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CAPITOLO II: Le relazioni inter-organizzative: una sistematizzazione della

2.7. I modelli di gestione delle relazioni inter-organizzative

Dai paragrafi che precedono si evince in maniera chiara come il complesso processo di istituzione e gestione delle relazioni inter-organizzative sia influenzato dalla contestuale interazione di più fattori, ciascuno in grado di incidere in misura consistente sia sui connotati strutturali che sulle caratteristiche operative del rapporto. Sistematizzando quanto esposto sino a questo momento, invero, è possibile identificare alcuni fenomeni che, da un lato, sono testimonianza della propensione delle organizzazioni ad allacciare rapporti simbiotici piuttosto che relazioni competitive e, dall’altro, condizionano i modelli di governo e gestione della relazione inter-organizzativa (Alter & Hage, 1993):

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 la percezione del legame inter-organizzativo quale strumento utile per la maturazione di competenze distintive, ritenute indispensabili per rinvigorire nel lungo termine l’efficacia e l’efficienza organizzativa a livello individuale e collettivo;

 la maturazione, tra le aziende che operano in un contesto ambientale omogeneo e caratterizzato da intensa complessità, della consapevolezza in merito all’insufficienza degli sforzi individuali nel fornire risposte appropriate ai mutevoli bisogni dell’utenza di riferimento: ne deriva una maggiore disponibilità alla formulazione di accordi – formali o informali – di ripartizione dei rischi gestionali, che prendono corpo in partnership strategiche e operative;

 la sempre più diffusa esigenza avvertita dalle organizzazioni di arricchire la propria dotazione tecnologica e di conseguire maggiori disponibilità economiche e finanziarie, allo scopo di affrontare in maniera adeguata una domanda sempre più qualificata e differenziata;

 la tensione verso il conseguimento di condizioni di “efficienza adattiva”, da intendersi quale capacità di prevedere e affrontare l’instabilità ambientale, in primo luogo grazie alla valorizzazione delle interdipendenze reciproche e la fertilizzazione incrociata delle competenze a disposizione delle organizzazioni che entrano a far parte della relazione.

Tali situazioni possono essere intese quali presupposti alla nascita delle relazioni inter-organizzative: esse testimoniano la graduale formazione di una profonda accettazione sociale del legame collaborativo e, di conseguenza, di un maggior favore nei confronti delle strategie collaborative. Quanto più la strategia collaborativa è considerata necessaria per la sopravvivenza aziendale, tanto più le organizzazioni partner sono disposte a sacrificare in parte la propria discrezionalità gestionale, pur di partecipare a una relazione di natura simbiotica; in questi termini, situazioni di criticità e di emergenza spingono verso modelli di gestione gerarchica e verticistica della relazione inter-organizzativa, il cui governo è quasi completamente demandato a un’organizzazione focale posta a capo del sistema di attori.

Come è stato più volte argomentato, d’altronde, non esiste un filone teorico unanime in materia di relazioni inter-organizzative: tale circostanza determina l’impossibilità di fornire una spiegazione univoca alle dinamiche di gestione dei rapporti di collaborazione che si instaurano tra due o più aziende (Schumaker, 2002). Ciò che si

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riscontra più comunemente, piuttosto, è l’esistenza di approcci dottrinari divergenti, a ciascuno dei quali è possibile ricondurre uno specifico framework concettuale utile per l’analisi degli approcci manageriali generalmente adottati in seno alle relazioni inter- organizzative.

La scuola delle “interazioni organizzative” (Alexander, 1995; Van de Ven & Ferry, 1980) identifica alcune contingenze di fondo alla base della formazione e dello sviluppo dei rapporti cooperativi tra aziende che operano all’interno del medesimo spazio vitale. Tra queste ultime, particolare rilievo assumono la necessità di snellezza organizzativa e di flessibilità gestionale, la condizione di eterogeneità strategica, strutturale e gestionale degli attori coinvolti, nonché il grado di fiducia reciprocamente percepito tra questi ultimi. In accordo a tale impostazione teorica, la gestione delle relazioni inter-organizzative dovrebbe essere finalizzata al conseguimento di condizioni di flessibilità strutturale e gestionale, da ricercare attraverso la valorizzazione delle sinergie tra organizzazioni che, all’interno dello stesso ambiente di riferimento, adottano approcci manageriali eterogenei, la cui sintesi si rivela particolarmente appropriata in condizioni di elevate dinamicità e complessità esterne. Nell’ordinaria gestione delle interazioni, pertanto, si dovrebbe tentare di mantenere elevato il livello di fiducia tra i partner, nell’intento di creare un forte incentivo alle interazioni. In condizioni di elevata fiducia reciproca, infatti, gli attori coinvolti nella relazione sono propensi a ricondurre un significativo potere di indirizzo e coordinamento a un’organizzazione focale, alla quale è conferito il compito di dirigere il rapporto collaborativo e di ispirarne la sopravvivenza nel tempo.

La “exchange theory” (Yip, et al., 2002), diversamente, attribuisce ai processi di scambio tra le organizzazioni la connotazione di artefatti essenziali per lo sviluppo delle relazioni inter-organizzative. In relazione al modo in cui si perviene alla realizzazione di tali scambi, invero, le relazioni inter-organizzative sono discriminate in rapporti “formali” (Hall, et al., 1977) o “informali” (Levine & White, 1961). Se, nella prima ipotesi, la relazione tra i partner è cristallizzata sulla base di norme formali e condivise, nella seconda i rapporti inter-organizzativi si fondano su accordi taciti o, comunque, non codificati, in virtù dei quali essi condividono beni, servizi, risorse, informazioni o aree di mercato nel tentativo di sviluppare interdipendenze strategiche, organizzative e operative reciproche (Van de Ven & Walker, 1984)50. Nel caso in cui prevalgano rapporti di scambio

50 La teoria dello scambio presenta alcuni aspetti in comune con la teoria della “dipendenza dalle risorse” (Aldrich & Pferrer, 1976): secondo la resource dependency theory, infatti, le organizzazioni allacciano relazioni reciproche e scambiano beni, servizi, informazioni o altre risorse allo scopo di acquisire una

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formali, la relazione sarebbe caratterizzata da un approccio di gestione verticistico, dominato da una o più organizzazioni focali; viceversa, qualora l’interazione mantenesse un contenuto prevalentemente tacito, i modelli di gestione del rapporto sarebbero orientati alla concertazione e alla partecipazione decisionale da parte dei singoli partner, con una spiccata connotazione democratica.

Il filone della “ecologia delle popolazioni organizzative” (Hannan & Freeman, 1977) argomenta con maggiore profondità la prospettiva proposta dalla teoria dello scambio: la condivisione del medesimo substrato culturale e dello stesso contesto di vita rappresenta, secondo tale impostazione, un presupposto immancabile per la maturazione di una significativa propensione alla collaborazione e per l’attivazione di reciproci scambi tra le organizzazioni. In altri termini, le aziende che compongono una sistema ecologico omogeneo tendono all’instaurazione di gruppi coesi entro i confini del proprio ambiente di vita, intessendo forti interdipendenze funzionali; all’interno di tali gruppi, emergono condizioni favorevoli allo sviluppo di risorse distintive, indispensabili per il successo organizzativo sia all’interno che all’esterno del contesto specifico di appartenenza (Lasker,

et al., 2001). Le redini dell’interazione, di norma, sono gestite da un’organizzazione focale,

la quale si preoccupa di recepire le istanze collaborative, tacite o esplicite, delle aziende, canalizzando le loro energie verso la costituzione di un sistema integrato di attori.

La scuola della “scelta razionale” (Boudon, 1986), ribaltando la prospettiva di indagine, assume che le aziende partecipino a rapporti collaborativi non già allo scopo di conseguire traguardi comuni, quanto per soddisfare esigenze di natura prettamente egoistica. In accordo a tale proposizione, dunque, sono gli interessi individuali – e non quelli di gruppo – a generare gli stimoli necessari all’insediamento di dinamiche relazionali e a influenzarne la gestione (Knoke, 1988). Inquadrate a partire da questa prospettiva, le relazioni inter-organizzative sottendono un elevato rischio di conflitto tra i partner, dal momento che questi ultimi partecipano al gioco cooperativo non necessariamente in un’ottica di squadra, ma sulla base di istanze egoistiche (Zeitz, 1980).

Le proposizioni teoriche ivi discusse non forniscono una rappresentazione soddisfacente della complessa architettura dei fenomeni che influenzano la gestione operativa delle relazioni inter-organizzative. Ciascuna delle argomentazioni ivi proposte,

posizione di dominio e di autonomia all’interno del proprio ambiente di riferimento, minimizzando il rischio di essere prede dei competitor che dispongono di competenze distintive o di essere assorbite dai concorrenti che vantano una forte legittimazione istituzionale nel contesto di riferimento.

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nondimeno, offre utili spunti di riflessione, sulla base dei quali si ritiene possibile ricomporre l’articolato puzzle degli elementi che costituiscono i presupposti strutturali e gestionali alla base del buon andamento dei rapporti collaborativi. In primo luogo, è opportuno rimarcare che non si perviene all’istituzione di rapporti partenariali per mero spirito di cooperazione, ossia per contribuire al perseguimento di un ideale interesse collettivo che trascende le istanze egoistiche dei singoli partner. Questi, piuttosto, sono nella maggior parte dei casi ispirati dall’intento di tutelare e promuovere interessi individuali, in termini di migliori condizioni di efficienza ed efficacia organizzativa, ovvero di preservazione nel tempo della massima autonomia e libertà di azione possibili (Gouldner, 1959).

La nascita di una relazione inter-organizzativa, d’altro canto, implica per propria natura una riduzione della discrezionalità manageriale degli attori coinvolti nel rapporto: da un lato, ciascun partner subisce una perdita di autonomia decisionale, in quanto privato della possibilità di agire, in assenza di condizionamenti esterni, ai fini del conseguimento dei propri obiettivi organizzativi; dall’altro lato, il vincolo – tacito o esplicito – di investire risorse finanziarie, economiche, tecniche e umane per supportare l’istituzione e lo sviluppo nel tempo della relazione limita gli spazi di azione individuale. Per tali ragioni, le organizzazioni preferiscono di solito non essere coinvolte in relazioni inter-organizzative, almeno sin quando queste ultime non siano percepite come indispensabili ai fini del perseguimento della propria mission organizzativa (Burt, 1982).

In questa prospettiva, la costruzione della relazione inter-organizzativa potrebbe essere descritta come un processo graduale, che potrebbe essere articolato in quattro tappe sequenziali: la formazione del rapporto collaborativo, l’appianamento delle divergenze organizzative e gestionali tra i partner, la concertazione delle strategie collettive di breve e di lungo periodo e la concreta implementazione del lavoro di squadra (Daft, 1999).

Nella prima fase, i promotori della relazione si preoccupano di costituire le infrastrutture materiali e immateriali per agevolare la cooperazione tra le organizzazioni coinvolte nel rapporto, preoccupandosi di preservare un certo equilibrio tra il livello di autonomia decisionale e operativa riconosciuto ai singoli attori e le esigenze di interazione che scaturiscono dalla strategia collaborativa. Durante lo stadio di appianamento delle divergenze, di conseguenza, si perviene alla definizione concertata degli obiettivi della

partnership, oltre che dei valori condivisi e dei principi cui si ispira il lavoro di squadra.

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sociale a disposizione dei nodi in maniera tale da infondere in essi una maggiore propensione alla collaborazione (Putnam, 1993).

La fase di concertazione si caratterizza per la formulazione di una strategia comune tra i diversi attori e per l’emersione tra essi di un rapporto di fiducia reciproca, entrambe indispensabili per il conseguimento degli obiettivi definiti nello stadio precedente. L’adesione al rapporto collaborativo deve essere continuamente presidiata e nutrita, in quanto l’intensità del legame fiduciario che lega vicendevolmente i partner alimenta i flussi informativi e gli scambi di risorse che si realizzano all’interno della rete, favorendo il buon esito dell’interazione (Vangen & Huxham, 2003). Da ultimo, nello stadio di implementazione le organizzazioni focali si preoccupano di creare le condizioni necessarie per catalizzare le dinamiche cooperative e per accrescere le interdipendenze strategiche e funzionali tra i nodi, incentivando l’adesione di questi ultimi agli indirizzi strategici definiti durante la fase di concertazione. In aggiunta, i promotori della relazione inter- organizzativa svolgono un’attività di valutazione continua della performance di gruppo (Mithcell & Shortell, 2000): sulla base dei risultati di quest’ultima, essi progettano interventi protesi alla ridefinizione del rapporto collaborativo, in una prospettiva di apprendimento continuo a livello individuale e sistemico (Senge, 1990).

Le relazioni inter-organizzative possono essere analizzate adottando due diverse chiavi di lettura, una di tipo strutturale e l’altra processuale (Van de Ven, 1976). La prima focalizza l’attenzione sulle regole istituzionali e sui meccanismi organizzativi che definiscono la ripartizione dei compiti e delle responsabilità tra gli attori coinvolti nella relazione e prevedono la ricomposizione di questi ultimi. Un metodo comunemente impiegato per l’analisi delle relazioni inter-organizzative dal punto di vista strutturale consiste nel vagliare le caratteristiche di formalizzazione, centralizzazione e complessità assunte da queste.

La prima dimensione ha ad oggetto il grado di formalismo, esprimibile in termini di condivisione di norme, regole e procedure standardizzate, nella regolamentazione delle interazioni tra i diversi attori coinvolti nel rapporto (Marrett, 1971); la centralizzazione, diversamente, misura il grado di concentrazione dell’autorità in capo a un ente di riferimento all’interno della rete, che assume la connotazione di “attore focale” della relazione (Blau, 1974); la complessità, infine, identifica il livello di articolazione delle dinamiche relazionali all’interno del network: quanto più ampio è il numero di organizzazioni coinvolte e quanto più numerosi sono i legami intessuti tra esse, maggiore è la complessità riconducibile alla relazione inter-organizzativa (Evan, 1966).

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Adottando l’ottica processuale, invece, le relazioni inter-organizzative sono concepite essenzialmente in termini di rapporti di scambio; questi ultimi possono essere osservati in relazione alla:

 loro natura, qualora si prenda in considerazione il contenuto specifico dell’interazione;

 loro direzione, nell’ipotesi in cui oggetto di interesse sia l’orientamento delle dinamiche relazionali;

 loro intensità, in termini di frequenza delle interazioni e di rilevanza strategica assunta da queste ultime per le diverse organizzazioni coinvolte nella rete.

Gli attori che sono in grado di influire in misura maggiore sui processi di scambio, tanto in termini di contenuto degli stessi che di direzione e di intensità, acquisiscono un ruolo influente all’interno del network. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, la dottrina suole distinguere le reti in tightly coupled – a legami forti – e in loosely coupled – a legami deboli – (Keast, et al., 2004). Le prime, di norma, si connotano per la presenza di uno o più attori dominanti – le cosiddette organizzazioni focali – aventi il prevalente compito di dirigere le relazioni inter-organizzative, di controllare e coordinare gli scambi attivati all’interno della rete e di promuovere la reciprocità delle relazioni, vincolando, di conseguenza, in maniera incisiva la discrezionalità gestionale dei partner. Le seconde, viceversa, si fondano su un’architettura democratica, in cui i diversi nodi sono considerati come pari (peers), contribuendo in prima persona alle dinamiche di governo e gestione della rete.

L’esigenza di dotarsi di risorse e competenze non immediatamente disponibili, ovvero non autonomamente generabili o acquisibili in un arco temporale relativamente breve, stimola la nascita di relazioni di scambio e di collaborazione, malgrado la perdita di autonomia correlata a tale strategia. Maggiore è la consapevolezza (awareness) in merito al valore aggiunto che le relazioni organizzative potrebbero generare, più intensa sarà la tensione verso la costituzione della strategia cooperativa (Thellufsen, et al., 2009); quest’ultima sarà caratterizzata da legami deboli nell’ipotesi in cui la relazione implichi esclusivamente lo scambio di risorse o di informazioni, con un basso impatto sulle dinamiche gestionali e strutturali dei singoli partner; in alternativa essa poggerà le sue fondamenta su legami forti, richiedendo un’ampia condivisione a livello inter- organizzativo delle leve decisionali di natura strategica e/o manageriale.

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Di norma, un elevato livello di consapevolezza si correla a un intenso commitment nella gestione del rapporto cooperativo: le organizzazioni che percepiscono l’importanza strategica della collaborazione non solo sono più volenterose a stringere legami cooperativi, ma sono anche più propense a mantenere in vita il rapporto e rinvigorirlo nel corso del tempo. Commitment e awareness procedono di pari passo, rappresentando l’uno il presupposto dell’altro (Foster-Fishman, et al., 2001): una chiara percezione dei benefici dell’interazione determina un più intenso impegno nella generazione e nel mantenimento della relazione; analogamente, maggiore è lo sforzo finalizzato al radicamento e al consolidamento del rapporto, più solida risulta la consapevolezza sull’importanza del legame inter-organizzativo.

In termini analoghi, potere e autonomia sono due aspetti chiave per l’analisi delle relazioni inter-organizzative (Provan, et al., 2011); al riguardo, la letteratura ha proposto diverse ipotesi in merito alla configurazione assunta da tali dimensioni nelle dinamiche di gestione dei rapporti di natura cooperativa (Provan, 1984). È possibile asserire che quanto maggiore risulti l’importanza percepita del ruolo svolto da un attore focale all’interno della rete e delle risorse specifiche a disposizione di quest’ultimo, tanto più intensa sarà la concentrazione del potere nelle sue mani e, di conseguenza, minore la libertà d’azione degli altri nodi della rete. Al crescere dell’incertezza e dell’imprevedibilità ambientale, l’importanza relativa dell’attore focale tende ad aumentare: questi, difatti, acquisisce il compito di aggregare e canalizzare le energie dei diversi membri della rete ai fini dello sviluppo di competenze e risorse distintive, funzionali alla formulazione di risposte rapide e coerenti rispetto alle mutevoli esigenze espresse dagli stakeholder esterni.

La capacità dell’organizzazione focale di farsi carico dei compiti di coordinamento e indirizzo che le sono attribuiti e di condurli in maniera efficace alimenta la sua insostituibilità in seno alla relazione inter-organizzativa. Dal momento che l’autonomia dei nodi risulta correlata alla loro dipendenza dall’attore focale, la non sostituibilità di quest’ultimo implica ulteriore concentrazione di potere e restringimento della discrezionalità dei singoli partner. Il grado di dipendenza degli attori che prendono parte alla relazione inter-organizzativa, inoltre, è influenzato dalla loro numerosità: a parità di altre condizioni, quanto più elevato è il numero dei nodi coinvolti, tanto maggiore sarà l’autonomia e l’indipendenza vantata da ciascuno di essi, anche in presenza di un attore focale preposto al coordinamento della rete.

Fermo restando quanto esposto sino a questo punto, i partner hanno la possibilità di conseguire un rilievo e un’importanza strategica comparabili a quelli dell’organizzazione

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focale, qualsiasi sia il tipo di relazione alla quale essi prendono parte. Più nel dettaglio, i nodi possono conquistare una posizione nevralgica all’interno del network in ragione della disponibilità di risorse distintive e non imitabili, del possesso di informazioni rilevanti e altrimenti difficilmente acquisibili all’interno della rete, del livello di reputazione aziendale e del grado di fiducia maturato nei confronti delle altre entità coinvolte nella relazione inter-organizzativa.

La peculiare composizione della rete, comunque, incide sul grado di autonomia vantato dai singoli nodi. Di norma, reti eterogenee, inserite in contesti caratterizzati da forte competitività a da elevata incertezza, tendono a tributare una scarsa autonomia ai

partner. Al contrario, reti omogenee, costituite da attori che non solo condividono il

medesimo spazio di vita, ma presentano anche aspetti strategici, organizzativi e operativi simili, si connotano per una più ampia autonomia individuale qualora si sviluppino secondo un modello di “dispersione geografica”, mentre sono segnate da forte concentrazione del potere nell’ipotesi in cui l’interazione sia territorialmente concentrata.

In ultima analisi, grazie all’attivazione delle relazioni e alla loro sedimentazione nel tempo, le organizzazioni hanno la possibilità di sfruttare le sinergie che emergono dalla realizzazione congiunta di attività caratterizzate da elevata reciprocità e integrazione. Se gestite in maniera efficace – soprattutto in presenza di un’attenta azione di coordinamento e direzione da parte dell’organizzazione focale – esse potrebbero generare un elevato valore aggiunto per tutti i nodi coinvolti nella relazione: quanto più l’efficacia percepita della partnership risulti prossima o superiore a quella attesa e quanto meno intense e irrisolvibili si manifestino le diatribe interne sorte in ragione del gioco cooperativo, tanto più elevato sarà il valore aggiunto riconducibile alla relazione inter-organizzativa.

Secondo questa prospettiva, le dinamiche di costituzione e sviluppo delle relazioni inter-organizzative potrebbero essere concettualizzate come fasi di un processo ciclico. Il punto di partenza è rappresentato, di norma, dalla percezione di un bisogno da soddisfare attraverso il rapporto collaborativo: si pensi, a titolo esemplificativo, all’esigenza di risorse addizionali o di maggiore legittimazione istituzionale51. L’incontro di esigenze tra di loro armoniose genera un contesto favorevole alla nascita di rapporti collaborativi. Il successo della relazione che in tal modo trova origine dipende dalla consapevolezza e dal

51 Le organizzazioni propense ad allacciare rapporti collaborativi sono mosse, il più delle volte, dall’intento di cogliere un’opportunità di crescita non perseguibile individualmente, ovvero di pervenire rapidamente all’accumulazione di una massa critica di risorse che consenta di affrontare nelle migliori condizioni possibili le dinamiche competitive che caratterizzano l’ambiente di riferimento.

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commitment che gli attori maturano nel tempo rispetto a quest’ultima: maggiore è

l’intensità di questi due fattori, più frequenti saranno le occasioni di scambio e più proficua l’interazione. In quest’ottica, la longevità del rapporto rappresenta un importante