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CAPITOLO I: Una ri-concettualizzazione del bene salute: l’assistenza sanitaria

1.3 Il governo della salute in Italia

Alla fine degli anni ‘70 un ricercatore americano ha impiegato un affascinante quesito per intitolare uno dei suoi più rinomati lavori: “il managerialismo può salvare le città?” (Rogers, 1979). Sulla base di quanto discusso sino a questo punto, è possibile riformulare il contenuto di questo interrogativo, spostando il focus dall’amministrazione urbana al governo della salute e, più precisamente, alla gestione dei servizi sanitari: il managerialismo può salvare il sistema sanitario e le organizzazioni che operano al suo servizio dalla forte crisi economica e gestionale che li ha colpiti negli ultimi anni?

Sebbene non sia possibile fornire una risposta definitiva a tale quesito, l’evoluzione che tuttora caratterizza sia il modo di concepire che di organizzare l’assistenza sanitaria a livello internazionale è espressione di un chiaro indirizzo verso l’applicazione di logiche

manageriali al governo della salute. Tale riflessione trova conferma qualora l’attenzione

sia focalizzata sul caso italiano: negli ultimi decenni, infatti, le organizzazioni sanitarie sono state coinvolte nel profondo “processo di aziendalizzazione”15, che ha generato una diffusa pressione verso l’implementazione di approcci gestionali ispirati al modello privatistico in seno al sistema sanitario nazionale, nell’intento di rinvigorire l’efficacia e l’efficienza delle organizzazioni che operano al suo interno.

Nelle fasi iniziali della sua esistenza, infatti, il governo della salute in Italia ha assunto i connotati tipici dell’azione burocratica di stampo weberiano, precipuamente basata sul principio del command and control da parte dello Stato centrale, che, seppur

14 In tale contesto, per “ampiezza” si intenda il numero di competenze che sono assorbite dall’attore pubblico, mentre per “profondità” il grado di controllo che quest’ultimo detiene nei confronti delle attività che sono attribuite alla sua responsabilità.

15 Diversi Autori hanno contribuito a tracciare un quadro dettagliato sull’evoluzione storica del governo della “salute” e della “sanità” in Italia (Cavicchi, 2008; Cosmacini, 2005): a essi si rimanda per ulteriori approfondimenti.

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entro gli stringenti limiti istituzionali inizialmente associati all’intervento pubblico16, esprimeva la pretesa di governare in maniera verticistica il sistema sanitario, attraverso l’implementazione di un approccio di governance unitario e omogeneo su tutto il territorio. Siffatto modus operandi potrebbe essere ricondotto al paradigma della Public

Administration (Lynn, 2001; Kirlin, 2001), secondo cui l’intervento dell’attore pubblico

dovrebbe esplicarsi nell’esercizio di un ruolo di direzione e controllo sulle diverse entità che entrano a far parte della sua sfera di azione, in primo luogo attraverso pervasive attività di regolamentazione, pianificazione e programmazione.

Più nel dettaglio, lo Stato provvede alla formulazione di criteri uniformi per la gestione del servizio pubblico e patrocina la loro uniforme applicazione sul territorio nazionale, all’interno del quale opera una nutrita schiera di entità di diversa natura, ma simili tra di loro negli aspetti tecnici, organizzativi e gestionali. Queste ultime provvedono, ciascuna nella ripartizione territoriale di propria competenza, alla traduzione degli indirizzi e delle linee guida emanate dall’amministrazione centrale in programmi operativi, così come alla pratica implementazione di questi ultimi17. In un tale contesto, si diffonde la propensione a concepire la tutela del bene “salute” in termini di mero “accesso alle prestazioni di assistenza sanitaria”, con la focalizzazione del policy making sulle attività protese al recupero o al mantenimento dello stato di salute individuale.

Il sistema sanitario, in questi termini, ruota quasi esclusivamente attorno ai fenomeni di decadimento dello stato di salute e ai correlati trattamenti assistenziali, senza che emerga una significativa pretesa di avviare programmi o iniziative intesi alla prevenzione e alla promozione del benessere psico-fisico18. Si consolida una logica di

16 I riferimenti normativi per questa prima fase dell’intervento pubblico nel governo della salute possono essere identificati nella Legge del 22 Dicembre 1888, n. 5849, rubricata “Legge sulla tutela dell’Igiene e della Sanità Pubblica”, oltre che nei Testi Unici Sanitari del 1 Agosto 1907, n. 636 e del 27 Luglio 1934, n. 1265.

17 La legge 12 febbraio 1968, n. 132, rubricata “Enti ospedalieri e assistenza ospedaliera” è un evidente esempio di tale approccio: il legislatore disciplina nel dettaglio l’assistenza ospedaliera pubblica, delineando un impianto strettamente tecnocratico e un modello organizzativo improntato alla gerarchia; il testo di legge reca disposizioni sulla struttura e sull’amministrazione degli enti ospedalieri, sui requisiti e sulla classificazione degli ospedali, sul meccanismo di finanziamento dell’assistenza ospedaliera, sull’ordinamento dei servizi e del personale. Il Titolo IV della legge, infine, contiene la normativa in materia di programmazione ospedaliera.

18 Le prestazioni sanitarie non sono garantite alla persona nella sua qualità di essere umano, ma all’individuo in ragione del suo status di lavoratore: il sistema di finanziamento delle organizzazioni sanitarie si fonda su

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“intervento a posteriori”, basata su un approccio di natura bio-medica e scientifica, che guarda alla condizione patologica piuttosto che alle personali esigenze di cura del paziente. Tale impostazione gestionale, ovviamente, presenta rilevanti limiti e si dimostra ben presto non idonea a rispondere in maniera efficace ai sempre più qualificati bisogni di salute espressi dalla popolazione servita.

Nonostante le sue intrinseche debolezze, siffatto modello di assistenza, nelle diverse configurazioni istituzionali e organizzative assunte nel corso degli anni, si regge in piedi per alcuni decenni, anche all’indomani dell’istituzione del Servizio Sanitario

Nazionale19, evento che segna un primo – per quanto sostanzialmente tenue – episodio di

transizione verso un approccio di governo della salute, piuttosto che di mera amministrazione della condizione di malattia. Attraverso l’adozione di un’impostazione istituzionale ispirata all’esempio anglosassone20, il sistema sanitario italiano si proietta verso un approccio di cura completamente diverso rispetto al passato21. I principi di universalismo, equità e globalità, che ispirano sin dalle sue fondamenta l’istituendo sistema pubblico di assistenza, non sottendono un’uniformità di intervento sul territorio nazionale: lo Stato, piuttosto, si fa carico della responsabilità di garantire il superamento delle disomogeneità territoriali in termini di condizioni socio-sanitarie e, a tal fine, si propone quale coordinatore di una squadra eterogenea di attori, i quali, nel rispetto delle relative competenze territoriali e funzionali, concorrono alla tutela e alla promozione della salute.

Una volta consolidatasi l’istituzione del Sistema Sanitario Nazionale italiano, sono le riforme degli anni novanta a segnare il definitivo passaggio da un paradigma di Public

un modello mutualistico, in virtù del quale i lavoratori sono obbligatoriamente iscritti a una cassa assicurativa, che si impegna alla copertura dei costi derivanti dalla richiesta di servizi assistenziali da parte dell’assicurato e del relativo nucleo familiare.

19 La Legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, rappresenta un punto di svolta per la sanità italiana; si passa dal modello mutualistico a un sistema di assistenza di impronta

beveridgiana, incentrato sui principi cardine della globalità dell’assistenza, dell’universalismo e dell’equità

nell’accesso alla cura.

20 Il Rapporto Beveridge, una radicale proposta di riforma all’assistenza sociale inglese denominata “Social

insurance and allied services”, prevede un sistema di protezione sociale obbligatoria, intesa a coprire tutti

cittadini, fornendo loro una tutela “dalla culla alla tomba”.

21 Si può affermare che lo Stato abbandoni i remi per mettersi al timone del sistema sanitario. L’attore pubblico, in altri termini, tende a liberarsi della responsabilità nelle attività di produzione ed erogazione dei servizi sanitari, per concentrarsi quasi esclusivamente sulla regolamentazione del sistema e sul coordinamento delle diverse entità coinvolte nel settore della salute.

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Administration a un modello che potrebbe essere inserito nel quadro concettuale del New Public Management22. Gli istituti pubblici che operano all’interno del sistema di assistenza si impegnano nella ricerca del miglior uso possibile delle (relativamente) scarse risorse a disposizione (Keeling, 1972), traendo ispirazione dalle pratiche manageriali invalse in ambito privato; queste ultime sono intese a favorire il conseguimento dei traguardi fissati in seno alla pianificazione strategica nazionale in maniera efficiente ed efficace, oltre che equa (Aday, et al., 2004). Le risorse pubbliche sono considerate indispensabili, ma non sufficienti per il perseguimento degli obiettivi di salute fissati a livello istituzionale: si avverte in maniera sempre più intensa l’esigenza di attivare le “forze del mercato”, allo scopo di ritemprare e rigenerare le potenzialità del sistema sanitario nazionale.

Una crescente autonomia decisionale è riservata agli attori pubblici che vantano una più intima connessione al territorio: essi divengono depositari di gran parte delle competenze strategiche e organizzative in ambito sanitario, in passato monopolizzate dai livelli centrali di governo. Le regioni, gli enti locali e le aziende sanitarie locali, attraverso l’adozione di un modello organizzativo di tipo reticolare, assumono l’arduo compito di gestire in maniera appropriata le risorse a loro disposizione, integrandole con le energie profuse dalle aziende private, allo scopo di garantire l’erogazione di livelli minimi di assistenza a tutta la comunità di riferimento e, in ultima analisi, di conseguire il miglioramento delle condizioni socio-sanitarie della collettività servita. Cionondimeno, l’assistenza sanitaria è prestata nel rispetto delle linee guida formulate dallo Stato centrale, che assume i connotati di un senior partner nei confronti delle organizzazioni che operano sul territorio23.

Si diffonde lentamente la convinzione secondo cui la gran parte dei mali del sistema sanitario nazionale derivi dalla precedente gestione pubblicistica dell’assistenza sanitaria: ne scaturisce una generalizzata tensione verso l’adozione di criteri manageriali

22 Per una panoramica esaustiva sulle caratteristiche di fondo del New Public Management e sull’evoluzione degli studi manageriali italiani, si vedano Adinolfi (2005) e Cepiku (2005).

23 Secondo la riforma Bindi (D. Lgs. 229/99), compito prevalente dello Stato in ambito sanitario dovrebbe essere quello di reggere le redini di una carrozza trainata da ventuno sotto-sistemi sanitari regionali, ciascuno dei quali presenta proprie caratteristiche strutturali, organizzative e gestionali. Nella sua veste di nocchiero, l’attore pubblico centrale è tenuto a garantire un livello minimo di assistenza in tutto il territorio nazionale, evitando che il processo di devolution si traduca nell’emersione di debolezze strutturali e congiunturali e, di conseguenza, nel decadimento dello stato di salute della popolazione servita (Balduzzi, 2005; Achard, Castello, & Profili, 2004).

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desunti dalle organizzazioni private e ispirati ai principi del libero mercato. Come sopra anticipato, “aziendalizzazione” (Anselmi & Volpatto, 1990) diventa la parola chiave delle riforme amministrative nel campo della salute: i principi di economicità, efficienza ed efficacia diventano elementi immancabili negli interventi riformatori del legislatore, affiancandosi alle esigenze di umanizzazione ed eticità dell’assistenza (Borgonovi, 1993).

Il semplice ricorso al managerialismo, d’altro canto, si dimostra ben presto non sufficiente a risolvere in toto le criticità che affliggono la sanità pubblica: ancora all’indomani delle riforme degli anni novanta, l’assenza di adeguati incentivi intesi a favorire un comportamento responsabile e diligente degli operatori coinvolti nelle attività di tutela e promozione della salute, la complessità e l’inadeguatezza dei meccanismi di finanziamento e l’eccessiva frammentazione all’interno del sistema di assistenza rappresentano problemi rilevanti, da cui trovano origine sprechi, inefficienze e condizioni di insostenibilità finanziaria (Borgonovi, 2013).

In una situazione politica e sociale in continua fermentazione, è approvata la riforma costituzionale del 200124, la quale consacra definitivamente il passaggio da un modello di governo della salute dominato dall’autorità del Ministero della Salute a un’impostazione regionalistica e decentrata. Il processo di conferimento di maggiore rilievo strategico e di più ampie responsabilità decisionali agli organi di governo più vicini al territorio – regioni (Del Vecchio, 2008) e comuni (Carpani, 2005) prima di tutti – trova un nuovo stimolo. La rivisitazione del dettato costituzionale è accompagnata dall’avvio di un lento percorso evolutivo che, muovendo da un approccio di New Public Management, conduce all’applicazione dei principi della Public Governance nell’organizzazione e nella gestione dei servizi di assistenza alla persona. Il sistema socio-sanitario è finalmente concepito quale struttura complessa, composta da molteplici sub-sistemi regionali reciprocamente connessi e in costante interazione (Cicchetti, 2004). All’interno di ogni sistema regionale si persegue l’intento di pervenire alla costruzione di un governo diffuso e partecipato alla salute, inteso a coinvolgere sia attori pubblici che privati in una prospettiva di centralità del paziente e dei suoi bisogni di salute (Marsicano & Delle Fave, 2004).

24 Con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 si perviene alla riforma del Titolo V della Carta Costituzionale italiana, rubricato “Le regioni, le province, i comuni”. In ultima analisi, esso prevede il passaggio da uno stato centralistico e unitario a uno stato regionalistico, svuotato della gran parte delle sue competenze; queste ultime sono cedute ai livelli di governo locale, che assurgono al rango di entità componenti della Repubblica, con pari dignità rispetto allo Stato.

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Lo Stato, nella veste di regolatore, ispira e coordina nei suoi valori di fondo il sistema di assistenza alla persona, delegando le responsabilità di governo della salute alle Regioni, le quali assumono il compito di gestire un sistema socio-sanitario efficace, efficiente, equo e radicato sul territorio, in grado di garantire condizioni di buona salute a tutta la popolazione, a prescindere dalle condizioni socio-economiche individuali. All’interno di ogni regione operano diverse aziende sanitarie locali, ciascuna competente per una porzione del territorio ragionale: tra esse si innescano intense dinamiche contestuali di cooperazione e competizione (Mascia, 2009), funzionali a promuovere il miglior andamento possibile del sistema di assistenza.

L’articolazione organizzativa prosegue a cascata all’interno delle medesime aziende sanitarie, le quali si organizzano in distretti territoriali25, a ciascuno dei quali compete la presa in carico globale della popolazione di riferimento (Cifalinò, 2007). I distretti, in particolare, hanno il compito di guidare e indirizzare passo dopo passo l’utente all’interno del sistema socio-sanitario, in particolar modo nel momento in cui quest’ultimo si trovi a fronteggiare eventi rischiosi per la propria salute. Essi non perseguono semplicemente l’obiettivo di ripristinare una condizione psichica e fisica deteriorata, replicando l’ormai retrivo approccio bio-medico alla cura, quanto lo scopo di pervenire a condizioni di promozione e miglioramento a valere nel tempo di elevate condizioni di benessere, in adesione a un modello bio-psico-sociale di salute.

Tali tappe, come sarà meglio precisato nel prosieguo, proiettano il sistema socio- sanitario verso un rinnovato modello di governo della salute, vale a dire verso un paradigma strategico e gestionale che identifica nella cooperazione il suo principale punto di forza. Alla mera adozione di logiche di mercato, in passato erroneamente considerate una panacea per tutti i mali della sanità, si accompagna l’introduzione di nuovi approcci manageriali, che recepiscono un’impostazione sistemica nella gestione delle prestazioni di

25 La struttura organizzativa distrettuale è prevista già nella prima riforma sanitaria, con cui si istituisce il Servizio Sanitario Nazionale. Il riassetto normativo degli anni novanta, tuttavia, modifica radicalmente la sua configurazione: da articolazione interna dell’azienda sanitaria, per lo più priva di una propria identità, esso diviene entità che dispone di autonomia tecnico-gestionale ed economico-finanziaria, la quale si occupa precipuamente di garantire l’assistenza primaria e la continuità assistenziale alla collettività di riferimento, di favorire il coordinamento dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta con le organizzazioni sanitarie che operano sul territorio, di erogare prestazioni sanitarie con rilevanza sociale, di prestare servizi di assistenza ambulatoriale e sanitaria a favore di alcune categorie di utenti (tossicodipendenti, disabili, anziani, donne e bambini in stato di necessità), di indirizzare i servizi di salute mentale e di organizzare un efficace dipartimento per la prevenzione delle patologie.

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assistenza. La presa in carico globale del paziente, la medicina d’iniziativa, l’alfabetizzazione sanitaria, l’empowerment del paziente e la transizione da un approccio bio-medico, fondato sull’impersonale e oggettiva cura della malattia, a un modello bio- psico-sociale, che riconosce l’eterogeneità dei determinanti della salute, divengono i criteri ispiratori dell’azione delle aziende che operano al servizio dello stato di buona salute individuale e collettivo.