alle 13 della forma Acroceraunia.
14) Horat., Carm I, 4,
Giulio Cesare Scaligero212 che il Bentley definì “vir magnus”, mostrando interesse per la convinzione del dotto umanista, in luogo della vulgata lectio urit preferisce urget, in quanto nel contesto dell’ode non avrebbe alcun senso un’opera di distruzione da parte del dio Vulcano delle sue fucine, mentre sarebbe proprio di un magister, quale è il dio, operas urgere.
L’osservazione dello Scaligero, dunque, al Bentley parve acuta, a differenza dell’operato di tanti interpretes dell’opera oraziana che, pur avendo in tante occasioni denigrato l’umanista, sembrano indifferenti alla questione suscitata dallo studioso.
Per Bentley sarebbe, però, notevolmente incauto il riferimento dello Scaligero ai camini, come si evince dal confronto con
Iuvenalis, XIV,118
Incude assidua, semperque ardente camino
Ovid. Fast., IV, 473
Antroque Cyclopum positis exusta caminis
Si tratta di passi in cui ardono camini, ma di certo, si è lontani dall’urere officinas perché così brucerebbero sia la taberna che ogni strumento di lavoro.213
212 Autore dei Poeticae Libri VII, il letterato dedicè ad Orazio la conclusione del sesto libro, noto come
Hypercriticus, rivolgendo alcune critiche al Venosino che a lungo ne condizionarono il fortleben, come quella di essere
inflatior in operis sui commendatione ed ingratus atque animo servili per una presunta velata cruitica ad Augusto come
Malchinus in Horat., Serm. I, 2, 25. Cfr. F. Cairns, The “Poetices libri septem of J. C: Scaliger: an unexplored source, “Res Publica Literarum” 9, 1986; J. Ijsewis, Scaligero, Giulio Cesare, Enc. Oraz. III, Roma, 1996-1998, pp.470-471
213 Il termine officina appare termine appropriato anche ad un pregevole commentatore come Christophorus
Landinus il quale non solo difende la scelta oraziana ma fornisce anche un chiaro discrimen tra officina e taberna,
precisandone le rispettive peculiarità. Tale il testo del Landino, come appare nell’incunabulo personalmente consultato presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro: “officinas recte posuit: nam officina locus est ubi aliquid efficit ab efficiendo
dicta. Taberna vero ubi res alibi labefacta venditur”.Cfr.Horatius, Opera, comm. Acron, Porphirion, Cristophorus Landinus, Antonius Mancinellus, Venezia, Filippo Pinzi, ed. Bernardino Resina, 28 febb. 1492.
Secondo il letterato inglese sarebbe davvero festivum attribuire proprio al dio Vulcano, tabernae dominus, tale inutile azione distruttrice.
Neppure il locus properziano di:
Eleg. II, 1, 154
Colchis Iolciaeis urit ahena focis
addotto dal Passeratius per sostenere la tradita lezione urit appare sostenibile in quanto “uruntur…quotidie ahena, salvis tamen officinis.”
Il Bentley si mostra, inoltre, meravigliato di come sia potuto sfuggire alla sensibilità dello Scaligero “quam inficete bina illa iungantur ardens et urit” anche perché dinanzi a tale inutile geminatio semantica “exclamare prorsus licet, Δι;ς ταυτο;ν ει\πας.”214
“Mallem- ipotizza Bentley- urget officinas”, anche sulla base di :
Vergil., Aen., VIII, 439
Tollite cuncta, inquit, coeptosque auferte labores Aetnaei Cyclopes, et huc advertite mentem Arma acri faccenda viro: nunc viribus usus Nunc manibus rapidis, omni nunc arte masgistra. Precipitate moras..
214 L’assurdo esito della geminatio viene esplicitato da Bentley con l’efficace proposizione consecutiva:”adeo
ut geminatus ille calor iam merum frigus spirare videatur” con l’ossimorico contrasto di un geminatus calor che
In tali versi sarebbero perfettamente riconoscibili proprio le parole di un maestro che segue i lavori della propria officina. Per risolvere la questione testuale Bentley non rifiuta il ricorso ad una delle priscae membranae, quale il Leidensis di 800 anni che riporta visit, lezione presente anche in alcuni codici del Lambino, mentre nel Bodleianus vi è la lezione vissit.215
Tra congetture più recenti, accolta nell’edizione teubneriana di D. R. Shackleton Bayley, va registrato anche il versat proposto dal Wade, sulla base della descrizione senecana dell’attività di Efesto, presente in:
Sen., Phaedr. 191
Qui furentes semper Aetneis iugis Versat caminos…
Ritengo, tuttavia che visite degli dei a particolari terre sono ricorrenti, come quella di Venere, trasportata a Pafo dai cigni, rievocata proprio dalla stesso Orazio, nell’ode A Lide in un passo che, però, il Bentley citò approssimativamente :
Hor. Carm.III, 28
Quae Paphon iunctis visit oloribus 216
215
Più antica di queste fonti sarebbe poi la nota metricologica di Plotius Grammaticus, p.2663 che riprenderebbe proprio il locus oraziano:
Logaedicum Archilochi Itiphallicum fit quattuor dactylicis pedibus et tribus trochaeis. Exemplum hoc est: Alterno terram quatiunt pede: dum gravis Cyclopum
Volcanus ardens ussit officinas
L’ ussit presente nel testo edito dal grammatico sarebbe per Bentley, senza alcun dubbio, errore dei copisti in luogo di
visit, che sembra anche a me espressione più conforme al senso voluto da Orazio.
216 La citazione bentleyana risulta alquanto epitomata, senza note chiarificatrici, rispetto al testo comunemente
tradito che recita:
quae Cnidon fulgentisque tenet Cycladas et Paphon iunctis visit oloribus;
Nella materna Delo ritorna anche Apollo, come si legge in:
Verg. Aen.IV, 143
Qualis ubi hibernam Lyciam Xantique fluent Deserit ac Delum maternam invisit Apollo
E’ possible, inoltre recuperare, dalla tradizione letteraria tanto latina quanto greca la tendenza odeporetica dello stesso Vulcano, desumibili da:
Ov., Ars, II,579
Fingit iter Lemnon. Veniunt ad foedus amantes Impliciti laqueis nudus uterque iacentes
Ap. Rhod., III,40
i{ν εντύνεσκε θεα;217 λέχος @Ηφαίστοιο !Αλλ’οJ με;ν ειjς ΧΑΛΚΕΩΝΑ καi; #Ακμονας η\ρι ΒΕΒΗΚΕΙ Νήσοιο πλαγτη'ς Ευjρυ;ν μυχον, ω/| ένι πάντα Δαίδαλα Χάλκευεν ρJιπη'/ πυρός. ηJ δ’ a]ρα μούνη *Ηστο δόμω/ δινωτο;ν αjνα; θρόνον a]ντα θυράων
217 Interesssante recuperare la nota del Landino sul motivo per cui Venere si accoppiò a Vulcano: “ Vulcanum
idcirco Veneris maritum finxerunt: quia sine calore non proficit venus.” Cfr.Horatius, Opera, comm. Acron, Porphirion, Cristophorus Landinus, Antonius Mancinellus, Venezia, Filippo Pinzi, ed. Bernardino Resina, 28 febb. 1492.
Nella descrizione mitologica di Apollonio Rodio, Venere appare, dunque, intenta ai lavori domestici, in un contesto, dunque, diverso rispetto a quello di Horat., Carm . I, 4, in cui la dea guida invece la danza delle Ninfe imminente Luna, mentre comune appare lo stereotipo del marito Vulcano che va in visita all’officina di Lipari. Interessante rilevare come la nota critica bentleyana si risolse in una sorta di querelle da diritto d’autore, in quanto il Bentley dichiarò di aver già elaborato le sue osservazioni testuali prima di rendersi tardivamente conto che lo stesso problema testuale era stato già risolto allo stesso modo dall’ingeniosissimus Rutgersius, per di più sulla base dello stesso raffronto testuale con le Argonautiche di Apollonio Rodio. La lezione visit resta, a mio parere, la più convincente per senso, tradizione letteraria e testimonianza dei codici.