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CAPITOLO II: Le relazioni inter-organizzative: una sistematizzazione della

2.2. Un inquadramento concettuale delle relazioni inter-organizzative

Le amministrazioni e le aziende pubbliche tendono, spesso in maniera implicita, verso l’implementazione di approcci strategici e gestionali improntati all’individualismo organizzativo, il più delle volte trascurando gli effetti benefici che potrebbero derivare dall’instaurazione di legami collaborativi con partner di natura pubblica o privata (Adinolfi, 2005). Tale impostazione atomistica, tuttavia, non è coerente alla natura di “sistema a legami deboli” generalmente attribuibile alle organizzazioni che compongono il settore pubblico; queste ultime, invero, dovrebbero configurarsi (nonché comportarsi) come nodi di una rete di entità indipendenti sotto il profilo istituzionale, ma reciprocamente interconnesse in termini organizzativi e funzionali (Borgonovi, 2006) interagendo sulla base di un’articolata intelaiatura di legami flessibili e dinamici (Rebora & Meneguzzo, 1990).

Aderendo all’impostazione tradizionale, tuttora prevalente nella gran parte degli ambiti di azione pubblica, le aziende sanitarie e le organizzazioni appartenenti al sistema dei servizi sociali hanno storicamente manifestato un modus operandi improntato a un’aristotelica “entelechia”, vale a dire alla preservazione a tutti i costi della propria autonomia gestionale (Macinati, 2004), profondendo scarsi sforzi nella costruzione di relazioni inter-organizzative con gli altri istituti appartenenti al loro medesimo contesto di vita e operanti in ambiti di azione simili o complementari.

A dispetto della diffusa prevalenza di una situazione di frammentazione, fattori di natura politica, economica, sociale e tecnologica richiedono oggi un radicale ripensamento del modo di concepire e gestire le aziende che erogano servizi di assistenza alla persona, conferendo un rinnovato afflato alle relazioni collaborative, le quali, nel recente passato, non hanno trovato espressione se non in termini meramente informali (Roice, et al., 1989). Ne deriva una crescente legittimazione istituzionale tributata alle relazioni inter- organizzative: i rapporti collaborativi sono ormai largamente considerati un fattore imprescindibile per il buon andamento delle organizzazioni sanitarie e delle aziende che erogano servizi di assistenza e di promozione sociale, contribuendo alla creazione di valore aggiunto in una prospettiva sia strategica che gestionale.

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Non esiste un corpus teorico omogeneo in materia di relazioni inter-organizzative: la dottrina, piuttosto, ha manifestato un approccio eclettico, frutto di una combinazione emergente di diverse proposizioni concettuali ed empiriche (Cropper, et al., 2008). Come è possibile desumere da una riflessione ormai non più recente, ma tuttora condivisibile, gli studiosi impegnati nella ricerca applicata alle interazioni cooperative tra due o più organizzazioni, pur essendo a conoscenza dei contributi proposti dai loro colleghi, preferiscono non costruire a partire dalle fondamenta gettate da questi ultimi, proponendo di volta in volta framework teorici e approcci concettuali di nuova formulazione (Melcher & Adamek, 1971).

A dispetto di tale varietà, seguendo una schematizzazione condivisa in letteratura, si ritiene possibile catalogare le relazioni inter-organizzative in due grandi famiglie, a ciascuna delle quali è possibile associare aspetti caratterizzanti (Evan, 1965): da un lato, vi sono le “relazioni interne”, vale a dire rapporti tra attori che, pur vantando autonomia funzionale e organizzativa, appartengono o fanno capo ad un’identica entità giuridica; dall’altro lato, si collocano le “relazioni esterne”, aventi ad oggetto legami che attraversano i confini di due o più organizzazioni giuridicamente indipendenti.

Le prime si connotano per la loro funzione precipuamente operativa: esse trovano giustificazione nell’esigenza di ripartire tra più entità le attività che è necessario svolgere per il conseguimento di un risultato comune. Nella maggior parte dei casi, infatti, i nodi che entrano a far parte di una relazione “interna” sono depositari di competenze e responsabilità che concernono una porzione autonoma e tecnicamente scindibile di un processo produttivo complesso. In via residuale, i rapporti “interni” possono assumere un carattere generico: è il caso in cui le interdipendenze organizzative abbiano ad oggetto aspetti meramente amministrativi, finanziari ovvero attività di supporto ai processi di produzione, tra cui la gestione degli affari legali o dei rapporti con gli intermediari finanziari, spesso centralizzati allo scopo di realizzare significative economie di scala o di specializzazione.

Secondo la maggior parte della dottrina, d’altro canto, si potrebbe parlare propriamente di “relazioni inter-organizzative” con esclusivo riferimento ai rapporti esterni, vale a dire alle relazioni che interessano entità giuridicamente ed istituzionalmente indipendenti, la quali si impegnano in maniera volontaria – per lo più in assenza di influenze coercitive esterne – nell’instaurazione di un rapporto collaborativo (Hanf & O'Toole, 1992). L’orientamento di tali relazioni, su cui sarà prevalentemente concentrata l’attenzione nei paragrafi che seguono, può essere indirizzato verso “valle”, nell’ipotesi in

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cui il processo integrativo sia finalizzato a ridurre la distanza delle organizzazioni partner dai mercati di sbocco, ovvero verso “monte”, qualora sia perseguito l’intento di stabilire un contatto diretto con i fornitori o con le altre aziende che operano in prossimità delle fasi “iniziali” della filiera produttiva. Nella maggior parte dei casi, comunque, le relazioni inter-organizzative assumono un orientamento “orizzontale”: le aziende entrano in contatto con entità simili, operanti nello stesso ambiente di riferimento, al fine di rafforzare la capacità individuale e collettiva di rispondere in maniera rapida e appropriata alle aspettative espresse dall’utenza.

A dispetto del loro contenuto strategico prima ancora che operativo, le relazioni inter-organizzative esterne, in termini quasi del tutto analoghi rispetto a quanto osservato per quelle interne, potrebbero essere improntate alla gestione di rapporti di tipo generico: è quanto si verifica nel caso in cui l’interazione concerna la condivisione di attività di supporto, come potrebbe accadere, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, per i servizi di committenza e di approvvigionamento, delegati a un’organizzazione partner esterna nell’intento di conseguire economie di scala o di specializzazione.

Istituire e sostenere nel tempo relazioni di collaborazione tra organizzazioni giuridicamente autonome è un’attività di non semplice attuazione (Axelsson & Axelsson, 2006). In tali circostanze, infatti, le aziende coinvolte non sono istituzionalmente tenute a rispondere alla medesima linea gerarchica, il che implica l’impossibilità di impiegare l’approccio di command and control, tipico del settore pubblico, per favorire l’insediamento e il consolidamento dei rapporti inter-organizzativi. È indispensabile, all’opposto, puntare sulla formazione e sul radicamento nel tempo di una più o meno libera volontà degli attori coinvolti di stringere reciprocamente relazioni di tipo cooperativo, allo scopo di accrescere la rispettiva capacità di soddisfare le sempre più qualificate attese della domanda (Weick, 1979).

Guardando rapidamente alla composizione tipica delle reti di attori, è opportuno evidenziare che queste ultime esibiscono, di norma, due connotati basilari: da un lato, tra le entità che entrano a far parte del rapporto collaborativo emerge una certa diversificazione, di natura sia organizzativa che funzionale, che contribuisce a caratterizzare i singoli attori; in secondo luogo, tra questi si sviluppa una forte interdipendenza reciproca, la cui natura e intensità variano in funzione dei peculiari contenuti dell’interazione organizzativa. Siffatta relazione di interdipendenza può essere più o meno squilibrata a favore di uno dei partner, in considerazione del livello di indispensabilità che esso matura e consolida rispetto ai suoi interlocutori nello svolgimento delle attività aziendali (Barki & Pinsonneault, 2005).

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In questa prospettiva, adottando un’impostazione efficace in termini descrittivi, che, tuttavia, semplifica in maniera eccessiva la realtà oggetto di analisi, la relazione inter- organizzativa potrebbe essere descritta quale rapporto di scambio tra due o più entità, segnato da variegati livelli di differenziazione e di interdipendenza tra gli attori coinvolti; oggetto dello scambio, in particolare, potrebbero essere risorse finanziarie, tecniche e umane, oltre che beni, servizi e, in talune ipotesi, finanche utenti34. Le interazioni organizzative sottese ai flussi di scambio possono attivarsi quale espressione di un rapporto puntuale ovvero di un legame continuativo nel tempo: nella prima ipotesi, la relazione è condizionata dal perseguimento di un obiettivo in comune, ben definito da parte delle organizzazioni partner, venendo meno il quale la sopravvivenza dello stesso rapporto collaborativo vacillerebbe; nella seconda ipotesi, invece, le organizzazioni operano fianco a fianco per il conseguimento di uno scopo comune di lungo termine, che ispira l’essenza della partnership35 (Van de Ven, 1976).

A prescindere dalla tipologia del rapporto di scambio che lega vicendevolmente le organizzazioni partner, è possibile ricorrere a varie strategie di intervento al fine di promuovere l’attivazione di relazioni inter-organizzative di lungo termine tra due o più attori. Tra gli interventi più efficaci è opportuno menzionare (Barki & Pinsonneault, 2005):

 l’introduzione di un quadro istituzionale favorevole alla concertazione di strategie, approcci organizzativi e procedure operative, inteso a stimolare l’agire sistemico tra le entità che operano all’interno di un medesimo contesto ambientale di riferimento;  l’espressione di un forte sostegno finanziario e operativo allo sviluppo e alla diffusione di conoscenze, competenze e abilità complementari tra organizzazioni che vivono in uno stesso ambiente e si rivolgono alla medesima utenza;

34 Ad esempio, con riferimento allo specifico caso dell’integrazione socio-sanitaria, le relazioni inter- organizzative potrebbero sottendere l’attivazione di flussi di pazienti, i quali, in considerazione delle loro peculiari esigenze di salute, sono indirizzati verso i nodi della rete che dispongono delle specializzazioni tecniche, delle competenze professionali e della dotazione strutturale più appropriate a garantire una risposta appropriata ai loro bisogni di assistenza (Benson, 1975).

35 Particolare attenzione va tributata alle opportunità di scambio di dati, informazioni o, più in generale, di “fattori immateriali” tra le entità che entrano a far parte della relazione inter-organizzativa. Essi, infatti, aprono la strada allo sviluppo di conoscenze distintive e alla fertilizzazione incrociata delle competenze accumulate in ciascun nodo della rete. L’interazione tra le organizzazioni, in questi termini, garantisce il continuo arricchimento del capitale intellettuale vantato da ciascuna di esse, elemento chiave della capacità di queste ultime di sopravvivere nel lungo periodo.

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 l’introduzione di appropriate piattaforme di interazione, intese ad agevolare il coordinamento inter-organizzativo per lo svolgimento di processi di lavoro complessi;

 la sperimentazione di tecniche e metodi per il controllo e la valutazione integrata delle performance individuali e di gruppo realizzate dai membri della rete;

 l’attribuzione di legittimazione istituzionale a favore di un’organizzazione focale, capace di coinvolgere, sulla base del proprio prestigio aziendale, altri attori (follower) nel rapporto collaborativo;

 la promozione, attraverso incentivi di natura finanziaria e non finanziaria, della tensione delle singole organizzazioni verso il mutuo e reciproco adattamento, nell’intento di conseguire obiettivi comuni.

Sotto il profilo processuale, la dottrina ha argomentato che il ciclo di vita delle relazioni inter-organizzative evolve, di norma, lungo quattro fasi, che si caratterizzano per il livello crescente di intensità dei legami che si innestano tra le organizzazioni coinvolte (Dan, et al., 2005). A una fase iniziale improntata al mero scambio delle informazioni, in cui i nodi non pervengono alla condivisione di risorse strategiche, ma attivano semplicemente uno scambio reciproco di dati rilevanti ai fini dell’attività produttiva, segue uno stadio di più intima integrazione di tipo gestionale; quest’ultimo, come poco sopra anticipato, può trovare declinazione lungo la dimensione orizzontale, qualora gli attori coinvolti operino fianco a fianco in ambiti operativi analoghi o complementari, ovvero lungo la dimensione verticale, qualora il rapporto concerna attività che si collocano in diverse fasi della filiera produttiva. La terza tappa del processo di integrazione prevede una più profonda integrazione delle conoscenze e delle competenze dei partner: aspetti culturali e valoriali, non rilevanti in precedenza, entrano a far parte del processo di costituzione delle relazioni inter-organizzative. Nello stadio finale, si perviene a una vera e propria condizione di integrazione organizzativa, che esplica radicali impatti di tipo strutturale e manageriale sui singoli nodi della rete.

In consonanza al quadro concettuale ivi esposto, parte della dottrina identifica quattro azioni sequenziali attraverso cui si ritiene possibile pervenire a una forma di relazione inter-organizzativa caratterizzata sia da intensità del rapporto che da continuità delle interazioni (Ghoshal & Gratton, 2002). In prima battuta, è necessario che il processo collaborativo sia focalizzato su aspetti di natura precipuamente operativa: l’integrazione, infatti, è avviata facendo leva per lo più sull’introduzione di tecnologie dell’informazione e

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della comunicazione che consentano di attivare e vivacizzare i rapporti tra le organizzazioni partner. Nella seconda fase, l’integrazione assume in maniera graduale connotati “intangibili”: gli attori coinvolti nell’interazione sviluppano nel tempo una base condivisa di valori e conoscenze, a partire dai quali risulta agevole alimentare rapporti di collaborazione di lungo termine. Segue un’integrazione sotto il profilo “sociale”, implementata attraverso la congiunta dichiarazione di intenti e la reciproca assunzione degli impegni da osservare ai fini del migliore andamento possibile della relazione inter- organizzativa. La fase finale, in ultimo, prevede un’integrazione di tipo “emozionale”, in cui si sedimentano e si solidificano sia la consapevolezza che l’adesione di tutti gli attori al legame cooperativo.

Fornendo un’efficace sistematizzazione di quanto ivi esposto, vi è chi descrive le relazioni inter-organizzative concentrandosi esclusivamente su tre dimensioni di interesse (Braganza, 2002):

 le caratteristiche istituzionali e gestionali che caratterizzano, da un lato, gli attori coinvolti e, di riflesso, il sistema nel suo complesso;

 gli obiettivi sottesi alla relazione inter-organizzativa;

 gli artefatti organizzativi oggetto di “allineamento” nell’intento di promuovere nel tempo il processo di integrazione organizzativa.

La prima dimensione concerne i fattori che consentono di pervenire a una descrizione dettagliata, sia sotto il profilo istituzionale che operativo, della relazione inter- organizzativa: al suo interno sono ricompresi i vari elementi che è necessario tenere in considerazione ai fini dell’attivazione della rete, tra cui la cultura organizzativa degli attori coinvolti, le risorse a disposizione di ciascuno di essi, la loro dotazione di capitale umano e sociale, il relativo orientamento strategico e le caratteristiche dell’utenza di riferimento di ciascuno di essi. Identificando gli aspetti in comune tra i diversi partner, è possibile pervenire alla definizione di un profilo sistemico della relazione inter-organizzativa, delineandone le caratteristiche di fondo.

La seconda dimensione, a sua volta, afferisce alle funzioni che sono oggetto di integrazione e ai traguardi che si intende conseguire attraverso il ricorso alla cooperazione: essa, dunque, identifica le motivazioni che giustificano l’interazione organizzativa, declinate in termini di finalità da perseguire e di risultati attesi a livello individuale e collettivo. La terza e ultima dimensione, infine, riguarda gli aspetti organizzativi, che devono essere monitorati e controllati per garantire il buon esito del processo integrativo; il

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riferimento, in primo luogo, è all’allineamento nel lungo termine delle culture organizzative e all’armonizzazione dei piani e dei programmi relativi alle singole organizzazioni partner, indispensabili per la sopravvivenza nel lungo termine dell’interazione.

Il quadro concettuale sin qui tracciato è coerente con la proposizione dottrinaria secondo cui la ricetta per il conseguimento di un livello appropriato di interazione organizzativa debba prevedere l’impiego di quattro ingredienti fondamentali (Fawcett & Cooper, 2001):

 la formulazione concertata di obiettivi di natura strategica, organizzativa e operativa condivisi tra i diversi membri della rete;

 la riconfigurazione dei modelli e degli strumenti tradizionali di misurazione e valutazione della performance, in maniera tale da garantirne l’adattamento a una logica di azione sistemica e non più atomistica;

 l’introduzione di un sistema informativo che consenta il continuo scambio di informazioni, grazie alla costruzione di una rete diffusa di comunicazioni tra i nodi;  il reclutamento di risorse umane con elevate competenze relazionali, in grado di

supportare nel tempo il processo di integrazione.

L’assenza di uno degli ingredienti qui elencati determina l’impossibilità di pervenire a un risultato soddisfacente rispetto alle aspettative nutrite dalle organizzazioni

partner. Il rapporto inter-organizzativo, nei fatti, risulterebbe svilito ora sotto il profilo

strutturale (qualora manchino i primi due ingredienti), ora sotto il profilo organizzativo (nel caso in cui manchino gli altri due), rendendo vani gli sforzi di integrazione profusi dai singoli partner.