si provvide al raddoppio di t u t t i i binari. Il 4 0 % di t u t t o il traffico alpino passa per il Gottardo ora; per questo la Sviz-zera ha deciso il traforo autostradale.

(2) All'apertura dell'ultima galleria elicoidale di Prato, un operaio piemontese grida: « Sa parleisso le montagne, parlerio piemonteis ! ».

I n a u g u r a z i o n e d e l l a l i n e a d e l G o t t a r d o .

Prima di tale traforo il nostro scambio con la Germania era ben poca cosa; nel 1903 era di 388.000 tonnellate e con la Svizzera di 248.000 tonnellate; i viaggiatori centinaia di migliaia.

Quale fu l'utile derivatone al porto di Ge-n o v a ? E diffìcile stabilirlo coGe-n esattezza, perché molte altre circostanze intervennero a migliorare la sua situazione. Si deve peraltro constatare una coincidenza di date almeno: proprio nel 1882 il sonneccliioso movimento del porto di Genova sali a 2.660.325 tonnellate, e nel 1903 a 5.718.795 tonnellate.

L'aumento dei traffici di t u t t a la zona inte-ressata dal Gottardo, compreso il Ticino, s'in-nestava nel problema dell'intasamento della linea dei Giovi; per questo il Comitato ligure-lombardo nel 1907 propose la direttissima Mi-lano-Genova attraverso un terzo traforo dei Giovi, calcolando un aumento del traffico in ragione di 220.000 tonnellate annue; si stabili t u t t o un piano per un buon collegamento con il Gottardo.

Nel 1911 intervenne l'elettrificazione della linea a migliorare la situazione. Poi intervenne

la guerra a rendere stagnante la situazione, e via via t a n t e altre circostanze, che fecero si che Genova si trovi ancora di fronte ai suoi eterni problemi.

Certo non furono t u t t e rose per noi, che dovemmo subire una invasione di merci ger-maniche e svizzere, senza un corrispettivo di esportazioni per le tariffe imposte troppo alte. Per noi che avevamo contribuito con la mag-gior quota, era un poco una delusione, che si t r a m u t ò in scoramento, quando, contrariamente al previsto e al convenuto, la Svizzera incorporò la rete del Gottardo alla rete svizzera anche se con forte indennizzo dato a noi. Il che diede luogo ad un jus condendum dei valichi.

Questo f a t t o renderà molto guardinga l'Ita-lia quando si t r a t t e r à del traforo del Sempione.

Ad altre molte discussioni diede luogo in Piemonte il traforo del Gottardo, per definire la linea di allacciamento con Torino e il Fréjus. Due diverse tesi si opponevano: quella della Provincia e del Comune, che reclamavano un rapido collegamento da Santhià per Borgoma-nero, Sesto Calende, Luino; e quello della Ca-mera di commercio che sosteneva una linea

sotto alpina, Leynì, Scaramagno, Ivrea, Biella, Vallemosso, Torre Boceione, Omegna, Pallanza, per farne beneficiare gli opifici biellesi. Discus-sioni che ritardarono la messa in opera di una infrastruttura che sarebbe dovuta essere già in atto all'apertura del traforo nel 1882, per captare subito correnti commerciali che è sem-pre poi difficile far deviare. E di questo ritardo dovettero molto rammaricarsi in seguito.

Se il Fréjus aveva determinato t u t t o un fervore d'idee, d'inventive, di ricerche, di espe-rimenti in t u t t a Europa, il Gottardo vorrei dire che ha beneficiato della maturazione di quel travaglio tecnico e scientifico, perché nei pochi anni che separano le due grandi imprese del-l'ingegneria moderna, nuovi strumenti si erano ormai perfezionati, nuove tecniche, nuove con-quiste scientifiche. Per esempio non si usò più la polvere nera da mina, ma solo la dina-mite di Sobrero e Nobel, e se ne impiegò un milione e 200.000 chilogrammi; la galleria non fu più costruita per locomotive a vapore, ma t u t t a elettrificata, e l'ansimante vaporiera di-ventò il locomotore elettrico giunto a 14 assi accoppiati e molti motori: i «coccodrilli» del Gottardo di 8.000 V e i « mastodonti » del Gottardo a 24 V., trainanti 600 tonnellate a 75 chilometri l'ora, su di una pendenza del 2,60%. I 15 chilometri l'ora dei Giovi è già preistoria !

Trionfano le perforatrici ad acqua com-pressa, e si procede ad una media di 7 metri l'ora; la produzione delle rotaie d'acciaio è ormai a carattere industriale, e sui treni co-minciano a circolare galloni di petrolio. Fortis-simi interessi si scatenano su questa linea; il momento tecnico e industriale è stimolante. Sul valico passavano 60.000 2) e r son e al-l'anno su diligenze a cavalli; nel primo anno di esercizio della ferrovia ne passarono 4 mi-lioni; oggi nonostante l'apertura di altri trafori e le autostrade si ha un passaggio di circa 9.000.000 eli viaggiatori, nei due sensi e più di 8 milioni di tonnellate di merci. Prima oc-correvano 4 giorni di diligenza per andare da Milano a Lucerna, ora bastano 4 ore. Quante migliaia di nostri emigranti sono passati per quel buco diretti in Belgio e in Germania? Quanti quintali della nostra f r u t t a è salita a illuminare il paesaggio nordico ? Quanti mi-lioni di quintali di pesce sono transitati verso il sud, nella bara dei vagoni bianchi ? E quanto carbone, quanti rottami di ferro ?

Tre generazioni di ferrovieri italiani si suc-cedettero sotto quel monte, prima che fossero sostituiti dai ticinesi.

Quando si aperse nell"82 la linea del Got-tardo, forse allora si capi veramente come dai suoi fianchi potessero scendere fiumi diretti per t u t t a l'Europa: il Rodano, il Reno, il Ticino, il Reuss. Il Mons Tremulus dei romani era come il cuore d'Europa. Ai suoi piedi s'incon-travano i cantoni di Uri, dei Grigioni, il Ticino, il Vallese. La spina dorsale della linea è da Bellinzona per Lucerna e Basilea, ma da questa spina dorsale si staccano nervi altrettanto im-portanti, per Zurigo, per San Gallo, per il Lago di Costanza, per Magonza e da Basilea il venta-glio di linee per il nord, per il Belgio, per Parigi.

Nel 1237 in certi Statuti del Vallese si parla già della strada del Gottardo come di una via commerciale, alla cui manutenzione erano obbligati i comuni delle valli Levantina, Blenio, Riviera, nonché Como e Milano, il che ci dice l'ampiezza della sua zona d'azione.

Ma la posizione del Gottardo ha un'altra

Nel documento Cronache Economiche. N.358, Ottobre 1972 (pagine 38-44)

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