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Hegel e Heidegger

Nel documento I limiti della ragione fenomenologica (pagine 168-200)

§ 1 – Un drôle de guerre

Il presupposto fondamentale su cui si fonda l'attuale dibattito sul moderno è la presunta capacità di riuscire a ricavare, attraverso un'attenta e penetrante analisi di autori come Descartes, Hobbes, Viète o Rousseau l'essenza della modernità, per poi mostrare come il nostro modo di pensare sia ancora determinato da quelle premesse concettuali che sono venute alla luce con tali autori. Il moderno arriva così a costituire il destino del pensiero contemporaneo. Un destino che spesso e volentieri impedisce di vedere con lucidità il fatto che il momento storico in cui ci troviamo solo a fatica può essere inserito in diretta linea di continuità con la modernità.

Un esempio su tutti è The Ethics of Geometry di D.R. Lachterman, l'opera forse più significativa dell'intero dibattito262. Se la cultura post-moderna fa della problematica della differenza tra antichi e moderni una mera trasposizione filosofica di un dibattito letterario, accomunando frettolosamente il pensiero greco e la modernità sotto titoli di vari natura (come “storia della metafisica” o “fallo-logo-centrismo”)263, la critica che Lachterman le rivolge si fonda sul presupposto di non distinguere nettamente tra moderno e post-moderno. La condizione post-moderna non sarebbe infatti altro se non la totale presa di coscienza della finitezza del progetto moderno di autodivinizzazione dell'uomo attraverso la scoperta della riduzione di ogni vero a una procedura, a una costruzione. La post-modernità è in tal modo la scoperta di una sorta di segreto di Pulcinella, che non riesce in realtà a rendersi estranea a quegli assunti da cui il moderno era stato aperto264.

Se Lachterman ha certamente ragione nel ridimensionare le pretese di pensatori come Lyotard o Derrida nel momento in cui dichiarano a gran voce l'avvento di un nuovo modo di pensare, la precedente trattazione della fenomenologia di Husserl e Heidegger dovrebbe aver mostrato, spero con sufficiente chiarezza, come l'indagine fenomenologica sia difficilmente riducibile a un pensare moderno. Se in Husserl la frizione tra fenomenologia e modernità si concretizzava nel paradosso di un pensiero che nel

262Come si vedrà il presente testo deve a Lachterman e alla sua opera molto più di quanto queste righe possano dare a vedere. Se non avessi letto The Ethics of Geometry niente di tutto questo sarebbe mai stato scritto.

263Cfr. Ivi, Preface, x.

264Cfr. Ivi, Preface, ix: “La decostruzione, interpretata in questo modo, è un'exposé dell'unico “segreto”, goffamente mascherato, della modernità stessa – cioè la voluta o deliberata coincidenza di costruzione umana con la verità e l'intelligibilità”. Traduzione mia.

momento in cui ultimava il moderno lo sradicava da se stesso, in Heidegger l'opposizione diventa cosciente tanto da fargli preferire gli antichi come guida verso la verità. La fenomenologia non è più il moderno che comprendere autenticamente se stesso, ma la scoperta di ciò che vi è di vero nella filosofia antica. È stato così proprio Heidegger – come vedremo studiando il pensiero di Klein – a fornire gli strumenti necessari per quel ripensamento sul moderno e per quella rivalutazione del pensiero antico di cui il capolavoro di Lachterman è un esito meraviglioso. Di conseguenza però il fatto che né la decostruzione né i giochi linguistici siano in grado di mostrare la piena diversità tra moderno e post-moderno non deve certo oscurare completamente la spaccatura realizzatasi nella storia del pensiero e che ha condotto all'attuale cultura filosofica.

È incredibilmente difficile riuscire a comprendere di che spaccatura si tratti. Per farlo sarà utile rivolgersi nuovamente al pensiero di Heidegger, ma questa volta non per illustrarlo, quanto per mostrarne la differenza con quella filosofia di cui l'intera riflessione heideggeriana non è che la nemesi: la filosofia hegeliana. Non vi è nulla di esagerato in quest'ultima affermazione ed è proprio per questo che il confronto tra i due autori si pone come uno dei punti più delicati dell'indagine sul passaggio da moderno a post-moderno. Di certo il paragone non è né inedito né nuovo, anzi potrei dire che confrontare o, quantomeno, cercare di ritrovare somiglianze più o meno giustificate tra Hegel e Heidegger è quasi una moda al giorno d'oggi. La quasi totalità della letteratura sull'argomento ha però in comune un metodo di lavoro che coincide con il soffermarsi per lo più sui testi heideggeriani dedicati alla filosofia hegeliana. Lo scritto sulla Fenomenologia della spirito, il saggio in Sentieri interrotti sull'Introduzione della Fenomenologia dello spirito e la nozione di dialettica e gli appunti heideggeriani degli anni trenta sulla nozione di negatività sono stati saccheggiati come la Bibbia di chiunque volesse cercare di capire in quale relazione stiano l'uno con l'altro questi due giganti della nostra tradizione. Se non del tutto giusta questa operazione evidenzia almeno come vi sia il sentore delle necessità di porre in questione il loro rapporto.

Anche in questo caso però gli interpreti si trovano più ad adorare un altare senza idoli che ad avere per le mani qualcosa di concreto. Nel momento infatti in cui Heidegger analizza Hegel, quest'ultimo è già preda della concettualità heideggeriana. Una concettualità di incredibile portata che di certo non ha il compito di mantenersi fedele ai testi che analizza. Nel momento in cui tratta della filosofia hegeliana Heidegger la tiene sotto scacco, impedendole di mostrarsi in quella che è tutta la sua forza dirompente. Ribadire però come e perché l'interpretazione heideggeriana di Hegel non sia filologicamente accettabile, compito non certo difficile, non è il mio intento e sarebbe un

procedere tanto sterile quanto ottuso. Il vero problema non è rimproverare Heidegger semplicemente perché “ha fornito un'interpretazione, invece di ripetere a memoria la lezione” imparata sui banchi di scuola, ma comprendere il motivo che porta il genio di Meßkirch a confrontarsi a più riprese con Hegel.

Il tentativo sembra però scontarsi immediatamente con un'insolita assenza di materiale. Per quanto gli interpreti si affatichino su di essi, bisogna infatti ammettere che i testi dedicati da Heidegger all'analisi della produzione hegeliana sono scarsi e abbastanza scarni. Nel leggerli si ha sempre l'impressione che la consueta potenza interpretativa heideggeriana venga meno. Si avverte quasi un'incertezza, un procedere più erratico del dovuto, una titubanza non certo caratteristica di Heidegger, capace di ribaltare interpretazioni vigenti da millenni (ne è un esempio la sua accanita lotta contro l'interpretazione tomista e in generale scolastica del pensiero aristotelico). Inoltre, spesso e volentieri, ad essere presa in considerazione è la Fenomenologia dello spirito e molto più raramente la Scienza della logica che, nella stessa interpretazione heideggeriana, dovrebbe rappresentare non solo il cuore della filosofia hegeliana, ma anche uno degli apici della metafisica della presenza.

Chi studia con attenzione il rapporto di Heidegger con Hegel non può alla fine non avvertire un senso di profondo disagio, quasi che si tratti non di uno scontro vero e proprio quanto di un appuntamento mancato, di una logorante guerra di trincea fatta più di violente dichiarazioni di ostilità e di fugaci schermaglie che non di battaglie campali. Più che all'epico scontro tra Ettore e Achille dell'Iliade omerica sembra di trovarsi di fronte alla Waterloo della Certosa di Parma di Stendhal.

Tale circostanza è aggravata da un ulteriore fattore. È noto come a seconda dei propri interessi, Heidegger rivolgesse maggiore o minore attenzione a un autore piuttosto che a un altro. Caso più che mai eloquente è sempre quello di Aristotele, fondamentale sino al 1926, anno in cui gli subentrerà Kant come punto di riferimento265. Seguiranno Nietzsche e i presocratici, autori – specialmente il primo – a cui Heidegger ha dedicato un'attenzione profonda e quasi maniacale, dando vita a uno scontro titanico266. In nessuno di questi aspetti il confronto con Hegel è paragonabile agli altri. Di certo non si può metterlo a confronto con le interpretazioni nietzscheane né sotto il profilo della qualità né della quantità o con la profondità che raggiunge l'analisi dei testi kantiani in Kant e il problema della metafisica o nel corso del 1936 dedicato ai principi dell'intelletto puro267.

265È noto il repentino cambio di argomento del corso del Winter-Semester 1925-26 Logica. Il

problema della verità da una trattazione dell'apofantica aristotelica alla questione del giudizio e

della critica della ragione in Kant..

266Si veda F. Volpi Introduzione a M. Heidegger, Nietzsche. 267M. Heidegger, Il problema della cosa.

Hegel non è quasi mai utilizzato come strumento di scoperta di una particolare modalità di apertura dell'essere, ma è sempre visto attraverso filtri interpretativi creati analizzando altri autori.

Si potrebbe pensare a questo punto che, se le cose stanno in questo modo, è perché in realtà forse Heidegger stesso non aveva un interesse particolare nei confronti della filosofia hegeliana e che dovesse occuparsene quasi più per circostanza che non per necessità. Si potrebbe certo, ma si commetterebbe un grave errore. Se infatti il confronto con Hegel non è esploso in uno scontro diretto e violento, esauritosi nel giro di pochi anni, la sua particolarità è quella di costituire una costante in tutto il pensiero heideggeriano. La dichiarazione con cui si conclude lo scritto dedicato al problema del significato in Duns Scoto, per cui ogni riflessione che si ponga come scopo l'indagine del vero si deve inevitabilmente confrontare con quella filosofia che “ha riassunto in sé tutti i fondamentali motivi problematici della filosofia precedente, [cioè] con Hegel”268, può valere come cifra dell'intero itinerario heideggeriano.

Dal lavoro su Scoto ai seminari di Zollikon Hegel è sempre presente, in modo discreto, quasi in sordina, ma costantemente. Hegel appare e scompare, come un'ombra che segue di continuo Heidegger nel suo pensare, come un riferimento quasi ossessivo che non riesce però mai ad esplicarsi in un confronto diretto. Inoltre bisogna sempre ricordare che Hegel è l'autore su cui, dopo Aristotele, Heidegger ha tenuto più corsi. Più di Kant, più di Nietzsche, più di Eraclito e Parmenide, più addirittura di Platone Hegel è stato presente nelle esercitazioni e nell'insegnamento di Heidegger, costituendo un metro di confronto e di paragone sempre presente269.

Eppure possiamo ricavare un'ulteriore informazione che rende meno vago il profilo di questo drôle de guerre. Se infatti si porta attenzione al modo con cui Heidegger cita e utilizza i testi hegeliani al di fuori delle analisi a essi specificamente dedicati, si nota come la loro presenza coincida spesso e volentieri con i momenti forse più cruciali del pensiero di Heidegger. Alcuni esempi renderanno la cosa più chiara. Nei testi del giovane Heidegger Hegel non è mai citato direttamente in giudizio eppure, anche in questo caso, la sua presenza è costante e lo è nel momento in cui i neokantiani, che come abbiamo visto sono il punto di riferimento critico fondamentale per Heidegger in questi anni, sono visti in realtà come i prosecutori della riflessione hegeliana. Cohen e Natorp non sono in verità eredi di Kant quanto di Hegel e del suo tentativo di esaurire il mondo

268GA I, 411. Traduzione mia. Per la presenza di Hegel nel testo su Scoto si vedano Figal (2006) e Costa (2013b).

269Per un elenco degli autori trattati a lezione da Heidegger e la loro frequenza di veda A. Marini (1982).

nel movimento speculativo del concetto270. La costruzione ha nei neokantiani solo dei rappresentati di seconda fascia, mentre è in Hegel che trova la sua massima esplicazione. Il pensiero di Hegel è così l'apogeo del moderno contro i cui esisti la fenomenologia deve sostenere la bandiera dell'esperienza immediata.

In Essere e tempo Hegel è citato più volte, ma in particolar modo dobbiamo portare attenzione a due specifici punti. Esattamente nel primo paragrafo, delineando il campo problematico della domanda sul senso dell'essere, Heidegger rende onore a Platone e Aristotele come a coloro che hanno aperto la possibilità di tale domanda e che si sono resi artefici di quell'estremo sforzo del pensiero che strappò ai fenomeni i primi e fondamentali concetti ontologici. Concetti su cui si regge l'intera tradizione occidentale. Con un potenza di sintesi senza eguali viene tracciata una linea diretta tra le scoperte platonico-aristoteliche e l'immutabilità dei loro esiti, rimasti invariati da Platone sino alla Scienza della logica di Hegel271. L'imbarazzo di fronte a cui il pensiero si trova nel momento in cui affronta l'interrogativo ontologico è così determinato dal fatto che la modernità, e Hegel in particolare, non sono stati in grado di fare un solo passo in avanti rispetto alla filosofia antica. Con un semplice riferimento Heidegger impedisce immediatamente di vedere in Hegel un'alternativa possibile al suo proprio e specifico modo di risoluzione ai problemi posti dalla domanda sull'essere. Tutto ciò al prezzo di creare una stretta connessione tra modalità di pensiero profondamente differenti (come quella platonica e hegeliana), che fa del percorso dal Sofista alla Scienza della logica un continuum ininterrotto. Se i Greci sono l'inizio della filosofia Hegel ne è il compimento272 e proprio per questo non ne costituisce un'alternativa.

Diametralmente a quanto affermato, Hegel viene utilizzato esattamente negli ultimi paragrafi dell'opera nel momento in cui si tratta di mostrare come la nuova concezione della Zeitlichkeit sia in grado di realizzare la sua pretesa di essere svincolata dalla tradizionale concezione tratta dalla Fisica aristotelica secondo cui il tempo è il numero del movimento secondo il prima e il poi. Invece di un'analisi approfondita di Fisica IV o di una critica a Bergson, che per primo aveva cercato di mettere in questione

270Cfr. M. Heidegger, Per la determinazione della filosofia GA, 56 / trad. it. 49: “È vero che, proprio a fianco di questo «empirismo trascendentale», la scuola – scientificamente molto significativa «dei Marburghesi» si muove, in una direzione, verso una dialettica che la porta molto vicino ad Hegel”.

271Cfr. SuZ GA, 2 / trad. it. 13: “[Il problema dell'essere] non ha dato tregua al pensiero di Platone e di Aristotele, anche se ha senz'altro taciuto dopo di loro come problema tematico di

una vera ricerca. Quanto essi acquisirono si è mantenuto fino alla Logica di Hegel, attraverso

una serie di modifiche e ritocchi”.

272Tutto ciò diviene esplicito nella conferenza Hegel e i greci, cfr. M. Heidegger, Hegel e i Greci, in id. Segnavia, GA / trad. it. 375: “Col nome «i Greci» pensiamo all'inizio della filosofia, col nome «Hegel» pensiamo al suo compimento”.

la concezione aristotelica del tempo273, Heidegger cede la parola a Hegel. La concezione del tempo di quest'ultimo viene ricondotta a quella di Aristotele e utilizzata per mostrare un pensiero interamente fondato sul primato del presente. Lo spirito è costruito come la presenza che si afferma sulla non presenza, come l'eterno presente che domina il corruttibile274 cioè come l'ipostatizzazione formale della struttura del tempo mondano. Al di là della correttezza delle analisi heideggeriane deve essere notato come Essere e tempo trovi il proprio compimento e termine solo nel momento in cui l'ontologia fondamentale e i suoi risultati vengono confrontati con il pensiero hegeliano e ne escono apparentemente vincitori. Heidegger deve affermare se stesso oltre Hegel.

Essere e tempo non è l'unico caso in cui Hegel appare nel momento in cui Heidegger ha bisogno di mettere alla prova i propri risultati con la tradizione. Ho già avuto modo di parlare brevemente del saggio La fine della filosofia e il compito del pensiero, in cui Hegel è utilizzato come apice della metafisica della presenza e come apogeo del pensiero soggettivista a cui associare Husserl. In modo simile Hegel compare nel momento in cui Heidegger deve caratterizzare l'essenza stessa della metafisica. È a partire da Hegel e non da Aristotele, Kant o Nietzsche che Heidegger intende mostrare come nel pensiero metafisico confluiscano in unità logica, ontologia e teologia275. Esempi come questi potrebbero essere moltiplicati quasi a piacere.

Sorge a questo punto in modo pressante l'interrogativo sul perché Heidegger non abbia mai voluto o potuto esaurire questo confronto in un testa a testa paragonabile a

273Heidegger è perfettamente consapevole di dover dimostrare che la sua pretesa va oltre quella di Bergson, che era anche il punto di riferimento di Husserl sulla questione del tempo tanto da fargli affermare di essere un vero “bergsonista”, cfr. SuZ GA, 2 / trad. it. 40: “La trattazione aristotelica del tempo è la prima interpretazione dettagliata di questo fenomeno che ci sia stata tramandata. Essa ha determinato in modo essenziale ogni successiva concezione del tempo, compresa quella di Bergson”. In una nota all'interno dei paragrafi finali dedicati a Hegel, Heidegger aggiunge (SuZ GA, 2 / trad. it. 506): “Con la tesi hegeliana che lo spazio «è» tempo concorda anche, quanto al risultato e nonostante tutte le differenze in fatto di fondazione, la concezione del tempo in Bergson. Questi sostiene semplicemente il rovescio: il tempo (temps) è spazio. Anche la concezione del tempo di Bergson è visibilmente derivata dalla teoria aristotelica. Non è soltanto una concomitanza letteraria ed estrinseca quella per cui, contemporaneamente all'Essai sur le données immédiates de la conscience, in cui è esposto il problema del temps e della durée, apparve uno scritto di Bergson intitolato Quid Arostitelis de

loco senserit. Muovendo dalla definizione aristotelica del tempo come ἄριθμός κινήσεως,

Bergson premette all'analisi del tempo quella del numero. […] Non è questa la sede per un'analisi approfondita del concetto di tempo in Bergson o in altre dottrine contemporanee. In linea di massima, ciò che le odierne analisi del tempo hanno stabilito di essenziale al di là di Aristotele e di Kant concerne piuttosto il modo di conoscere il tempo e la «coscienza del tempo»”. A Bergson è preferito Hegel e il primo è letto solo come inversione del secondo. Su questa nota si veda il bel saggio di J. Derrida, Ousia e grammé. Nota su una nota di Sein und

Zeit, in id. Margini della filosofia.

274Cfr. SuZ GA, 2.

275Il riferimento è ovviamente alla nota conferenza Hegel e l'onto-teo-logia in M. Heidegger,

quelli sostenuti con Kant e con Nietzsche. Perché tanti tentennamenti? Perché Heidegger, sempre così deciso, non è stato in grado di affrontare Hegel con la stessa sicurezza che aveva quando metteva mano ad altri testi? Perché chi si trova ad indagare sul loro rapporto non può che trovare testi deludenti, in cui Heidegger si affretta per lo più a rinchiudere Hegel nelle sue maglie concettuali, senza lasciargli possibilità di ribattere? cosa aveva compreso Heidegger di Hegel che gli ha impedito di portare la sua critica sino in fondo? Questi interrogativi ne presuppongono però un altro, più profondo e complesso: cosa dobbiamo comprendere quando pensiamo a Hegel? Chi è Hegel?

§ 2 – Il tempo della τέχνη

Il giovane Heidegger non ha torto: Hegel è sicuramente il pensatore in cui il principio di costruttività che caratterizza il moderno raggiunge la propria massima esplicazione. Tuttavia Heidegger non si è reso pienamente conto che Hegel non poteva essere trattato come un moderno come gli altri e che, ad esempio, tra Kant e Hegel ci sono delle gigantesche differenze. Delle differenze che segnano quella spaccatura tra moderno e post-modernità di cui siamo alla ricerca.

Comprenderle sino in fondo non può certo essere il compito di questo testo. Mi sia però consentito portare l'attenzione su alcune pagine del De hypothesibus motuum caelestium a se constitutis commentariolus di Copernico, testo preparatorio al De revolutionibus276:

Io vedo che i nostri avi hanno ammesso un gran numero di sfere celesti, soprattutto per salvare, secondo il principio di uniformità, i moti apparenti degli astri. Sembrava loro, infatti, oltremodo assurdo che un corpo celeste assolutamente rotondo non si muovesse sempre uniformemente. Ma essi si erano resi conto che poteva capitare che anche per composizione e unione di movimenti regolari un corpo può sembrare muoversi [irregolarmente] in qualche direzione. E ciò Callippo ed Eudosso non poterono risolvere, usando i circoli concentrici, né poterono con essi rendere conto di tutti i fenomeni del movimento degli astri erranti [pianeti], non solo di quelli che riguardano le loro rivoluzioni, ma anche del fatto che essi ci sembrano ora salire in alto, ora

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