CAPITOLO II: BREVE STORIA DELL’ANDALUSIA
2.3 IL MERCATO DEL LAVORO IN ANDALUSIA
2.3.3 LE GRANDI PROPRIETÀ TERRIERE
La grande proprietà si affermò, anche se tra mille contraddizioni,
come fattore determinante nell’ambito agrario dell’Andalusia, sotto il dominio delle classi privilegiate, della nobiltà e della Chiesa. Infatti, a
partire dal secolo XVI iniziano a configurarsi e stabilizzarsi, in
Andalusia, i principali modelli di sfruttamento agrario, come riflesso
dei regimi di proprietà e dei sistemi di possesso della terra
preponderanti.
Nelle aree destinate alla coltura cerealicola predominano i cortijos,
che rappresentavano l’archetipo del latifondo e della grande proprietà (nel XVIII secolo la superficie media dei grandi casali oscilla tra i 680
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ettari nella zona di Siviglia e i 320 in quella di Granada). I grandi
cortijos sono affiancati dalle grandi proprietà dette agroganaderas, dedite principalmente all’allevamento del bestiame e al pascolo, che coprivano ampie estensioni di terra, fino a raggiungere i mille ettari.
Le aziende agricole, o haciendas, sorsero come grandi strutture
agroindustriali, ed essendo legate ai circuiti commerciali di prodotti
agricoli come vino e olio, si trovavano principalmente nelle aree più
spiccatamente influenzate dal mercato e dal commercio, dove c’era la possibilità di fare approvvigionamento di vari beni e prodotti. Le
haciendas avevano una superficie variabile tra gli 80 e i 189 ettari, e comprendevano mulini, strutture per lo stoccaggio e altre installazioni.
Meno estese sono altre proprietà che si occupano della raccolta e della
lavorazione delle olive.
I regimi di proprietà e il possesso della terra, il carattere più o meno
intensivo delle colture e altri fattori tipici dello sfruttamento
tradizionale della terra, hanno generato diversi modelli territoriali con
notevoli differenze riguardanti l’estensione, quindi la superficie, le modalità di gestione dei lotti di terra, la densità della popolazione
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2.3.4 IL PROCESSO DI DESAMORTIZACIóN CAMBIA GLI
SCENARI LAVORATIVI
Lo scenario è ancora quello della bassa Andalusia, una regione a
prevalenza agricola che riflette, nel corso della sua storia, quel gioco
di forze sociali, politiche ed economiche che hanno agito sulla base di
un interesse per la gestione delle risorse naturali presenti sul
territorio. La struttura agraria spagnola affonda le sue radici
nell’immensa operazione di trasferimento di proprietà che avvenne durante il XIX secolo (precisamente tra il 1836 e il 1876) e riguardò
principalmente le terre della Chiesa. Nel corso dei secoli quindi, lo
status che viene attribuito alla terra comunale cambia, fino a generare
un sistema di proprietà privata della terra di stampo capitalista.
Ancora oggi nel panorama degli studi sul tema si possono ritrovare
divergenze e ambiguità: non è del tutto chiaro se l’origine della
proprietà comunale affondi le sue radici nell’influenza che romani e visigoti ebbero nella regione, né è chiaro se queste terre comunali
fossero considerate per loro stessa natura inalienabili, nonostante l’uso
specifico che ne veniva fatto cambiasse a seconda della dicitura
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dell’epoca si riferiscono alla terra comunale risultavano estremamente vaghi ed era per questo difficile capire della terra di quale cittadina si
stesse trattando, dato che spesso la proprietà comunale si estendeva
ben oltre il ristretto ambito di un unico municipio. Quando si parla di
comunales, ci si riferisce a realtà molto diverse fra loro, e come spiega
Bernal28, sarebbe il risultato di un conformismo acritico credere di
essere giunti alla chiarificazione di una questione così evanescente
adottando un termine così generico. Nella regione del Guadalquivir si
possono enucleare nello specifico due tipi di “aree”: la cosiddetta campiña, definita storicamente come una distesa di terreno pianeggiante o con deboli ondulazioni, adatta ai raccolti; la “valle”, un’area irrigata adoperata per l’orticultura.
Di fatto, il possesso della terra ha fortemente segnato la storia della
bassa Andalusia, generando un gap quantitativo e qualitativo tra i
grandi possidenti terrieri e i piccoli e medi poderi. Alla fine del XVII
secolo la terra era quasi interamente posseduta della Chiesa, della
Corona e della nobiltà. Le terre ecclesiastiche erano definite bienes de
manos muertas (beni di mano morta); le terre appartenenti alla corona erano note come tierras de realengo, mentre le terre garantite alla
28 Antonio- Miguel Bernal Rodrìguez, La tierra comunal en Andalucia durante la edad moderna,
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nobiltà dalla corona erano dette tierras de los señoríos, ossia le terre
signorili. In questo variegato scenario si collocano finalmente le terre
comunali, che venivano coltivate e utilizzate dagli abitanti che vi si
erano stabiliti. Queste erano affiancate da terre definite bienes de
propios, i cui diritti d’uso erano appannaggio della municipalità cui
facevano capo, e infine dai cosiddetti baldíos, le terre del maggese,
gestite dai villaggi che si occupavano di coltivarle e gestirle, ma che
da un punto di vista giuridico erano ancora sotto il controllo della
corona.
Il panorama appena descritto non è statico e riflette i cambiamenti
socio-politici che la storia porta con sé. Un duro colpo fu inflitto ai
beni comuni con l’inizio del processo di desamortización29
. Questo fu
un lungo processo storico, politico e sociale che prende avvio nel
XVIII secolo con la cosiddetta desamortización de Godoy (1798) e
che vedrà la fine solo nel 1924. Addentrandoci nel concreto, la
desamortización consiste nel porre sul mercato, attraverso pubbliche aste, quei beni posseduti dalla Chiesa e dagli ordini religiosi e quelle
terre che fino a quel momento erano considerate inalienabili ed
intoccabili. A partire dal XVI secolo, a causa della messa in vendita
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dei terreni comunali dei baldíos e a causa della successiva vendita e
ripartizione delle terre durante il XVII e XVIII secolo, si generarono
dispute e controversie a partire dalle quali si espresse la volontà di
proclamare il trionfo della proprietà privata come forma unica e
incontestabile di proprietà agraria. La desamortización dei beni del
clero sarebbe potuta essere una riforma agraria volta a migliorare la
situazione della classe contadina, ma si limitò ad essere un
trasferimento di beni ecclesiastici alle classi economicamente più
forti: i grandi proprietari, l’aristocrazia e la borghesia, che hanno
trovato nel processo di desamortización il lasciapassare per prendere
possesso in modo legittimo di altre terre e allargare i loro
possedimenti, generando una polarizzazione sociale ancora più forte.
Di fatto l’immediata conseguenza di questo processo fu l’espansione del latifondismo, che si presenta con caratteristiche anche più avare di
quello dei secoli XIII e XV. La terra quindi, viene ripartita in modo
iniquo, ma legittimo, tra i grandi possidenti e i poteri forti, in modo
da favorire un allargamento delle proprietà già possedute, e ciò porta
con sé la conseguenza di una ulteriore limitazione delle tierras de
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Lo scopo dello Stato era inoltre quello di assicurarsi, dietro
pagamento delle fasce economicamente più forti, un introito extra per
coprire i costi del debito pubblico. Allo stesso modo si cercò di
stimolare la formazione di una borghesia nazionale conservatrice e di
una classe media che potessero definirsi proprietarie a tutti gli effetti
delle terre che coltivavano, così da gettare le basi per una società
regolata da principi capitalisti, in cui l’interesse privato potesse prendere il sopravvento sul bene pubblico.
Il fallimento di questa iniziativa contribuì al rafforzamento del
processo di restaurazione borbonico (1875- 1923), che andava sempre
più allontanandosi dalle istanze democratiche che caratterizzavano il
resto dell’Europa.30
Il comune denominatore del periodo a cavallo tra XIX e XX secolo è,
per la Spagna, l’urgenza di varare una riforma agraria, per la quale si dovrà attendere il ritorno della Repubblica del 1931.
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I.C. Olivan, Studi Storici, Anno 36, No. 1, La storiografia spagnola dal "Secolo d'oro" alla
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