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L’anti – hegelismo del primo Croce

Abbiamo visto che nell’ultimo decennio dell’Ottocento Croce si occupa del problema della storia nel saggio La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte e in alcuni scritti chiave raccolti nel volume Materialismo storico ed economia marxistica. Nel primo caso, la tesi sostenuta è che la storia non è una pseudo scienza deterministica, come la intendevano alcuni esponenti del positivismo, ma un momento particolare dell’arte che ha come compito principale quello di narrare i fatti per come sono realmente accaduti. Nel secondo, usa come pretesto il materialismo storico per negare la possibilità di esistenza di una qualsivoglia filosofia della storia che abbia la pretesa di ridurre il complesso svolgimento storico a un concetto a priori – sia esso Dio, la Provvidenza, l’Idea, la Materia o l’Evoluzione fa poca differenza – conoscendo il quale è possibile prevedere in qualche maniera gli eventi futuri. Quello che emerge è una concezione forte di indeterminismo che si intreccia con la libertà morale dell’uomo. Per chiarire questo punto è utile distinguere un indeterminismo di tipo gnoseologico, ovvero l’idea che non possiamo conoscere gli eventi futuri a causa dei limiti delle nostre capacità cognitive, da uno di tipo ontologico, che invece nega recisamente che il futuro sia già stabilito, indipendentemente dal potere delle nostre facoltà mentali. L’indeterminismo gnoseologico, per via della sua natura soggettiva, non è in contraddizione con il determinismo ontologico. Un ipotetico determinista potrebbe sostenere che il corso degli eventi futuri è già prestabilito, solo che noi non siamo in

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grado di prevederli a causa dei limiti delle nostre capacità conoscitive: in questo modo, coniugando l’indeterminismo gnoseologico con il determinismo ontologico, eviterebbe di esporsi con delle previsioni troppo specifiche, le quali, come è risaputo, vengono puntualmente smentite dall’esperienza.

Croce invece, negli scritti che abbiamo preso in esame, non solo collega senza ambiguità l’indeterminismo gnoseologico e quello ontologico, ma fa un ulteriore passo, dichiarando che il futuro è indeterminato per principio perché dipende in buona parte dalla libertà morale dell’uomo, dalla sua volontà, dai suoi sforzi, dai suoi ideali, dal modo in cui creativamente immagina l’avvenire, insomma dalla sua capacità di incidere attivamente sulla realtà e modificarla costantemente. In questo modo Croce lega indissolubilmente indeterminismo e libertà morale, dando vita a quello che potremmo definire un indeterminismo etico. Questo risultato è perfettamente compendiato in uno scritto che Croce pubblica nel 1896, dal titolo Intorno alla filosofia della storia:

«La storia la facciamo noi stessi, tenendo conto, certo, delle condizioni obiettive nelle quali ci troviamo, ma coi nostri ideali, i nostri sforzi, con le nostre sofferenze, senza che ci sia consentito scaricare questo fardello sulle spalle di Dio o dell’Idea»52.

52 BENEDETTO CROCE, Intorno alla filosofia della storia, in Primi saggi, Laterza, Bari, 1951, pp.

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Il Croce di fine secolo aveva sviluppato una visione della storia moderna e liberale, emancipata da qualsivoglia deus ex machina metafisico e al contempo incentrata sulla libertà e sulla responsabilità morale degli individui. Questo risultato però assunse tutto un altro significato a partire dai primissimi anni del Novecento, che furono fondamentali per lo sviluppo del pensiero crociano. Se nei primi scritti Croce si era preoccupato soprattutto di smontare prima il positivismo e successivamente il marxismo, arrivato alla soglia dei trentacinque anni avvertì l’esigenza di incanalare le sue energie non soltanto nella decostruzione critica delle teorie altrui, ma anche e soprattutto nella realizzazione di qualcosa di proprio: in altre parole, era giunta l’ora di passare alla pars costruens.

Fu così che nel 1902 pubblicò presso gli editori Laterza la sua prima grande opera filosofica, l’Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale; un anno dopo, nel 1903, usciva il primo fascicolo della rivista che dominò il panorama culturale italiano per tutta la prima parte del Novecento, La Critica, in collaborazione con Giovanni Gentile. Ma la data simbolicamente più importante fu il 1905, anno in cui Croce si dedicò alla lettura sistematica delle opere di Hegel, i cui frutti vennero compendiati nel saggio Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel, terminato nell’aprile del 1906 e pubblicato per la prima volta, sempre presso gli editori Laterza, nel 1907. L’incontro con Hegel è stato visto con grande diffidenza da alcuni studiosi del pensiero politico di Croce, per una serie di motivi piuttosto noti: come poteva un liberale stimare l’ideatore dello Stato etico? Che senso ha la libertà individuale all’interno di un sistema che pone a capo di tutto lo Spirito? Chi è il vero

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soggetto della storia, l’uomo o il Geist? Ma soprattutto, perché Croce si sentì in dovere di fare i conti con Hegel all’età di quarant’anni, quando i suoi studi avevano già preso una piega precisa?53

Nei prossimi capitoli cercheremo di rispondere a tutte queste domande. Per il momento è sufficiente accennare al fatto che Croce riprese il pensiero di Hegel non come semplice reazione positivismo, ma per risolvere una serie di problemi, soprattutto storiografici, che a suo avviso il positivismo aveva lasciato insoluti.54 Dietro

insomma c’era un progetto filosofico preciso, il cui obiettivo era quello di proporre un’idea di storia immanente e realistica, libera da ogni residuo di trascendenza, provvidenzialismo, moralismo ed escatologismo, in linea con la tendenza fondamentale del pensiero moderno, che si occupa di questa vita – e della sua logica “terrena” – e non dell’altra. La riflessione sulla storia, che fin dai primi scritti costituisce il problema teorico par excellance attorno a cui ruota il pensiero crociano, acquista nuove prospettive grazie all’impulso della filosofia hegeliana. Questo significa che Croce si avvicinò a Hegel con l’intenzione di risolvere tutta una serie di problemi storiografici, non certo perché simpatizzava per le sue teorie politiche. Non a caso egli distingueva nettamente la filosofia di Hegel, un “classico” del pensiero moderno che

53 Come ricorda Croce stesso nel Contributo, «m’immersi nella lettura dei libri dello Hegel,

mettendo da banda scolari e commentatori» e subito dopo aggiunge di «essere io venuto a quello studio con varia esperienza di cultura e con una sistemazione già delineata della filosofia e con la già eseguita critica di talune dottrine hegeliane sostituite da altre più valide». BENEDETTO CROCE, Contributo alla critica di me stesso, a cura di Giuseppe Galasso, Milano, Adelphi, 1989, pp. 56 – 57.

54 Si confronti il capitolo di questo lavoro intitolato «Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale»: un tentativo di soluzione di un problema storiografico dai risvolti “illiberali”.

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merita di essere riletto e approfondito, dal suo pensiero politico, storicamente condizionato dal contesto in cui si sviluppò, oltre che dalle opinioni personali di Hegel; detto altrimenti, la sua riflessione politica era filosoficamente irrilevante.55

Per quanto riguarda questo paragrafo, ci interessa soprattutto confutare una determinata interpretazione dell’hegelismo di Croce, visto da molti – lo abbiamo già accennato – come il tallone d’Achille della sua riflessione politica, non solo perché il filosofo di Stoccarda è l’ideatore dello Stato etico e del concetto totalizzante di Spirito, oltre che un fervente critico dell’empirismo e del giusnaturalismo, ma anche perché Hegel lo accomunava culturalmente a Giovanni Gentile. Certo, a differenza del filosofo siciliano, Croce non aderì al fascismo, ma secondo questa esegesi la sua presa di posizione sarebbe stata frutto di un risveglio “extrateoretico” della propria coscienza, una vera e propria ribellione morale che però non poteva essere sostenuta dalla sua filosofia “idealistica”, che politicamente tendeva in tutt’altra direzione. Anzi, il grande merito di Croce sarebbe stato quello di essersi ribellato al regime nonostante i suoi studi, a differenza di Gentile che aderì pienamente al fascismo. Questa interpretazione, se da un lato salva l’uomo e l’icona antifascista che redasse il Manifesto degli intellettuali antifascisti e che per circa un ventennio si ribellò moralmente al regime, dall’altra condanna la sua filosofia che per alcuni aspetti viene associata a quella di Gentile.56 La nostra opinione invece è che la ribellione di Croce al fascismo non fu

55 Per un ulteriore approfondimento, si confronti il capitolo del presente lavoro intitolato Un antidoto contro il “totalitarismo” hegeliano: la distinzione tra l’Hegel filosofo e l’Hegel politico. 56 Tesi sostenuta da STELIO ZEPPI, Il pensiero politico dell’idealismo italiano e il nazionalfascismo, Firenze, La Nuova Italia, 1973.

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dettata solamente da un nobile gesto morale, ma fu una scelta coerente con la sua filosofia, che distingueva nettamente la teoria dalla prassi – e quindi condannava la pericolosa commistione tra cultura e politica – e negava recisamente qualsiasi filosofia della storia. Con questo non vogliamo dire che nel pensiero di Croce non vi fossero delle tensioni e delle aporie irrisolte, legate soprattutto alle due anime conflittuali della sua filosofia, l’idealismo e lo storicismo, ma che in mezzo a quei problemi e a quelle tensioni c’erano anche tutti gli elementi di una possibile svolta liberale e antifascista.

Avremo modo di approfondire in seguito questo punto, per il momento ci interessa più che altro rilevare che l’hegelismo di Croce – premesso che egli non avrebbe mai accettato questa etichetta, che utilizziamo solo per comodità espositiva – era profondamente diverso da quello di Gentile. L’obiettivo non è tanto quello di stigmatizzare Gentile e di promuovere Croce, ma mostrare che, comunque la si pensi, le loro rispettive filosofie presentano delle differenze sostanziali, a partire dalla loro opposta lettura del pensiero di Hegel. Per assolvere questo compito è opportuno ripercorre le varie tappe che hanno condotto Croce, dopo un lungo pellegrinaggio intellettuale, a fare i conti con il filosofo di Stoccarda.

Il primo dato rilevante è che fino al 1905 Croce entra in contatto con Hegel soltanto per via indiretta, attraverso la mediazione di De Sanctis, Spaventa e Marx. Tra questi, sicuramente il De Sanctis è stata la figura che maggiormente ha influenzato lo sviluppo del pensiero crociano, sin dalla prima giovinezza. Come ricorda Croce nel Contributo, «Sin da quando studiavo al liceo lessi le opere del De Sanctis, che mi colpirono

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vivamente e mi mossero perfino nei componimenti che scrivevo per la scuola»;57 certo,

all’epoca Croce era troppo giovane per comprendere la complessità del pensiero desanctisiano, di cui «coglieva solo qualche tratto», eppure fin da subito colse il «concetto dominante» che si annidava nella sua riflessione estetica, ovvero «che l’arte non è lavoro di riflessione e di logica, né prodotto di artificio, ma è spontanea e pura forma fantastica».58 Ovviamente il debito intellettuale nei confronti dell’autore della

Storia della letteratura italiana non si limitò a questo: come ricorda Franchini, dal De Sanctis «Croce trasse e serbò pensieri grandemente efficaci per la sua critica dell’hegelismo, che gli consentì il superamento definitivo di ogni filosofia della storia, e soprattutto per la sua concezione estetica. Tutti e due questi punti sono essenziali per intendere la formazione della sua teoria della storia, che si sviluppò di pari passo con la negazione della dialettica meramente opposizionistica e indeterminata, perché priva del momento della distinzione, dello Hegel; e soprattutto insieme, se non addirittura in dipendenza della dottrina dell’autonomia dell’arte».59

Quello che maggiormente sorprende è che questi concetti, ovvero il superamento della filosofia della storia, la negazione della mera opposizione dialettica in favore del momento della distinzione e l’affermazione dell’autonomia dell’arte non solo non si ritrovano in Hegel – anche se prendono chiaramente spunto dalla sua riflessione – ma possono essere definiti “antihegeliani”. Questo non deve affatto sorprendere perché

57 BENEDETTO CROCE, Contributo alla critica di me stesso, cit., pag. 46. 58 Ibidem.

59 RAFFAELLO FRANCHINI, La teoria della storia di Benedetto Croce, Edizioni Scientifiche

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Croce, oltre a ereditare dal De Sanctis un patrimonio culturale, assorbì anche il suo temperamento, i cui tratti caratteristici erano un brillante spirito critico e una spiccata indipendenza intellettuale. Egli fu senz’altro uno dei maggiori esponenti del così detto hegelismo napoletano, ma l’etichetta non deve trarre in inganno, perché il De Sanctis vedeva Hegel non come un maestro, ma come un interlocutore ideale con cui discutere, polemizzare, confrontarsi. Come ricorda Croce nell’Estetica, «Dallo Hegel succhiò tutta la parte vitale e delle dottrine di lui porse interpretazioni attenuate; ma si mantenne diffidente, e alla fine si ribellò apertamente a tutto ciò che nello Hegel era artificioso, formalistico e pedantesco».60 Poco più avanti invece scrive che «la sua

polemica si volse dapprima contro i fraintendimenti di ciò che chiamava il vero pensiero hegeliano, e che era invece sovente la correzione che egli stesso in modo più o meno consapevole ne veniva facendo. E poté vantarsi nei suoi ultimi [di vita] che anche nel periodo del fanatismo napoletano per lo Hegel, «nel tempo che Hegel era padrone del campo», aveva messo innanzi «le sue riserve e non aveva accettato il suo apriorismo, la sua trinità, le sue formole».61 Per non parlare del fatto che «già nel 1858

De Sanctis dichiarava di aver “dato un calcio” al sistema hegeliano e di non credere più, per conseguenza, alla metafisica dello Spirito assoluto»;62 non proprio, insomma, un

atteggiamento di subordinazione! Quando, a partire dal 1905, Croce iniziò un confronto serrato con Hegel, lo fece con lo stesso atteggiamento spregiudicato che

60 BENEDETTO CROCE, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e storia, a cura di Giuseppe Galasso, Milano, Adelphi, 1990, pp. 460-461.

61 Ivi, p. 462.

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aveva contraddistinto il suo mentore, con grande libertà speculativa e senza alcuna forma di reverenza o di accondiscendenza. Nel prossimo paragrafo vedremo che questa libera interpretazione del pensiero del filosofo di Stoccarda non andava affatto a genio a due hegeliani “ortodossi” come Sebastiano Maturi e Giovanni Gentile.

Qualche anno più tardi rispetto alle prime letture desanctisiane, più precisamente nel 1885, Croce lesse per la prima volta le opere di Bertrando Spaventa, ma questi libri, anziché «iniziarmi allo hegelismo, piuttosto me ne stornarono», tanto che preferì seguire le lezioni e le conversazioni fresche e vivaci del Labriola.63 Soffermiamoci un

attimo sulle motivazioni di questo rifiuto che Croce riporta dettagliatamente nel Contributo:

«La ragione fondamentale della mia scarsa simpatia per gli scritti dello Spaventa era nella profonda diversità d’indole che da lui mi divideva. Perché lo Spaventa proveniva dalla chiesa e dalla teologia; e problema sommo e quasi unico fu sempre per lui quello del rapporto tra l’Essere e il Conoscere, il problema della trascendenza e dell’immanenza, il problema più specialmente teologico – filosofico; laddove io, vinte le angosce sentimentali del distacco dalla religione, mi acquietai presto in una sorta di inconsapevole immanentismo, non interessandomi ad altro mondo che a quello in cui effettivamente vivevo, e non sentendo direttamente e in primo luogo il problema della trascendenza, e perciò non incontrando difficoltà nel concepire la relazione tra pensiero ed essere, se mai, sarebbe stata per me il contrario: concepire un essere staccato dal pensiero o un pensiero staccato dall’essere. Ciò

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che veramente mi suscitava interessamento, e mi costringeva a filosofare per brama di luce, erano i problemi dell’arte, della vita morale, del diritto, e più tardi quelli della metodologia storica, ossia del lavoro che mi proponevo di esercitare. A questo vivo bisogno nessun soddisfacimento trovavo negli scritti dello Spaventa, che mi respingevano altresì per la loro forma arida ed astratta, secca e travagliosa insieme, così diversa da quella del De Sanctis, semplice, popolare, tutta cose, sempre in vivace ricambio con la vita reale. Né pensavo – e questo è un punto assai importante – di cercare lo Hegel nello Hegel, sia perché la mia scarsa preparazione filosofica non l’avrebbe forse consentito, sia anche per un terrore creatomi dalle pagine dello Spaventa: giacché (ragionavo io allora), se l’esposizione e l’interprete è così oscuro, che cosa sarà mai il testo originale? E ci vollero anni di esperienze per persuadermi che i commentatori e gli espositori sono per solito di gran lunga più oscuri dell’autore commentato».64

Questa pagina è molto importante perché fa emergere una prima grande differenza con Gentile: quest’ultimo infatti si richiamò sempre agli scritti di Bertrando Spaventa e lo identificò come il maggiore precursore del suo attualismo, mentre Croce, come si evince chiaramente da questo passo del Contributo, nega qualsiasi rapporto con la filosofia – e quindi con l’hegelismo – dello Spaventa: i suoi interessi, che riguardavano l’arte, la vita morale, il diritto e la metodologia storica non trovavano alcun appiglio negli scritti dello zio Bertrando, che invece era tutto versato nel problema «teologico – filosofico» del rapporto tra essere e conoscere. L’Hegel di Croce non era dunque

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mediato dallo Spaventa, come nel caso di Gentile, ma letto direttamente alla fonte e interpretato personalmente in base a quelli interessi, in particolare legati alla metodologia storica, che animavano il suo pensiero. Tracce di Hegel – anche se di un Hegel mediato dal De Sanctis – le troviamo anche nella Storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte: come abbiamo visto nel primo capitolo, Croce riprese la definizione hegeliana del bello inteso come rappresentazione o manifestazione sensibile dell’idea, ma al tempo stesso prese debitamente le distanze dalla filosofia della storia. Dopo aver affermato che accanto alla storia si sta formando una «filosofia» o «scienza della storia» il cui scopo è ricercare i «concetti sotto ai quali si pensa la storia», Croce ammonisce i lettori di «non confondere questa filosofia della storia nel senso moderno del termine con la storia filosofica, come si venne svolgendo nella filosofia idealista fino ad assumere nello Hegel la forma alla quale divenne popolare per un certo tempo e si screditò per sempre, meritatamente».65 E dopo aver sostenuto che questa filosofia o

scienza storica «studia il processo dei fatti per determinare i principi reali sui quali essi poggiano e il sistema al quale le conoscenze storiche possono dar luogo; e tratta inoltre quelle particolari questioni della teorica della conoscenza che si riferiscono al metodo della storiografia»,66 Croce aggiunge che questa accezione di filosofia è «ben diversa

da quel preteso ritmo ideale, a ritrarre il quale lo Hegel destinava la sua trattazione».67

Questa presa di distanza è testimoniata anche nelle Noterelle polemiche del 1894, dove

65 BENEDETTO CROCE, La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte, in Controversie sulla storia (1891 – 1893), a cura di Renata Viti Cavaliere, Unicopli, Milano, 1993, pp. 78-79. 66 Ibidem.

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Croce risponde ad alcune critiche mosse dall’hegeliano Raffaele Mariano intorno al suo saggio del 1893: «Non sono hegeliano, come taluno mi ha qualificato a proposito dello scritto sulla storia, che è invece spiccatamente anti – hegeliano».68

Dulcis in fundo, passiamo all’ultima grande esperienza culturale che ha preceduto gli studi crociani su Hegel: il marxismo. Nella terza Prefazione del 1918 a Materialismo storico ed economia marxistica, Croce sostiene che grazie alla mediazione di Marx aveva scoperto «un hegelismo assai più concreto e vivo di quello che ero solito d’incontrare presso scolari ed espositori, che riducevano Hegel a una sorta di teologo o di metafisico platonizzante».69 Ma che si tratti di una razionalizzazione a posteriori –

nel 1918 Croce aveva già concluso il suo sistema e fatto i conti con Hegel – ce lo spiega molto bene Tessitore: «questa edizione (quella del 1918) è, non a caso, scritta quando l’interpretazione di Hegel si è già in qualche modo consolidata. Infatti essa è, in certo senso, contrastante, almeno quanto a ispirazione generale, con il significato degli studi marxiani elaborati in fase pre – hegeliana. Basti pensare, ad esempio, alle pagine Sulla forma scientifica del materialismo storico, dove ciò che di hegeliano è in Marx viene valutato come ciò che è morto della filosofia di Marx, mentre il vivo è la polemica

68 BENEDETTO CROCE, Noterelle polemiche, in Primi Saggi, cit., p. 54.

69 BENEDETTO CROCE, Materialismo storico ed economia marxistica, Prefazione settembre 1917, Bari, Laterza, 1961, p. XII. Il riferimento implicito a Bertrando Spaventa quale «scolaro»