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CAPITOLO II: BREVE STORIA DELL’ANDALUSIA

2.3 IL MERCATO DEL LAVORO IN ANDALUSIA

2.3.1 LE POSSIBILITÀ DI IMPIEGO

Ad analizzare la struttura dell’agricoltura della bassa Andalusia dell’epoca moderna, si individuerebbe una caratteristica rischiosa: il dilagare della grande proprietà e le modalità di sfruttamento delle

terre. Questa non era una prerogativa della sola regione andalusa, in

quanto i grandi latifondi erano presenti, in altre regioni spagnole ed europee, con un’unica differenza. Diversamente che in Andalusia, le loro modalità di impiego della terra delle altre regioni erano basate

sulla parcellizzazione ed assegnazione delle grandi aziende agricole a

coloni e mezzadri, e questo ha condotto alla predominanza di aziende

a conduzione familiare, sia in relazione al numero, sia in relazione al

totale delle superfici coltivabili di queste regioni.

Al contrario, nella Valle del Guadalquivir, la permanenza di alcuni

fattori ha facilitato l’esistenza di immense proprietà ed aziende agricole, che sebbene non fossero in maggioranza numerica, sono

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riuscite ad impossessarsi della maggior parte della superficie

coltivabile della regione.

La grande proprietà e il rapace sfruttamento della terra costituivano

quindi le discriminanti principali nel lavoro agricolo dell’Andalusia.

In effetti, molti agricoltori riuscirono ad ottenere il possesso di

notevoli appezzamenti di terra, che sfruttarono direttamente senza

prendere in considerazione la divisione dei terreni tra altri agricoltori

né la cessione della gestione a terzi. La gestione di queste terre

prevedeva, principalmente, coltivazioni di cereali, zone dedicate al

pascolo di animali utili per il lavoro nei campi, e in misura minore,

filari di ulivi.

Tutto questo permise al singolo potente agricoltore, unico possessore

di centinaia di ettari di terra, di crearsi una proprietà terriera immensa,

coltivata sotto la sua unica guida. Si tratta di un sfruttamento

marcatamente capitalista, orientato unicamente al mercato e alla

possibilità di guadagno. Casi in cui otto proprietari gestiscono una

superficie coltivabile pari a più di 18.000 ettari, non possono in

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autoconsumo, mentre, al contrario, appare chiaro l’orientamento

meramente commerciale.24

Le cifre che riguardano la produzione o la quantità di grano presente

nei grani mostrano inequivocabilmente che la destinazione di questi

beni e prodotti era il mercato.

Gli studiosi Puntas e Martinez sono riusciti a consultare dei

raccoglitori di un archivio privato, e quindi a quantificare la

percentuale della produzione destinata alla commercializzazione. Per

esempio, il cortijo di Espartinas de Jerez, appartenente ai gesuiti, i

quali si occupavano direttamente della sua gestione, destinò alla

vendita, tra il 1711 e il 1766, il 49% della farina e il 49% dell’orzo che

producevano grazie ai loro settecento ettari di terra. Inoltre

destinarono alla vendita più del 60% dell’olio, prodotto su circa cinquanta ettari di terra, e il 62% del vino prodotto da vigneti che

occupavano invece circa trenta ettari di superficie. Nella zona di Ècija,

tra il 1772 e il 1796, un proprietario destinò al commercio l’85% dei prodotti totali derivanti dai suoi duecento ettari.

Come esempio lampante di produzione per il mercato nella zona di

Siviglia, Puntas e Martinez citano il caso di Vicente José Vazquez,

24 Puntas, Martinez, Op cit., pp. 102-103.

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morto nel 1830. Tra i beni da lui lasciati furono rinvenuti 49.792

sacchi di farina, 11.109 sacchi di orzo e 7.290 contenitori di olio. Dal

canto suo, José M. Benjumea lasciò, dopo la sua morte, avvenuta nel

1859, circa 1.400 ettari di terra, 5.309 capi di bestiame e più di un

milione di reales25.

È vero che la semplice presenza di grandi quantità di prodotti e di

bestiame, inclusa la loro circolazione, non implica l’esistenza di uno

sfruttamento capitalista, in quanto la ricchezza diventa capitale

quando è ottenuto attraverso un sistema basato sul salario come forma

retribuzione di un lavoro liberamente acquisito attraverso il mercato

del lavoro. E in effetti, uno dei tratti distintivi dell’agricoltura basso-

andalusa è l’uso massiccio di manodopera retribuita 26

. Tra il

personale fisso e i lavoratori stagionali, le grandi aziende andaluse

davano lavoro a decine e decine di persone in maniera quasi

permanente.

La manodopera era composta da lavoratori fissi, che di solito nei

cataloghi venivano posti nella categoria degli asalariados. Questi si

25 Ivi, p.104.

26 Sul carattere capitalista delle colture intensive nella Bassa Andalusia esiste una controversia tra

chi, come Bernal o Mata Olmo, ne ribadisce il carattere capitalista e chi, di contro, lo nega del tutto, partendo dal presupposto che in quei casi il profitto era più importante dei benefici collettivi. Un latifondo può però essere considerato come un’impresa capitalista, in particolar modo a partire dai casi analizzati.

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occupavano di mansioni direttamente collegate alla gestione della

terra: la raccolta delle olive, la guardia ai terreni, la gestione delle

vigne, etc.

La maggior parte dei contratti avevano la durata di anno, anche se

spesso i lavoratori venivano assunti anche solo per pochi mesi,

specialmente durante quelli primaverili. I libri contabili rinvenuti negli

archivi danno, approssimativamente, un’idea del numero di lavoratori

presenti in una singola azienda agricola: era certa la presenza di

almeno dieci lavoratori fissi, con contratto permanente, ma il numero

saliva, oscillando tra dieci e sedici, se venivano loro affiancati altri

lavoratori con contratto annuale o mensile, chiamati a svolgere altre

mansioni soprattutto durante la stagione della semina e della raccolta.

Un’altra categoria, la più numerosa, era composta da lavoratori occasionali, come coloro che venivano assunti a giornate (è il caso dei

mietitori dei cereali). il numero totale di questi lavoratori occasionali

non superava i 10.600, secondo una media annuale.

Senza dubbio la distribuzione dei jornaleros non era omogenea, sia se

si tiene in conto la tipologia di coltivazione, sia la distribuzione delle

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2.3.2 IL LAVORO AGRICOLO NELL’ANDALUSIA DELL’ETÀ

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