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Mors tua vita mea: la contrapposizione tra spirito e individuo

Nell’introduzione abbiamo detto che una filosofia che voglia essere compatibile con gli assiomi portanti del liberalismo deve rispettare il concetto di individualità. In relazione a ciò, abbiamo cercato di mettere in mostra un giovane Croce che aveva tutte le carte in regola per puntare dritto verso questa meta. Nella Storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte egli combatteva le pretese di alcuni sedicenti positivisti, che intendevano ridurre il corso della storia ad astratte generalizzazioni, rivendicando l’idea che la storia narra fatti e vicende individuali. Abbiamo inoltre sottolineato che attraverso questa critica della storiografia positivistica Croce intendeva denunciare il determinismo implicito in quelle teorie, che si autoproclamavano “scientifiche” per acquisire, agli occhi del pubblico, un’oggettività e una dignità che in realtà non possedevano. Nel saggio Sulla forma scientifica del materialismo storico, invece, Croce negava che il materialismo storico fosse una filosofia della storia, e, dopo averlo ridotto a mero canone di interpretazione empirico, confutava il determinismo delle sue previsioni, asserendo che l’avvento del socialismo non era un evento necessario, ma soltanto “condizionale” nella misura in cui la sua realizzazione dipendeva dalla forza e dalla libertà morale dei singoli individui che credevano in questo ideale. Inoltre, nel 1895 affermava in modo chiaro e netto che «la storia la facciamo noi stessi, tenendo conto, certo, delle condizioni obiettive nelle quali ci troviamo, ma coi nostri ideali, coi nostri sforzi, con le nostre sofferenze, senza che ci sia consentito scaricare questo

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fardello sulle spalle di Dio e dell'Idea».126 «La fedeltà a questi principi, bisognosi di una

rigorosa fondazione teoretica», argomenta in maniera impeccabile Tessitore, «avrebbe richiesto una interpretazione della storia […] affidata ai rapporti interumani, ai rapporti che legano tra loro uomini liberamente esperienti sul fondamento della loro essenziale ed esistenziale storicità».127

Sappiamo già, però, che l’incontro con Hegel nei primi anni del Novecento cambiò sensibilmente la visione filosofica e storiografica di Croce, contribuendo a rendere problematico, per molti versi, il suo liberalismo. Uno dei problemi principali riguardava, non a caso, il concetto di individualità, o meglio la relazione che si instaura tra questo concetto e quello di libertà. Non è un segreto che nella concezione hegeliana della storia gli individui vengono piegati alle necessità dello Spirito. Questo si serve, con astuzia – la così detta List der Vernunft – delle passioni e dei desideri egoistici degli uomini per attuare una trama più ampia e complessa, che si disvela progressivamente nel corso della storia. Attraverso una commistione di fatalismo e ottimismo, Hegel fa coincidere la volontà degli individui con quella di un’entità universale, o meglio sottomette questi a quella: in altre parole, gli individui vengono ridotti a semplici “strumenti” dello Spirito. Ciò era coerente con la sua idea di filosofia, che assieme alla religione condivideva lo stesso contenuto, ma che a differenza di questa lo esprimeva in forma concettuale senza far ricorso alla rappresentazione mitologica. Questo

126 BENEDETTO CROCE, Intorno alla filosofia della storia, in Primi saggi, Laterza, Bari, 1951, pp.

67-68.

127 FULVIO TESSITORE, Storicismo hegeliano e storicismo crociano, in Dimensioni dello storicismo, Napoli, Morano Editore, 1971, p. 74.

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paradigma condusse Hegel a tradurre la vecchia teologia in termini filosofici: al posto di Dio, il concetto di Spirito, al posto della Provvidenza, l’astuzia della Ragione, al posto dei profeti gli individui cosmico – storici. Perfino il concetto di libertà assumeva una connotazione “parareligiosa” nel senso deteriore del termine: è vero che questa veniva identificata come il fine della storia, ma non tanto per promuovere la libertà concreta ed empirica dei singoli individui, quanto per giustificare l’operato dello Spirito che per raggiungere questo traguardo pretendeva dagli uomini costi e sacrifici immani, come attesta la storia, teatro di violenze, di guerre, e spesso anche di brutali stermini. Lo stesso Croce incorporerà nella sua teoria storiografica questo concetto di libertà, finendo per mettere in secondo piano la libertà specificatamente individuale e le sue connessioni con la politica. Tuttavia, in Hegel si avverte una tensione che può essere ricondotta alla crociana distinzione fra teoria e prassi: se da un punto di vista teorico – filosofico egli considera gli individui come semplici strumenti dello Spirito, da un punto di vista pratico non pone restrizioni né vincoli esterni alla coscienza individuale. Gli individui hegeliani sono “liberi” di esprimere il proprio io e dare sfogo alle proprie passioni, sebbene realizzino inconsapevolmente un fine esterno e superiore a loro stessi. Se si guarda il nesso tra teoria e prassi nella filosofia di Hegel da questa angolazione, sembra quasi che la metafisica dello Spirito sia una soprastruttura teorica che non intacca la libertà della prassi.

Croce, nonostante i suoi scritti giovanili conducessero da un’altra parte, eredita la concezione hegeliana dell’individuo e per molti versi la radicalizza, soprattutto nel primo ventennio del Novecento. In Teoria e storia della storiografia fa ricorso a una

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metafora molto cruda per esprimere il suo punto di vista: gli individui non sono altro che «formiche, che il masso schiaccia; e se dal masso che cade loro addosso qualche formica si salva e riproduce la specie e questa ripiglia da capo il lavoro, il masso ricadrà e potrà sempre ricadere sulla nuova generazione, e potrà schiacciarla tutta, ed esso, insomma, è l’arbitrio della vita delle industri formiche, alle quali reca molto male e nessun bene».128 Un’affermazione impietosa, ma non bisogna dimenticare il contesto

in cui è stata scritta: in questa sede, dove Croce sta illustrando la propria teoria storiografica, vuole mettere bene in chiaro che «la pretesa che la storia sia solo parte degli individui è insostenibile»129, ma che vale lo stesso anche per la tesi opposta, che

identifica il soggetto della storia con un’entità metafisica trascendente, che governa gli uomini come semplici marionette: «Individuo e Idea, separatamente presi, sono due astrazioni equivalenti e inadatte, l’una e l’altra, a fornire il soggetto della storia, e la vera storia è storia dell’individuo in quanto universale e dell’universale in quanto individuo».130 Croce eredita da Hegel anche quella “tensione” tra individuo e tutto che

abbiamo denunciato poche righe fa: da un lato, infatti, si ha l’impressione che l’individualità venga schiacciata dalle strette maglie “metafisiche” dello Spirito, dall’altro invece sembra che l’individuo, una volta identificato con il tutto, acquisti una certa dignità. Croce non avvertiva questo contrasto perché a lui, in quel determinato momento, interessava soprattutto risolvere una volta per tutte, attraverso il ricorso

128 BENEDETTO CROCE, Teoria e storia della storiografia, a cura di Giuseppe Galasso, Milano,

Adelphi, 1989, pp. 108 – 109.

129 Ivi, p. 107. 130 Ivi, p. 116.

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alla dialettica hegeliana, l’annoso problema metafisico di chi sia il vero soggetto della storia: Dio, l’uomo, l’Idea o chi per loro? La risposta di Croce era la negazione di tutte queste categorie prese separatamente. Gli uomini, con le loro volontà individuali, formano un tutto (lo Spirito) che a sua volta agisce retroattivamente sugli individui, dando vita a quel teatro dinamico che è la storia, dove le singole volontà, considerate di per sé, non sono nulla, eppure senza il loro contributo la storia non assumerebbe alcuna forma. Quello tra Spirito e individuo è un eterno contrasto alla cui base sta un’eterna relazione: solo un pensiero “astraente” può pretendere di separare questi due poli “dialettici” che non possono sussistere l’uno senza l’altro.

Comunque, questa minuziosa attenzione a sottilissime puntualizzazioni storiografiche dimostra che all’epoca il pensiero di Croce era lontanissimo dai temi della politica e del liberalismo, interessi che si riattivarono in lui soltanto in seguito alla progressiva presa di potere da parte del fascismo durante gli anni venti del Novecento. La sua critica del concetto di individuo era “impolitica”, nata cioè sul versante propriamente storiografico e utilizzata principalmente entro i confini di questo terreno. Fatto sta che nella sua teoria politica non tematizzò mai il concetto di individuo né lo ricollegò in qualche modo alla tradizione liberale, sebbene ciò non significasse ripetere quanto già detto da altri o chinarsi di fronte a un dogma: anzi, a mio avviso l’aver criticato l’idea di individuo inteso come ente isolato, astratto e autoreferenziale, punto di partenza di molte teorie liberali vecchie e nuove, è uno dei motivi principali che indussero Croce a

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porre una fondamentale distinzione tra liberismo e liberalismo.131 Ciò non toglie che la

costruzione della sua teoria liberale richiedesse una seria rimeditazione del concetto di individuo, che avrebbe dovuto emanciparsi una volta per tutte dall’ambigua trama della metafisica idealistica.

Detto questo, il Croce degli ultimi anni, sebbene non rinneghi il pensiero di Hegel né la sua visione dell’individualità,132 sembra accentuare il concetto di individuo rispetto a

quello di Spirito. Nel saggio Contro la storia universale e i falsi universali. Encomio dell’individualità,133 ribadisce ancora una volta, se pur con un diverso accento, che

«ogni storia universale, se è davvero storia, o in quelle parti che hanno nerbo storico, è sempre storia particolare, e che ogni storia particolare, se è storia e dove è storia, è sempre necessariamente universale, la prima chiudendo il tutto nel particolare, e la seconda riportando il particolare al tutto, cioè, poiché questo processo mentale non è due ma uno, facendo ambedue lo stesso».134 Come si evince da questa citazione, siamo

sempre all’interno delle tematiche proprie della storiografia idealistica, eppure si denota un certo cambio di marcia quando Croce afferma di aver fiducia nelle «formazioni mentali della scienza, ordinatrici dell’agire umano; regole costruite dalle azioni degli uomini, capaci perfino di soddisfare il desiderio, l’urgere irresistibile, perciò

131 Vedi il capitolo del presente lavoro intitolato La distinzione tra liberalismo e liberismo. 132 Cfr. BENEDETTO CROCE, Intorno alla teoria hegeliana degli individui cosmico – storici,

apparso per la prima volta sui Quaderni della Critica, anno II, 1946, e poi ristampato in Filosofia

e storiografia, Bari, Laterza, 1949, pp. 139 – 151.

133 Questo saggio, diviso in tre paragrafi e senza titolo, apparve per la prima volta nel 1943,

nel vol. XLI de La Critica. Fu poi successivamente inserito nei Discorsi di varia filosofia, vol. 1, Laterza, Bari, 1945.

134 BENEDETTO CROCE, Contro la storia universale. Encomio dell’individualità (1943), in Discorsi di varia filosofia, Laterza, Bari, 1945, vol. 1, pag. 129.

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necessario, delle previsioni».135 Ecco dunque in cosa consiste l’encomio

dell’individualità: gli uomini, con le loro azioni, riescono a realizzare ciò che si erano proposti («soddisfare il desiderio delle previsioni»). Rispetto al Croce del primo Novecento, c’è un effettivo cambio di direzione, per quanto solo vagamente abbozzato.

Un altro saggio che evidenzia questa curvatura verso l’individualità è Universalità e individualità nella storia del 1949.136 Ancora una volta Croce cerca di rispondere alla

domanda «che risorge sempre», cioè «quale sia il soggetto della storia, Dio o gli uomini, l’universale o gl’individui?».137 Di nuovo, l’individualità viene vista all’interno di una

prospettiva storiografica e non propriamente filosofico – politica, ma con una significativa novità: a fianco del concetto di individuo, Croce pone quello di personalità. Nel carattere di ogni uomo vi è una naturale disposizione, «la voce di una propria e coerente personalità che sia saldo strumento di azione».138 Nella personalità, oltre che

la sua forma semplice e volitiva, «si distingue la forma superiore e morale»,139 che è

l’unica che si manifesta nella storia, «per l’opera e nell’opera a cui partecipa e in cui si risolve».140 In base a questo nuovo concetto, Croce può dire che la storia è:

135 Ivi, pp. 165 – 166.

136 BENEDETTO CROCE, Universalità e individualità nella storia, in Storiografia e idealità morale, Laterza, Bari, 1950.

137 Ivi, p. 65. 138 Ivi, p. 68. 139 Ibidem. 140 Ibidem.

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«insieme l’umiliazione e l’esaltazione dell’individualità, l’attuazione della sentenza che chi si umilia sarà esaltato: l’individualità che ci fa vibrare di amore e per ciò stesso di dolore, che ci porta, col poeta dei santi Francesco di Assisi, ad abbracciare tutti gli uomini e tutti gli esseri come fratelli, e ci costringe a sacrificare gli altri esseri a noi e a combattere uomini con uomini, e ad uccidere fratelli, e poi ad ammirare e a celebrare i vincitori e i vinti insieme, vittime ed eroi del pari, che il cuore umano in sé accoglie; e ci trasporta a maledire il mondo e poi a benedirlo, e a sforzarci di non staccarci da esso e a sentire impossibile questo distacco e in esso niente altro che un delirio di spasimante attaccamento, colpevole se la salvazione si cerca in una fuga dell’individuo dal mondo, in un ritirarsi o restringersi in se stesso, in un moto verso la morte, che è di diserzione, viltà, egoismo, un pretendere di salvare sé senza salvare gli altri tutti e di sopprimere se stesso senza sopprimere il mondo e la realtà che noi stessi componiamo e alla quale con quell’atto stesso collaboriamo».141

Il tono è senza dubbio retorico, ma è interessante notare come Croce in questo passo esalti l’individualità senza mai nominare lo Spirito: rispetto alla metafora evocata in Teoria e storia della storiografia, dove Croce paragonava gli individui a delle formiche schiacciate dai massi, si respira effettivamente un’altra aria.

Tirando le somme, che valore dà Croce all’individualità? Ricapitolando, il primo Croce, quello della Storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte e Sulla forma scientifica del materialismo storico, pone una stretta connessione tra i concetti di individualità, libertà e indeterminismo; il Croce del primo Novecento, fresco di studi hegeliani e

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concentrato sulla storiografia, mette in relazione dialettica il concetto di Spirito con quello di individuo, ma sembra propendere per un’esaltazione del primo a discapito del secondo; infine l’ultimo Croce, pur rimanendo legato alla storiografica idealistica, si impegna a rivalutare il concetto di individuo. Questa “curvatura” finale verso l’individualità può essere vista come un generale ripensamento del suo idealismo? Di sicuro il Croce degli ultimi anni aveva fatto i conti con due esperienze storiche traumatiche: mi riferisco ovviamente al fascismo e alla seconda guerra mondiale. La drammaticità di questi eventi fece clamorosamente vacillare l’idea di una ragione interna alla storia e impose un ripensamento delle vecchie categorie religiose e metafisiche: si pensi ad esempio ad Hans Jonas, che nel suo saggio Il concetto di Dio dopo Auschwitz sosteneva che l’assurdità dei campi di concentramento rendeva difficile, per non dire impossibile, la formulazione di una nuova teodicea. L’accento posto sull’individualità dell’ultimo Croce va letto a mio avviso in tale direzione: se lo Spirito non è più in grado di garantire la razionalità del mondo, la responsabilità non può che ricadere sulla coscienza morale dei singoli individui.

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CAPITOLO 2

LE RADICI SOCIALISTE DEL

LIBERALISMO DI CROCE

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Introduzione al secondo capitolo

Nel primo capitolo ci siamo occupati della concezione della storia di Croce in relazione all’idea di libertà, un lavoro che a mio avviso merita grande attenzione vista la stretta connessione che il filosofo di Pescasseroli pone tra questi due concetti. Adesso però è arrivato il momento di occuparci della riflessione politica vera e propria, che finora abbiamo sfiorato soltanto indirettamente. Anche in questo caso, ho scelto un’angolazione particolare dalla quale osservare l’evoluzione del pensiero di Croce. La mia convinzione è che non si possa comprendere il liberalismo crociano se non si va a scavare a fondo nell’ultimo quinquennio dell’Ottocento, anni nei quali Croce, sotto l’egida di Antonio Labriola, studiò con grande attenzione il pensiero di Karl Marx e partecipò attivamente al dibattito pubblico sul marxismo teorico, che all’epoca, assieme ad altre correnti filosofiche, dominava il panorama culturale italiano.

Può sembrare paradossale ricercare la genesi del liberalismo crociano nei suoi studi dedicati al socialismo, sia perché comunemente queste due dottrine politiche sono considerate antitetiche, sia perché dopo il 1900 Croce dichiara a più riprese di aver chiuso definitivamente i conti con la sua esperienza socialista.142 Eppure ci sono

numerosi elementi che vanno verso questa direzione.

142 Tanto che in un articolo del 1911 dichiara la morte del socialismo. Vedi BENEDETTO CROCE, La morte del socialismo, in Cultura e vita morale, Bari, Laterza, 1926, pp. 150 – 159.

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Innanzitutto ho cercato di mostrare che l’iniziale adesione di Croce al socialismo non fu dettata da convinzioni di tipo teorico, tanto che sul versante economico poteva dirsi più vicino ai liberisti come Vilfredo Pareto e Maffeo Pantaleoni che agli economisti di sponda socialista, ma da motivazioni di carattere etico – politico: a suo avviso il socialismo era l’unica cura in grado di risolvere la crisi morale dell’Italia di fine Ottocento, messa in ginocchio dalle sconfitte militari e dall’endemica corruzione politica.

Un altro punto su cui mi sono particolarmente soffermato è che la distinzione fra teoria e prassi, che è la premessa dell’altra famosa distinzione crociana, quella tra liberismo e liberalismo, nacque dall’analisi delle alterne vicende del socialismo. Croce era convinto che il materialismo storico, la teoria del valore – lavoro e la caduta tendenziale del saggio di profitto non reggessero l’urto della critica da lui stesso promossa, ma questo non toglieva niente ai meriti politici del socialismo, che riuscendo ad ottenere maggiori tutele e garanzie per la classe lavoratrice aveva contribuito al progresso generale della società. Da questa esperienza Croce maturò la convinzione che da una teoria errata possa comunque nascere una buona prassi, per cui è bene mantenere le due sfere distinte.

Un altro elemento che ho cercato di evidenziare è la tendenza di Croce a mettere sullo stesso piano i liberisti radicali e i socialisti massimalisti, poiché nonostante le loro differenze ideologiche, entrambi cadono nell’utopismo, in quanto cercano di imporre dei modelli astratti alla realtà, senza scendere a compromessi con essa. Anche il Croce che a partire dagli anni venti del Novecento si dichiara apertamente liberale continuò

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a mantenere una certa diffidenza verso le forme estreme del liberismo e del socialismo, mentre non aveva niente da ridire circa un’eventuale alleanza tra i liberali e i socialisti più moderati. Come ho sottolineato alla fine del capitolo La revisione del marxismo e la strana alleanza tra liberisti e socialisti «due lezioni fondamentali il Croce liberale e antifascista ereditò dalla sua esperienza di fine secolo: la diffidenza verso quei liberisti che assolutizzano le proprie astratte teorie economiche, considerati ideologi e utopisti al pari dei socialisti più estremi e radicali, e l’apertura di credito, se non sul versante teorico, almeno su quello pratico – politico, verso quelle forme moderate di socialismo che accettano le logiche del capitalismo e del libero mercato».

Parte della mia attenzione si è poi focalizzata su quelli che dal mio punto di vista sono stati i grandi limiti del Croce “socialista”, in particolare l’aver condiviso con Sorel certe posizioni radicali e antidemocratiche che – tra le altre cose – lo portarono a sottovalutare l’esperienza politica di Giolitti, il quale venne rivalutato soltanto in seguito all’avvento del fascismo, come attesta La storia d’Italia dal 1871 al 1915.143

Concludo dicendo che il filo rosso che mi ha guidato nella stesura di questo capitolo è la convinzione che la distinzione tra liberismo e liberalismo, che ritengo il grande contributo crociano alla teoria politica liberale, abbia avuto origine dagli studi giovanili di Croce dedicati al marxismo.

143 Cfr. BENEDETTO CROCE, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, a cura di Giuseppe Galasso,

Adelphi, Milano, 1991, in particolare il capitolo IX che si intitola Il governo liberale e il rigoglio

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2.1 Il giovane Croce, un borghese simpatizzante del socialismo

Il 27 aprile 1895 Antonio Labriola inviò una lettera a Croce nella quale gli consigliava di abbonarsi al Devenir social, una rivista marxista d’oltralpe dove aveva appena pubblicato una lunga monografia. Quasi en passant, gli chiese cortesemente se poteva inviargli un suo recente manoscritto, per sapere se fosse il caso o no di farne un «opuscoletto».144 Questa lettera è significativa perché a detta di Croce «segna la data

della nascita del marxismo teorico in Italia».145 Il manoscritto in questione era il famoso

In memoria del manifesto dei comunisti, il primo dei saggi sul marxismo che dette fama internazionale al Labriola.146 Quando Croce ricevette lo scritto, si sentì come colpito da