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Il controllo antitrust veicolato dalle partecipazioni minoritarie

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

D

IPARTIMENTO DI

G

IURISPRUDENZA

C

ORSO DI

L

AUREA

M

AGISTRALE IN

G

IURISPRUDENZA

Il controllo antitrust veicolato dalle

partecipazioni minoritarie

Candidato

Emanuele Matteoni

Relatore

Ch.mo Prof. Francesco Barachini

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1

INDICE

INTRODUZIONE ... 3 CAPITOLO PRIMO ... 5

1. LA NOZIONE “CIVILISTICA” DI CONTROLLO AI SENSI DELL’ARTICOLO 2359 CODICE CIVILE IN RAPPORTO ALL’ARTICOLO 7 LEGGE 10 0TTOBRE 1990, N. 287 (C.D. LEGGE ANTITRUST). ... 5 2. (segue) L’INTERPRETAZIONE DELLA NOZIONE DI INFLUENZA DETERMINANTE E DOMINANTE TRA LEGISLAZIONE CODICISTICA E ANTITRUST. ... 12 3. (segue) LA NOZIONE DEL CONTROLLO COME ELEMENTO QUALIFICANTE E NECESSARIO DELLA FATTISPECIE DELLA CONCENTRAZIONE NELLA NORMATICA ANTITRUST, ITALIANA E COMUNITARA. ... 18 4. IL LATO ATTIVO E PASSIVO DEL RAPPORTO DI CONTROLLO NELL’ARTICOLO 2359 C.C.: L’IMPORTANZA DELLA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL SOGGETTO E LE FORME GIURIDICHE AMMESSE. ... 26 5. IL LATO ATTIVO E PASSIVO DEL RAPPORTO DI CONTROLLO NELLA NORMATIVA ANTITRUST: LA NOZIONE DI IMPRESA E PARTE DI IMPRESA E L’IRRILEVANZA DELLA FORMA GIURIDICA. ... 30 6. LE QUESTIONI INTERPRETATIVE SULLA COLLOCAZIONE SISTEMATICA DELLA NOZIONE DI INFLUENZA NOTEVOLE E LA COMPATIBILITA’, CON LA NORMATIVA ANTITRUST, DEL CONTROLLO ESTERNO AI SENSI DELL’ARTICOLO 2359, COMMA 1, N. 3, C.C. ... 36 7. LE CLASSIFICAZIONI DELLE FORME DI CONTROLLO ANTITRUST INDIVIDUABILI NELL’ORDINAMENTO: IL CONTROLLO SOGGETTIVO E OGGETTIVO; IL CONTROLLO INTERNO ED ESTERNO... 43 8. (segue) IL CONTROLLO CONGIUNTO NEL DIRITTO ANTITRUST E NEI PRINCIPI CONTABILI INTERNAZIONALI E LA SUA INCOMPATIBILITA’ CON L’ARTICOLO 2359 C.C. ... 49 9. LE NOZIONI DI CONTROLLO NELLA LEGISLAZIONE SPECIALE DEL SETTORE DELL’EDITORIA E DELLA RADIODIFFUSIONE E I RAPPORTI CON LE FATTISPECIE “GENERALI”. ... 55 10. (segue) IL CONTROLLO AI SENSI DELL’ARTICOLO 93 T.U.F. TRA L’ARTICOLO 2359 C.C. E I PRINCIPI CONTABILI INTERNAZIONALI. ... 59

CAPITOLO SECONDO ... 63

1. UNA PREMESSA METODOLOGICA. ... 63 2. LE PARTECIPAZIONI MINORITARIE NEL DIRITTO SOCIETARIO E ANTITRUST: INQUADRAMENTO GENERALE DELLA FATTISPECIE. ... 65

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3. LE PARTECIPAZIONI MINORITARIE IN GRADO DI VEICOLARE IL

CONTROLLO TRAMITE FATTORI DI POTENZIAMENTO DI FATTO. ... 67

4. (segue) LE DELEGHE DI VOTO E IL SISTEMA DEL VOTO DI LISTA POSSONO FACILITARE L’ESERCIZIO DELL’INFLUENZA DA PARTE DI CHI DETIENE IL CONTROLLO DI FATTO. ... 78

5. LE PARTECIPAZIONI MINORITARIE CHE CONSENTONO DI VEICOLARE IL CONTROLLO TRAMITE ELEMENTI DI DIRITTO. ... 82

6. (segue) I PATTI PARASOCIALI. ... 88

CAPITOLO TERZO ... 95

1. PREMESSA. LA RILEVANZA DELL’INTERESSE FINANZIARIO NELLO STUDIO DEI LEGAMI STRUTTURALI... 95

2. (segue). GLI EFFETTI ANTI-COMPETITIVI GENERATI DAGLI INCROCI PARTECIPATIVI SUI MERCATI OLIGOPOLISTICI. ... 101

3. I LEGAMI STRUTTURALI E PERSONALI. PROFILI DI REGOLAMENTAZIONE DEGLI “INTERLOCKING DIRECTORATES” IN AMBITO FINANZIARIO. ... 105

4. IL “PUBLIC ENFORCEMENT” COMUNITARIO E ITALIANO NELLA DISCIPLINA DELLE PARTECIPAZIONI MINORITARIE, TRA LACUNA NORMATIVA E INTERPRETAZIONE SISTEMATICA... 113

5. (segue) LA PROPOSTA DI MODIFICA DEL REGOLAMENTO (CE) N. 139/2004 PER COLMARE “L’ENFORCEMENT GAP”. ... 119

6. LE SOLUZIONI INTERPRETATIVE PROSPETTABILI. ... 124

CONCLUSIONI ... 130

BIBLIOGRAFIA ... 132

GIURISPRUDENZA CITATA ... 137

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INTRODUZIONE

Riflessione preliminare sulla finalità della trattazione

Nella prassi economica, le società e, più in generale, le imprese - per utilizzare un termine caro al diritto comunitario - instaurano regolarmente dei legami per potenziare da un punto di vista interno ed esterno la rispettiva posizione sul mercato. Tuttavia, le modalità con cui essi vengono definiti tra le parti non sono riferibili a modelli fissi e statici nel corso del tempo. Ragion per cui, nel perseguire almeno inizialmente un intento classificatorio, è interessante notare che la modalità più incisiva risulta essere, dal punto di vista della corporate governance, l’acquisto di partecipazioni di controllo al capitale sociale di società. Quest’operazione incide su un duplice livello, strutturale e finanziario, e interessa, parallelamente, la dimensione della “proprietà” della società, con evidenti conseguenze sotto il profilo della gestione imprenditoriale. Questa riflessione di carattere generale diviene lo spunto per analizzare l’acquisto del controllo non soltanto sotto il “tradizionale” profilo del governo societario, ma anche nell’ambito dei mercati rilevanti interessati, studiando la fenomenologia degli effetti prodotti in chiave tipicamente concorrenziale.

Il controllo si presta a divenire l’oggetto di un’analisi sia secondo le categorie tipiche del diritto societario, quindi in ambito “privatistico”, sia tramite quelle di natura antitrust, spostando decisamente l’attenzione verso il settore “pubblicistico”. L’analisi delle due diverse nozioni di controllo consente di approfondire le molteplici problematiche interpretative sottese e a far emergere le peculiarità della normativa civilistica di cui all’articolo 2359 c.c. e di quella concentrativa italiana e comunitaria, le quali, tuttavia, presentano anche alcuni punti di contatto. Sotto il profilo civilistico, infatti, il controllo è apprezzabile come presupposto per influenzare la gestione ordinaria dell’attività imprenditoriale dell’ente acquisito. Sotto il secondo aspetto, invece, il controllo appare come una sorta di unità di misura, mediante la quale misurare la crescita esterna dell’impresa con un impatto diretto sui mercati interessati. In sostanza, il controllo è qualificabile come presupposto per la valutazione di un’operazione di concentrazione. Sotto questo versante, giova anticipare che l’entrata in vigore del Regolamento (CEE) n. 4064/89 sulla disciplina comunitaria delle concentrazioni ha segnato un’importante novità nell’ambito del diritto antitrust, seguito in Italia dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287 (conosciuta anche come Legge Antitrust) che ne rispecchia i contenuti e le finalità. Anche se ulteriori novità sono state

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successivamente introdotte dal Regolamento (CE) n. 139/2004 – attualmente in vigore - la nozione di controllo è rimasta il perno della disciplina concentrativa.

Ciò posto, nello spostare l’attenzione verso i “confini” – oggettivamente, molto incerti - della nozione di controllo, è inevitabile volgere l’attenzione al tema dell’acquisto delle partecipazioni che non rientrano né nel perimetro del controllo societario, né in quello antitrust. Questa trattazione, seppure caratterizzata da un oggetto profondamente diverso, è comunque collegata alla prima. Infatti, assunto che per comodità espositiva sia possibile riferirsi alla “macro categoria” delle partecipazioni di minoranza, esse sono descritte in opposizione alle partecipazioni di maggioranza che veicolano il controllo “automaticamente”. Dunque, trattasi di un collegamento “in negativo”. In tal senso, allora, è possibile parlare diffusamente di una sorta di influenza generata dai suddetti legami strutturali. Ed è proprio questo il tema centrale della seconda parte della trattazione, poiché è evidente in dottrina, soprattutto economica, che vengono realizzati, spesso tra imprese concorrenti, legami partecipativi al fine di compiere operazioni societarie atte a produrre rilevanti effetti anti-competitivi. Tali operazioni, non veicolando nessuna forma di controllo, risultano al di fuori del raggio applicativo sia della disciplina codicistica, sia di quella antitrust. È dietro questo aspetto potenzialmente elusivo che si cela la possibilità per il legislatore di intervenire in maniera non necessariamente poderosa, ma comunque incisiva al fine di tutelare tutti i soggetti in campo.

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CAPITOLO PRIMO

IL CONTROLLO NELLA DISCIPLINA SOCIETARIA E IN QUELLA

ANTITRUST AI FINI CONCENTRATIVI

Profili generali per l’inquadramento del fenomeno

SOMMARIO. 1. La nozione “civilistica” di controllo di cui all’articolo 2359 Codice civile in rapporto all’articolo 7 legge 10 ottobre 1990, n. 287 (c.d. legge antitrust). – 2. (segue) L’interpretazione della nozione di influenza determinante e dominante tra legislazione codicistica e antitrust. – 3. (segue) La nozione del controllo come elemento qualificante e necessario della fattispecie della concentrazione nella normativa antitrust, italiana e comunitaria. – 4. Il lato attivo e passivo del rapporto di controllo nell’articolo 2359 c.c.: l’importanza della qualificazione giuridica del soggetto e le forme giuridiche ammesse. – 5. Il lato attivo e passivo del rapporto di controllo nella normativa antitrust: la nozione di impresa e parte di impresa e l’irrilevanza della forma giuridica. – 6. Le questioni interpretative sulla collocazione sistematica della nozione di influenza notevole e la compatibilità, con la normativa antitrust, del controllo esterno ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 3 c.c. – 7. Le classificazioni delle forme di controllo antitrust individuabili nell’ordinamento: il controllo soggettivo e oggettivo; il controllo interno ed esterno. – 8. (segue) Il controllo congiunto nel diritto antitrust e nei principi contabili internazionali e la sua incompatibilità con l’articolo 2359 c.c. – 9. Le nozioni di controllo nella legislazione speciale del settore dell’editoria e della radiodiffusione e i rapporti con le fattispecie “generali”. – 10. (segue) Il controllo ai sensi dell’articolo 93 t.u.f. tra l’articolo 2359 c.c. e i principi contabili internazionali.

1. LA NOZIONE “CIVILISTICA” DI CONTROLLO AI SENSI

DELL’ARTICOLO 2359 CODICE CIVILE IN RAPPORTO

ALL’ARTICOLO 7 LEGGE 10 0TTOBRE 1990, N. 287 (C.D. LEGGE ANTITRUST).

Nell’ambito del diritto commerciale, il termine “controllo” è riconducibile quantomeno a due aree semantiche distinte. In primo luogo, viene evocata quella del “controllo – sorveglianza”, a cui si riconduce il variegato sistema dei poteri mediante i

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quali un soggetto ha facoltà di raccogliere informazioni da parte di un terzo sottoposto a controllo. Tale accezione viene intesa tanto in chiave “pubblicistica”, come nel caso del controllo esercitato dalla Consob nei confronti delle S.p.A. quotate in borsa e quelle che operano sul mercato mobiliare, tanto in chiave “privatistica”, come nel caso dell’esercizio delle prerogative del collegio sindacale all’interno delle società capitalistiche. Questa bipartizione, solitamente, distingue da un lato i controlli “esterni” e dall’altro i controlli “interni”. In secondo luogo, l’analisi del termine “controllo” evoca l’area del “controllo – indirizzo”, ricondotta al potere di orientare l’attività latu sensu economica di un soggetto terzo tramite l’esercizio di determinate prerogative: in quest’ultima accezione è rilevante la nozione del controllo di una società o di un’impresa, individuata dall’articolo 2359 c.c. e dall’articolo 7, legge 10 ottobre 1990, n. 287 (c.d. Legge Antitrust, di seguito l. ant.).

Lo studio della nozione di controllo necessita di un’ulteriore precisazione di tipo metodologico: infatti, diversi sono stati – e lo sono tuttora – gli approcci seguiti dalla dottrina italiana, giustificati da una proliferazione di norme che nel corso del tempo hanno modificato il panorama normativo di riferimento tramite, da un lato, l’introduzione di nozioni di controllo circoscritte a determinati settori e, dall’altro, sempre più spesso, tramite la tecnica normativa del rinvio all’articolo 2359 c.c., come avviene nell’articolo 2497-sexies c.c., in materia di “direzione e coordinamento” (a partire dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, articolo 51). Pertanto, una parte della dottrina

sostiene l’irriducibilità delle nozioni previste dall’articolo 2359 c.c., dall’articolo 7 l. ant. e dalle normative speciali. Da ciò ne consegue che le varie relazioni di controllo devono essere studiate in maniera analitica, mediante un metodo fondato sul “concetto” di controllo2. Questo metodo si fonda sull’impossibilità di trovare una corretta e unitaria

definizione di controllo partendo dal dato letterale delle norme, senza il rischio di forzare o sminuire la portata delle singole nozioni nel contesto di disciplina per cui sono state individuate. Questi autori, in ogni caso, sostengono che il concetto di controllo ruota attorno a un elemento indefettibile, cioè il potere di indirizzare l’attività di un soggetto terzo. Tale potere viene tradotto dal termine “influenza”, diversamente

1 Per una disanima analitica, anche se non aggiornata, M. LAMANDINI, Il “controllo” nozioni e

“tipo” nella legislazione economica, Milano, 1995, pagg 55 e ss. In particolare, si veda l’articolo 3, legge 3 aprile 1974, n. 95 (cosiddetta legge Prodi) sul gruppo insolvente, che è stata la prima normativa in cui si è applicata la nozione del controllo fuori dal contesto societario in senso stretto. Inoltre, si veda la legge sull’editoria (articolo 1, comma 2, legge 25 febbraio 1987, n. 67, che ha riscritto l’articolo 1, comma 8, legge 5 agosto 1981, n. 416) e sulla radiotelevisione (articolo 43, comma 14 e 15, d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177 che ha abrogato l’articolo 37, legge 6 agosto 1990, n. 223), di cui amplius cfr. capitolo 1, paragrafo 6 e 6.2.

2 Cfr. M. NOTARI, La nozione di controllo nella disciplina antitrust, in Riv. soc., 1996; M. S.

SPOLIDORO, Il concetto di controllo nel Codice civile e nella Legge antitrust, in Riv. soc., 1995, pag. 458 e ss., secondo il quale “si è oggi diffusa la tesi che accetta come un dato di fatto l’irriducibilità delle diverse nozioni di «controllo» ad un paradigma comune”.

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aggettivato. La tesi appena esposta si contrappone con quella, ad oggi minoritaria, del metodo tipologico3, che cerca di individuare nella normativa vigente una nozione

ontologica di controllo, definita tramite i molti elementi comuni alle varie fattispecie e avendo come poli di riferimento del sistema, da un lato, l’articolo 2359 c.c. e, dall’altro, l’articolo 7 l. ant. Sebbene tale impostazione risulti appagante sul piano teorico, avendo il pregio di ricondurre ad unità una pluralità di nozioni, essa produce nondimeno inevitabili ripercussioni sul piano pratico – applicativo. Secondo i sostenitori della prima teoria, infatti, il metodo tipologico attribuisce rilevanza generale alle due norme sopra richiamate, definendo il controllo “societario” (cfr. articolo 2359 c.c.) o “di un’impresa” (cfr. articolo 7 l. ant.) a prescindere dal settore di disciplina cui sono rivolte4. Il metodo

tipologico, quindi, non soddisfa come chiave di lettura del fenomeno del controllo, poiché non tiene conto degli interessi settoriali cui il legislatore nelle varie sedi specifiche ha dovuto tener conto. D’altra parte, gli spunti testuali in questo senso appaiono chiari: basti pensare all’incipit dell’articolo 7 l. ant. (“[a]i fini del presente titolo si

ha controllo nei casi contemplati…”), da cui si ricava una traduzione finalistica del controllo

ai fini della legge antitrust5.

A) La prima traduzione normativa del controllo è avvenuta con l’art. 2359, nell’accezione “ristretta” di controllo limitata al solo ambito societario. Questa nozione è riconosciuta come la fattispecie generale o di diritto comune del controllo. È opportuno precisare che la norma non ha sempre rivestito questa funzione, in quanto, nella sua versione originaria, essa era funzionale all’applicazione della disciplina delle partecipazioni reciproche6. Con la novella del 19747, sono stati introdotti nella nozione

di controllo sia quello “interno di fatto”, sia quello “indiretto”; tuttavia, è a partire della

3 In particolare, si veda M. LAMANDINI, op. cit. Secondo l’autore, in particolare, cfr. pag. 6 e

243, “[…] il ben noto polimorfismo del «tipo» controllo permette più che sensibili aggiustamenti normativi, con il metodo ora della specificazione ora della selezione delle fattispecie rilevanti, in occasione dell’utilizzo del controllo come nozione di relazione (Zwecksbegriff), al fine di «piegarne» la capienza conformemente agli interessi che di volta in volta si intendono regolamentare”.

4 M. S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 462 e ss.

5 L’interesse a rispondere alle specifiche esigenze del settore (senza la pretesa di definire una

nozione generale) appare, in particolare, dai lavori parlamentari della X Commissione (Attività produttive, commercio e turismo) della Camera dei deputati, in sede di approvazione della legge 10 ottobre 1990, n. 287. In tal senso, V. DONATIVI, Impresa e gruppo nella legge antitrust, Milano, 1996, pag. 126 e ss.

6 Nella versione originaria, la norma era rubricata “acquisto di azioni da parte di società controllate” e

recitava così “sono considerate società controllate quelle in cui una società possiede un numero di azioni tale da assicurare la maggioranza dei voti nelle assemblee ordinarie o quelle che, in virtù di particolari vincoli contrattuali, sono sotto l’influenza dominante di altre società”. Si poneva il divieto assoluto a una società di investire il proprio capitale in azioni della società che esercitava il controllo su di essa o di altre società controllate dalla medesima società, cfr. Relazione del Ministro Guardasigilli al Libro del Lavoro del Codice civile.

7 D.l. 8 aprile 1974, n. 95, convertito con legge 7 giugno 1974, n. 216, in particolare l’articolo 6

modifica l’articolo 2359 c.c. Con questa riforma, che mirava a contenere il fenomeno dell’annacquamento del capitale sociale, si aggiunge una particolare attenzione a quelli concernenti anche il regolare svolgimento delle assemblee.

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seconda modifica, intervenuta nel 19918, che la nozione codicistica di controllo ha

assunto la sua attuale veste. In particolare, nel controllo di diritto non si fa più riferimento alla maggioranza richiesta per le deliberazioni dell’assemblea ordinaria, ma alla maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; per quanto riguarda il controllo interno di fatto e il controllo esterno, prima disciplinati unitariamente, ora hanno autonoma rilevanza; inoltre, viene indicato che il controllo può essere attuato anche in modo indiretto e, infine, in merito alle società collegate, si afferma che sono tali quelle società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole.

Da un punto di vista definitorio, tre sono dunque le ipotesi – ai sensi del comma 1 – in presenza delle quali una società può dirsi controllata. Al n. 1, si prevede il controllo interno “di diritto” per cui, sulla base di una presunzione9, una società è

ritenuta controllata quando un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria. Sempre in riferimento al controllo sull’assemblea ordinaria, al n. 2 è identificato il controllo interno “di fatto”, per il quale una società è controllata quando un’altra dispone, nell’assemblea ordinaria della prima, di un numero di voti sufficienti ad esercitare un’influenza dominante. Chiaramente, in questo secondo caso, il legislatore ha plasmato la fattispecie adottando lo schema della presunzione relativa e, dunque, subordinando l’accertamento del controllo a un esame caso per caso. Infine, l’influenza dominante è ripresa anche nella fattispecie del controllo di cui al n. 3, per cui una società si trova in tale rapporto, rispetto a un’altra, nel momento in cui particolari vincoli contrattuali la legano ad essa (controllo esterno o contrattuale). Inoltre, le due ipotesi di controllo interno possono configurarsi sia in via diretta, che indiretta10.

L’articolo 2359 c.c., tuttavia, oltre a definire le tre fattispecie di controllo, inquadra anche la fattispecie del “collegamento”: ai sensi del comma 3 “[s]ono

8 D.lgs. 9 aprile 1991, n. 127, articolo 1, in attuazione delle direttive n. 78/660/CEE (IV direttiva)

e n. 83/349/CEE (VII direttiva) in materia societaria, relative ai conti annuali e consolidati, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge 26 marzo 1990, n. 69. Il testo così modificato è quello tutt’ora in vigore, salvo che per la modifica introdotta con il d. lgs. 28 dicembre 2012, n. 310. Quest’ultima modifica ha sostituito il termine “borsa” con “mercati regolamentati”.

9 La dottrina è scissa tra quanti ritengono si tratti di una presunzione assoluta, che non ammette

prova contraria (M. LAMANDINI, op. cit., pag. 52 e ss., nonostante i dubbi in materia, cfr. pagg. 76 e ss.) e quanti una presunzione relativa (M. S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 480, nt 62). La prassi consente di avvalorare la tesi della presunzione relativa, in quanto se un socio detiene la maggioranza assoluta (50% più uno delle azioni aventi diritto di voto) in assemblea ordinaria, laddove per clausole statutarie o patti parasociali l’assemblea ordinaria sia “di fatto” dominata da una società terza, allora tale socio maggioritario non ha il controllo. Dunque, anche in tale circostanza si rende necessaria una valutazione caso per caso.

10 La formulazione risultante dal 1991 ha eliminato ogni dubbio sul fatto che l’ipotesi di controllo

indiretto, anche tramite società fiduciaria o per interposta persona, potesse configurare un’autonoma fattispecie di controllo. Per il punto di approdo della dottrina dopo la riforma, M. NOTARI, op, cit., pag. 150, nt. 1.

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considerate collegate le società sulle quali un’altra […] esercita un’influenza notevole” (nostra sottolineatura). Dunque, emerge un’altra accezione di influenza, che necessariamente deve essere messa in relazione rispetto all’influenza dominante di cui ai numeri 2 e 3 del comma 1 e all’influenza determinante di cui all’articolo 7 l. ant11.

B) Passando al settore antitrust, l’articolo 7 l. ant. contiene tutti gli elementi della nozione di controllo: l’oggetto e il soggetto della relazione di controllo – a differenza dell’articolo 2359 c.c. –, ma anche gli strumenti con cui si attuano le relazioni di influenza del soggetto controllante nei confronti del soggetto controllato. Quanto a questo ultimo aspetto, nell’articolo 2359 vengono menzionati gli strumenti per l’attuazione del controllo ma, a differenza dell’articolo 7 l. ant., essi consistono esclusivamente nelle partecipazioni societarie – si veda il riferimento alla “disponibilità dei voti” – e nei vincoli contrattuali12. Invece, nell’articolo 7 l. ant. maggiori sono gli

strumenti cui allude il legislatore e, pur essendo il riferimento da intendersi generico13,

l’elemento comune è la stabilità del potere di influenza14. L’articolo 7 l. ant. ha

l’obiettivo esplicito, ricavabile dall’incipit sopra richiamato, di delimitare l’area della nozione di controllo ai fini dell’applicazione della disciplina sulle concentrazioni. Il legislatore, infatti, con la legge antitrust nel 1990 ha operato una specifica scelta di politica legislativa, non dissimile da altri ordinamenti europei, escludendo la crescita

interna dall’ambito delle concentrazioni – vale a dire l’aumento di quote di mercato

mediante l’aumento della capacità produttiva di un’impresa – e considerando soltanto la crescita esterna, che si verifica tramite le concentrazioni15. In sostanza, viene regolato il

fenomeno economico dell’acquisto di quote di mercato da parte delle imprese, tramite la disciplina normativa dell’acquisto del controllo, elemento qualificante della concentrazione. La norma guarda, in primo luogo, al lato passivo del rapporto, in quanto il controllo ai fini concentrativi consiste nella titolarità, da un lato, di diritti di proprietà

11 Amplius, cfr. capitolo 1, paragrafo 6.

12 Ex multis, M. LAMANDINI, op. cit., pag. 209 e ss., secondo il quale l’apertura ai nuovi

strumenti è limitata soltanto a una prospettiva de iure condendo.

13 M. S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 478 e ss., secondo il quale, addirittura, il riferimento

all’articolo 7, lett. b) l. ant. è “forse ridondante”.

14 L’articolo 7 l. ant. ha un contenuto analogo all’articolo 3, paragrafo 3 Reg. (CEE) n. 4064/89

del 21 dicembre 1989, abrogato dal Reg. (CE) n. 139/2004 del Consiglio, del 20 gennaio 2004, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese, GUUE 24 del 29.01.2004 (cosiddetto Regolamento comunitario sulle concentrazioni). Le disposizioni ora richiamate trovano una fedele collocazione all’articolo 3, paragrafo 2 del “nuovo” Regolamento; pertanto, il riferimento che la dottrina ha fatto alla precedente disposizione risulta applicabile anche al testo della vigente disposizione.

15 M. NOTARI, op. cit., pag. 25 e ss., in cui si richiama il progetto Battaglia (“Proposta di legge per

la tutela della concorrenza e del mercato”), che solo in sede di presentazione del testo alla Presidenza del Senato si arricchì della disciplina delle concentrazioni – fino a quel momento escluse – in analogia con la normativa comunitaria fino al 1989, che non contemplava le concentrazioni agli articoli 85 e 86 del Trattato CEE. Raggiunto il testo definitivo, la dottrina ha unanimemente individuato nella nuova legge l’esigenza di contrastare la crescita esterna delle imprese (M. NOTARI, op. cit., pag. 26, nt 46).

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o di godimento sulla “totalità o su parti del patrimonio di un’impresa” – controllo “oggettivo”, riferito al complesso dei beni aziendali – e, dall’altro, nella titolarità di diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono un’influenza determinante sulla “composizione, sulle deliberazioni o sulle decisioni degli organi di un’impresa” - controllo “soggettivo” in riferimento al soggetto imprenditore. Queste sono le forme mediante le quali un soggetto controllante – qualificato, ai sensi del comma 2 come

persona fisica, impresa o gruppo di imprese o persone – può esercitare un’influenza

determinante sulle attività di un’impresa16. L’oggetto del controllo antitrust è, in

sostanza, l’impresa17, rilevante anche per la qualifica del soggetto controllante e tale da

configurare il controllo anche nel caso in cui la relazione intercorre tra un soggetto e un complesso di beni aziendali non personificato. È anomala questa forma di relazione – il controllo oggettivo – in quanto sia nella norma codicistica (articolo 2359 c.c.) che in tutte le altre nozioni di controllo presenti nelle leggi speciali il rapporto di controllo è caratterizzato dalla presenza di due soggetti giuridici sul versante attivo e passivo del rapporto. Soltanto l’articolo 3, legge 25 febbraio 1987, n. 67 (recante la disciplina delle imprese editrici) prevede che siano elementi idonei ad attribuire il controllo gli atti di cessione, i contratti di affitto e di affidamento in gestione di “testate”. La ratio di questa “anomalia” consiste nel fatto che l’ordinamento antitrust, rispondendo ad esigenze concorrenziali, focalizza l’attenzione sui mezzi produttivi e, successivamente, sugli atti tramite i quali questi mezzi circolano nel mercato. Questi atti di trasferimento (come il contratto di cessione d’azienda o di ramo d’azienda) portano, inevitabilmente, all’acquisto di una quota di mercato.

Come è intuibile ad una prima lettura18, l’articolo 2359 c.c. non introduce una

nozione “generale” di controllo, in quanto descrivendo solo il lato passivo del rapporto e indirettamente quello attivo, si limita a circoscrivere il fenomeno alla sola materia societaria e, in particolare, al tipo della società per azioni, come si ricava dalla sua collocazione sistematica (Libro V, Titolo V, Capo V – dedicato alle società per azioni – Sezione V). Questo non stupisce, dal momento che la norma risulta prima facie funzionale proprio alla disciplina dell’acquisto o sottoscrizione di azioni della controllante da parte della controllata (articoli 2359-bis e ss. c.c.) e alla disciplina dell’informazione societaria (per il bilancio d’esercizio ma non per il bilancio consolidato). Viceversa, l’articolo 7 l. ant., pur essendo collocato in una normativa settoriale per definizione (cioè quella antitrust), definisce una nozione di controllo ben più estesa (“[…] si ha controllo nei casi contemplati dall’articolo 2359 del codice civile ed inoltre

16 Amplius, cfr. capitolo 1, paragrafo 5.

17 M. NOTARI, op. cit., pag. 229 e nt 2, che riporta come la nozione di impresa antitrust sia

distinta dall’articolo 2082 c.c. e la dottrina appare ormai pacifica sul tema.

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[…]”) data dalla “sommatoria” del controllo ai fini societari più il controllo ai fini antitrust (specificato nella norma). Più specificatamente, l’articolo 2359 c.c. allude a due tipologie di strumenti che attribuiscono il controllo, ovvero le partecipazioni al capitale di cui al n. 1 e al n. 2 (dove assume rilevanza un controllo sulla proprietà della società controllata) e i vincoli contrattuali di cui al n. 3 (ovvero il controllo al di fuori della categoria della proprietà). Queste due relazioni, per effetto del rinvio19 operato

dall’articolo 7 l. ant. ([…] si ha controllo nei casi contemplati dall’articolo 2359 del codice civile […]), rientrano anche nella normativa sulle concentrazioni e, in aggiunta ad esse, se ne evidenziano anche altre tipologie: innanzitutto, le relazioni dello stesso tipo dell’articolo 2359 c.c., ma fra soggetti diversi dalle società; le relazioni di tipo diverso dalle prime tra soggetti di natura societaria o meno e un complesso di beni (controllo oggettivo); infine, le relazioni tra soggetti di natura societaria o meno che non danno vita ad un’influenza determinante, ma che la possono conferire, quanto meno, in termini possibilistici.

Così descritto il sistema delle relazioni tra le nozioni di controllo, è evidente che l’articolo 7 l ant. definisce una nozione “generale” e l’articolo 2359 c.c. una nozione “speciale”, ma le correlative discipline – quella concentrativa e quella societaria –, in quanto appartenenti a settori dell’ordinamento distinti, non stanno in analoga relazione. Si può concludere che, sul piano pratico, ciascuna nozione di controllo risponde alle esigenze proprie del settore per la quale ciascuna fattispecie è stata plasmata. L’articolo 2359 c.c., richiamato dall’articolo 7 l. ant., è confermato nella sua (tradizionale) natura di norma “modello” a cui si fa riferimento quando non vale una definizione diversa di controllo. La formulazione del controllo ai fini antitrust, quindi, richiama il controllo civilistico e ad esso vi aggiunge un’altra fattispecie. A maggior ragione, la nozione di controllo antitrust è riferita al genus “controllo su un’impresa” e non soltanto alla species “controllo di una società”. La differenza tra le due norme verte sul piano della qualificazione soggettiva del soggetto controllato e l’oggetto del controllo e, successivamente, sul diverso modo di concepire la determinazione della gestione dei soggetti controllati.

19 Sulla qualificazione della natura materiale del rinvio si è espresso, in particolare, M. NOTARI,

op. cit. pag. 156 e ss. In dottrina a lungo si è dibattuto sulla natura formale o materiale del rinvio. Nel primo senso, oggetto del rinvio sarebbe soltanto la normativa civilistica prima della novella del 1991 (dato che l’articolo 7 l. ant. risale al 1990). Secondo l’altra tesi, il rinvio operato dalla normativa antitrust consente di riprendere la versione più attuale dell’articolo 2359 c.c. Per i sostenitori dell’assenza di una distinzione tra influenza dominante e determinante, il rinvio all’articolo 2359 c.c. è inutile, poiché nella versione originaria dell’articolo 7 l. ant. il rinvio non era presente ed esso fu introdotto solo in sede conclusiva dei lavori (cfr. M. LAMANDINI).

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2. (segue) L’INTERPRETAZIONE DELLA NOZIONE DI INFLUENZA

DETERMINANTE E DOMINANTE TRA LEGISLAZIONE

CODICISTICA E ANTITRUST.

Prima di passare all’analisi della relazione tra influenza determinante e dominante, è necessario valutare se l’influenza dominante (di cui all’articolo 2359 c.c.) possa essere riferita anche alla fattispecie di cui al n. 1, visto che essa è espressamente inserita solo al n. 2 (influenza dominante sull’assemblea) e al n. 3 (influenza dominante sulla società). Il tema dell’estensione dell’influenza dominante anche al controllo interno di diritto non è di semplice soluzione, in quanto l’interprete si trova astrattamente di fronte a due questioni: (i) considerare che il controllo di cui al n. 1 dell’articolo 2359 c.c. sia configurabile come definizione generale dell’influenza dominante, oppure (ii) considerare dominante quella influenza che, grazie ai presupposti (di fatto) di cui al n. 2 e al n. 3, è dominante esattamente come quella di cui al n. 1, detenuta da chi dispone della maggioranza dei voti nell’assemblea ordinaria.

Secondo la prima interpretazione, l’influenza dominante è estensibile anche al n. 1 dell’articolo 2359 c.c., perché, come emerge dalla prassi, non è sufficiente avere la disponibilità della maggioranza dei voti in assemblea ordinaria se, in concreto, tale maggioranza non attribuisce al titolare il potere di assumere le deliberazioni che consentono di ottenere l’influenza dominante e, pertanto, quest’ultima è diventata il tratto caratteristico del controllo societario20. A questa impostazione, si oppone la tesi

basata sull’interpretazione teleologica dell’articolo 2359 c.c.: la norma, infatti, avrebbe lo scopo, da un lato, di evitare il fenomeno dell’annacquamento del capitale sociale, tramite l’instaurazione di rapporti tra società distinte fondate sull’acquisto di partecipazioni reciproche (disciplinate dagli articoli 2359-bis e ss. c.c.) e, dall’altro, di modificare gli equilibri all’interno dell’assemblea ordinaria della controllante, incidendo direttamente sulla corporate governance. Dunque, partendo da questo assunto, viene separato l’aspetto dell’interpretazione del controllo di diritto da quello relativo all’influenza dominante, la quale consentirebbe nell’esercizio degli stessi poteri riconosciuti a chi detiene la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea21. In base a ciò, “il

20 Ex multis, G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2. Diritto delle società, Torino, 2017, pag. 287,

secondo il quale, in riferimento al n. 1, “la possibilità di esercitare influenza dominante è evidente in quanto la società controllante è in grado, fra l’altro, di nominare gli amministratori della controllata”.

21 M. S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 468 e ss., che si pone il problema di come considerare i casi in

cui un socio, pur avendo i requisiti del n. 1 (controllo interno di diritto) non abbia in realtà l’influenza dominante, come nel caso in cui un socio è detentore della maggioranza assoluta delle azioni ma, secondo lo Statuto, è richiesto un quorum per la prima convocazione dell’assemblea ordinaria più alto. In questo caso, non si consente al titolare del controllo di diritto di poter esercitare un’influenza dominante all’interno di quell’assemblea. E, secondo l’Autore, questa fattispecie può essere ricondotta nel controllo interno di fatto.

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nucleo del controllo è la possibilità di piegare alla propria volontà l’organo amministrativo […] attraverso la leva del voto dell’assemblea ordinaria […] oppure attraverso lo strumento contrattuale” e, dunque, la controllante è chi “ha il potere di nominare e revocare gli amministratori” indipendentemente dalla quota maggioritaria o meno dei voti22. Incidentalmente è opportuno riferire, sebbene in maniera sintetica, che

la questione del rapporto tra influenza dominante e controllo societario è stata affrontata anche alla luce della disciplina codicistica in tema di “direzione e coordinamento” o, più in generale, devi gruppi di società (articoli 2497 e ss. c.c.). Secondo la più recente dottrina, può esservi un controllo senza attività di direzione e coordinamento – quando è provato che l’influenza dominante è rimasta ad uno stato potenziale – o un’ipotesi di direzione unitaria senza che si verifichi un controllo societario nei casi previsti all’articolo 2497-septies c.c.23.

Effettuata questa necessaria premessa, per quanto attiene alla distinzione tra influenza dominante e determinante si registrano due posizioni opposte in dottrina. Da un lato, una parte di essa ritiene che le due forme di influenza debbano essere considerate unitariamente come sinonimi e, dall’altro, altri autori sono propensi a una loro separazione. Tra questi ultimi, inoltre, alcuni evidenziano i profili di differenza utilizzando un criterio qualitativo, altri uno di tipo quantitativo.

1) In posizione coerente rispetto alle premesse che hanno condotto parte della dottrina ad orientarsi verso la concezione “tipologica” del controllo vi è la tesi in base alla quale le due nozioni devono considerarsi equivalenti24. In questo senso, viene

ricercato il tratto qualificante del tipo “controllo” all’interno della nozione generale di “influenza”, anche se diversamente qualificata nel contesto normativo societario come

dominante e in quello antitrust come determinante: tutte le norme riferite al controllo, in

quanto “tipo” e non “concetto”, hanno un contenuto meramente descrittivo e strumentale ai fini della qualificazione dello stesso. Quindi, la conseguenza di tale impostazione metodologica è un’unitaria definizione di influenza, anche al fine di evitare che si creino aree di esenzione nella disciplina antitrust. In tal senso, si utilizza

22 M. S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 480.

23 G. F. CAMPOBASSO, op. cit., pag. 289, nt 13, secondo il quale “[c]ontrollo e gruppo di società

sono perciò fenomeni non sempre coincidenti”, ma “non è contestabile che il rapporto di controllo tende normalmente a risolversi in un rapporto di gruppo, come presume l’art. 2497-sexies”.

24 Cfr. M. LAMANDINI, op. cit., pag. 57 e ss.; M. S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 491, nt 90,

secondo il quale questa tesi è stata seguita, almeno inizialmente, anche dalla Commissione europea; in particolare, ricorda il caso n. IV/M159 - Mediobanca / Generali, laddove l’autorità individua un acquisto potenziale dell’influenza determinante nell’operazione da parte di una società che, incrementando le proprie partecipazioni in un consorzio di collocamento, aveva sottoscritto tutte le nuove azioni emesse in occasione dell’aumento di capitale della società controllata.

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l’uniformità di significato delle due nozioni come premessa al fine di estendere il controllo congiunto anche in ambito societario25. L’implicazione pratica di questa tesi è

che l’influenza determinante o dominante si ha nelle ipotesi in cui una società (o, meglio, per effetto della variante più estesa del controllo antitrust, un’“impresa” o “parte di essa”) è in condizione di dirigere l’attività di un’altra società (o impresa o parte di essa). L’influenza dominante o determinante si manifesterebbe come influenza di tipo gestorio, anche di natura meramente potenziale o presuntiva e anche se ciascuna definizione di essa mira a regolamentarne manifestazioni specifiche in alcuni specifici settori, come quello radiotelevisivo o editoriale. Quindi, il tipo “controllo”, caratterizzato dalla nozione unitaria di influenza che ne costituisce il tratto minimo, consiste nel potere di uno o più soggetti controllanti di decidere e dirigere un’attività d’impresa. Inoltre, tale influenza si atteggia diversamente a seconda che il soggetto passivo del controllo sia (i) un’impresa individuale oppure (ii) una società, di persone o di capitali, o qualunque altra organizzazione collettiva. Nel primo caso, l’influenza che veicola il controllo è apprezzata in termini di un mero esercizio dell’attività d’impresa. Nel secondo caso, invece, l’influenza generale di tipo gestorio è intesa non solo in termini di esercizio, ma anche di titolarità di poteri in grado di incidere sulla struttura imprenditoriale del soggetto controllato, al fine di orientare il comportamento di questo nel senso voluto dal soggetto controllante: pertanto, la disponibilità degli asset patrimoniali, materiali o immateriali e il potere sugli organi dell’impresa vengono apprezzati come indici del controllo26.

Non resta allora che precisare che, secondo tale dottrina, il legislatore, introducendo nell’articolo 7, comma 1 l. ant. il rinvio materiale all’articolo 2359 c.c., avrebbe realizzato un’operazione di scarsa rilevanza applicativa, data la tendenziale uniformità tra le due forme di influenza. Questo sarebbe suggerito, peraltro, dal fatto che il rinvio all’articolo 2359 c.c. venne inserito soltanto in sede di approvazione finale del testo definitivo dell’articolo 7 l. ant. In ogni caso, l’inutilità del rinvio all’articolo 2359 c.c. e l’uniformità del significato di influenza dominante e determinante non sono elementi connessi da un rapporto biunivoco, cioè tali da implicarsi reciprocamente: infatti, se si sostenesse la tesi opposta (ovvero, sussiste differenza tra le due forme di influenza) si potrebbe sostenere l’inutilità del rinvio alla norma civilistica, senza il rischio di cadere in contraddizioni o aporie27.

25 Amplius, capitolo 1, paragrafo 8. 26 M. LAMANDINI, op. cit., pag. 87 e ss.

27 A tal proposito, si veda ASSONIME, Circolare del 17 gennaio 1991, n. 9, pag. 18 e ss., che

opera una separazione tra le due nozioni di influenza, anche se afferma la tendenziale inutilità del rinvio all’articolo 2359 c.c.

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2) Alla tesi sopra esposta si contrappone, invece, quella coerente con le premesse dell’approccio analitico e “concettuale” alla nozione di controllo. Questa dottrina, prima di tutto, fa i conti con la scelta della tipologia di criteri descrittivi dell’influenza. Infatti, da un lato, alcuni distinguono tra influenza dominante e determinante sulla base di differenze quantitative, per le quali le due nozioni si differenziano sulla base della diversa “intensità” dell’influenza28; altri, invece, si basano

sulle differenze di tipo qualitativo, facendo leva sul diverso modo in cui le due nozioni svolgono le rispettive funzioni nei distinti sistemi normativi in cui operano (principalmente, quello societario e quello antitrust). A prescindere dal criterio distintivo29, le ragioni per cui queste due forme di influenza dovrebbero essere distinte

riposano su alcune considerazioni.

a) Innanzitutto, sotto il profilo dell’oggetto dell’influenza, la versione “dominante” – di cui all’articolo 2359 c.c. – si riferisce all’assemblea ordinaria dei soci, in maniera diretta (nel controllo interno di diritto al n. 1 e di fatto n. 2) o indiretta (nella fattispecie del controllo esterno al n. 3) e, pertanto, rimane limitata, sul versante attivo e passivo, alle sole società di capitali. È necessario però chiarire alcune questioni relative al controllo interno ed esterno.

b) Diversamente dall’estensione limitata dell’influenza dominante, intesa come potere di determinare la gestione “ordinaria” dell’impresa, l’influenza determinante sulle

attività di un’impresa riguarda ogni possibile aspetto della gestione30. Cionondimeno, una

parte della dottrina esclude dal novero delle decisioni rilevanti tutte quelle che non ineriscono al profilo gestionale-commerciale, cioè le attività che attengono alla politica finanziaria dell’impresa, come le operazioni sul capitale, le fusioni, le scissioni31.

Tuttavia, dato che l’ambito delle “attività di un’impresa”, oggetto dell’influenza

28 Ex multis, M. NOTARI, op. cit., pag. 149 e ss.

29 M. S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 470 e ss., secondo il quale, pur adottando il criterio qualitativo

nel distinguere le due nozioni, ritiene che la scelta del criterio per distinguere le due forme di influenza sia irrilevante.

30 M. NOTARI, op. cit., pag. 259, per il quale “se sussiste l’influenza determinante si configura il

controllo, a prescindere da quali siano gli scopi che hanno condotto alla creazione di tale relazione”.

31 Questa è l’impostazione che prende le mosse dalla prassi comunitaria, in particolare si veda

COMMISSIONE, Comunicazione relativa alla distinzione tra imprese comuni aventi natura di concentrazione e di cooperazione a norma del regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio, del 21 dicembre 1989, relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese, COM 94/C 385/01, punto 21 e ss., con commento di F. GHEZZI, Le nozioni di concentrazione e di impresa comune negli orientamenti della Commissione CEE, in Riv. soc., fasc.1, 1995, pag. 282 e ss. Similmente, si veda anche la prassi dell’AGCM, caso n. IV/M.062, Eridania/ISI, 30 luglio 1991, da cui prende le mosse questa teoria, anche se non riguarda l’acquisto di poteri di influenza determinante su materie di ambito finanziario (vi è soltanto il passaggio da un controllo congiunto a un controllo esclusivo). Per un’interessante voce in dottrina, si veda M. NOTARI, op. cit., pag. 260, nt 65 e 66 e, amplius, capitolo 1, paragrafo 10, per la prassi (analoga) della CONSOB in materia di società quotate.

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determinante, non può essere inteso in senso restrittivo, è opportuno includere anche le decisioni che incidono solo in termini potenziali sull’aspetto gestionale–commerciale, quindi le decisioni strategiche devono essere incluse, perché potenzialmente in grado di incidere sulla politica gestionale e concorrenziale di un’impresa32.

c) Inoltre, l’influenza dominante, a differenza di quella determinante, è organico–soggettiva, in quanto è relativa agli organi della società controllata (in senso diretto, nel caso del controllo interno, in senso mediato, nel controllo esterno). L’influenza determinante, invece, oltre ad essere organico–soggettiva, è anche oggettiva, cioè si può configurare anche in presenza di diritti di proprietà o di godimento sulla totalità o su parti del patrimonio di un’impresa, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono un’influenza determinante sull’agire degli organi dell’impresa. L’accezione del controllo in senso “oggettivo” è normalmente esclusa dall’interpretazione dell’articolo 2359 c.c.; tuttavia, in relazione al n. 3 dell’articolo 2359, comma 1 c.c., per il quale la dottrina tendenzialmente parla di controllo “soggettivo” indiretto sull’assemblea dei soci o, in generale, sugli organi sociali, il controllo che così si materializza tramite i vincoli contrattuali può anche essere definito oggettivo. Questo, poiché il vincolo contrattuale in prima battuta non produce effetti sugli organi di un’impresa, ma direttamente sull’impresa (la società nel suo insieme), senza passare per tali organi, in quanto la stipulazione dei contratti è competenza esclusivamente gestoria. In ogni caso, anche una lettura del controllo esterno in tale senso non fa venire meno il significato attribuito a tale forma di controllo nel contesto societario e non fa venire meno le considerazioni di carattere generale sull’influenza dominante. In altri termini, anche se il controllo contrattuale viene interpretato come una forma di controllo oggettivo nel senso appena detto e non nel senso del controllo soggettivo o organico, non viene contraddetta la tesi per cui l’influenza determinante e dominante costituiscono due distinte forme di influenza33.

d) L’altro elemento di differenza consiste nella potenzialità dell’influenza: infatti, nella nozione di controllo civilistico, l’influenza dominante deve essere effettiva, o perché presunta (cfr. presunzione relativa), o perché la sua sussistenza deve essere valutata nel caso concreto (cfr. controllo ex n. 2); invece, nell’articolo 7 l. ant. non è richiesto un accertamento concreto ed effettivo. È dunque sufficiente un’influenza solo potenziale per far derivare tutte le conseguenze connesse alla normativa antitrust, in

primis l’obbligo di notifica dell’operazione di concentrazione alla rispettiva autorità di

32 M. S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 497 e ss.

33 A. FERRARI e C. IORI, Il controllo delle concentrazioni, in Il Diritto industriale, 1995, fasc. 1, pag.

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vigilanza. La potenzialità, poi, è necessaria anche ai fini dell’espletamento della funzione di controllo preventivo svolto dall’autorità antitrust, la quale deve rilasciare un giudizio sempre ex ante e, di conseguenza, il controllo non può che essere potenziale.

e) Infine, come è testualmente evidenziato ai sensi dell’articolo 7, comma 2, l. ant. (“… dal gruppo di persone o di imprese”), l’influenza determinante non è relativa ad un solo controllante, ma consente anche la configurazione del controllo congiunto, cioè l’ipotesi nella quale sul versante attivo della relazione di controllo si configurano due controllanti.

Alla luce di queste considerazioni, l’influenza determinante viene avvertita dalla dottrina come meno intensa rispetta all’altra, ma allo stesso tempo ha un’estensione maggiore, poiché copre un numero maggiore di ipotesi, come nel caso del controllo congiunto. Inoltre, mentre l’influenza dominante implica necessariamente un potere positivo, l’influenza determinante comporta anche un potere negativo o di veto. Da ciò, per effetto della proprietà transitiva, deriva che tutte le fattispecie di controllo societario sono fattispecie di controllo antitrust, ma non tutti i casi di controllo antitrust sono casi di controllo societario34.

34 M. S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 491, nt 88.

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3. (segue) LA NOZIONE DEL CONTROLLO COME ELEMENTO QUALIFICANTE E NECESSARIO DELLA FATTISPECIE DELLA CONCENTRAZIONE NELLA NORMATICA ANTITRUST, ITALIANA E COMUNITARA.

La fattispecie giuridica della concentrazione non viene espressamente definita a livello normativo, né a livello comunitario nel Reg. (CE) n. 139/2004 (Regolamento comunitario sulle concentrazioni), né nella legge 20 ottobre 1990, n. 287 (legge antitrust). In queste normative vengono soltanto definite le modalità – cioè gli atti concentrativi – tramite le quali si realizza una concentrazione, che può andare incontro a un divieto (ai sensi dell’articolo 6 l. ant. o articolo 2 Reg. sulle concentrazioni). Diversamente dalla scelta operata dal legislatore italiano e comunitario, tradizionalmente la dottrina35 e la prassi delle autorità di vigilanza36 distinguono tre

forme di concentrazioni: (i) le concentrazioni “verticali”, realizzate tra operatori legati tra loro in quanto qualificabili come fornitori-produttori-distributori all’interno di uno stesso mercato rilevante37, (ii) le concentrazioni “orizzontali”, tra operatori concorrenti che

operano all’interno dello stesso segmento di mercato o mercato rilevante e (iii) le concentrazioni “conglomerali” tra imprese che operano in mercati diversi.

Pertanto, alla luce di queste considerazioni, appare legittimo il dubbio di natura interpretativa – preliminare e ontologico rispetto all’analisi giuridica della fattispecie – sulla qualificazione (giuridica) della stessa nell’ambito dell’ordinamento italiano e comunitario. Partendo da un’analisi condotta nel contesto delle scienze economiche e, in particolare, dell’economia industriale, la concentrazione viene definita come l’acquisto stabile e duraturo, nel corso del tempo, di una quota di mercato tramite la crescita esterna dell’impresa38. Non diversamente, ma senza il riferimento alla “quota di

mercato”, disponeva già il considerando 23 del Reg. (CEE) n. 4064/89, per cui una concentrazione consiste in una “modifica durevole della struttura delle imprese partecipanti”. Le parti interessate, tramite una concentrazione, riducono oggettivamente il numero degli operatori presenti all’interno di quel mercato rilevante e, così facendo, ne modificano negativamente la struttura; inoltre, le operazioni di concentrazione

35 A. FERRARI e C. IORI, op. cit., pag. 45.

36 Cfr. COMMISSIONE, Orientamenti relativi alla valutazione delle concentrazioni orizzontali a norma del

regolamento del Consiglio relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese, COM 2004/C 31/03; Orientamenti relativi alla valutazione delle concentrazioni non orizzontali a norma del regolamento del Consiglio relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese, COM 2008/C 265/07.

37 Si veda COMMISSIONE, Comunicazione sulla definizione del mercato rilevante ai fini dell’applicazione

del diritto comunitario in materia di concorrenza, COM 97/C 372/03, che definisce la nozione di mercato rilevante.

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possono generare anche delle inefficienze all’interno delle stesse imprese interessate39.

Questa definizione, tuttavia, non è utile ai fini dello studio giuridico della fattispecie, in quanto si presenta il problema della definizione della “quota di mercato” e il coordinamento di essa con gli atti concentrativi, giuridicamente in grado di determinare una concentrazione. Pertanto, seppur sia lecito domandarsi cosa sia una concentrazione, l’analisi giuridica delle stesse è limitata all’analisi degli atti concentrativi e non potrebbe essere orientata ad altro, anche tenuto conto dei fini che il legislatore ha voluto perseguire con tale disciplina.

Agli operatori economici giova soltanto, infatti, conoscere quali operazioni (rectius, atti concentrativi) siano sottoposti o meno al controllo, al fine di adempiere prima di tutto all’obbligo di notifica preventiva Il sistema normativo europeo e quello italiano prevedono una valutazione “anticipata” dell’operazione sui possibili effetti nel mercato rilevante, all’esito della quale l’autorità di vigilanza decide se vietare o ammettere l’operazione, a seconda che vi sia o meno il rischio di ostacolare in modo significativo la concorrenza effettiva fra gli operatori economici attivi in quel mercato rilevante. La notificazione è disciplinata dall’articolo 16 l. ant., per le concentrazioni di competenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), e ai sensi dell’articolo 4 Reg. (CE) n. 139/2004, per quelle da notificare alla Commissione europea40. Il riparto di competenza fra i due organismi di vigilanza, dato che gli atti

concentrativi sono qualitativamente gli stessi, si fonda sul meccanismo detto one stop

shop: a seconda delle diverse soglie di fatturato raggiunte, calcolate ai sensi dell’articolo

16 l. ant.41 e dell’articolo 5 Reg. (CE) n. 139/2004, la concentrazione avrà o una

dimensione europea o nazionale e, di conseguenza, deve essere notificata all’autorità competente, salvi i meccanismi di coordinamento fra le stesse.

39 V. A. DI CATALDO e A. VANZETTI, Manuale di diritto industriale, Milano, 2012, pag. 639 e

ss. Secondo gli autori, una concentrazione può anche avere effetti positivi per il mercato, come nel caso della “concentrazione razionalizzatrice” realizzata da operatori locali, scongiurando il rischio che operatori stranieri forti possano monopolizzare il mercato. Per questo, nel sistema di controllo delle concentrazioni, le operazioni di concentrazione non sono vietate a prescindere. Per una definizione di parti/imprese interessate nel contesto di un’operazione di concentrazione, COMMISSIONE, Comunicazione consolidata della Commissione sui criteri di competenza giurisdizionale a norma del regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese, COM 2008/C 95/01, punto 129 e ss.

40 Si veda V. A. DI CATALDO e A. VANZETTI, op. cit., pag. 640 e ss., per un’analisi

approfondita della normativa vigente.

41 La legge 4 agosto 2017, n. 124 ne ha modificato il contenuto. Attualmente, l’obbligo della

notificazione sorge se, all’esito dell’operazione di concentrazione, il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall’insieme di tali imprese sia superiore a 492 milioni di euro e il fatturato totale realizzato individualmente a livello nazionale, da almeno due di esse, sia superiore a 30 milioni di euro. Tali soglie sono state rivalutate dall’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato con delibera del marzo 2019, n. 27591.

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Per quanto riguarda le tipologie degli atti concentrativi, l’articolo 5, comma 1 l. ant. – e specularmente l’articolo 3, comma 1, lett. a) e b) e comma 4 Reg. (CE) n. 139/2004 – ne individuano tre tipologie, idonee ad integrare gli estremi della fattispecie. Avendo come punto di riferimento la normativa italiana, gli atti concentrativi sono la fusione, di cui alla lett. a), l’acquisizione del controllo di un’impresa, di cui alla lett. b), e la costituzione di un’impresa comune o joint venture, alla lett. c). Le due disposizioni sono state redatte secondo una tecnica normativa “esemplificativa”, con l’intento di fornire non una definizione generale, ma l’elemento indefettibile della fattispecie generale. La dottrina è tendenzialmente concorde nell’affermare che il controllo costituisce l’elemento necessario della fattispecie42. Pertanto, a prescindere della fattispecie

dell’acquisto del controllo di cui alla lett. b), che rinvia implicitamente all’articolo 7 l. ant., ogni manifestazione di un’operazione di concentrazione è caratterizzata dalla nozione di controllo.

A proposito della fusione, l’articolo 5, comma 1, lett. a) l. ant. riferisce che si realizza una concentrazione “quando due o più imprese procedono a fusione”, mentre l’articolo 3, comma 1, lett. a) Reg. CE n. 139/2004 riferisce, in proposito, la realizzazione di una concentrazione a proposito “della fusione di due o più imprese

precedentemente indipendenti o parti di imprese” (nostra sottolineatura). Come emerge ad

una prima lettura, la differenza tra le due definizioni consiste nell’inciso “precedentemente indipendenti”, che separa la dottrina nell’analisi della fattispecie concentrativa. Questo, infatti, pone il problema se, ad esempio, un’attività di ristrutturazione interna (mediante acquisti di partecipazioni tra le imprese appartenenti al gruppo) possa costituire una concentrazione o meno. Sicuramente, con l’espressione “fusione” si intende, sul piano della normativa italiana regolata dagli articoli 2501-2505-quater c.c., tanto la fusione “in senso stretto”, realizzata attraverso la costituzione di una nuova società che prende il posto di tutte le società che partecipano all’operazione di fusione, quanto la fusione “per incorporazione”, realizzata tramite l’assorbimento di una o più società in una società preesistente, a sua volta distinguibile in fusione “diretta”, nell’ipotesi in cui la controllante incorpora la controllata, oppure in fusione “inversa”, nell’ipotesi contraria. Coerentemente con le riflessioni illustrate che attribuiscono al controllo antitrust un significato più esteso di quello dell’articolo 2359 c.c. e come ha avuto cura di precisare anche l’AGCM43, è preferibile parlare di “fusione

tra imprese”, anziché di fusione tra società, cui la disciplina civilistica sopra menzionata

42 Cfr. M. NOTARI, op. cit., pag. 68 e ss., secondo il quale “[…] il controllo è il concetto giuridico

con cui il legislatore «misura» il grado di integrazione fra le imprese”; M. LAMANDINI, op. cit., p. 32.

43 Si veda AGCM,Modalità per la comunicazione di un’operazione di concentrazione fra imprese (di seguito,

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è applicabile. Inoltre, ai fini del rispetto dell’obbligo di notificazione preventiva, l’obbligo grava su tutte le imprese che procedono all’operazione, cioè su tutte le imprese che deliberano la fusione, e la comunicazione può essere effettuata congiuntamente dai soggetti partecipanti alla fusione. In tale ipotesi, l’impresa interessata (su cui grava l’obbligo di notifica) coincide con l’impresa partecipante all’operazione di concentrazione. Nell’operazione di fusione, l’acquisto del controllo è ravvisabile nel fatto che il soggetto imprenditore, risultante dall’operazione, acquista il controllo sui beni aziendali e sulle unità produttive, che prima dell’operazione erano detenuti dai partecipanti all’operazione. L’oggetto della fusione coincide con la nozione di impresa in senso oggettivo e il controllo, in sostanza, è qualificabile come “oggettivo”. L’impresa oggetto del controllo non è costituita da un soggetto (persona giuridica o persona fisica o ente sprovvisto di personalità), ma dal complesso dei beni, strumentali all’esercizio dell’attività economica.

L’altra fattispecie concentrativa è contenuta nell’articolo 5, comma 1, lett. c), l. ant. speculare, salvo per il mancato richiamo nella norma comunitaria dell’aggettivo “principale”, all’ipotesi dell’articolo 3, comma 4, Reg. (CE) n. 139/2004. Si tratta della costituzione di un’impresa o filiale comune o joint venture corporation44, definibile, in

assenza di una definizione normativa, come “contitolarità pro indiviso del complesso aziendale”45, realizzata tramite “l’acquisizione, da parte di una o più imprese, dell’insieme

o di parti di un’altra impresa”46. Più precisamente, secondo l’AGCM, un’impresa

comune si ha nell’ipotesi della “costituzione di un’impresa, cioè di un insieme organizzato di risorse umane e materiali volto a perseguire su base stabile uno scopo economico definito, che venga controllata congiuntamente da varie altre imprese, società fondatrici” 47. Posto questo come elemento caratterizzante dell’impresa comune,

essa può avere sia natura concentrativa, laddove eserciti stabilmente le funzioni di un’entità economica autonoma (c.d. impresa full function), sia natura cooperativa. Le imprese comuni appartenenti a quest’ultima categoria, definite ai sensi dell’articolo 5, comma 3 l. ant. come “aventi quale oggetto o effetto principale il coordinamento del comportamento di imprese indipendenti” non costituiscono un’operazione sottoposta al controllo concentrativo, bensì al controllo di cui all’articolo 2 l. ant. in materia di intese restrittive della concorrenza48 (specularmente nella normativa comunitaria).

44 V. DONATIVI, op. cit., pag. 190 e 191, nt 101. 45 M. NOTARI, op. cit., pag. 70.

46 COMMISSIONE, COM 2008/C 95/01, pag. 23 e ss., nostra sottolineatura.

47 AGCM, provv. n. 508, CEMENTIR/SACCI, in Boll., 9, 1992; in tal caso, tuttavia, l’AGCM ha

deliberato che la costituzione dell’impresa comune aveva costituito un’intesa restrittiva della concorrenza.

48 Si veda, in particolare, V. DI CATALDO e A. VANZETTI, op. cit., pag. 644 e ss., in cui è

(23)

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Questo perché l’oggetto del coordinamento è “la condotta (e la reciproca interrelazione del comportamento) delle imprese madri sul mercato”49. Viceversa, le imprese comuni

concentrative sono sottoposte al controllo concentrativo poiché, nella stipulazione di tali contratti, alla presenza sul mercato rilevante delle imprese contraenti (o imprese madri) si sostituisce la presenza di una sola impresa, l’impresa comune: in questa circostanza, rileva “la condotta (e la reciproca interrelazione del comportamento) delle imprese madri nell’impresa comune”. Anche nel caso di un’impresa comune concentrativa si ravvisa l’elemento necessario del controllo, seppure in forma congiunta: il controllo congiunto è, infatti, l’elemento caratteristico della joint venture corporation.

Finora, l’analisi delle fattispecie concentrative ha riguardato soltanto l’aspetto

statico, riguardante l’avvenuto acquisto e la stabilizzazione del controllo. Sotto l’aspetto dinamico, invece, la rilevanza dell’elemento del controllo nelle singole fattispecie vede la

dottrina divisa su due opposte posizioni. La questione ruota attorno al fatto se sia o meno richiesto che l’acquisto del controllo, idoneo a determinare una concentrazione, presupponga l’assenza di un rapporto di controllo tra i soggetti in questione, prima della realizzazione dell’operazione stessa (è il problema dell’assenza o meno dell’indipendenza tra le imprese concentrate e questo consente di riprendere il problema, nella fusione, delle imprese “precedentemente indipendenti”).

1) Da un lato, infatti, vi è chi ritiene che le tre fattispecie costituiscano ciascuna una modalità diversa per arrivare allo stesso obiettivo (la concentrazione) e questo comporterebbe che, una volta realizzato uno di questi, tra gli stessi soggetti tra cui sussiste già la relazione di controllo non si possa più configurare un’altra operazione di concentrazione. Semmai, anziché andare incontro al fenomeno concentrativo, tali imprese possono andare verso la separazione, poiché, una concentrazione è configurabile soltanto se le imprese interessate o partecipanti sono indipendenti tra loro50.

2) Secondo la tesi opposta, ciascuna forma di concentrazione è autonomamente rilevante, anche se realizzata in momenti distinti: in sostanza, è configurabile la

realizzare anche intese accessorie (ancillary restraints), sotto forma di clausole accessorie ad oggetto o effetto un effetto restrittivo della concorrenza, valutabili sotto l’articolo 2 l. ant.

49 V. DONATIVI, op. cit., pag. 197.

50 Ad esempio, se l’impresa A e B costituiscono una joint venture corporation, si determina

astrattamente una concentrazione in forza del controllo congiunto detenuto sull’impresa comune. Se successivamente una delle due imprese “madri” decide di acquistare tutte le partecipazioni/quote nell’impresa comune (di titolarità dell’altra impresa “madre”), si passa dal controllo congiunto a quello esclusivo. Secondo tale tesi, non si configurerebbe più una

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