REGOLAMENTAZIONE DEGLI “INTERLOCKING
DIRECTORATES” IN AMBITO FINANZIARIO.
Dopo aver riportato le riflessioni di stampo economico sugli effetti anti- competitivi dei legami strutturali, per comprenderne la rilevanza in ottica antitrust è opportuno analizzare le modalità con cui essi si strutturano nella prassi economica. Partendo dal dato empirico, i casi più diffusi di legami strutturali possono essere realizzati mediante forme più o meno complesse. Cominciando dall’ipotesi più semplice, sicuramente un legame strutturale fondato sulle partecipazioni di minoranza (“minority shareholding”) avviene tramite l’acquisto diretto della partecipazione minoritaria nell’impresa concorrente. A un livello di complessità maggiore si trova l’ipotesi di acquisto incrociato di partecipazioni di minoranza, in cui l’impresa “A” ha una partecipazione nell’impresa “B”, ad esempio pari al 10 %, e lo stesso “B” in “A” (e così via, prendendo a riferimento “n” imprese in quel dato mercato). Infine, a un livello di complessità più alto si trova l’acquisto di una partecipazione di minoranza da parte di una società che controlla uno dei concorrenti della partecipata, come nel caso dell’impresa “A” controllante dell’impresa “B”, concorrente a sua volta di “C”, che acquista una partecipazione, ad esempio, del 10 % in “C”322. Utilizzando queste forme
di acquisto più o meno cristallizzate, la prassi finanziaria tende a sviluppare veri e propri modelli di “circular ownership”, vale a dire legami strutturali (incrociati) tra società operanti distinte nello stesso mercato o in mercati collegati323. Questo fenomeno può
anche essere suddiviso, in ragione dei modelli appena elencati, in “cross-shareholdings”, nel caso di una partecipazione di minoranza detenuta dalla partecipata nella società acquirente (è il caso delle partecipazioni reciproche324), e in “circular holdings”, nel caso
in cui molte imprese nel mercato siano direttamente o indirettamente connesse attraverso legami strutturali (e anche personali)325.
Definite le principali forme con cui vengono attuati i legami strutturali, bisogna chiarire come essi sono distinti da un punto di vista qualitativo. Infatti, come già anticipato, si distinguono i legami passivi (riconducibili al “passive investment”) e attivi. In quest’ultimo caso, il titolare delle partecipazioni, oltre ad avere il generico potere di
322 Si veda OCSE, cit., pag. 24 per una casistica generale. Per quanto riguarda la terza tipologia
(acquisto della “minority shareholding” da parte della controllante della concorrente), cfr. G. D. PINI, cit., pag. 900; D. GILO, The anticompetitive cit., pag. 22 e ss.; M. C. CORRADI, op. cit., pag. 373.
323 M. C. CORRADI, op. cit., pag. 367 e ss.
324 Per la cui disciplina societaria, si veda G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2. Diritto delle
società, Milano, 2015, pag. 276 e ss., secondo il quale “[l]e partecipazioni reciproche fra società di capitali […] danno luogo a pericoli di carattere patrimoniale ed amministrativo […]”.
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uscita (o “exit”), come nel “passive investment”, ha anche un potere di “voice”. Con quest’ultima espressione, si può far riferimento, innanzitutto, a una serie di prerogative che, anche per via statutaria o parasociale, sono riconducibili ai c.d. diritti delle minoranze, pensati per proteggere l’investimento azionario di tali soci da eventuali abusi da parte della maggioranza326. Se è vero, però, che tali disposizioni non hanno un
immediato riflesso sotto il profilo concorrenziale è vero anche che “[q]uesti poteri […] possono essere utilizzati in maniera abusiva da parte del concorrente al fine di influenzare gli amministratori della partecipata, impedendole di […] prendere decisioni che possano danneggiare l’impresa acquirente”327. Ai fini della presente trattazione,
tuttavia, assume rilevanza da un punto di vista antitrust il potere di nomina di uno o più membri del consiglio di amministrazione, i c.d. amministratori di minoranza. Normalmente, questo potere non è foriero di problemi concorrenziali, in quanto è il normale risvolto dell’acquisto di una partecipazione minoritaria a cui, raggiunta una determinata soglia, è consentito l’accesso al potere di nomina di una parte (minimale) del “management”. È una situazione ben diversa da quella, già analizzata, in cui a un socio di minoranza è consentito nominare la maggioranza dei membri del consiglio grazie a una serie di strumenti giuridici (es. il voto di lista) o fattuali (l’assenteismo all’assemblea di nomina degli amministratori); ma anche dal caso in cui all’interno del consiglio di amministrazione sono previsti quorum deliberativi per adottare alcune decisioni strategiche (dal punto di vista concorrenziale) che consentono all’amministratore di minoranza di esercitare un potere di veto che, indirettamente, attribuisce un controllo antitrust al socio minoritario che lo aveva nominato.
Ciò nondimeno, la rilevanza concorrenziale del fenomeno è ben appurata ed evidente sulla base di una semplice constatazione328. Tramite la nomina dei propri
rappresentanti all’interno del consiglio di amministrazione delle varie partecipate all’interno dello stesso mercato o anche in mercati collegati (società “A”, “B”, etc.), la società acquirente (detentrice di una partecipazione di minoranza) può realizzare un cumulo di cariche, nel caso in cui l’amministratore di minoranza nella società “A” sia lo stesso della società “B” (concorrente dell’acquirente e di “A”) in cui detiene sempre una partecipazione minoritaria. In questo modo, l’amministratore di minoranza “in comune” sarà in grado di instaurare uno scambio di informazioni da e verso la
326 Si veda, ad esempio, l’articolo 2393-bis c.c. (azione di responsabilità nei confronti
dell’amministratore), l’articolo 2408 c.c. (denuncia al collegio sindacale) e l’articolo 2409 c.c. (denuncia al tribunale per gravi irregolarità).
327 G. D. PINI, op. cit., pag. 900.
328 Cfr. AGCM, IC 36; R. SANTAGATA, Interlocking directorates ed “interessi degli amministratori” di
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partecipata, a tal punto da realizzare una “fitta ragnatela di partecipazioni incrociate e circolari”329: questa è l’essenza degli “interlocking directorates”.
Chiaramente, tale fenomeno comporta dei rilevanti problemi concorrenziali specialmente in mercati fortemente concentrati non solo in senso orizzontale, ma anche verticale. In questi particolari contesti, la condivisione di consiglieri di amministrazione può rafforzare i legami di “controllo azionario” (in senso a tecnico), in quanto “ostacola la sua contendibilità” e, allo stesso tempo, garantisce la “coesione all’interno dei gruppi”330. Come ha efficacemente riferito l’AGCM, “[…] la presenza di legami
strutturali e personali tra operatori può incidere sulla struttura competitiva del mercato, determinando un potenziale e rilevante affievolimento della tensione competitiva”331 e
“il raggiungimento di equilibri stabili, nei quali è molto difficile si verifichino deviazioni”332. Detto questo, gli “interlocking directorates” comportano sia effetti
interni, relativi alla correttezza ed autonomia della gestione della società, sia in rafforzamento della competitività del mercato333. Dunque, dall’analisi degli
“interlocking directorates” emergono due interessanti considerazioni.
A) Innanzitutto, emerge il problema attinente allo status degli amministratori “condivisi”, dal momento che questi ultimi hanno un “duplice dovere fiduciario”334
verso le società che sono chiamati ad amministrare. Da un punto di vista di “corporate governance”, il diritto societario generale si concentra sugli aspetti legati all’indipendenza dell’amministratore335. Manca, pertanto, un risvolto antitrust diretto di
detta normativa, poiché non esistono norme nella normativa societaria in grado di regolamentare (o, addirittura, a vietare) il fenomeno sul piano concorrenziale336. Vi è il
329 F. GHEZZI, op. cit., pag. 256. 330 R. SANTAGATA, op. cit., pag. 311.
331 Cfr. AGCM, provv. n. 16673, Banche Popolari Unite/Banca Lombarda e Piemontese, in Boll., 13,
2007, ripreso da AGCM, IC 36, pag. 63; AGCM, provv. n. 17283, Unicredito Italiano/Capitali, in Boll., n. 33, 2007, che cita i precedenti provvedimenti.
332 AGCM, IC 36, pag. 99.
333 V. FALCE, La nuova disciplina in tema di cumulo di cariche. Profili di regolazione pro-concorrenziale, in
Banca borsa tit. cred., fasc.2, 2014, pag. 196 e ss.
334 G. D. PINI, op. cit., pag. 895.
335 Cfr. AGCM, IC 36, pag. 69, secondo la quale l’indipendenza dell’amministratore (in senso
generale) è intesa nel senso che “tutti gli amministratori devono avere quei requisititi minimi di indipendenza intesa come autonomia di valutazione e imparzialità nello svolgimento dell’incarico, mossi dall’obbiettivo di creare valore per tutti gli azionisti, in un orizzonte di medio-lungo periodo” (nostra sottolineatura) e che “[i]n questa accezione generale di indipendenza […] l’indipendenza di giudizio deve essere un tratto comune a tutti i membri del consiglio di amministrazione”; COMMISSIONE, Raccomandazione della Commissione del 15 febbraio 2005 sul ruolo degli amministratori senza incarichi esecutivi o dei membri del consiglio di sorveglianza delle società quotate e sui comitati del consiglio d'amministrazione o di sorveglianza, considerando n. 7, riferisce che, a proposito dell’indipendenza, “[…] si dovrebbe prestare la debita attenzione in particolare ai rischi che potrebbero derivare dal fatto che un membro del consiglio di amministrazione ha stretti legami con un concorrente della società”.
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caso isolato dell’articolo 2390 c.c.337, che specifica il c.d. divieto di concorrenza per gli
amministratori di S.p.A., ma che comunque è superabile con apposita delibera assembleare, con un evidente “limite all’efficacia di questa disposizione”338. Le altre due
norme, invece, hanno scarsa rilevanza ai nostri fini. Infatti, da un lato, l’articolo 2391 c.c. obbliga gli amministratori a dare notizia agli altri membri del consiglio e al collegio sindacale di quale interesse sono portatori per conto proprio e/o altrui339 e a motivare
adeguatamente la deliberazione. L’altra disposizione, l’articolo 2392 c.c., si limita soltanto a prevedere il canone della diligenza, per cercare di mantenere costante la mediazione tra gli interessi delle imprese coinvolte.
Per quanto riguarda le società quotate, il Codice di Autodisciplina (CdA)340 si
occupa del cumulo di incarichi sia all’articolo 1 che all’articolo 2, stabilendo che gli amministratori accettano la carica solo quando ritengono di potervi dedicare il tempo necessario. Andando più nel dettaglio, viene disciplinato anche il divieto di concorrenza, all’articolo 1, comma 4. Qui, rispetto all’analogo articolo 2390 c.c., si prevede che l’assemblea, “per far fronte ad esigenze di carattere organizzativo”, può autorizzare “in via generale e preventiva” le deroghe al divieto di concorrenza. Tuttavia, bisogna ricordare che l’intervento del consiglio di amministrazione è solo ex post e si sostanzia in un mero obbligo di informativa all’assemblea per cui sarà sicuramente “improbabile che l’assemblea prenda posizione negativa su amministratori che la stessa assemblea ha nominato”341. Una norma che concretizza una forma di regolazione più
incisiva è l’articolo 2, comma 5 CdA, che fissa il divieto di “crossdirectorship” per i “Chief Executive Officers” (CEO) di un emittente342: sicuramente, esso pare un
tentativo di forte apertura verso il tema dei legami personali, che tuttavia resta relegato ai livelli apicali delle società e non anche ai manager di primo livello e ammette possibili vie d’uscita tramite la figura dell’amministratore indipendente343. Da questa breve
337 “Gli amministratori non possono […] esercitare un’attività in concorrenza per conto proprio
o di terzi, né essere amministratori o direttori generali in società concorrenti, salvo l’autorizzazione dell’assemblea”.
338 AGCM, IC 36, pag. 67, dove si sottolinea, in aggiunta, che tale disposizione “[…] peraltro non
persegue evidentemente l’interesse pubblico della tutela della concorrenza”.
339 Secondo R. SANTAGATA, op. cit., pag. 316, si fa riferimento a “ogni interesse” e non più solo
all’interesse in conflitto con la società e, dunque, ad ogni operazione infragruppo e non più circoscritto al solo conflitto.
340 Si veda l’ultima versione del luglio 2015. 341 AGCM, IC 36, pag. 68.
342 “Il chief executive officer di un emittente (A) non assume l’incarico di amministratore di un
altro emittente (B) non appartenente allo stesso gruppo, di cui sia chief executive officer un amministratore dell’emittente (A)” e nel commento sottostante si riporta che “[t]ali situazioni sono suscettibili di determinare potenziali conflitti di interesse”.
343 Come sottolineato da AGCM, AS496, Interventi di regolazione sulla governance di banche e
assicurazioni, in Boll., 3, 2009, il rischio maggiore proviene dalla nomina di amministratori indipendenti: infatti, “la nozione di amministratore indipendente […] così come configurata sia a livello normativo che di autoregolamentazione […], consente il verificarsi di situazioni non trasparenti nelle quali il medesimo soggetto assomma cariche diverse in società concorrenti”.
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disamina delle disposizioni di “soft-law”, appare evidente che l’attuale sistema regolatorio non è sufficiente344 e, come sottolineato dall’AGCM, richiederebbe una
maggiore spinta alla “autoregolamentazione collettiva nonché a livello di singole imprese, anche attraverso l’adozione di efficaci regole statutarie”345. In particolare, viene
sottolineata dall’Autorità l’esigenza di eliminare i conflitti di ruolo e di incarico, di aumentare la trasparenza nel ruolo degli azionisti e di finanziatori rispetto ai soggetti finanziati346.
B) Appurata l’assenza di una normativa societaria (generale) in grado di regolamentare il fenomeno in maniera tale da condurre gli operatori economici verso un sistema più efficiente, sia sul piano intrasocietario che di concorrenzialità nel mercato, è necessario procedere con l’analisi dell’articolo 36,decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (c.d. Decreto salva Italia), convertito con modificazioni in legge 22 dicembre 2011, n. 214. Il Legislatore, nel 2011, ha introdotto un divieto di assumere o esercitare cariche in imprese o gruppi di imprese concorrenti, operanti soltanto nei mercati del credito, in quello assicurativo e in quello finanziario (cd. “divieto di interlocking”)347. La crescente attenzione al sistema finanziario è dovuta al fatto che “i network c.d. sociali”, ad oggi, si sono innestati “[…] in un tessuto altamente concentrato
innervato da legami partecipativi”348. Tuttavia, l’introduzione di questa nuova
normativa, di natura settoriale e operante all’interno dei soli mercati finanziari, ha sollevato alcune critiche. Da un lato, prima di tale intervento vi era, infatti, il tentativo di trovare una soluzione in grado di scoraggiare la formazione di tali legami personali (senza vietarli), da individuarsi all’interno della normativa societaria sopra citata349.
Dall’altro, tra coloro che avvertivano l’esigenza di una regolamentazione esplicita, pare opportuno menzionare la posizione dell’AGCM. Infatti, l’Autorità si è resa fautrice di questa istanza, sostenendo che “[…] l’ampia diffusione di legami azionari e personali fra operatori concorrenti […] sono elementi che concorrono ad ostacolare l’instaurarsi di
344 Similmente, si esprime AGCM, IC 36, pag. 148. 345 AGCM, AS496, cit.
346 Si veda la nota precedente.
347 Si applica alle banche, alle compagnie di assicurazione e riassicurazione, alle società di
intermediazione mobiliare (SIM), alle società di gestione del risparmio (SGR), alle società di investimento a capitale variabile (SICAV), agli intermediari finanziari ai sensi del Titolo V del t.u.b. e alle relative società capogruppo, agli istituti di pagamento, agli istituti di moneta elettronica (IMEL), a Poste Italiane S.p.A. per l’attività di Bancoposta e a Cassa Depositi e Prestiti. Per un elenco dettagliato, si veda BANCA D’ITALIA, CONSOB e ISVAP, Criteri per l’applicazione dell’art. 36 del d.l. “Salva Italia” (cd. “divieto di interlocking”), pag. 5. e relative FAQ, par. 1.1.
348 V. FALCE, op. cit., pag. 197.
349 Si veda R. SANTAGATA, op. cit., pag. 18 e ss., secondo il quale “[…] il cumulo di cariche
amministrative accresce il rischio degli amministratori comuni […] ed agevola l’onere probatorio degli azionisti di minoranza e dei creditori in un’eventuale azione di responsabilità ex art. 2497”. Dunque, “[…] l’interlocking directorate può rivelarsi infatti un autentico “tallone d’Achille”: costituisce importante indizio di “violazione dei principi di corretta gestione societaria ed
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una reale concorrenza […]”, auspicando che in via legislativa venissero introdotte “[…] disposizioni di principio miranti a risolvere le problematiche concorrenziali derivanti dalla diffusa presenza di interlocking directorates, lasciando poi agli statuti la loro concreta attuazione”350.
In concreto, l’articolo 36 prevede che è vietato “ai titolari di cariche negli organi
gestionali, di sorveglianza e di controllo e ai funzionari di vertice di imprese o gruppi di imprese
operanti nei mercati del credito, assicurativi e finanziari di assumere o esercitare analoghe cariche in imprese o gruppi di imprese concorrenti” e al comma 2 si specifica che “[…] si intendono concorrenti le imprese o i gruppi di imprese tra i quali non vi sono rapporti di controllo ai sensi dell’articolo 7 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 e che operano nei medesimi mercati del prodotto e geografici”. E’ vietato in modo assoluto il cumulo tra qualsiasi carica nel consiglio di amministrazione, gestione, sorveglianza, nel collegio sindacale, e ciò vale anche per il funzionario di vertice351, cioè per i direttori
generali e, per le società quotate, ai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari (articolo 154-bis t.u.f.). Alla luce di questo, emergono due problematiche.
1) Innanzitutto, il divieto opera automaticamente nel caso del superamento di una certa soglia di fatturato. Inizialmente, quest’ultima era pari a 47 milioni di € e si riferiva al fatturato realizzato a livello nazionale, sia dall’impresa che dal gruppo di appartenenza. Tale soglia e il relativo metodo di calcolo, come specificato dalle linee guida delle autorità di vigilanza, sono identificati sulla base dell’articolo 16, comma 2 l. ant.352 per la valutazione delle operazioni di concentrazione tra imprese a fini antitrust.
Dopo la modifica apportata all’articolo 16 l. ant. dalla legge del 2017, n. 124, la soglia di fatturato realizzato a livello nazionale dall’impresa o dal gruppo d’appartenenza scende a 30 milioni di euro, ma deve essere riferita ad almeno due intermediari fra quelli in cui il soggetto abbia cariche incrociate353. Al di là dell’importo, rileva l’automatismo con cui
si applica il divieto: è sufficiente il mero superamento della soglia per consentire, in ultima istanza, alle autorità di vigilanza (Banca d’Italia per il settore bancario, Consob
imprenditoriale”, con l’effetto che onerati della prova dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo alla natura ed alle dimensioni del sodalizio saranno gli amministratori comuni”.
350 AGCM, AS659, Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza,
in Boll., n. 4, 2010.
351 Cfr. BANCA D’ITALIA, CONSOB e ISVAP, Criteri cit., pag. 4; ASSONIME, Circolare, n. 2,
2012, pag. 5. In ogni caso, si fa riferimento a soggetti in grado di incidere sulle decisioni strategiche.
352 Per le banche e gli altri intermediari finanziari il fatturato si intende un decimo del totale
dell’attivo dello stato patrimoniale, esclusi i conti d’ordine. Invece, per le imprese di assicurazione, il valore dei premi incassati.
353 BANCA D’ITALIA, CONSOB e ISVAP, Aggiornamento dei Criteri per l’applicazione dell’art. 36 del
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per quello finanziario e ISVAP per quello assicurativo, ma non all’AGCM), di adottare i provvedimenti amministrativi di decadenza del “manager”. Infatti, non viene valutata l’idoneità dei “legami personali vietati a ledere la concorrenza”354 e al mero
superamento della soglia il divieto opera senza limiti355. La procedura è complessa
perché, prima di tutto, è il soggetto interessato (e gli organi societari) che devono valutare ciascuna carica al fine di verificare se sussiste o meno il divieto: l’interessato entro 90 giorni dalla nomina deve comunicare agli organi societari preposti l’opzione esercitata (tra le cariche detenute in potenziale conflitto); entro 30 giorni dalla scadenza del suddetto termine, tali organi devono decidere e nei successivi 30 giorni devono trasmettere la delibera e la relativa documentazione alle autorità di vigilanza, alle quali spetta l’ultima parola sulla nomina356. Dunque, è chiaro che la scelta di sottrarre
all’AGCM la competenza di vigliare sugli “interlocking directorates” (salvo il caso in cui la delibera dell’organo societario realizzi un’analisi di mercato del prodotto o geografico o valutazioni attinenti al controllo) è contraria rispetto all’indirizzo seguito dal nostro ordinamento in materia concorrenziale. Inoltre, le altre autorità di vigilanza hanno un limitato potere di intervento e non si riconosce loro un potere d’ufficio, nonostante che la normativa di settore preveda l’obbligo di comunicazione periodica di informazioni attinenti alla “corporate governance”.
2) In secondo luogo, è sorto un problema interpretativo riguardo alla questione dei “gruppi di imprese concorrenti”, cioè “[…] gruppi che risultano presenti negli stessi mercati attraverso loro società”357. Se il rapporto di concorrenza riguardasse soltanto le
imprese (singolarmente intese), la necessità di arginare il divieto soltanto nel settore “finanziario” non comporterebbe problemi: infatti, un’impresa è concorrente con un’altra se opera all’interno dello stesso mercato o in uno contiguo, non in uno diverso. Tuttavia, l’aver individuato un rapporto di concorrenza anche a livello di gruppo (cui le imprese concorrenti nel mercato finanziario appartengono), rischia di estendere in maniera surrettizia il divieto anche a mercati diversi da quelli che ricadono nel relativo ambito di applicazione358. Il rischio è cioè che il divieto colpisca quegli individui aventi
cariche apicali in imprese operanti in mercati distinti e che accedono a gruppi
354 Si veda G. D. PINI, op. cit., pag. 907.
355 Le autorità di vigilanza sembrano intenzionate a effettuare una valutazione effettiva della
lesione della concorrenza, come si evince da BANCA D’ITALIA, CONSOB e ISVAP, cit., pag. 10 secondo le quali “[l]a finalità della norma impone, infatti, di non tener conto dei rapporti di concorrenza meramente potenziali, ma solo di quelli effettivi”. Tuttavia, riferisce V. FALCE, op. cit., pag. 199, che la “decadenza è una sanzione che non segue né presuppone alcuna valutazione discrezionale”.
356 Si veda BANCA D’ITALIA, CONSOB e ISVAP, Criteri cit., pag. 10 e 11.
357 R. CREATINI e O. MAIN, Interlocking directorates: un problema risolto?, in Merc. conc. reg., fasc.3,
2015, pag. 546.
358 Questo rischio non sembra essere paventato dalle autorità di vigilanza. Si veda BANCA
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concorrenti rispetto ai quali non hanno la capacità di influire sulle scelte strategiche359.
Ebbene, verso un’interpretazione estensiva si sono mosse tanto l’AGCM360, tanto le
Autorità di vigilanza. Secondo queste ultime, il divieto riguarda gli interlocking operanti in imprese appartenenti a gruppi diversi, attive in mercati concorrenti (concorrenza fra imprese), e le cariche incrociate in imprese appartenenti a gruppi attivi in mercati in concorrenza (concorrenza fra gruppi), a condizione che le imprese operino da sole in mercati diversi e che il fatturato a livello nazionale di esse sia superiore al 3 % del fatturato nazionale del gruppo di appartenenza361.
Queste problematiche sollevate dalla dottrina e dalla prassi inducono a ritenere