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CAPITOLO II: Le relazioni inter-organizzative: una sistematizzazione della

2.6. I benefici e i costi delle relazioni inter-organizzative

Le relazioni inter-organizzative nascono, di norma, in maniera spontanea, quale risposta istintiva alle sfide lanciate dalla complessità ambientale e in assenza di interventi

46 Parte della dottrina, nondimeno, riconduce l’esperienza delle relazioni inter-organizzative a rapporti puntuali e di breve durata, finalizzate al perseguimento di un obiettivo comune di breve termine. La

partnership, in tal caso, è destinata a sciogliersi nello stesso momento in cui si perviene al conseguimento

dell’obiettivo desiderato (Lofstrom, 2010).

47 Il consolidamento del rapporto inter-organizzativo favorisce la maturazione di un’identità di gruppo distinta rispetto a quella dei singoli membri (Warren, et al., 1971); nell’ipotesi in cui tale fenomeno generi impatti positivi sulla legittimazione istituzionale degli attori coinvolti, si verificherebbero le condizioni per la realizzazione di ulteriori iniziative rivolte al rinvigorimento delle relazioni inter-organizzative.

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coercitivi provenienti da enti sovra-ordinati. Come accade con riferimento a qualsiasi altra scelta gestionale con significative ripercussioni di carattere strutturale, gli attori interessati alla costituzione di un rapporto collaborativo confrontano attentamente i costi e i benefici che potrebbero derivare da tale strategia prima di pervenire a una decisione sull’opportunità di impegnarsi o meno nella sua implementazione

Ovviamente, le condizioni per la nascita del rapporto saranno soddisfatte esclusivamente qualora i benefici prevalgano sui sacrifici da sostenere, vale a dire nell’ipotesi in cui la soluzione collaborativa presenti un significativo valore aggiunto per tutti o, quanto meno, per la maggior parte delle entità coinvolte nella relazione (Provan, 1984). Tale situazione, d’altro canto, non è necessariamente vincolante: la relazione inter- organizzativa potrebbe trovare attuazione anche nel caso in cui i sacrifici percepiti superino i benefici associati all’interazione: si tratta delle ipotesi in cui il rapporto è patrocinato da organismi gerarchicamente sovra-ordinati, che impongono agli attori subordinati l’adesione al legame collaborativo, fenomeno tipico all’interno del contesto pubblico.

Parte della letteratura ha tentato di fornire una sistematizzazione delle principali proposizioni dottrinarie aventi ad oggetto i fenomeni di nascita e sviluppo dei rapporti collaborativi tra due o più organizzazioni, focalizzando l’attenzione sugli impatti attesi dall’interazione strategica e gestionale (Barringher & Harrison, 2000; Araujo & Easton, 1996). Tra le varie scuole di pensiero che affrontano tale area di ricerca, è possibile concentrare l’attenzione su sei filoni principali, che offrono, nel loro insieme, un quadro abbastanza completo sulla tematica oggetto di analisi.

La teoria dei costi di transazione (Williamson, 1975) assume che le organizzazioni partecipino alla costituzione di relazioni collaborative nel precipuo intento di abbattere i costi legati allo scambio di risorse, informazioni, beni e servizi cui esse danno vita ordinariamente ai fini della gestione delle proprie attività aziendali. Attraverso la creazione di rapporti di collaborazione, infatti, esse hanno la possibilità di sfruttare i vantaggi derivanti dalla specializzazione funzionale e, contestualmente, di minimizzare il rischio di comportamento opportunistico da parte dei loro interlocutori (Jarillo, 1988). L’interazione organizzativa, in questa prospettiva, offre l’opportunità di attenuare i punti deboli della gerarchia e di assorbire i problemi derivanti dalle situazioni di “fallimento” del mercato, seppur implicando l’emersione di costi aggiuntivi, legati appunto alla costruzione e al mantenimento nel tempo delle interazioni con i partner (Koh & Venkatraman, 1991).

La dottrina della Resource Dependence Theory (Davis & Cobb, 2010), diversamente, sostiene che le aziende aderiscano a modelli di cooperazione inter-

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organizzativa perseguendo lo scopo prioritario di scambiare a proprio favore risorse specifiche, critiche per il successo, con altre entità che operano all’interno del loro stesso contesto di riferimento, allo scopo di migliorare la propria posizione competitiva; in tal modo, infatti, esse pervengono alla creazione di competenze distintive e difficilmente replicabili da parte dei competitor, su cui fondare il proprio vantaggio competitivo nel lungo termine (Barney, 1991; Scott, 1987).

Secondo la teoria della dipendenza dalle risorse, invero, le aziende si impegnano nella costruzione di rapporti inter-organizzativi per il conseguimento di due obiettivi contestuali: da un lato, abbattere il rischio di essere soggette a condizioni di dipendenza nei confronti degli attori dotati di risorse critiche per il successo competitivo e, dall’altro, sviluppare competenze e conoscenze distintive che consentano di accrescere la dipendenza delle altre organizzazioni nei propri confronti. Dando vita ad opportune relazioni inter- organizzative, esse sono in grado di conseguire una posizione di dominio nel proprio ambiente di vita, rinvigorendo l’immagine aziendale e incrementando il potere negoziale espresso nei confronti degli stakeholder esterni (Thorelli, 1986).

La scuola della Strategic Choice (Kochan, et al., 1986) riconduce alla nascita delle relazioni inter-organizzative l’intento dei partner di accrescere sia la propria capacità competitiva che l’abilità di rispondere in maniera efficiente ed efficace alle mutevoli aspettative dall’ambiente esterno. In questa prospettiva, le organizzazioni ricorrono a relazioni collaborative al fine di rafforzare il proprio posizionamento strategico, in termini di potere di mercato, influenza politica e differenziazione delle attività di produzione o erogazione realizzate (Powell, 1990): un tale riposizionamento strategico, ovviamente, incide sugli aspetti gestionali, favorendo la diffusione dell’approccio collaborativo nello svolgimento delle attività organizzative.

La Stakeholder Theory (Phillips & Freeman, 2003) si fonda sull’assunto secondo cui le organizzazioni siano naturalmente ispirate da una significativa propensione alla cooperazione e alla creazione di legami inter-organizzativi (Lado, et al., 1997). In accordo a tale impostazione teorica, le formule partenariali sono per lo più intese a facilitare il conseguimento di obiettivi comuni tra gli attori che prendono parte al gioco collaborativo; d’altronde, le organizzazioni accettano di impegnarsi nella costruzione di partnership esclusivamente qualora la valutazione dei benefici attribuibili alla cooperazione – tendenzialmente esprimibili nella maggiore capacità dei nodi di rispondere alle attese degli

stakeholder – sia superiore rispetto alla ponderazione dei costi diretti e indiretti da

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potenzialmente negativo dei rapporti collaborativi sulla reputazione e sull’immagine aziendali (Axelrod, et al., 1995).

La Learning Theory (Argyris & Schon, 1978) tenta di spiegare le relazioni inter- organizzative a partire dalla naturale tensione delle aziende alla valorizzazione del proprio capitale intellettuale; quest’ultimo, infatti, potrebbe essere arricchito attraverso la condivisione delle informazioni e la fertilizzazione incrociata delle conoscenze e delle competenze a disposizione dei partner (Mowery, et al., 1996). Grazie all’interazione, costoro hanno la possibilità di acquisire e sviluppare capacità non altrimenti conseguibili (Hamel, 1991), congiungendo alla strategia di sfruttamento (exploitation) delle competenze distintive in proprio possesso l’esplorazione (exploration) di nuove fonti di vantaggio competitivo fondate sulla conoscenza (March, 1991).

Non ultima in termini di importanza, la Institutional Theory (Scott, 2001) identifica nel contesto normativo e istituzionale il principale motore in grado di suscitare una propensione positiva allo sviluppo di rapporti inter-organizzativi (Di Maggio & Powell, 1983). Le aziende, infatti, sono propense ad assecondare le “pressioni” esercitate dall’ambiente esterno nell’intento di guadagnare maggiore legittimazione istituzionale e più ampia accettazione sociale (Scott & Meyer, 1983). Proprio a causa della focalizzazione dell’attenzione su tali intenti, tuttavia, le organizzazioni potrebbero omettere di prestare la dovuta attenzione alle conseguenze della relazione inter-organizzativa sulle dinamiche gestionali e organizzative interne, con un elevato rischio di ripercussioni sulla sostenibilità delle iniziative di collaborazione poste in essere.

Se considerati individualmente, gli approcci ivi descritti non forniscono una rappresentazione soddisfacente degli impatti positivi generati dalle relazioni inter- organizzative; è necessario, piuttosto, andare oltre il contenuto specifico di ciascuna impostazione, in un’ottica di fusione e di integrazione degli spunti proposti da ciascuna di esse. Le sei impostazioni teoriche ivi discusse, d’altronde, non confliggono in maniera inconciliabile tra di loro, né si escludono vicendevolmente: nel loro insieme, esse contribuiscono a spiegare in maniera sistemica le ragioni alla base del fenomeno collaborativo, consentendo di cogliere i numerosi aspetti critici che ne potrebbero ostacolare lo sviluppo (Barringher & Harrison, 2000).

Fornendo una sintesi di quanto sopra esposto, il principale beneficio apportato dalla costituzione di una relazione inter-organizzativa consiste nell’opportunità di sfruttare nella maniera più efficace ed efficiente possibile le risorse umane e tecnologiche a disposizione dei partner coinvolti nel rapporto, in particolar modo nell’ipotesi in cui questi ultimi

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operino in ambiti complementari di specializzazione all’interno dello stesso ambiente di riferimento (Borys & Jemison, 1989). La partecipazione a rapporti collaborativi, infatti, favorisce la flessibilità delle organizzazioni, incentiva lo sviluppo di competenze distintive grazie alla reciproca fertilizzazione delle conoscenze individuali e stimola la tensione innovativa sotto il profilo strategico e gestionale.

In questa prospettiva, la partecipazione a formule cooperative rappresenta qualcosa di più che una semplice moda manageriale passeggera (O'Toole, 1997): essa, anzi, è espressione di un’azione consapevole, finalizzata ad accrescere la capacità competitiva e, di conseguenza, ad incrementare le probabilità di sopravvivenza degli attori coinvolti nella relazione. La costituzione di rapporti simbiotici consente di trarre i massimi benefici dalle

interdipendenze che legano vicendevolmente due o più aziende48: puntando

sull’interazione, queste ultime hanno la possibilità di perseguire in misura più efficace ed efficiente sia interessi egoistici che obiettivi comuni (Boyett, 1995; Clark, 1965), riuscendo a raggiungere traguardi che, altrimenti, non sarebbero state in grado di realizzare attraverso la chiusura organizzativa e il monismo gestionale (Litwak & Hylton, 1962)49.

Come più volte evidenziato, la sempre più intensa dinamicità ambientale impone la necessità di dotarsi della capacità di fornire risposte tempestive e coerenti alle mutevoli istanze espresse dall’utenza; le organizzazioni, in questi termini, devono maturare l’abilità di reagire prontamente all’incertezza e alla variabilità del contesto esterno, manovrando in maniera flessibile le proprie leve gestionali nell’intento di evitare di restare intrappolate nella rete della complessità (De Toni & Comello, 2005; Stacey, 1996). Costrette ad operare in condizioni di intensa imprevedibilità, esse propendono spontaneamente verso modelli organizzativi aperti, intesi a valorizzare la dotazione di capitale sociale individuale e collettivo ai fini dell’assorbimento dell’incertezza esterna (Ashkenas, 1995).

48 La dottrina classica individua tre formule di interdipendenze: si hanno fenomeni di “interdipendenza generica” nel caso in cui ogni attore partecipi a un processo produttivo complesso, sviluppando con le altre parti semplici relazioni di convivenza e di condivisione di risorse. Le “interdipendenze sequenziali”, invece, implicano la presenza di un flusso di relazioni e di scambi lineari e unidirezionali da un nodo agli altri componenti della rete, ciascuno dei quali occupa una fase del processo produttivo. Infine, le “interdipendenze reciproche” sono più intense rispetto alle altre, implicando relazioni bidirezionali e reciproche tra i nodi (Thompson, 1991).

49 Tale approccio è coerente con la posizione dottrinaria secondo cui l’ambiente di riferimento non sia costituito semplicemente da nicchie da occupare, ma da potenziali spazi di opportunità (enacted domain) da ritagliare e da sfruttare (Astley & Van de Ven, 1983).

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Dunque, è possibile asserire che il valore riconducibile all’attivazione di relazioni inter-organizzative promani dalla combinazione delle risorse individuali dei partner, dallo scambio e dalla fertilizzazione incrociata delle loro conoscenze e competenze, dall’allargamento dei confini aziendali e dalla creazione di maggiori opportunità per il cambiamento e per lo sviluppo organizzativo (Doz & Hamel, 1998). In tale ottica, consolidata dottrina ha proposto una rappresentazione schematica delle motivazioni che inducono le aziende a impegnarsi in iniziative protese alla predisposizione e all’implementazione di accordi di collaborazione inter-organizzativa (Galaskiewicz, 1985). Tra esse è opportuno menzionare:

 la formazione di risorse distintive a livello individuale e collettivo, nonché la promozione dell’ottimale allocazione delle stesse tra i diversi nodi della rete;

 la definizione concertata di una “posizione strategica unitaria”, che prepari la strada all’aggregazione delle molteplici anime coinvolte nel rapporto inter-organizzativo in un solo corpus, in grado di esprimere un più intenso potere politico e una più incisiva influenza nei rapporti istituzionali;

 la generazione di legittimazione e di accettazione sociale, esito del contributo positivo che le relazioni inter-organizzative generano sia sull’identità che sulla reputazione dei partner, in virtù del favor che gli stakeholder esterni associano alla nascita di rapporti collaborativi.

Spesso, tuttavia, l’attenzione è concentrata sui vantaggi che è possibile associare alle formule di collaborazione organizzativa, mentre i costi a esse correlati sono posti in secondo piano o, nella peggiore delle ipotesi, omessi (Child & Faulkner, 1998). Se, da un lato, le alleanze inter-organizzative offrono la possibilità di conseguire un più agevole e rapido accesso a risorse distintive, di ottenere economie di scala, di ripartire in maniera più equa i costi e i rischi di gestione tra i partner, di stimolare lo sviluppo di competenze distintive, di promuovere la flessibilità strategica e organizzativa, di rinvigorire il potere politico e di promuovere l’immagine aziendale delle organizzazioni coinvolte, dall’altro lato, esse sono potenziali portatrici di diversi “effetti collaterali”. Tra questi ultimi, particolare rilievo assumono la perdita di controllo su informazioni riservate (Gulati, 1995), l’inasprimento della complessità manageriale (Park & Russo, 1996), il rischio di dipendenza dagli attori dotati di maggior prestigio istituzionale e la correlata perdita di discrezionalità gestionale (Gemunden, et al., 1998; Litwak & Rothman, 1970), nonché la

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maggiore frequenza di episodi di conflitto tra culture organizzative non compatibili tra loro (Blight, 2006).

Ai costi di natura implicita sin qui menzionati, inoltre, bisogna aggiungere gli oneri espliciti connessi alle iniziative di creazione delle relazioni inter-organizzative. Infatti, le spese connesse alle attività di analisi del contesto di riferimento, di selezione dei partner con cui interagire e di negoziazione con questi ultimi, così come i costi di natura amministrativa relativi all’attivazione della relazione inter-organizzativa, debbono essere attentamente ponderati e valutati. In assenza di una loro appropriata percezione, difatti, l’implementazione del rapporto collaborativo potrebbe rivelarsi non sostenibile sotto il profilo economico e, per tale motivo, non longeva nel tempo.

Costi e benefici dipendono, in termini generali, dalla dimensione del sistema di attori e dall’intensità dei flussi di scambio che si innescano tra questi ultimi: quanto più ampio è il numero di attori coinvolti nella relazione e quanto più frequenti e reciproche sono le interazioni tra essi, tanto più elevati sono i costi (espliciti ed impliciti) da affrontare nell’intento di instaurare e mantenere in vita la relazione. Tali costi sono dovuti, da un lato, all’emersione di problemi di coordinamento e di integrazione tra i partner e, dall’altro, alla minore libertà di azione cagionata dai vincoli imposti dal rapporto inter-organizzativo. D’altro canto, la longevità e la frequenza delle interazioni contribuiscono a consolidare la fiducia e la stima reciproca dei partner, con una riduzione degli oneri connessi alle attività di monitoraggio e controllo della relazione inter-organizzativa. In questi termini è possibile presumere che i rapporti di collaborazione si auto-alimentino nel tempo, in ragione della crescita dei benefici e dell’abbattimento dei costi al progredire della longevità del rapporto.