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Horat Carm I, 3, 19.

La questione relativa all’editio princeps dell’opera oraziana presenta ancora dei punti poco chiari. Sarebbe, infatti, ascrivibile alla tipografia veneziana del Basilius una prima edizione a stampa dell’opera oraziana, però alquanto scorretta e non recante né anno, né città, né nome dello stampatore. Più sicure appaiono, invece, le notizie relative ad un’edizione del 1475, stampata a Roma, patrocinata da Giovanni

Alvise Toscani e curata da Elio Marchese e Angelo Sabino.

Per una prima edizione chiaramente datata bisogna, però, considerare l’opera del parmense Antonio Zanotto che finì di stampare gli scritti oraziani il 16 marzo 1474. Interessante alla fine della ricostruzione della storia del testo oraziano, appare, poi, una nota del Bentley ad Horat. Carm. I, 3, 19 che ascrive ad una Editio Veneta del 1478 il ruolo di editio princeps.

In tale edizione “quam - annotò il filologo inglese- omnium primam esse crediderim”, ricorrendo tuttavia ad un congiuntivo potenziale che denota comunque esitazione157, il mare solcato dall’impavido marinaio viene descritto come turgidum, mentre nell’Editio Germanica Loscheri si registra la lezione turbidum.158

La prima lezione viene riportata in quasi tutte le prime edizioni a stampa di ambiente italico, mentre, sulla base della testimonianza dei codici, è più difficile stabilire una prevalenza della lezione sull’altra in quanto più o meno equamente presenti nei codici ed entrambi accettabili.

158 Per un esame più approfondito della questione cfr. R. Rocca, Edizioni, traduzioni e commenti in

A favore della prima lezione vi sono, infatti, occorrenze in:

Prudentius Per. Steph. V, 475

Quae turgidum quondam mare gradiente Cristo straverat

Avienus, Arat.307

Salumque

Fluctibus instabile et glauci vada turgida Ponti

Anche nella produzione virgiliana si gonfiano spesso tanto il tumidum mare quanto i tumida aequora, così come maria alta tumescunt; altrettanto comuni nella lingua greca risultano l’a{λιον οι\δμα e l’ οι\δμα θαλάσσης.159

Il “turbidum” appare aggettivazione di stampo oraziano160, in quanto si tratterebbe di un epiteto più forte, che dà l’idea di una situazione che incute maggior timore, “a present ranger more forcibly”161, di cui non mancano testimonianze,

159 La forma θάλασσα, quotata come attica da L. Threatte (Grammar of Attic Inscription, i. 538) ricorrerebbe

per la prima volta in un’iscrizione che riporta il testo di un giuramento richiesto da Filippo II a tutti i Greci dopo la battaglia di Cheronea del 338 a. C. La forma si sarebbe ben integrata nel linguaggio ufficiale della cancelleria macedone, in virtù del successo delle stesse tragedie attiche in Macedonia. La conferma dell’antico uso del termine da parte dei macedoni viene anche da un’iscrizione rintracciata a Teos, in una lettera di Antigono I del 303 a. C (D. F. Mc Cabet et al.,Teos Inscriptions, 59). Cfr. J. Chadwick, Palaeographica et Mycenaea Antonino Bartonek oblata, Brno, 1991, pp. 13-16.

160 Nella produzione oraziana il mare Adriatico sarà tendenzialmente avvertito come mare violento e

tempestoso, anche per l’assenza sulla costa di porti sicuri, fatta eccezione di Ancona e Brindisi. (Cfr. L. Braccesi,

Grecità adriatica, Bologna, 1977).

Esso sarà, dunque, nei Carmina definito acer ( Hor., Carm.,I, 35, 15), raucus ( Hor., Carm. II; 14, 14,

inquietus ( Hor., Carm.,III, 3, 5), inprobus ed iracundus ( Hor., Carm.,III, 9, 22-23. Cfr. L. Braccesi, Adriatico, in “Enciclopedia Oraziana op . cit.” I, pp. 378-379.

letterarie che mi sembrano validamente raffrontabili alla situazione descritta da Orazio, desumibili da :

Lucret., V, 998

Nec turbida ponti Aequora laedebant navis ad saxa virosque

Ovid., I, 11, 33

Cumque sit hibernis agitatum fluctibus aequor, pectora sunt ipso turbidiora mari

Ovid., Leand. Her.7

Ipsa vides caelum pice nigrius et freta ventis

turbida perque cavas vix adeunda rates

Ovid., Leand. Her. 172

Cumque mea fiunt turbida mente freta

Sen., Herc. Oet., 456

Concussi fretum Cessante vento: turbidum explicui mare

Avienus, Aratea, 656 162

Non tum freta turbida pinu Quis petat

162 Cfr. A. Holder, Rufi Festi Avieni Carmina, Innsbruck, 1887. Sull’opera di Avieno cfr. C.Salemme,

Avienus, Aratea, 850

Quantum suspenso linquit vada turbida caelo

Avienus, Aratea, 1458

turbida certantes converrent aequora Cauri

Avienus, Aratea, 1761

si fugiunt volucres raptim freta turbida Nerei

La serie di tali raffronti testuali, mi indurrebbe, dunque, a non sostituire la lezione turbidum, per altro presente sia nell’ edizione critica di Borzsak (ed. 1984) che in quella di Shackleton Bayley (IV ed. 2001)163, con la lezione turgidum, riportata, invece, in quell’Editio Veneta del 1478 che il Bentley pur riconobbe quale editio princeps del testo oraziano, senza trascurare il valido raffronto intertestuale con un altro carme oraziano, ove, seppur con variatio, in riferimento all’Austro si legge:

Hor., Carm. III, 3, 5

Dux inquieti turbidus Hadriae

Va registrato che la variante turbidum non trova consenso in editori moderni del testo oraziano come Lenchantin de Gubernatis che, nel classificare la tipologia delle varianti testuali, la incluse tra le “interpolazioni trivializzanti”, anche se non va trascurato il monito di Smutny, per il quale era impossibile decidere se si è in presenza di una variante intenzionale o, più semplicemente di una facile e comune confusione di stampo paleografico.

163 Per comprendere quanto le due edizioni critiche moderne del testo oraziano invece tendenzialmente

10) Horat., Carm. I, 3, 20

Il locus oraziano che presenta le infauste scogliere Acroceraunie, relativo ad

Horat., Carm. I, 3, 20 è subito raffrontabile con :

Verg., Aen., III, 506

Provehimur pelago vicina Ceraunia iuxta.

In particolare, nel commentare il verso virgiliano, Servio non solo conferma la presenza di questa lezione in Orazio ma precisa che i monti dell’Epiro in questione verrebbero così chiamati dalla frequenza dei fulmini che li investirebbero, dovuta alla loro altezza, dato geografico da cui Orazio avrebbe tratto la più espressiva forma “Acroceraunia”164, per sottolinearne non solo l’altitudo ma anche la frequenza dei fulminum iactus.

Interessanti sono le precisazioni fornite a riguardo dai commentatori antichi. Lo Pseudo Acrone si sofferma sull’ambivalenza dell’aggettivo infames, riferito a monti che sarebbero tali o perchè legati alla fama ricorrente in molti poeti o per l’asprezza stessa del litorale, causa di molti naufragii, mentre Porfirione è più deciso nell’annotare che l’aggettivo si riferisce ai disastri navali occorsi nell’area, come si evince da Caes., Bellum Civile 3.6.3, Ovid., Rem., 738; lì Ottaviano perse delle navi dopo Azio (Suet., Aug.17.3)

Attento, come sempre alla tradizione indiretta del testo, fu il Bentley che recuperò anche la nota di Lattanzio165 a Stat. Theb. I, 333166, ove le infames Scirone petras del testo staziano sono accostate proprio agli oraziani infames scopulos acroceraunia.

164 Cfr. A. Coppola, Acrocerauni,in “Enciclopedia Oraziana op.cit “I, p.378

165 Sull’attività letterara di Lattanzio cfr. C. Salemme, Letteratura latina imperiale, Napoli, 1993, pp. 203-206. 166 In realtà, però, nel fare la citazione Bentley commette un errore probabilmente di memoria, citando il verso

133, in luogo del verso 333 del primo libro della Tebaide. Sugli errori di memoria resta sempre utile la lettura di A. Dain, Les manuscripts, Paris, 1949.