• Non ci sono risultati.

GLI ANALISTI FINANZIAR

4.4 I “BIAS” NEI COMPORTAMENTI DEGLI ANALISTI FINANZIAR

Se l’attività di previsione dell’analista e il mercato dei capitali sono efficienti, allora i prezzi di mercato e l’output prodotto da questo intermediario riflettono immediatamente tutte le informazioni dell’impresa disponibili sul mercato. Ciò nonostante le inefficienze di mercato creano errori di previsioni dell’analista e cambiamenti di prezzo nei titoli azionari.

Uno dei filoni degli studi dedicati alla categoria degli analisti finanziari riguarda proprio le distorsioni, o “bias”, che possono condizionare i giudizi e le raccomandazioni emesse dagli analisti finanziari e sfociare in situazioni di conflitti di interessi. Quando si fa riferimento ai “bias” e ai conflitti d’interesse degli analisti finanziari nell’ambito dell’equity reserch, si comprendono le circostanze in cui compaiono determinati incentivi che spingono la figura dell’analista a rilasciare raccomandazioni distorte, in molte occasioni favorevoli non solo per l’emittente ma anche per lo stesso l’intermediario per cui egli risulta occupato, indipendentemente dalla effettiva qualità della realtà analizzata. In altri termini, il soggetto posto a demandare le raccomandazioni potrebbe essere contemporaneamente esposto ad alcune forze particolari che lo persuadono a concedere valutazioni positive e al contempo dall’altro canto a sottrarsi dal pubblicare giudizi negativi nel caso in cui invece la realtà analizzata ne fosse meritevole.

Molti studi hanno posto in rilievo proprio alcuni comportamenti tendenziosi da parte degli analisti finanziari. I ricercatori spesso si trovano a discutere e ad analizzare tra i principali comportamenti anomali il fatto che gli information

brokers eseguano raccomandazioni troppo favorevoli o che siano eccessivamente ottimisti in merito alle analisi che vengono da loro pubblicate. Si apre così un dibattito in merito l’accuratezza e la qualità delle analisi condotte da questi soggetti. Una delle molteplici ragioni di questo sentire trova fondamento nel fatto che fino a poco tempo fa si sono susseguite una lunga serie di catastrofi societarie in cui anche gli analisti finanziari risultavano essere indagati per aver persistito a emettere e pubblicare giudizi estremamente positivi nei confronti di realtà societarie che vantavano palesi prestazioni

inadeguate sia sotto il profilo economico che finanziario (Cervellati, Della Bina, 2004).

Una tra le principali ragioni per cui i potenziali conflitti d’interesse possono affliggere anche l’ambiente in cui operano gli analisti finanziari è legata alla modalità in cui sono organizzati i compensi di questi soggetti, come si vedrà a breve. I report e le raccomandazioni elaborate dagli analisti sono generalmente accompagnati da pacchetti di altri servizi finanziari che si trovano ad arricchire l’attività di ricerca. È pertanto evidente come queste situazioni possano essere fonte dello svilupparsi di eventuali conflitti d’interessi, intaccando in questo modo la qualità e l’obiettività delle loro ricerche condotte sull’oggetto interessato. Una delle ragioni principali dei conflitti d’interesse è dunque la convivenza del settore dell’analisi con l’investment banking department, da cui possono originarsi delle pressioni per indirizzare le raccomandazioni (Castri, 2004). Infatti, quando una società emette nuovi titoli, si trova a dover ricorrere del servizio d’investment banking per ricevere suggerimenti su come comporre la propria operazione di emissione e al contempo fruire di un aiuto nella sua realizzazione. In tale ambito l’intermediario finanziario molto spesso può trovarsi a far parte del consorzio di collocamento nella carica di underwriter, nutrendo pertanto un sostanziale interesse verso il successo dell’operazione. Proprio gli analisti finanziari fanno parte di questa squadra incaricata di curare le Initial

Pubblic Offer (IPO), fornendo loro assistenza con ricerche di due diligence nella

società e partecipando ai roadshow con gli investitori. Tali pressioni avvengono anche in caso di operazioni di finanza straordinaria come le fusioni e le acquisizioni, come sopra affermato. Queste forze inducono gli analisti a redigere e pubblicare report notevolmente ottimistici, come si accennava poco prima, con l’intento di favorire e accontentare un cliente, attuale o potenziale che esso sia, o per accrescere il volume di negoziazioni in conto terzi e conseguentemente il relativo flusso di commissioni a esso correlate.

La letteratura, inoltre, in molte occasioni è solita a mettere in risalto come i

financial analyst siano propensi a rilasciare valutazioni favorevoli rispetto a

raccomandazioni negative (Barucci, Bianchi, Mancini, 2003). A tal riguardo una riconferma ad avvalorare tale affermazione sono proprio le diverse rivelazioni Consob in materia, nelle quali viene sottolineata la netta preponderanza degli ordini buy su quelli sell (Carozzi, 2006). Il fenomeno appena descritto e più in

generale tutti i principali bias che affliggono l’operato degli analisti finanziari sono collegati al rapporto diretto che si stanzia tra l’intermediario finanziario in qualità di analista e l’azienda sottoposta ad analisi. Tale relazione, oltre ad essere il principale canale informativo per l’intermediario, fornisce anche possibili incentivi all’analista a formulare giudizi contraddistinti da esiti positivi con il mero scopo di ottenere il favore delle possibili società clienti, guadagnando in tal modo un più consistente flusso non solo informativo ma anche remunerativo.

Nel tentativo di spiegare l’effetto del fenomeno legato all’eccessivo ottimismo delle raccomandazioni degli analisti finanziari si può far riferimento alla spiegazione aggiuntiva del “selection bias” o errore di selezione. Secondo tale interpretazione a dare avvio al rapporto di copertura su di un titolo, inizialmente sono solo gli analisti finanziari più ottimisti perché serbano previsioni fiduciose su di esso. Di conseguenza le valutazioni iniziali saranno principalmente raccomandazioni non negative (Cervellati, Della Bina, 2004).

Tra i “bias” che affliggono i comportamenti degli analisti finanziari è possibile annoverare come gli stessi metodi di valutazione spesso siano inefficienti o addirittura condizionati. Oltretutto si può anche porre in risalto che gli analisti finanziari tendono nel breve periodo a incorporare le informazioni relative agli utili con un certo ritardo pertanto le reazioni stesse del mercato sulla loro raccomandazione avverranno in differita. Di convesso gli analisti finanziari sono più reattivi per le previsioni di crescita sugli utili futuri (Barucci, Bianchi, Mancini, 2003). Una motivazione a queste distorsioni può risiedere in alcuni aspetti legati alla reputazione della figura dell’analista. Infatti, oltre agli atteggiamenti fin qui menzionati, si può andare a contemplare nei “bias” relativi ai comportamenti degli analisti anche il fatto che recentemente questa figura è propensa a riprodurre i medesimi giudizi degli altri analisti finanziari, spesso i più accreditati del settore. Proprio a tal riguardo si può constatare come tali soggetto in alcune occasioni siano inclini a uguagliare le proprie valutazioni. Questo comportamento ricorre in tali intermediari per il semplice timore che il loro credito possa subire delle ripercussioni in termini reputazione nel caso in cui la propria valutazione si dimostrasse contraria a quella più diffusa. Per di più quest’espressione è portata a radicarsi negli atteggiamenti degli analisti finanziari anche perché buona parte di questi soggetti tendono ad conformarsi

verso il valore della valutazione degli altri loro pari.

Ecco dunque che sulla base dei bias sopra menzionati potrebbe venir a delinearsi una relazione di circolarità tra la figura dell’analista e l’investitore, per cui l’output di ricerca prodotto dai primi non adempirebbe più alla sola funzione di mezzo previsionale nelle scelte d’investimento in favore di quest’ultimi, poiché nello svolgimento delle loro osservazioni gli analisti finanziari sarebbero portati a far prevalere maggiormente sulle raccomandazioni una funzione d’indirizzo.

I conflitti d’interessi e le distorsioni dei comportamenti citati fanno dunque notare come l’attività di ricerca dell’analista finanziario non sia del tutto indipendente. Dopo quanto sopra riportato, sorge pertanto il dubbio se le valutazioni dei financial analysts racchiudano o meno indicazioni utili per i partecipanti al mercato.

Tuttavia non esistono benefici di lungo termine né per gli analisti né per le istituzioni finanziarie, che li impiegano, a compromettere l’integrità del prodotto delle loro ricerche. Infatti, gli information broker che intendessero offrire ai partecipanti al mercato report di ricerca distorti o inaffidabili potrebbero in poco tempo perdere la loro credibilità e qualsiasi valore abbiano acquisito, nella stessa misura sia nei confronti di coloro che li hanno impiegati sia nei confronti degli investitori. In altre parole, le società che intendono permettere che certe pratiche accadano, potrebbero velocemente perdere i loro utenti, data l’alta competitività che caratterizza questo tipo d’industria (Fernandez, 2010).

E’ quindi ampiamente condiviso dagli investitori e dalle imprese, che impiegano gli analisti finanziari, che la più preziosa risorsa di questi soggetti è la loro integrità e la garanzia che possono offrire in merito ad un certo livello di qualità nelle ricerche che essi forniscono al pubblico.