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Cronache Economiche. N.358, Ottobre 1972

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CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA

(2)

Fondata nel 1827

Riserve 48 miliardi

Depositi oltre 1100 miliardi

Tutte le operazioni e i servizi bancari

alle migliori condizioni

(3)

cronache

economiche

mensile della camera di commercio industria artigianato e agricol-tura di forino numero 358 - ottobre 1972

sommario

L. M a l l i

3 Architettura rinascimentale in Piemonte nella prima metà del '500

G. Piazzoni

15 Le prime tre leggi regionali sulla montagna approvate in Sicilia, Umbria e Puglia

G. Biraghi

19 Gli italiani, quanti sono e dove

A. Trincheri

27 I diritti speciali di prelievo perno fondamentale della riforma

E. Battistelli

30 La conduzione agricola diretta

A. C i m i n o

33 Una nuova fonte di approvvigionamento di rottame

P. C o n d u l m e r

36 II Gottardo cento anni dopo

U . B a r d e l l i

42 Terreno ed acqua

A. Vigna

49 Tecnica e metallurgia fondamentali per lo sviluppo della umanità

G. Lega

53 Note di documentazione tecnica 57 Tra i libri

66 Dalle riviste

Corrispondenza, manoscritti, pubblicazioni deb-bono essere indirizzati alla Direzione della Ri-vista. L'accettazione degli articoli dipende dal giudizio insindacabile della Direzione. Gli scritti firmati o siglati rispecchiano soltanto il pen-siero d e l l ' A u t o r e e non impegnano la Direzione della Rivista né l'Amministrazione Camerale. Per le recensioni le pubblicazioni debbono es-sere inviate in duplice copia. È vietata la ri-produzione degli articoli e delle note senza l'autorizzazione della Direzione. I manoscritti, anche se non pubblicati, non si restituiscono.

Figura in copertina:

Meo del Caprina - Facciata del Duomo di Torino

Direttore responsabile: Primiano Lasorsa

Vice direttore:

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CAMERA DI COMMERCIO

INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA

E UFFICIO PROVINCIALE INDUSTRI A COMMERCIO E ARTIGIANATO

Sede: Palazzo Lascaris - Via Vittorio Alfieri, 15.

Corrispondenza: 10121 Torino - Via Vittorio Alfieri, 15

10100 Torino - Casella Postale 413.

Telegrammi: Camcomm.

Telefoni: 55.33.22 (5 linee).

Telex: 21247 CCIAA Torino.

C/c postale: 2/26170.

Servizio Cassa: Cassa di Risparmio di Torino.

- Sede Centrale - C/c 53.

BORSA VALORI

10123 Torino - Via San Francesco da Paola, 28.

Telegrammi: Borsa.

Telefoni: Uffici 54.77.04 - Comitato Borsa 54.77.43

- Ispettore Tesoro 54.77.03.

BORSA MERCI

10123 Torino - Via Andrea Doria, 15.

Telegrammi: Borsa Merci - Via Andrea Doria, 15.

Telefoni: 55.31.21 (5 linee).

GABINETTO CHIMICO MERCEOLOGICO

( p r e s s o la Borsa Merci) - 10123 T o r i n o - Via Andrea Doria, 15.

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Architettura rinascimentale in Piemonte

nella prima metà del '500

Luigi Malie

La cultura « rinascimentale » in Piemonte assume un timbro particolare ; è particolare del re-sto tutta Varte rinascimentale padana che, per le sue impre-scindibili ragioni e non per in-cultura o ritardi, si orientò, lungo il '400 e il '500, verso modi espressivi che, solo sporadica-mente e con libera interpretazio-ne, si allinearono con le corren-ti umaniscorren-tiche classicheggiancorren-ti, sempre — salvo intervento diretto di toscani — accogliendo la nuova cultura in accezione « ri-formata », cioè sottomessa a re-visione. Il Piemonte natural-mente accentua il carattere nor-dico. Non hanno quindi senso i luoghi comuni, tenaci, su una limitatezza d'orizzonti del Pie-monte di fronte al rinnovamento rinascimentale, che lo toccò fin dove e quando potè accordarsi con una sensibilità tanto diversa. Ne nacquero accostamenti o com-penetrazioni gotico-rinascimenta-li; si ebbero interpretazioni ri-nascimentali di indirizzo lom-bardo-veneto per intervento di forestieri della valle padana cen-trale e orientale; questa parte-cipazione, anzi, si fece più fre-quente nel '500, se mai .sottoli-neando una ritrosia piemontese a trattare personalmente uno stile d'eleganza aulica, però ap-prezzandolo, si che allogazioni d'opere del nuovo gusto furono frequenti e, quando maestranze locali tradussero con limpida fa-miliarità, creazioni pittoresche e poetiche si susseguirono, assi-milando un ritmo, una misura, un equilibrio da quello che era il fondamento stilistico e

spi-rituale del rinascimento, senza curarsi delle sue formulazioni canoniche.

Occorre seguire attentamente gli sviluppi lungo tutto il '500, sfatando in primo luogo l'opi-nione che un risveglio «

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quadro non è sempre omogeneo, né ha strette corrispondenze nelle varie arti che seguono sollecita-zioni di natura e origine diffe-renti.

Torino ebbe poche architetture cinquecentesche ma fu tra le prime località ad abbellirsi con edifici rinascimentali, iniziò anzi chiamando per il nuovo Duomo un architetto di formazione fio-rentino-romana, Meo del Ca-prina da Settignano, nel 1491. Questi edificò la severa e spoglia cattedrale a tre navate con tiburio

cupolato, facciata a due ordini collegati da volute laterali, di riposata semplicità ; l'interno ha più slancio nel forte slivello fra le navate e nel rapido corso delle arcate strette. Il nitido e scarno edificio (abbellito in facciata da tre portali in marmo a motivi classici) è spaesato nell'ambiente che lo circonda, rinnovato se-condo tre successive fasi barocche.

Distrutto è andato l'oratorio del S. Sacramento edificato da Matteo Sanmicheli, architetto-scultore educatosi nel filone di

Verona e che dedicò gran parte della sua attività al Piemonte, da Torino a Casale, Alba, Sa-luzzo. Era, il suo, un gusto già a fondo « riformato », filtrando molteplici orientamenti lombar-do-veneti; uno stile d'eleganza fiorita, fitto di valori decorativi entro la trama strutturale.

Se Torino ebbe allora pregevoli costruzioni rinascimentali non alterò la sua fisionomia essen-zialmente gotica; a questo mo-mento varie città minori pie-montesi si rinfrescano più larga-mente e festosalarga-mente d'un rinno-vamento più diffuso nell'edilizia sacra, e privata. Solo nella se-conda metà del '500 le costruzioni via via intraprese in Torino (fra le abitazioni private lo squi-sito palazzetto Scaglia di Verrua in Via Stampatori, con armo-nioso cortile) incominciano a mu-tare l'aspetto cittadino con nuovi punti di riferimento stilistici e urbanistici. Non lontano da To-rino, a Vinovo il cortile del castello, con tenero risalto di terrecotte, è di fiorito ornatismo.

Carmagnola, ancora agli ul-timi anni del '400, affidò a Meo del Caprina (1496) il rin-novamento parziale della fac-ciata gotica di S. Agostino, poi trasformata nelV'800. Il setti-gnanese fu chiamato in luogo di Benedetto Briosco lombardo e di Matteo Sanmicheli che erano nella rosa dei candidati di una prima deliberazione. Costruzione assai cospicua è la canonica della parrocchiale di Villanova Solaro (fine '400) benché rima-neggiata, con un piano terreno a grandi fincstrati gotico-rinasci-mentali, scompartiti ognuno in sei riquadri e chiusi da multipla sagoma con colonnine alle estre-mità; il primo piano era in origine una spaziosa loggia con arcate fortemente ribassate, in legamento continuo; una seconda loggia sovrastante, bassa è sem-plicemente trabeata.

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bra-mantesca nella -pianta a croce greca, con tiburio all' i ncrocio delle due corte braccia; la solu-zione è di vivo interesse anche se effettuata con incongruenze di legamento e proporzione tra corpo e facciata. Questa dà, di idee bramantesche, un'interpretazione già inclinata, secondo gusti liguri. Più armonica, la parrocchiale di San Lorenzo di Saliceto-Langhe, a pianta basilicale con tiburio circolare e facciata tosco-romana a due ordini, collegati lateralmente eia piccole ali trian-golari; ricchi i tre portali, specie il centrale a guisa di arco trion-fale, percorso da motivi a can-delabra. Tre oculi tondi forano pittorescamente le superfici. Mol-to singolare la facciata della par-rocchiale di S. Giorgio Canavese, spartita in larghi luminosi piani da nude lesene; l'ordine supe-riore ha fastigio trilobato di chiara indole veneto-lombarda su cui poggiano pinnacoli di vago ricordo tardogotico.

Saluzzo, dove il gotico « flayn-boyant » ebbe uno dei centri più vitali e fantasiosi, coltivò un elegante gusto rinascimentale con l'arrivo di scultori del cantiere della Certosa di Pavia e con Matteo Sanmicheli, quest'ultimo specialmente autore di portali e monumenti tombali, con fini de-corazioni: tra. i primi quello della Casa. Cavassa che, anche come edifìcio, presenta carattere nuovo col suo alto pianterreno fungente da imponente basamento dipinto a finto bugnato; cosi pure nel-l'atrio e nel porticato ad ampi arconi, mentre la manica tra-sversale mantiene caratteri tar-dogotici. A Revello, la collegiata gotica s'adornò d'un grande por-tale di scuola del Sanmicheli. Il nuovo gusto entrò pure nel castello marchionale dalle belle logge, in gran parte distrutto.

Edificio rimaneggiato ma di originale pianta è a Saluzzo, sulla via della Manta, il palaz-zetto poi denominato il « Belve-dere » costruito non da Ludo-vico II (o almeno, da lui

sol-tanto iniziato) ma dalla vedova Margherita di Foix e che ha intonazione di bella chiarezza e proporzione rinascimentale, se-condo una interpretazione « alla francese », appena mantenendo un ricordo gotico nelle cciditoie che incardinano angoli dei corpi di fabbricato i quali, incrocian-dosi ad incontro disimmetrico dei due bracci, formano come un agglomerato di torrioncini, su cui s'estolle l'elegante e molto semplice torricella-loggia centra-le. Un sentore addolcito, quasi accolto come vezzo, di evocazione romantica fuor d'una effettiva esigenza, emana dal particolare

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M a t t e o S a n m i c h e l i : P r o g e t t o d e l l ' O r a t o r i o d e l SS. S a c r a m e n t o in T o r i n o ( d i s e g n o o r i g i n a l e ) . T o r i n o , M u s e o C i v i c o .

G a u d e n z i o F e r r a r i , R o c c a p i e t r a ( V a r a M o ) : C a p p e l l a di S. M a r i a di L o r e t o .

Nella zona aostana il rinasci-mento riformato penetrò salendo lungo il Canavese. Non lontano da Ivrea, Caluso ebbe nel 1522 la sua parrocchiale nuova. In precedenza in Valle d'Aosta, Is-sogne risenti vagamente la nuova misura mentale nel castello che tuttavia nelVarchitettura stessa, per quanto disadorna, rientra in-oltra sfera di gusto, altro timbro

— con una punta d'atteggia-mento umanistico — da quello gotico della vallata. È quanto si sente, nel priorato di S. Orso d'Aosta, costruito forse da Janin Brame nel 1494-1506, dove gli elementi gotici sono ancora pre-minenti ma inquadrati in altra proporzione, in nuova sintesi visiva- Elemento francese è la scala in torre angolare nel

cor-tile, quasi facendo da cerniera allo snodo dei due bracci.

La cattedrale romanico-gotica •d'Aosta ebbe nel 1522-26 un monumentale prospetto o pronao a due colonne corinzie, con gran-de trabeazione ornata da tondi con teste a tutto rilievo, sormon-tata da, lunetta con la Dormitio

Virginis in terracotta, e infine un timpano con sculture. Questo prospetto che costituisce un'enor-me nicchiane è affiancato da due portali minori; al di sopra, oltre una zona di affreschi, si aprono due limpide, finestre snel-le, sormontate da lunette scolpite. Sculture e pitture concorrono esse stesse come valori architettonici nella complessa distribuzione di elementi a zone, con senso pitto-resco e illusionistico. È facile rintracciare gli spunti lombardi — e indirettamente toscani — assorbiti attraverso revisioni già operate in Piemonte orientale e centrale, anche qui scalzando le vaghe attribuzioni a corrente franco-aostana. È pur chiaro che se da un lato v'è più d'una traccia di cerchia bramantesca (l'arcane altissimo; il partico-lare connubio architettura-scul-tura; l'illusionismo), dall'altro il sapore un po' rustico d'artigia-nato non senza ricerca di soste-nutezza, l'accordo fra le arti, l'aperta gioia di esporre, snodare ;figure e azioni, inducono ad un richiamo, non solo suggestivo, al mondo scenografico dei Sacri Monti si che, a questo punto, le due zone estreme del Piemonte, Aosta e Varallo, spiritualmente si toccano in interessi comuni, anche se di tanto differente por-tata. L'architettura civile acl Ao-sta va ricordata col palazzo Ron-cas, con magnifico cortile colonna-to e loggiacolonna-to, caso tardissimo ri-nascimentale all'aprirsi del '600.

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A r o n a , C o l l e g i a t a di S. M a r i a : P o r t a .

severi e nudi, ora più eleganti nei particolari decorativi, nel ritmo, nei rapporti, ora con colonne in cotto, ora in pietre cilindriche o poligonali, oppure con pilastri lesenati. Altrettanto interessanti i chiostri. Fra questi restano il chiostro di S. Croce; i due semplici e massicci, con nitide profilature, di S. Dome-nico, con bassi fusti su para-petto; l'ex chiostro di S. Marco ad archi esili e slanciati. Per le abitazioni: i bei cortili della, casa Foà, a basse colonne; del palazzo del marchese Teodoro e di quello di Anna d'Alengon (ora liceo Tarvisio) dalle colonne

slanciate; dei palazzi Callori e Grisella, dal movimento anche più vivace. Il Palazzo Gambera Mellana, rimaneggiato, presenta affiìie semplicità elegantissima nel loggiato inferiore, retto da colonne ottagone; il superiore è attualmente murato. Il palazzo Sacchi Nemours conserva il più nobile cortile casalese, di schietta marca bramantesca con porticato inferiore pilastrato, a solenni ar-cani inquadrati da alta cornice che forma marcapiano all'ordine superiore murato in seguito, a loggiato. Il Palazzo Fassati di Balzola si distingue per una loggia veneta.

Più vario il rinascimento nel-l'architettura, soprattutto civile, di Vercelli. La casa Alciati ha un cortiletto porticato delizioso, su

cui coire un loggiato con numero doppio d'arcatelle. La snellezza delle membrature conferisce ele-ganza sottile e festosa, quasi per un sotterraneo permanere di acu-tezza gotica; bellissima la svasa-tura superiore del loggiato for-mando voltine a vela sporgenti.

È di grande sensibilità il po-sarsi degli archi a contorno vivo direttamente — squadrandosi la-minarmente il pennacchio — sui capitelli delle basse colonne co-sicché il corso alacre lineare ri-mane scoperto e aereo e con maggiore immediatezza si ricol-lega all'altrettanto aereo, premi-nente linearismo della loggia por-tato a una trama di intrecci fantasiosi che sgettano zampil-lando verso l'interno, mentre le nervature delle voltine, spinte fino a intercagliare le pareti assai in basso, valgono come pro-iezioni d'ombre.

Sì tenga presente che lo schema del cortile Alciati, fatta eccezione per lo sporto superiore, è il medesimo che intesse la struttura,

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P a l l a n z a , C h i e s a d e l l a M a d o n n a di C a m p a g n a : F a c c i a t a .

dagli esiti differenti, dal cortile dei Centori che ha, nei due piani inferiori, analogo sistema di. ar-cate, di relazione — da uno a due — fra gli archi dei due piani, di attacco fra archi e colonne, appena inframezzando un sottile abaco, cosi da interrompere, ma lievemente, la continuità delle arsi e delle tesi. Anche le volte della loggia continuano a tramare nervature singolari a sfondo della nuova tersità di metro del para-mento antistante. Comunque nel cortile dei Centori, prevale invece l'effetto di masse; anche qui, sul portico, con gravi colonne di granito, corre un loggiato con nu-mero doppio di campate; le ar-cate si profilano con risalti in terracotta; fra esse s'inserisono medaglioni affrescati con teste d'imperatori, secondo un gusto per la tematica classicheggiante che in Vercelli gode larga sim-patia. Il nobile rapporto propor-zionale, la maestà nelle ridotte misure, il senso insieme aulico e raccolto, ne fanno il più bel cor-tile rinascimentale del Piemonte.

Un secondo, adiacente, di

ammi-ln alto: S a l i c e t o , C h i e s a p a r r o c c h i a l e : V e d u t a

e s t e r n a .

In basso: S a l u z z o , C a s a in via S. G i o v a n n i 2 8 .

<M

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revole impianto, forse più grave e severo, fu assai alterato; pre-senta aspetti analoghi il cortile della casa dei Tizzoni.

Probabilmente ebbe parte pre-ponderante, nella mediazione di moduli e d'atmosfera braman-teschi, Vigevano, al limite fra Piemonte e Lombardia, con la sua splendida piazza ducale e il castello — porticati, logge, altane, torricelle — già in opera dagli ultimi anni del '400. Ot-timo l'esempio di facciata in-tatta del palazzetto Gattinara a

Vercelli (secondo quarto del se-colo) semplice e aristocratico, con le nitide sette finestre crociate del primo piano e col portale architravato. Sebbene rientri in un gusto più tardo — 1586 — può qui menzionarsi il prospetto, a guisa di facciata di chiesa, dell' ospedale di S. Andrea, con portico a 3 arcate ribassate e ordine superiore includente una finestra serliana e due nicchie. L'effetto non del tutto unitario, è assai vivace nel rapporto tra piani e cavità d'ombre.

Biella s'afferma fra i centri più importanti, non per opere diffuse quanto per pochi esem-plari di rilievo. Innanzitutto la chiesa di S. Sebastiano innal-zata nel 1502. La facciata è rifacimento del 1882; l'interno, intatto, è il più armonioso del rinascimento in Piemonte, basi-licale a tre navate voltate a botte dalle belle arcate larghe e leggere, su colonne snelle issate su plinti e sopportanti i piedritti degli archi non direttamente ma tra-mite un pulvino dai lucidi pro-fili. Dal centro del transetto sotto il luminoso e aggraziato tiburio ottagonale, il gioco prospettico degli sgetti d'arconi e arcatelle, degli scorci su conche spaziose, fra leggeri sostegni, è movimen-tato, elastico. Slanciate volte a

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V e r c e l l i , C a s a d e i C e n t o r i : P a r t i c o l a r e d e l C o r t i l e .

botte s'incurvano sulla nave cen-trale, sui bracci del transetto, sul ;presbiterio, riecheggiando in mi-nore sulle crociere delle nava-telle e sui catini delle cappelle. La decorazione pittorica, parte coeva, parte più tarda, a finti cassettoni, grottesche, rosoni, ge-roglifici, conferisce timbro in-sieme fantasioso e razionale, ir-realizzando i piani. Ne furono autori Gerolamo Tornielli di No-vara (per la parte più antica) e alti 'i, forse chiamati dal mece-natismo del cardinale Bonifacio Ferrerò.

Intanto Giovanni Gromo di Ternengo nel 1512-17 aveva fatto erigere la chiesa e il convento di S. Gerolamo; rimaneggiati tanto la chiesa quanto il chiostro (il cui loggiato ha eccezionale limpi-dezza, di membrature e un ritmo purissimo), ebbero in origine de-corazione d'arabeschi e figure. Per V architettura civile si di-stingue il già medievale palazzo Della Cisterna con facciata cin-quecentesca, a due piani di fi-nestroni con montanti a bugnato e timpani curvi o spezzati, oltre ad un terzo piano loggiato; al centro un grande balcone sul por-tone d'onore. La costruzione, grave e oratoria, tocca l'ultimo '500, chiudendo un'epoca che al-l'aprirsi aveva dato la leggiadria più fresca del cortile del palaz-zetto Gromo.

Proseguendo verso l'estremità nordorientale del Piemonte pos-sono ricordarsi la facciata della collegiata d'Arona (principio del '500) di schema ancor gotico, condotto con nuova tersità e con bel portale lunettato dagli incisivi profili; la cupola-tiburio otta-gonale della Madonna di Cam-pagna a Pallanza, a loggia fitta d'arcatelle sottili su parapetto traforato cui corrisponde una, superiore loggetta a giorno a scomparti quadrati, risultandone una variazione da prototipo bra-mantesco interpretato pittoresca-mente, con predominio di valori atmosferici; l'affine cupola-tibu-rio del santuacupola-tibu-rio di Cannobio,

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altrettanto pittoresca ma meno unitaria e originale, eretta nel 1526 da Giovanni Beretta.

Posizione a sé occupano la Valsesia e la regione dell'Os-sola; vi si diffonde un freschis-simo rinascimento campagnolo, raccolto, accogliente, che dal prin-cipio del secolo fino al termine mantiene grazia e amabilità an-che quando accolga, in fase avan-zata, modi più aulici, qualche dignità contegnosa senza sus-siego. Toglie ogni programma-mmo l'accordo col paesaggio e il senso spontaneo di connes-sione tra gli edifici in strade e piazze secondo una urbanistica realizzata senza intellettualismi di schemi, per agevole naturalità. Sono, al principio del secolo, le prime cappelle del Sacro Mon-te di Varallo o la deliziosa cap-pella campestre della Madonna di Loreto a Roccapietra presso Varallo stessa, fresco piccolo blocco circondato, fra sgetti esul-tanti di vele, da un porticato luminoso in cui il ritmo degli archi larghi e corti, dei piedritti allungati, delle colonnette rigon-fie, degli altissimi plinti, crea una musicalità ridente e fiorita, stendendosi su tutte le superfici la gioconda parata di storie af-frescate, si che la festante trama cromatica ulteriormente fonde la già aerea architettura con la natura attorniante.

Valduggia, patria di Gau-denzio, presenta una squisita « piazza vecchia » nel suo pit-toresco accordo di porticati e chiare superaci. Qui come a

Varallo si dispiega la propen-sione, senza fasti né macchino-sità, verso il « pittoresco sceno-grafico » in un amabile illu-sionismo di raccolti e affasci-nanti scenari per il teatro vis-suto delle azioni di tutti.

Quest'aspetto si definisce più grandiosamente nella seconda me-tà del secolo, Varallo costituendo il punto focale, operandovi con progetti e idee varie (spesso da altri liberamente e più sempli-cemente tradotte) Pellegrino

Ti-C a s a l e M o n f e r r a t o , P a l a z z o S a c c h i N e m o u r s : Ti-C o r t i l e .

V i n o v o , C a s t e l l o : C o r t i l e .

baldi (Scala Santa) e Galeazzo Alessi (Portale d'ingresso; Cap-pella di Adamo ed Eva): di qui deriva più d'un riferimento con architetture lombarde o liguri dei due maestri ina sempre me-ravigliosamente intonandosi al luogo, al suo irripetibile clima

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scorci, « tagli » scenici. Fra i punti più suggestivi e insieme più grandiosi vanno ricordati la piazza dei tribunali e la piazza maggiore: ma a parte il S. Mon-te, Varallo-città presenta in quan-tità punti e visuali pittoreschi e di lieta fantasia.

Lo spettacolo affascinante, in-timo, si ripete in paesi e paesi della zona: a Cervato, Rimetta, Boccioleto, Carcoforo, MolUa; gli aspetti cinquecenteschi vi si radicano permanendo fraschi e spontanei anche nel '600 e oltre.

Situazione in parte analoga, fe-lice e geniale, si avvera al S. Monte di Orta, con una ven-tina di cappelle nel complesso più omogenee che le varallesi ma meno originali singolarmente prese, meno accordate fra loro e che col paesaggio aderiscono in modo meno scenografico e forse naturalmente più elementare; la cittadina stessa di Orta offre eleganti e vivaci scorci ed edi-fici, tra cui il palazzotto comu-nale del 1582, d'un certo riser-vato gusto nordico, con

riferi-mento alla Svìzzera meridio-nale.

Domodossola dà pure un pit,-*~4oresco quadro di vie e piazze con

case strettissime ed alte, loggette e altaìie sotto i tetti spioventi con movimentati scorci di strade, scenografici fondali e quinte (Piazza del mercato). Tutta la regione è garrula per edifici lumi-nosi, in poetico e leggero accordo cromatico di superaci e cavità: a Vogogna, Pallanzeno, Piedi-mulera, in tante località della valle Anzasca.

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Le prime tre leggi regionali sulla montagna

approvate in Sicilia, Umbria e Puglia

Giuseppe Piazzoni

L'estate del 1972, a differenza di quelle dei 20 anni precedenti, non ha registrato la Festa nazionale della montagna, ma l'approvazione delle prime tre leggi regionali per la montagna. Il Presidente della regione Piemonte, il 25 lu-glio 1971, alla Festa nazionale della montagna a Ceresole Reale, aveva affermato che quella sarebbe stata l'ultima Festa nazionale della montagna, non solo perché erano cessati i finan-ziamenti della legge 991, ma perché le Regioni rivendicavano competenze nel settore dell'eco-nomia montana, impegnandosi a valorizzare gli Enti locali e a mobilitare t u t t e le energie per lo sviluppo equilibrato dell'economia regionale. La concisione di questa notizia di cronaca sot-tintende un valore fondamentale che osiamo defi-nire storico: dallo Stato le competenze attinenti l'economia montana sono passate alle Regioni. Dopo 20 anni di applicazione della legge per la montagna del 25 luglio 1952 — legge che abbiamo avuto modo di commentare nei suoi aspetti positivi e anche in quelli negativi —, una nuova legge approvata dal Parlamento sul finire dello scorso anno ha dato un taglio nuovo all'intervento pubblico per la montagna.

La legge 1102 del 3 dicembre 1971 è la prima legge quadro di competenze regionali. Sul contenuto della legge cfr. « La Comunità montana s t r u t t u r a portante della nuova poli-tica i)er la montagna », dello stesso autore, su «Il Montanaro d ' I t a l i a » n. 11/12 1971. Come è noto, alle Regioni è infatti affidata l'ap-plicazione della legge attraverso la preventiva delimitazione dei territori montani e la succes-siva regolamentazione delle Comunità montane e dei piani di sviluppo che le stesse Comunità andranno a redigere e che le Regioni dovranno coordinare e finanziare.

Obiettivo fondamentale dei piani di svi-luppo è il raggiungimento delle finalità della legge, che tendono a valorizzare « le zone mon-tane favorendo la partecipazione delle popo-lazioni, attraverso le Comunità montane, alla predisposizione e alla attuazione dei programmi di sviluppo e dei piani territoriali dei rispettivi comprensori montani » e ad eliminare « gli squi-libri di n a t u r a sociale ed economica tra le zone montane e il resto del territorio nazionale »

mediante una serie di interventi di opere pubbliche e di incentivazioni a sostegno delle iniziative di natura economica, idonee a valo-rizzare ogni tipo di risorsa attuale e potenziale nelle zone montane.

Le prime tre Regioni nelle quali, in adem-pimento al disposto della legge nazionale (artt. 3 e 4), si è provveduto, in anticipo sulla scadenza di un anno posta dalla legge, ad approvare la legge, sono la Sicilia (voto del 6 luglio della Assemblea regionale), l'Umbria e la Puglia (voti dei Consigli regionali del 28 luglio).

Queste Regioni, pur essendo di estensione limitata rispetto all'intero territorio montano nazionale (1.872.492 ettari su 15.656.631, 299 Comuni su 3.973, 1.144.450 di popolazione su 9.639.998), possono costituire un valido indice per accertare il diverso modo di interpretare la legge nazionale, adattandola alle situazioni regionali.

La legge siciliana demanda al Presidente della Regione la suddivisione in zone omogenee del territorio montano di intesa con una com-missione composta da 15 deputati regionali e con i comuni interessati. Peraltro, le j^roposte formulate dalla Delegazione regionale della Unione nazionale comuni ed E n t i montani — dopo una serie di riunioni con i sindaci dei Comuni montani- — sono per la costituzione di 14 zone montane raggruppanti complessi-v a m e n t e i 177 comuni dell'isola.

Tali proposte dovrebbero essere codificate col decreto del Presidente della regione.

La legge regionale, nel cui testo finale non compare più la norma relativa alla approva-zione dello s t a t u t o della Comunità da parte della Regione, stabilisce che « fino a quando non sarà provveduto con legge organica che disciplini t u t t a la materia » sono organi della Comunità il Consiglio, la Giunta esecutiva e il Presidente.

Ogni Comune sarà rappresentato dal sin-daco e da un consigliere comunale di maggio-ranza e uno di minomaggio-ranza.

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per le Comunità costituite da non più di 8 o 16 Comuni o di un numero superiore.

All'Assessorato regionale dell'agricoltura e foreste è demandata la approvazione delle deliberazioni relative al bilancio preventivo, al conto consuntivo e ai regolamenti dei servizi delle Comunità montane.

Per quanto riguarda il personale delle Co-munità montane, la legge stabilisce che la Comunità si deve avvalere di personale coman-dato da Enti locali (come prevede facoltati-vamente la legge nazionale), dall'Ente regionale di sviluppo e dai Consorzi di bonifica.

L'unico Consiglio di valle finora operante in Sicilia (Valli dell'Alcantara, Messina-Catania) viene sciolto perché le funzioni saranno assunte dalla nuova Comunità montana che si costi-tuirà nella stessa zona.

La legge contiene una norma per il riparto dei fondi « destinati per le finalità della legge 3-12-71 n. 1102 iscritti nel bilancio della Re-gione » tra le Comunità montane « per il 50 % in rapporto alla superfìcie territoriale delle Comunità, per il 50%, tenuto conto degli indici di disoccupazione relativi al territorio della Comunità, quali risultano dagli atti dell'Ufficio regionale del lavoro, e dello stato di dissesto idrogeologico delle zone interessate ».

Per la prima applicazione della legge il Con-siglio della Comunità dovrà riunirsi su convo-cazione del Presidente della regione « nella sede dallo stesso designata » non oltre 60 giorni dalla emanazione del decreto presidenziale di ripartizioxie delle zone omogenee per la nomina del Presidente e della Giunta esecutiva. Tale prima riunione è presieduta dal componente piti anziano di età.

P u r contenendo qualche lacuna, da elimi-nare al più presto con apposite normative sia per gli statuti che per la redazione dei piani di sviluppo, questa legge — una volta emanato il decreto presidenziale per la suddivisione delle zone — potrà avere immediata attuazione per « il significato politico e psicologico del provve-dimento, sia per l'impegno politico che esso esprime nei confronti dei problemi della mon-tagna, sia per le risposte che offre alle legittime aspettative delle popolazioni interessate », co-me è affermato nella relazione della Commis-sione agricoltura che invitava l'Assemblea, re-gionale ad approvare la legge in una formula-zione stralcio rispetto al testo proposto dal Governo.

* * *

La Giunta regionale dell'Umbria è stata la prima a presentare la proposta di legge al Con-siglio regionale in data 21 marzo 1972, dopo

che si erano svolti alcuni incontri con la Dele-gazione regionale dell'UNCEM e gli Enti mon-tani della Regione e dopo il convegno dei 62 Comuni montani della Regione, convocato il 22 gennaio a Spoleto dalla Delegazione

del-l'UNCEM, di intesa con la Giunta regionale. Il dibattito ili questa regione è stato parti-colarmente vivace ed ha interessato oltre ai Comuni, alle Province e agli altri enti locali, i sindacati e le organizzazioni sociali della Regione. Infatti, la Presidenza del Consiglio regionale ha consultato in due incontri svoltisi l'8 e il 12 luglio E n t i e organizzazioni, racco-gliendo osservazioni e proposte di modifica all'originario testo legislativo che, nella appro-vazione finale avutasi all'unanimità, sono state sostanzialmente recepite.

Le zone delimitate sono 9, di cui una inter-provinciale. Il numero dei Comuni varia da 5 (3 zone), 6 (1), 7 (2), 8 (1), 9 (1), 10 (1). L'esten-sione territoriale minima è di 9.725 ettari con 4.620 abitanti in 7 Comuni, mentre la zona più vasta comprende 99.121 ettari con 73.085 abitanti distribuiti in 8 Comuni.

Date le caratteristiche della Regione, la suddivisione zonale rispecchia le esigenze locali.

« Ciascuna Comunità montana, con il più largo concorso degli E n t i e delle forze sociali interessate, nel rispetto dei principi contenuti nella legge regionale, si dà un proprio Statuto » che sarà poi approvato dalla Regione.

La legge dà alcune indicazioni per il con-tenuto dello statuto e in particolare sugli or-gani della Comunità, individuati anche qui nel Consiglio, nella Giunta e nel Presidente.

Il Consiglio è composto dal sindaco o suo delegato e da un consigliere di maggioranza e uno di minoranza. La Giunta è composta dal Presidente eletto a maggioranza assoluta dei componenti il Consiglio della Comunità e da « un numero di membri determinato statutaria-mente, eletti dal Consiglio della Comunità mon-t a n a con vomon-to limimon-tamon-to per assicurare la rappre-sentanza della minoranza consiliare ».

Per il personale delle Comunità montane, la legge stabilisce che « dovrà essere comandato dall'Amministrazione della Regione o da quelle degli altri E n t i locali ».

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altri E n t i operanti nel territorio, stabilendo che « lo statuto della Comunità deve prevedere la partecipazione alle attività delle Comunità delle Province, degli Enti, delle Associazioni porta-tori delle istanze sociali, economiche e sinda-cali operanti nel territorio ». Inoltre, per la redazione e attuazione dei piani di sviluppo « le Comunità montane stabiliranno il neces-sario collegamento con gli altri E n t i operanti nel territorio. A tale scopo, la Comunità mon-tana costituirà un Comitato tecnico consultivo nel quale saranno rappresentati gli E n t i stessi che dovranno altresì essere invitati a parteci-jjare alle sedute del Consiglio della Comunità dedicate all'esame ed alla approvazione del piano di sviluppo zonale e dei jn-ogrammi stral-cio annuali ».

« Per l'espletamento dei propri fini istitu-zionali, le Comunità montane, d'intesa con gli E n t i interessati, si avvarranno anche degli uffici dei Comuni o dei Consorzi tra i Comuni, o degli uffici degli altri enti operanti nel rispet-tivo territorio ».

« Le Comunità montane, ai sensi dell'art. 6 della legge 3-12-71 n. 1102 potranno altresì delegare ad altri E n t i operanti nel rispettivo territorio, di volta in volta, l'esecuzione di determinate realizzazioni ».

La legge stabilisce anche che i controlli sostitutivi previsti dalle norme vigenti per gli organi dei Consorzi di enti locali siano applica-bili agli organi della Comunità montana, mentre il controllo sugli atti è esercitato dalla sezione provinciale alla quale appartiene la maggior parte dei Comuni della Comunità.

In base alla norma transitoria, i Consigli comunali entro 30 giorni dalla entrata in vigore della legge nomineranno i propri rappresen-tanti e il Consiglio della Comunità cosi costi-tuito si riunirà entro i successivi 30 giorni (su convocazione del Presidente della Giunta regio-nale) e, come primi atti, provvederà alla no-mina provvisoria del Presidente e della Giunta e redigerà e approverà, a maggioranza assoluta dei componenti il Consiglio, lo statuto. Per-t a n Per-t o la denominazione e la sede della Comu-nità saranno indicate nello statuto.

Approvando la legge, il Consiglio regionale ha inserito un ultimo articolo per erogare un contributo straordinario di 10 milioni ciascuna « per le necessità finanziarie di primo impianto delle Comunità montane ».

* * *

Anche nella regione Pugliese l'approvazione della legge sulla montagna è stata preceduta da riunioni zonali di sindaci convocate dalla

Delegazione regionale dell'UNCEM, la quale ha concordato pienamente con la suddivisione del territorio montano della Regione in 5 zone omogenee interessanti totalmente o parzial-mente i 60 Comuni montani. Data la esten-sione territoriale montana quasi pari all'Umbria (473.618 ettari contro 470.932), le 5 zone com-prendono da 9 a 13 Comuni e una estensione territoriale che va dai 53.779 ettari del subap-pennino Dauno sett. ai 154.898 ettari della zona del Gargano.

Sostanzialmente la legge ajnprovata all'una-nimità dal Consiglio regionale si ispira al con-tenuto della legge dell'Umbria, con una norma-tiva più dettagliata.

Lo statuto della Comunità, deliberato con le stesse modalità indicate dall'Umbria, sarà approvato « dal Consiglio regionale entro CO giorni dalla sua recezione ». Ogni Comune avrà 3 rappresentanti (senza avere di diritto tra questi il sindaco) « di cui uno espresso dalla minoranza ». La Giunta esecutiva « è composta dal Presidente, dal Vicepresidente e da cinque membri eletti dal Consiglio nel proprio seno, a scrutinio segreto e a maggioranza assoluta dei voti. Per la validità della prima seduta è ri-chiesta la presenza dei due terzi dei componenti del Consiglio della Comunità; in seconda convo-cazione, che avrà luogo entro dieci giorni dalla j^rima, è sufficiente, per la validità, la presenza della metà dei Consiglieri assegnati alla Comu-nità. Se in seconda votazione alcuno non rag-giunge la maggioranza assoluta, si procede al ballottaggio tra i due più suffragati ».

Per il personale delle Comunità montane, la norma fa riferimento all'istituto del comando per il personale dipendente dalla Regione « e da quello degli enti locali di cui all'art. 65 della legge 10-2-1953, n. 62 ».

Gli atti amministrativi degli organi della Comunità (senza'specifieazione) sono sottoposti al controllo del comitato regionale.

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enti da invitare alle riunioni del Consiglio della Comunità dedicate alla approvazione del piano zonale e del programma stralcio annuale: Con-sorzi di bonifica m o n t a n a e di bonifica inte-grale con riconoscimento di funzioni di bonifica m o n t a n a , E n t i di sviluppo agricolo e E n t i di Irrigazione. L a n o r m a specifica inoltre che « nell'attuazione dei programmi annuali di in-tervento, le Comunità m o n t a n e utilizzeranno gli enti per le realizzazioni a t t i n e n t i alle loro spe-cifiche funzioni nell'ambito della rispettiva com-petenza territoriale » (mentre la legge u m b r a dice che le Comunità si a v v a r r a n n o anche degli uffici dei Comuni o dei Consorzi o degli altri E n t i operanti nel rispettivo territorio).

Infine la legge della Puglia stabilisce che i fondi assegnati alla Regione ai sensi della legge nazionale della m o n t a g n a « e quelli previsti da altre leggi dello S t a t o » saranno ripartiti tenendo conto « della superficie dei territori delimitati m o n t a n i della Comunità; del grado di dissesto idrogeologico; della popolazione residente nel territorio delimitato come m o n t a n o con rife-rimento anche al tasso di emigrazione; delle condizioni economico-sociali dell'area della Co-m u n i t à Co-m o n t a n a ; delle s t r u t t u r e agricolo-fore-stali e degli ordinamenti colturali prevalenti » pur senza specificare la percentuale assegnata a ciascun p a r a m e t r o . Ma su questa t e m a t i c a avremo modo di tornare anche perché è

pro-babile che il CIPE, all'atto del riparto dei fondi tra le Regioni, dia specifiche indicazioni sui vari parametri da adottare.

Nella regione Toscana è in corso l'esame della proposta di legge della Giunta sulla deli-mitazione delle zone m o n t a n e e in commissione si s t a n n o esaminando le proposte di legge pre-sentate dai gruppi PCI e DC per la regolamen-tazione delle Comunità montane. Nel f r a t t e m p o il Consiglio regionale ha a p p r o v a t o il 13 luglio, su proposta della Giunta, la legge per discipli-nare l'esercizio delle funzioni a t t r i b u i t e alla Regione dalla legge 1102 assegnandole preva-lentemente al Consiglio.

Per gran p a r t e questa legge p o t r à peraltro essere operante solo dopo che saranno appro-v a t e le due leggi di cui sopra.

Per concludere, esprimo la soddisfazione dell'UN CEBI e di t u t t i i Comuni m o n t a n i per il

concreto avvio d a t o da queste Regioni alla n u o v a politica per la m o n t a g n a .

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Gli italiani, quanti sono e dove

Giancarlo Biraghi

Con encomiabile celerità l'Istituto Centrale di Statistica ha reso noto nel corso del-l'estate i primi risultati d e l l ' l l0

Censimento della popolazione e del 5° Censimento dell'industria e del commercio, svoltisi alla fine di ottobre del 1971.

Sorprese vere e proprie non ce ne sono, mutamenti inte-ressanti parecchi. In questo scritto cercheremo di sintetiz-zare le cose più notevoli emerse dal censimento della popola-zione.

Gli italiani ufficialmente re-sidenti nella jnenisola a fine 1971 erano all'incirca 54 milioni; quelli presenti di fatto circa 250 mila in meno. La consi-stenza reale della popolazione in Italia è dunque inferiore di almeno 900 mila unità rispetto a quella calcolata anno per anno sulla base delle

registra-zioni anagrafiche, il cui carat-tere essenzialmente amministra-tivo finisce per determinare nel corso del tempo qualche distor-sione in senso amplificativo.

Se si confrontano le risul-tanze dell'ultimo con quelle del primo censimento (quello del-l'unità d'Italia del 1861), si rileva che la popolazione, rife-rita ovviamente ai confini at-tuali, si è più che raddop-piata, essendo passata da 26 a 54 milioni di anime, con un incremento dunque del 105%. Il tasso medio annuo di au-mento per 1000 abitanti è oggi del 6,5 e quindi di poco supe-riore a quello del decennio precedente (6,4°/00), entrambi

comunque tra i più bassi del secolo, se si eccettuano i de-cenni 1871/1881 e 1911/1921.

Il secondo f a t t o significa-tivo del censimento è la

ridu-zione della dimensione media delle famiglie, che nell'ambito nazionale è di 3,3 unità, ri-spetto alle 3,6 di dieci anni or sono. C'è anche da aggiungere

che in nessuna regione si rag-o o giunge ormai più il quoziente

di quattro componenti per fa-miglia, essendo il più elevato, quello della Sardegna, di 3,9. Nel precedente censimento sette regioni toccavano o superavano quel valore. Attualmente le regioni con l'indice più basso sono la Liguria e la Valle d'Aosta (2,8), a ridosso delle quali si colloca il Piemonte con 2,9.

Una conferma, a quanto per altra via già largamente consta, otteniamo per i movimenti del-la popodel-lazione sul territorio. Negli Stati Uniti ogni censi-mento dimostra che il vecchio sogno « go west » è lungi

dal-POPOLAZIONE ITALIANA DAL 1961 AL 1971

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MOVIMENTO DEMOGRAFICO REGIONALE NEGLI ANNI '60 Aumento medio nazionale = 6,7%

R E G I O N I P O P O L A Z I O N E

1971 V A R I A Z I O N E % 1961-1971 '

Crescita superiore alla media nazionale

Lazio 4.702.093 18,8 Lombardia 8.526.718 15,1 Piemonte 4.434.802 13,3 Valle d'Aosta 109.252 8,2 Veneto 4.109.787 6,8 Trentino-Alto Adige 839.025 6,8 Crescita inferiore alla media nazionale

Liguria 1.848.539 6,5 Campania 5.054.822 6,2 Toscana 3.470.915 5,6 Emilia-Romagna 3.841.103 4,8 Puglia 3.562.377 4,1 Sardegna 1.468.737 3,5 Marche 1.359.063 0,9 Friuli-Venezia Giulia 1.209.810 0,5 Diminuzione Molise 319.629 10,7 Basilicata 602.389 6,5 Calabria 1.962.899 4,0 Abruzzi 1.163.334 3,6 Umbria 772.601 2,8 Sicilia 4.667.316 1 , 1

l'esaurire la propria carica sug-gestiva; in Italia è il « pas-saggio al nord » che caratte-rizza anche gli anni più recenti. In efletti il peso demografico dell'Italia settentrionale sale tra i due ultimi censimenti dal 44,8% al 46,1%, mentre quello dell'Italia meridionale ed insu-lare scende dal 36,7% al 34,8%; l'Italia centrale consolida le proprie posizioni (dal 18,5 al 19,1%). Questo perché l'incre-mento di popolazione nel nord

Italia è stato nel decennio del 10%, nell'Italia centrale del 9,8% e soltanto dell'1,2% nel sud continentale e insulare. Si può anzi rilevare che l'espan-sione al nord si è andata ulte-riormente accentuando, rispetto al decennio precedente, mentre al sud si è praticamente spenta. In parallelo è proseguito il ritmo di urbanizzazione, per cui si concentra nei comuni cai^oluogo di provincia il 34,2% dell'intera popolazione

nazio-nale contro il 32,1% di dieci anni prima. C'è però da osser-vare che l'incremento dei grandi -'centri appare in sensibile

mi-sura frenato nel tempo, pro-babilmente a causa dell'impo-nente sviluppo, che sarebbe opportuno indagare a parte, dei comuni delle aree sub-urbane.

Dal punto di vista econo-mico il deflusso della popola-zione attiva dalle attività agri-cole è continuato in maniera sistematica: altri 2,45 milioni di lavoratori hanno lasciato l'agricoltura tra il 1961 e il

1971, talché nel giro di un ventennio non meno di 5 mi-lioni di unità lavorative hanno alimentato l'esodo agricolo (una media di 250 mila all'anno). Oggi l'agricoltura italiana conta perciò su poco più di 3 milioni di addetti.

Questi sono i tratti salienti che segnano le risultanze del-l'ultimo censimento, in ordine al quale intendiamo ora appro-fondire qualche altro partico-lare aspetto.

Movimenti demografici.

Lo sviluppo demografico globale dell'ultimo decennio è stato del 6,7% (contro il 6,5% del periodo immediatamente precedente). Questo tasso na-zionale nasconde tuttavia sen-sibili modificazioni che si sono verificate a livello regionale. In certi casi si è avuta una crescita impetuosa, ma in altri la popolazione si è ridotta soprattutto a causa di movi-menti migratori.

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GRADUATORIA REGIONALE DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE

REGIONI CENSIMENTO 1 9 7 1 CENSIMENTO 1 9 6 1

Piemonte 5 B Valle d'Aosta 20 20 Lombardia 1 1 Trentino-Alto Adige 16 1 7 Veneto 6 6 Friuli-Venezia Giulia 14 15 Liguria 1 1 1 1 Emilia-Romagna 7- 7 Toscana 9 9 Umbria 17 16 Marche 13 13 Lazio 3 4 Abruzzi 15 14 Molise 19 19 Campania 2 2 Puglia 8 8 Basilicata 18 18 Calabria 10 10 Sicilia 4 3 Sardeena 12 1 2

dal quattordicesimo al quindi-cesimo e l'Umbria che va dal sedicesimo al diciassettesimo.

Vi sono regioni che denun-ciano un tasso di incremento superiore a quello medio nazio-nale e sono: Lazio (18,8%), Lombardia (15,1%), Piemonte (13,3%), Valle d'Aosta (8,2%), Veneto e Trentino Alto Adige (6,8%); altre crescono in misura più modesta della media nazio-nale: Liguria (6,5%), Campania

(6,2%), Toscana (5,6%), Emi-lia-Romagna (4,8%), Puglia

(4,1%), Sardegna (3,5%), Mar-che (0,9%), Friuli-Venezia Giu-lia (0,5%); in alcune regioni infine si hanno diminuzioni in senso assoluto e sono: Molise ( - 1 0 , 7 % ) , Rasilicata ( - 6 , 5 % ) , Calabria (— 4,0 ), Abruzzi ( - 3 , 6 % ) , Umbria ( - 2 , 8 % ) , Sicilia ( - 1,1%).

Le province con le percen-tuali più alte di aumento sono nell'ordine Roma (26,2%), To-rino (25,7%), Varese (24,7%) e Milano (23,3%). Nella gradua-toria dei maggiori centri urbani (quelli con oltre 1 milione di abitanti) non si hanno, rispetto al censimento precedente, spo-stamenti. In testa è ancora Roma con 2,8 milioni di abi-tanti, vengono poi Milano con

oltre 1,7 milioni, Napoli con oltre 1,2 e a ridosso Torino con quasi la stessa cifra. Assai diversa appare però la dina-mica che vede al primo posto Roma, con una variazione al-l'insù del 28%, Torino con il 14,8%, Milano con il 9 % e infine Napoli con il 4,2%. Sotto questo profilo si hanno dei casi addirittura impressionanti, re-lativi a centri urbani minori. Gli spostamenti più vistosi

ri-guardano Latina ( + 58,6%), Pescara ( + 39,8%), Pordenone ( + 3 8 , 8 % ) , Nuoro ( + 3 3 , 5 % ) , Salerno ( + 3 1 , 6 % ) , P o t e n z a ( + 3 0 , 1 % ) , Cosenza ( + 2 9 , 6 % ) . In Piemonte il capoluogo che ha il più alto tasso di incre-mento è Asti con 24,6%.

Il processo di femminiliz-zazione nella popolazione si è in qualche misura accentuato: le donne superano gli uomini di quasi 1 milione 300 mila

TRASFERIMENTI SUL TERRITORIO nel decennio 1961-1971

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TASSO DI ATTIVITÀ DELLA POPOLAZIONE % O l 9 6 1 L I ] 1971 50 - 40- 30- 201 0 -42,1 38,1 38,3 r \ ] 3 4 , 8 34,7 S I 30,1 45,2 38,7 34,7

ITALIA ITALIA ITALIA PIEMONTE ITALIA SETTENTRIONALE CENTRALE MERIDIONALE

unità, per cui la popolazione italiana risulta composta del 48,8% di maschi e del 51,2% di femmine. Questa ripartizione è d e t e r m i n a t a da u n a u m e n t o differenziato f r a i due sessi; 6,4 per il maschile e 7 % per quello femminile.

S t a n d o al saldo del movi-m e n t o naturale, l'incremovi-mento di popolazione t r a il 1961 e il 1971 avrebbe d o v u t o superare 4 milioni e 500 mila unità, m e n t r e in realtà è s t a t o del-l'ordine di 3 milioni e 400 mila. La differenza in meno di un milione e 150 mila u n i t à circa r a p p r e s e n t a l'emigrazione n e t t a verso l'estero. Questa è, dal p u n t o di vista numerico, prati-camente i m p u t a b i l e esclusiva-m e n t e al esclusiva-mezzogiorno e alle isole, dove in luogo di u n a crescita dell'ordine di oltre 2 milioni e mezzo di anime, quale si sarebbe d o v u t a verificare per solo m o v i m e n t o naturale, si è a v u t a un'espansione di poco superiore alle 200 mila u n i t à .

L a p a r t e non affluita al-l'estero si è riversata nel nord e nel centro della penisola e precisamente oltre 950 mila a b i t a n t i si sono diretti verso l'Italia settentrionale e oltre 200 mila verso quella centrale. La somma delle migrazioni

ver-so l'estero e verver-so l'interno dal mezzogiorno italiano ha quindi raggiunto e superato nel de-cennio 2 milioni .300 mila per-sone.

A b b a s t a n z a interessanti ri-sultano infine i m o v i m e n t i di popolazione secondo le zone altimetriche. L a popolazione di p i a n u r a è a u m e n t a t a nel com-plesso del Paese di circa il 14%, quella collinare di quasi il 4 % , m e n t r e in m o n t a g n a è dimi-n u i t a di circa il 5 % . Queste cifre s t a n n o a indicare che l'ab-b a n d o n o dei territori m o n t a n i è ancora consistente, m e n t r e a p p a r e in recupero l'area col-linare. In talune regioni però i territori m o n t a n i h a n n o segnato un riflusso demografico, soprat-t u soprat-t soprat-t o là dove si f à del soprat-t u r i s m o u n ' a t t i v i t à economica in espan-sione. È il caso della Valle d'Aosta, del Trentino-Alto Adi-ge, della L o m b a r d i a e anche della Liguria. Grosso modo la regione alpina s e m b r a in ri-presa, m e n t r e l'area appenni-nica denuncia ancora consi-stenti perdite. I guadagni più sensibili della zona collinare si riscontrano in L o m b a r d i a , Li-guria, Veneto e Piemonte. Nel-l ' a m b i t o di q u e s t ' u Nel-l t i m a regione si assiste ad un incremento di popolazione m o n t a n a nel

nova-rese, mentre c'è un'ulteriore flessione nelle altre province, s o p r a t t u t t o a Cuneo ed Ales-sandria; un fortissimo aumento

(superiore al 33%) si verifica nella zona collinare della pro-vincia di Torino, ma anche nelle altre province (eccettuata Ales-sandria.) si notano progressi più o meno sensibili.

Tasso di attività e caratteri-stiche professionali.

Secondo il censimento sol-t a n sol-t o poco più di un sol-terzo della popolazione italiana risul-t a arisul-trisul-tiva: la quorisul-ta scende cosi a un livello (34,7% contro 38,7% del 1961) che rappre-senta un minimo storico. Il f a t t o è i n d u b b i a m e n t e preoccupante, anche se sono ben note le cause — variamente sottoli-neate — di questo declino seco-lare: esodo dall'agricoltura, pro-lungamento dell'obbligo scola-stico, estensione del sistema previdenziale e assistenziale, de-ficit migratorio. Ci si consola con qualche confronto con altri Paesi europei, come l'Olanda, il cui tasso di a t t i v i t à della popolazione risulta di qualche frazione ancora al di sotto di quello italiano. Ciò non toglie che i Paesi a noi s t r e t t a m e n t e più somiglianti siano in condi-zioni a l q u a n t o diverse, come il Belgio con il 40%, la Francia con il 42 % e la Germania Fede-rale con il 4 4 % di popolazione a t t i v a .

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MOVIMENTO DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE PER ZONE ALTIMETRICHE

( 1 9 6 1 / 1 9 7 1 )

1 MONTAGNA COLLINA PIANURA

CIRCOSCRIZIONI VARIAZIONI VARIAZIONI VARIAZIONI VARIAZIONI VARIAZIONI

VARIAZIONI

ASSOLUTE /o ASSOLUTE /o ASSOLUTE %

PROVINCE Torino 1 . 6 9 2 - 1 , 1 9 + 9 1 . 5 2 3 + 3 3 , 0 2 + 3 7 8 . 9 4 2 + 2 6 , 9 7 Vercelli - 4 . 1 2 3 - 4 , 2 4 + 6 . 7 7 5 + 4 , 6 9 + 3 . 1 4 9 + 1,99 Novara + 1 2 . 4 2 8 + 7 , 4 0 + 1 0 . 9 2 7 + 9 , 6 3 + 1 2 . 8 0 7 + 7 , 1 6 Cuneo - 1 2 . 6 1 6 - 1 0 , 9 8 6 6 8 + 0 , 3 3 + 1 4 . 7 5 8 + 6 , 7 6 Asti — + 3 . 8 7 4 + 1 , 8 4 JS 3 1 4 - 7,99 Alessandria 2.737 - 2 2 , 9 6 9 . 2 7 3 - 4 , 6 7 JS 1 5 . 4 5 6 + 5 , 7 6 REGIONI Piemonte - 8 . 7 4 0 - 1 , 6 4 + 1 0 4 . 4 9 4 + 9 , 1 1 + 4 2 4 . 7 9 8 + 1 9 , 0 2 Valle d'Aosta + 8 . 2 9 3 + 8 , 2 1 _ • „ — + 1 9 , 0 2 Lombardia + 4 7 . 9 8 3 + 5 , 3 6 + 2 4 3 . 8 3 9 + 1 7 , 6 4 + 8 2 8 . 7 4 4 + 1 6 , 1 6 Trentino-Alto Adige . . . + 5 3 . 0 5 8 + 6 , 7 5 — — 4 5 Veneto - 2 9 . 5 4 5 - 7 , 6 7 + 5 6 . 1 0 2 + 1 0 , 0 8 + 2 3 6 . 6 6 8 + 8 , 1 5 Friuli-Venezia Giulia . . - 2 4 . 9 5 5 - 2 0 , 8 6 - 1 5 . 4 4 1 - 3 , 0 4 + 4 5 . 9 0 8 + 7 , 9 6 Liguria + 2 1 . 8 9 2 + 2 , 1 7 + 9 1 . 2 9 8 + 1 2 , 5 3 — — Emilia-Romagna . . . . - 6 1 . 6 9 0 - 2 2 , 3 9 + 5 5 . 0 1 5 + 5 , 2 9 + 1 8 1 . 0 9 8 + 7,70 Toscana - 3 0 . 3 3 5 - 5 , 4 7 + 1 4 3 . 9 5 6 + 6 , 7 5 + 7 1 . 1 3 4 + 1 1 , 9 0 Umbria - 1 0 . 4 5 7 - 7 , 1 9 - 1 1 . 6 8 7 - 1 , 8 0 — — Marche - 2 7 . 1 2 5 - 1 8 , 1 5 + 3 8 . 6 9 9 + 3 , 2 3 — — Lazio - 3 2 . 2 3 4 - 1 0 , 0 8 + 7 9 . 0 3 9 + 6 , 4 3 + 6 9 6 . 3 3 1 + 2 8 , 8 9 Abruzzi - 6 2 . 4 7 9 - 1 3 , 7 0 + 1 9 . 5 4 7 + 2 , 6 0 _ — . Molise - 2 5 . 3 3 2 - 1 2 , 6 5 - 1 3 . 0 9 1 - 8 , 3 0 — — Campania - 5 0 . 7 5 2 - 1 1 , 3 4 + 1 9 3 . 9 0 5 + 6 , 2 8 + 1 5 0 . 9 1 0 + 1 2 , 3 2 - 7 . 1 3 4 - 2 6 , 7 6 - 2 5 . 8 1 2 - 2 , 6 7 + 1 7 4 . 1 0 6 + 7 , 1 7 Basilicata - 1 4 . 5 1 4 - 4 , 7 7 - 3 1 . 4 5 7 - 1 0 , 9 9 + 4 . 0 6 3 + 7 , 5 3 Calabria - 7 7 . 1 2 3 - 1 3 , 3 5 - 3 6 . 3 1 8 - 2 , 9 1 + 3 1 . 2 9 3 + 1 4 , 3 0 Sicilia - 5 5 . 0 8 4 - 7 , 2 7 - 1 3 8 . 0 2 5 - 6 , 0 8 H- 1 3 9 . 4 2 4 + 8 , 2 4 Sardegna - 1 1 . 8 6 2 - 1 2 , 8 4 - 2 9 . 8 6 0 - 4 , 0 0 + 9 1 . 0 9 7 + 1 5 , 6 7 ITALIA - 3 9 8 . 1 3 5 - 4 , 8 9 + 7 2 4 . 2 0 3 + 3 , 6 1 4 - 3 . 0 7 5 . 5 7 4 + 1 3 , 7 3

CONFRONTO FRA LE VARIAZIONI DELLA POPOLAZIONE E DELLE ABITAZIONI

( 1 9 6 1 / 1 9 7 1 )

PROVINCE POPOLAZIONE

RESIDENTE FAMIGLIE ABITAZIONI STANZE

ABITAZIONI NON OCCUPATE Torino + 2 5 , 7 0 + 2 5 , 9 2 + 3 2 , 0 0 + 3 6 , 6 2 + 8 1 , 8 2 Vercelli + 1 , 4 5 + 5 , 7 5 + 8 , 3 6 + 1 8 , 7 1 + 3 5 , 2 8 Novara + 7 , 8 6 + 1 2 , 5 7 + 1 5 , 8 8 + 2 4 , 5 1 + 5 1 , 2 4 Cuneo + 0 , 5 2 + 8 , 1 2 + 1 3 , 5 5 + 1 9 , 6 0 + 4 3 , 3 7 Asti + 1 , 6 6 + 7 , 2 2 + 1 1 , 7 0 + 1 4 , 6 3 + 3 7 , 0 4 Alessandria + 0 , 7 2 + 8 , 2 7 + 1 3 , 7 8 + 1 8 , 9 9 + 6 2 , 1 8 PIEMONTE . . . . + 1 3 , 3 0 + 1 6 , 8 6 + 2 1 , 6 8 + 2 6 , 8 3 + 5 8 , 7 3 ITALIA + 6 , 7 2 + 1 6 , 0 6 + 2 2 , 7 5 + 3 3 , 0 5 + 7 7 , 5 5

corso di un secolo — dal 5 9 % del 1861 a circa il 3 5 % at-tuale — per cui di fronte a un aumento complessivo di po-polazione di 28 milioni si è avuto un incremento di

popola-zione a t t i v a soltanto di 3,1 milioni, non possa essere ri-guardato senza jjerplessità.

Dal punto di vista geogra-fico il tasso di attività scende sistematicamente e decisamente

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QUOTA DI ADDETTI ALL'AGRICOLTURA SULLA POPOLAZIONE ATTIVA ITALIA SETTENTRIONALE PIEMONTE ITALIA CENTRALE I T A L I A ITALIA MERIDIONALE raggiunge appena il 30,1%. Ma non si t r a t t a solo di abbassa-m e n t o di percentuali; vi è diabbassa-mi- dimi-nuzione anche in termini asso-luti, che è dell'ordine di 840 mila u n i t à nel decennio su base nazionale, delle quali circa 790 mila concernono il sud, 18 mila il centro e 36 mila il nord.

Sotto il profilo regionale il tasso p i ù alto di a t t i v i t à si riscontra in E m i l i a - R o m a g n a con il 40,2%, seguita dal Pie-m o n t e con il 39,4%, e dalla L o m b a r d i a con il 3 9 % . Il livello minimo si riscontra in Sicilia, Sardegna e Campania dove si scende al di sotto del 3 0 % . Nell'ambito piemontese il tasso più alto a p p a r t i e n e a Vercelli con il 41,6%, seguita da Cuneo con il 40,2%; quello più basso si t r o v a a d Alessandria con il 3 7 , 8 % .

In questi dieci anni la ripar-tizione della popolazione a t t i v a per settore di a t t i v i t à econo-mica è s t a t a ancora caratteriz-z a t a da u n a drastica riducaratteriz-zione degli a d d e t t i all'agricoltura: in media 250 mila persone al-l'anno se ne sono a n d a t e . Oggi la percentuale media nazionale è del 17,3%, ben al di sotto del 2 9 , 1 % del censimento 1961. È quasi certo che il deflusso continuerà, se d o b b i a m o assu-mere come termini di riferi-m e n t o la situazione di Paesi a v a n z a t i vicini e lontani: F r a n -cia 13,4%, Germania Federale 8,9%, Olanda 8 , 1 % , Canada 7,4%, Belgio 4,6%, S t a t i Uniti 4 , 3 % . I n q u e s t ' u l t i m o Paese nel corso degli anni sessanta gli a t t i v i in agricoltura si sono pressoché dimezzati, dall'ini-ziale 8 % .

Notevoli disparità sussisto-no peraltro all'intersussisto-no del Paese dove, rispetto a valori di tipo -•europeo dell'Italia

settentrio-nale (11,1%) e centrale (13,5%), appare un ancora troppo con-sistente 3 0 % dell'Italia me-ridionale ed insulare. Dal p u n t o di vista regionale gli standards più accettabili (inferiori al 1 0 % di attivi in agricoltura) ap-paiono in Lombardia, Liguria, Friuli-Venezia Giulia e Lazio; il Piemonte presenta u n tasso del 12,1%.

Tra le province piemontesi si distinguono, per grado di ruralità estremamente mode-sto, Torino con il 4,8% e N o v a r a con il 7,1%; in posi-zione intermedia si trova Ver-celli con l ' i l , 5 % mentre valori n e t t a m e n t e elevati appaiono ad Alessandria con il 20,8%, Cu-neo con il 31,1% ed Asti con il 33,6%. Queste cifre stanno ad indicare quale tipo di pro-blemi talune regioni, f r a le quali il Piemonte, dovranno ancora affrontare ed in quali aree per i prossimi anni. Patrimonio abitativo.

In connessione con il censi-m e n t o della popolazione si tiene n o r m a l m e n t e anche u n censi-m e n t o delle abitazioni, opera-zione q u a n t o mai i m p o r t a n t e , d a t o che quello della casa sta al vertice dei problemi sociali di ogni Paese.

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supero di circa il 9% rispetto alle seconde nell'insieme del Paese, del 3 % se teniamo conto soltanto degli insediamenti nei capoluoghi. La situazione ap-pare sensibilmente migliorata nel corso dell'ultimo decennio, dal momento che di fronte a un aumento di j^opolazione resi-dente del 6,7% e di famiglie del 16%, si è realizzato un incremento di abitazioni del 22,7% e di stanze del 33%.

Bisogna però riconoscere che l'aumento del patrimonio abi-tativo ha interessato soprat-tutto — in senso relativo al-meno — le abitazioni non occu-ltate, che sono cresciute all'in-circa del 78% contro un 18% delle occupate. Ciò significa che l'espansione è stata partico-larmente vivace nel settore del-la seconda casa o deldel-la casa di villeggiatura, il che riduce il significato sociale del miglio-ramento edilizio.

Questo comunque, pure se in misura inferiore a quella apparente, c'è stato, e lo prova anche il fatto che la dimensione media delle abitazioni, cioè il numero di stanze per abita-zione, è passato da 3,3 nel 1961 a 3,6 nell'anno dell'ul-timo censimento. Sono dimi-nuite in i^arallelo le abitazioni improprie (soffitte, cantine, ba-racche, magazzini, grotte, ecc.), passate dalle 250 mila del 1951 alle 163 mila del 1961, alle 57 mila del 1971.

Attualmente quella che po-tremmo chiamare la dotazione globale edilizia della colletti-vità italiana, misurata dal nu-mero medio di stanze per 1000 persone, è di 1184 contro 952 di dieci anni fa. Ovviamente più significativa è la misura del grado di affollamento, rappre-sentata in via di approssima-zione dal rapporto tra il nu-mero di persone residenti cen-site al netto di quelle facenti parte delle convivenze, e il numero totale di stanze costi-tuenti le abitazioni occupate.

Oggi l'indice del grado di affol-lamento in Italia è sceso a 0,96 contro 1,15 del censimento 1961. Questo valore risulta pra-t i c a m e n pra-t e corrispondenpra-te a quello di Paesi vicini europei, come Francia ed Austria.

Per quanto riguarda il Pie-monte, l'indice abitazioni/fami-glie raggiunge quota 112, con punte più elevate nelle pro-vince prevalentemente agricole (Cuneo ed Asti con 121); il limite inferiore è segnato da Torino con poco meno di 109. Nei comuni con più di 30 mila abitanti della regione l'indice supera normalmente quota 100, salvo per alcuni centri di re-cente espansione dell'area tori-nese (Grugliasco, Settimo) e Pinerolo. Anche in Piemonte si assiste peraltro al grosso balzo in avanti delle abitazioni non occupate, seppure in mi-sura meno accentuata (59%) rispetto alla media nazionale. Grosso modo nelle varie pro-vince il tasso di aumento delle

abitazioni non occupate oscilla tra due volte e mezzo e quattro volte e mezzo quello delle abi-tazioni in complesso.

Il grado di affollamento pie-montese, che già nel 1961 era inferiore all'unità, è sceso ulte-riormente e si situa oggi in-torno allo 0,86. La soglia infe-riore è toccata dalle province di Alessandria, Asti e Vercelli, con valori che vanno dallo 0,73 allo 0,76; Novara e Cuneo hanno un rapporto di 0,82, mentre Torino tocca ancora lo 0,95.

Conclusione.

Questi dati, e le conse-guenti considerazioni, sono fon-dati sui primi risultati, provvi-sori, d e l l ' l l0 Censimento. Essi

c o n t e n g o n o i n d u b b i a m e n t e molte inesattezze, ma per quan-te rettifiche possano in futuro esservi apportate non ne verrà certamente cambiato il senso.

Del resto all'indomani del-l'ultimo censimento

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RAPPORTO TRA ABITAZIONI E FAMIGLIE (base = 100)

CIRCOSCRIZIONI CENSIMENTO 1 9 7 1 CIRCOSCRIZIONI CENSIMENTO 1 9 7 1

CITTÀ (più di 30.000 abit.)

Torino 103,99 Alessandria . . . 105,57 Chieri 101,97 Casale Monferrato . 102,51 Collegno 103,57 Novi Ligure . . . 103,34 Grugliasco . . . . 99,00 Monoalberi . . . . 102,53 PROVINCE Nichelino . . . . Pinerolo . . . . Rivoli Settimo T.se . . . Vercelli Biella Novara 101,53 99,39 101,08 99,78 103,78 106,41 102,18 Torino Vercelli Novara Cuneo Asti Alessandria . . . 108,84 111,95 112,35 121,11 121,13 114,94 Verbania . . . . Cuneo 105,40 105,87 PIEMONTE . . . 112,23 Asti 107,44 ITALIA . . . . 109,36 GRADO DI AFFOLLAMENTO

(Popolazione residente - Convivenze/stanze occupate)

PROVINCE CENSIMENTO 1 9 7 1 CENSIMENTO 1 9 6 1

Torino 0,95 1,00 Vercelli 0,76 0,87 Novara 0,82 0,91 Cuneo 0,82 0,93 Asti 0,74 0,79 Alessandria 0,73 0,82 PIEMONTE 0,86 0,93 ITALIA 0,96 1,15 se (1970), un'importante rivista economica si domandava « How close a eount? » e rispondeva citando da un lato l'afferma-zione del Segretario di Stato al commercio, secondo cui quel-lo era il censimento più accu-rato che mai fosse stato fatto nel Paese, e dall'altro una dichiarazione del sindaco Lind-sav di New York, secondo cui un'indagine campionaria aveva dimostrato che il 17% delle persone e il 18% delle famiglie della sua città erano sfuggite alla rilevazione.

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Nel sistema monetario internazionale

I diritti speciali di prelievo

perno fondamentale della riforma

Antonio Trincheri

Il sistema monetario internazionale nella sua struttura e nel suo funzionamento incontra giudizi pessimistici ed ottimistici. Secondo i giudizi pessimistici la mancata soluzione di molti problemi porterà, prima o poi, ad una situazione di marasma o per lo meno protrarrà la situazione attuale di emergenza. Secondo i giudizi ottimistici, il dollaro ritornerà ad essere una moneta forte, anche se non convertibile e quindi il sistema monetario internazionale avrà nuovamente lo strumento di riserva e di liqui-dità su cui ha poggiato negli ultimi venticinque anni.

Purtroppo via via che i problemi vengono approfonditi e si avvicina la maturazione delle decisioni, le divergenze aumentano e diventano più remote le conclusioni positive. Al di là dei particolari tecnici (che gli istituti centrali di emissione sanno risolvere benissimo) non ha senso discutere se le monete devono avere un regime liberista o dirigista. Le monete oggi sono dei beni speciali sottoposti a controlli che ne difendono il valore senza diminuirne la fun-zione principale che è quella di mezzo inter-mediario per gli scambi. Sinora il controllo internazionale della moneta non è riuscito ad impedire la sjieculazione; il mezzo che servi-rebbe a tale scopo è quello indicato dai fran-cesi e cioè il doppio mercato delle valute, non accettato però dai tedeschi.

Vi sono ancora notevoli divergenze circa la struttura ed il funzionamento del sistema mone-tario internazionale, però è ormai acquisita la necessità che l'auspicato nuovo sistema sia veramente multinazionale non soltanto rispetto alla generale partecipazione agli accordi, ma soprattutto nel senso che lo stesso sistema possa accollarsi le responsabilità gravanti negli ultimi venticinque anni sugli Stati Uniti d'America.

Impronta creditizia del nuovo sistema.

Pure su un altro punto vi è una larga massa di consensi: la maggiore adozione di diritti speciali di prelievo come valuta di riserva nel

nuovo sistema monetario internazionale. Nep-pure più la Francia è contraria ma assume soltanto atteggiamenti prudenziali. Non può essere diversamente se si pensa che l'aspetto più positivo dei rapporti valutari internazio-nali in questi ultimi vent'anni è proprio quello creditizio.

A partire dalla seconda metà del presente secolo soltanto in pochi casi ed in misura limi-tata le crisi monetarie dei principali paesi sono state subite con le tradizionali svalutazioni. Quasi sempre un alto livello di cooperazione internazionale ha messo a disposizione del paese la cui moneta era in pericolo i crediti necessari per fronteggiare le difficoltà più urgenti; parti-colarmente un ampio uso è stato fatto delle cosi dette operazioni swap.

I sostegni creditizi hanno svolto importan-tissime funzioni; in primo luogo hanno evitato o attenuato sia le svalutazioni che le misure restrittive adottate dall'Inghilterra e dalla Fran-cia; soprattutto hanno dato elasticità ai paga-menti internazionali. Tutto ciò era indispen-sabile per consentire lo sviluppo degli scambi; in caso contrario si avrebbe avuto prima o poi una almeno parziale disintegrazione delle rela-zioni economiche internazionali.

Con una sempre più larga presenza del credito nei pagamenti internazionali si può sostituire all'automatismo meccanicistico, la consapevole decisione degli organi responsabili. Pertanto migliorare il sistema monetario inter-nazionale significa concretamente affinare gli strumenti creditizi di cui dispongono sia i singoli paesi che il fondo monetario interna-zionale.

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