• Non ci sono risultati.

LE PARTECIPAZIONI MINORITARIE CHE CONSENTONO D

Le partecipazioni di minoranza sono in grado di veicolare il controllo, in maniera particolare, anche quando il quid pluris che consente di esercitare l’influenza determinante consta in elementi di natura giuridica. La Commissione ha inquadrato il fenomeno all’interno del “controllo di diritto”, infatti “[a]nche nel caso di una partecipazione di minoranza, il controllo esclusivo può risultare da una situazione di diritto” se a “tale partecipazione sono attribuiti diritti specifici”230. Allora, seguendo

un’impostazione generale per la trattazione dell’argomento, è possibile classificare i fattori di potenziamento in due grandi classi: (i) i patti parasociali e (ii) le clausole statutarie, entrambe in grado di consentire a una partecipazione minoritaria sia l’esercizio del controllo singolo, sia congiunto. Questi fattori, infatti, consentiranno agli azionisti o, in generale, ai titolari di quote di minoranza di poter esercitare un’influenza determinante sull’impresa partecipata, grazie a una sorta di effetto leva assicurato da tali strumenti. L’analisi, per maggiore semplicità e chiarezza, non si concentra sulla fonte del potere, ma sui vari fattori singolarmente intesi, i quali, in un caso, trovano la loro origine in un accordo parasociale, in un altro, in una previsione statutaria.

Innanzitutto, assume rilevanza sul piano teorico e applicativo la possibilità che lo statuto (e più raramente un accordo parasociale231) attribuisca diritti specifici o

speciali al socio di minoranza232. Con la nozione di “diritti specifici” in ambito antitrust

non si fa riferimento soltanto alle azioni con maggiorazioni di voto o a voto plurimo233,

che in ogni caso vengono conteggiate nel portafoglio delle azioni di un socio per verificare se detiene l’influenza determinante sull’impresa, ma a fortiori alle categorie speciali di azioni234 (nell’ambito delle società per azioni) e a quelle che attribuiscono allo

Stato o ad altri enti pubblici determinati diritti di nomina (come prevede l’articolo 2449

230 COMMISSIONE, COM 2008/C 95/01, punto 57 e ss.

231 Come riferisce G. F. CAMPOBASSO, op. cit., pag. 205, le azioni speciali “[…] possono essere

create con lo statuto o con successiva modificazione”. In generale, però, i diritti specifici possono essere attribuiti anche dai patti parasociali. Per un interessante lavoro in cui si sottolinea il rischio di abuso della normativa codicistica e del t.u.f sui patti parasociali per attribuire diritti specifici in capo ai soci, si veda A. A. AWWAD, op. cit., pag. 1077 e ss. In ogni caso, si veda l’articolo 2348 c.c., quale norma generale in materia di categorie di azioni.

232 Come è riportato in L. A. BEBCHUK, R. KRAAKMAN e G. TRIANOTAIS, op. cit., par.

2.1., “[t]he most straightforward CMS [controlling minority system, nostra aggiunta] form is a single firm that has issued two or more classes of stock with differential voting rights” (nostra sottolineatura), dal momento che questa modalità di separazione tra proprietà e controllo “is the only CMS form that does not depend on the creation of multiple firms”.

233 Come riportato dal CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO, Massima n. 73/2005, “[…] il

voto plurimo amplifica il potere di una minoranza, consentendole di divenire maggioranza”. Dunque, sul piano applicativo nel diritto societario è pressoché appurato questo aspetto.

234 Si veda A. A. AWWAD, op. cit., pag. 1071, secondo la quale “la stessa creazione di una

categoria di azioni e/o le delibere conseguenti” appaiono “«preordinate» al controllo degli assetti proprietari”.

83

c.c.). Da diverso tempo, ormai, in dottrina e nella prassi notarile italiana viene considerata prettamente legittima la clausola statutaria che attribuisce a una o più categorie di azioni il diritto di nominare uno o più componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, o del consiglio di sorveglianza (se viene adottato il sistema dualistico)235. Come riporta direttamente la Commissione, si possono

prevedere delle “azioni preferenziali con diritti speciali che consentono all’azionista di minoranza di determinare il corso strategico degli affari dell’impresa”236; il corso

strategico dell’impresa, in particolare, può essere determinato nel caso in cui venga conferito il potere di designare più della metà dei componenti del consiglio di vigilanza o del consiglio di amministrazione (ovvero, il management dell’impresa), secondo le Guide

Lines in esame, o anche attribuendo il potere di veto su tali nomine. Coerentemente a

ciò, la prassi è spesso caratterizzata, da situazioni in cui “[…] gli equilibri proprietari e gestionali delle imprese sono affidati a patti parasociali e clausole statutarie volti deliberatamente a escludere l’esercizio, in capo a un solo socio, ancorché detentore della quota maggioritaria del capitale, di diritti di proprietà e di controllo in via solitaria sulla società partecipata”237 e questo avviene prevalentemente all’interno di contesti societari

in cui “[…] accanto al socio industriale, sono per lo più presenti anche partner finanziari come banche, fondi di private equity, etc.; in tali contesti, spesso ai soci finanziari detentori di partecipazioni di minoranza al capitale, viene consentito l’esercizio del potere di veto alle decisioni strategiche della partecipata238. Nella

normativa italiana, tuttavia, devono essere fatte alcune precisazioni a corredo di tale fenomeno.

A) È ormai affermata l’idea per cui il principio della “corrispondenza tra il numero di azioni e i voti a disposizione (one share-one vote)”239 non è più canone

inderogabile, ma principio dispositivo e residuale. Questo, sicuramente, è dovuto anche dalla presenza di istituti quali le azioni a voto plurimo e le maggiorazioni del diritto di voto che mettono definitivamente in crisi questi principi. Prima di tutto, è opportuno premettere che le azioni a voto plurimo devono essere distinte da quelle che prevedono maggiorazioni del diritto di voto, poiché mentre le prime costituiscono una categoria speciale di azioni, la maggiorazione può essere conseguita da tutti gli azionisti240. Posto

questo, è doveroso altresì precisare che per le azioni a voto plurimo, sebbene “la legge non esclude che [esse] possano essere assegnate a soci di minoranza, […] non occorre

235 Si veda CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO, Massima n, 142/2015 che richiama, tra

l’altro, CONSIGLIO NOTARILE DI FIRENZE, Orientamento n. 12/2010.

236 COMMISSIONE, COM 2008/C 95/01, punto 57, nostra sottolineatura. 237 L. A. BIANCHI, op. cit., pag. 258.

238 L. A. BIANCHI, op. cit., pag. 259.

239 U. TOMBARI, “Maggiorazione del dividendo” e “maggiorazione del voto”: verso uno “statuto normativo”

84

grande fantasia per constatare che esse in realtà servono ad attribuire il controllo delle assemblee a soggetti predeterminati”241. Pertanto, ai fini della presente analisi,

assumono maggiore rilevanza le maggiorazioni del diritto di voto, anche perché sono lo strumento con cui sempre più spesso nelle società quotate viene sfruttata la c.d. leva azionaria e sono di più facile attuazione sul piano statutario, dato che non si costituisce una “diversa” categoria di azionisti. Ciò sembra favorito dal fatto che, per queste società, vigono alcuni limiti all’autonomia statutaria circa la previsione di azioni a voto plurimo; in particolare, è necessario ricordare quello previsto dall’articolo 127-sexies t.u.f., secondo cui gli emittenti azioni quotate non possono prevedere nel loro statuto l’emissione di azioni a voto plurimo, a meno che esse non fossero previste prima della quotazione sui mercati regolamentati. La disciplina codicistica, in maniera più estensiva per le società non quotate (si veda l’articolo 2351, comma 4, c.c.), prevede che lo statuto non possa attribuire più di tre voti per ciascuna azione di tale categoria. Viceversa, per le maggiorazioni del diritto di voto in assemblea, gli statuti hanno piena libertà nel determinarle, anche se soltanto in favore di quei soci titolari di azioni da non meno di ventiquattro mesi e fino ad un massimo di due voti per ciascuna azione posseduta con soluzione di continuità (si veda l’articolo 127-quinquies t.u.f. e l’articolo 23-bis del reg. emittenti). In sostanza, al netto della disciplina dei limiti normativi, questi due istituti attengono al classico fenomeno della contendibilità di una società per azioni e al fenomeno della dissociazione tra la proprietà e il controllo in una società capitalistica. Pur non essendo automaticamente riconosciuti come strumenti direttamente “nelle mani” degli azionisti di minoranza, spesso vengono previsti (all’interno delle compagini societarie) quali “premio di fedeltà” a favore degli azionisti «stabili»”242, rendendoli di

per sé sufficienti ad assecondare il controllo in capo a minoranze qualificate. Per concludere, le minoranze che sicuramente hanno la possibilità di essere titolari di azioni siffatte sono gli “activist shareholders” (cioè l’azionariato attivo sotto il profilo della gestione sociale) e gli “institutional investors” (ovvero gli investitori istituzionali)243.

B) Ragionando in termini astratti, il riferimento ai “diritti speciali” cui si riferisce la Commissione potrebbe anche includere gli strumenti finanziari partecipativi (di seguito, anche s.f.p.) di cui all’articolo 2346, comma 6, c.c., sebbene il loro utilizzo nella prassi societaria sia molto limitato244. Questi strumenti vanno sicuramente distinti dalle

240 Si veda, G. F. CAMPOBASSO, op. cit., pag. 208.

241 Così M. S. SPOLIDORO, Il voto plurimo: i sistemi europei, in Riv. soc., fasc.1, 2015, pag. 134 e ss. 242 U. TOMBARI, op. cit., pag. 306.

243 V. CARIELLO, Azioni a voto potenziato, “voti plurimi senza azioni” e tutela dei soci estranei al controllo,

in Riv. soc., fasc.1, 2015, pag. 177.

244 Come riferisce M. NOTARI, Gli strumenti finanziari partecipativi: punti fermi e problemi aperti negli

orientamenti interpretativi del notariato milanese, in Riv. soc., fasc.4, 2018, pag. 1134, questi strumenti sono “[…] connotati da un elevato tecnicismo che non li rende uno strumento di uso quotidiano di larghissima diffusione”.

85

azioni, in generale, e dalle azioni di categoria, in particolare, poiché i soci o i terzi che sottoscrivono nel mercato primario o acquistano nel mercato secondario questa particolare forma di strumento non saranno obbligati a effettuare conferimenti imputati a capitale245. Infatti, la differenza rispetto ad una azione ordinaria o speciale o con

maggiorazioni di voto o a voto plurimo è che, in tal caso, non si ha propriamente una partecipazione al capitale di rischio. Tuttavia, tra tutti gli s.f.p. in dottrina c’è chi distingue quelli c.d. “quasi azionari”, cioè quelli che richiedono “la presenza di diritti amministrativi di natura partecipativa, che derivino cioè dal contratto sociale […] e che abbiano ad oggetto il funzionamento dell’organizzazione sociale”246. In riferimento a

questa sottocategoria, potrebbe darsi in concreto la possibilità per i rispettivi titolari di nominare un componente indipendente dell’organo amministrativo e/o di controllo dell’emittente (si veda, in particolare, l’articolo 2351, comma 5, c.c.247 e l’articolo 85-ter

reg. emittenti248 per le società quotate). Il problema più rilevante è determinare il

numero di componenti dell’organo amministrativo e di controllo la cui nomina è attribuibile agli s.f.p.: in dottrina, accanto a una tesi restrittiva per cui in presenza di più categorie di s.f.p. il titolare di essi può nominare un solo membro, vi è anche una tesi più estensiva che attribuisce il diritto di nomina al singolo strumento di ogni categoria, lasciando allo statuto ampia libertà in tema, tenuto conto che il numero dei membri nominati in tal modo deve essere inferiore alla metà dei componenti del rispettivo organo249. Pertanto, concentrando l’attenzione sui titoli emessi rappresentativi del

capitale di rischio, il riferimento agli s.f.p. sembra essere incluso nelle Guide Lines comunitarie, dal momento che consentirebbe comunque l’esercizio di un’influenza determinante.

C) Infine, tra i diritti specifici attribuiti al socio di minoranza e previsti sia dallo statuto sia da patti parasociali, rilevanti tanto ai fini del controllo solitario, quanto a quelli del controllo congiunto, deve essere menzionato il potere di veto “sulle decisioni

245 Per un’interessante posizione sulla collocazione sistematica di questi strumenti, si veda M.

NOTARI, op. cit., pag. 1139 e ss., favorevole a suddividere gli s.f.p. in due sistemi (quelli partecipativi o quasi azionari e quelli non partecipativi o quasi obbligazionari); diversamente, si veda G. F. CAMPOBASSO, op. cit., pag. 216 e ss., fautore di una teoria unitaria, nel senso di identificare in un’unica categoria gli s.f.p., diversa e distinta da quella delle azioni e delle obbligazioni.

246 M. NOTARI, op. cit., pag. 1141.

247 In cui si riferisce che “[g]li strumenti finanziari […] possono essere dotati del diritto di voto su

argomenti specificamente indicati e in particolare può essere ad essi riservata […] la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco. Alle persone così nominate si applicano le medesime norme previste per gli altri componenti dell’organo cui partecipano” (nostra sottolineatura).

248 “Gli emittenti azioni, in occasione dell’emissione di strumenti finanziari cui è riservata, ai sensi

dell’articolo 2351, comma 5, del codice civile, la nomina di un componente dell’organo di amministrazione o controllo, comunicano al pubblico […] il numero e le categorie degli strumenti finanziari emessi, nonché l’ammontare complessivo degli strumenti finanziari della medesima categoria in circolazione […]” (nostra sottolineatura).

86

che sono essenziali per determinare gli indirizzi strategici dell’attività dell’impresa […]”250. Generalizzando la trattazione del fenomeno, sono decisioni strategiche quelle

relative alla nomina dei dirigenti di alto livello e all’approvazione del bilancio preventivo (perché, in tal modo, si determina l’“attività dell’impresa e, in particolare, gli investimenti che può compiere”251), all’approvazione del piano aziendale, degli

investimenti, soprattutto quelli relativi alle caratteristiche specifiche del mercato (si veda, in particolare, il “veto sulle decisioni relative allo sviluppo di nuove linee di prodotti da parte dell'impresa comune”252). In concreto, la Commissione riporta due

tipiche modalità mediante le quali tale potere di veto può essere attuato: innanzitutto, attraverso (i) un “quorum specifico per le decisioni da prendere in sede di assemblea o di consiglio d’amministrazione, nella misura in cui le imprese madri sono rappresentate nel consiglio stesso”, ma anche tramite (ii) “decisioni strategiche […] approvate da un organo […] nel quale gli azionisti di minoranza sono rappresentati e la loro partecipazione è indispensabile per raggiungere il quorum necessario per la validità delle decisioni”253. Quanto alla prima modalità di attribuzione del potere di veto, un esempio

di quorum idoneo a riconoscere tale potere in capo all’azionista potrebbe essere la previsione secondo cui le decisioni strategiche possano essere approvato solo all’unanimità, oppure mediante quorum molto elevati che necessitano un coinvolgimento dei soci minoritari. Infatti, se un azionista può impedire con il suo veto decisioni strategiche dell’impresa, anche se da solo non riesce a imporre una determinata decisione, allora significa che “un solo azionista ha lo stesso grado di influenza solitamente detenuto da un singolo azionista che esercita un controllo congiunto, ossia il potere di impedire l’adozione di decisioni strategiche”254: questo azionista, in quanto

potenzialmente in grado di bloccare l’approvazione delle decisioni e di creare uno stallo decisionale, è colui che esercita l’influenza determinante (sotto forma di un controllo negativo). Tuttavia, non ogni diritto di veto riconosciuto ai soci di minoranza è in grado di attribuire al relativo titolare l’esercizio di un’influenza determinante; in particolare, come risulta dalla prassi dell’antitrust comunitaria, viene evidenziato che il diritto di veto, riconosciuto nel caso della chiusura o dell’incorporazione della controllata in altre

249 Per un’ampia digressione sulle tesi opposte sul tema, si veda M. NOTARI, op. cit., nota 12. 250 COMMISSIONE, COM 2008/C 95/01, punto 65. Per una definizione connessa a un caso

pratico, si veda COMMISSIONE, caso n. IV/M.0010, Conagra/Idea, 03.05.1991, punto 11, in cui si riferisce che è qualificabile come decisione strategica “any significant deviation from the approved budget and plans” e in particolare quelle operazioni “dealing respectively with the approval of all investments greater than [omissis], the launching of new products and the hiring and remuneration of senior executives”. In questo caso, secondo G. AGHINA, La nozione di “controllo congiunto” ai fini della applicazione delle norme antitrust comunitarie e italiane sulle imprese comuni, in Riv. dir. ind., fasc.3-4, 1993, pag. 494, riferisce che “[…] il voto del socio di minoranza […] necessario per le decisioni più importanti concernenti il funzionamento dell’impresa è stato ritenuto decisivo al fine di ritenere l’impresa soggetta a controllo congiunto” (nostra sottolineatura).

251 COMMISSIONE, COM 2008/C 95/01, punto 69. 252 COMMISSIONE, COM 2008/C 95/01, punto 72. 253 Si veda la nota precedente.

87

società, della modifica nel capitale sociale o del trasferimento della sede legale, non è da solo sufficiente per consentire a tale azionista (o azionisti, nel caso di controllo congiunto) “[l’]esercizio di una influenza decisiva sul comportamento commerciale” della controllata255.

I diritti di veto assumono, inoltre, notevole rilevanza nell’ambito del controllo congiunto: secondo la Commissione, infatti, il controllo congiunto può essere esercitato anche mediante “diritti di veto […] sufficienti a consentire alle imprese madri di esercitare un’influenza determinante in relazione alla determinazione degli indirizzi strategici dell’attività dell’impresa comune”256, come nel caso dell’approvazione del business plan dell’impesa comune257.

Inoltre, per aversi controllo congiunto tra un socio di maggioranza e uno di minoranza – normalmente detentore di un potere di veto –, bisogna concepire tale potere “al di là dei diritti di veto normalmente conferiti agli azionisti di minoranza al fine di tutelare i loro interessi finanziari di investitori nell’impresa comune”258. Dunque,

nel considerare il controllo congiunto in tal caso, l’esigenza di tutela dell’investimento, sottesa al diritto di veto o ad altri diritti specifici delle minoranze, non hanno rilevanza ai fini dell’individuazione del controllo. Infatti, rileva soltanto la capacità di orientare la gestione dell’impresa a prescindere dai c.d. diritti delle minoranze. Se il socio di minoranza è in grado di tutelare i suoi interessi come mero investitore in quell’impresa, tramite “pattuizioni concernenti l’approvazione di rendiconti finanziari, la distribuzione dei dividendi, investimenti o acquisizioni di partecipazioni, ovvero ottenendo che il socio di maggioranza si obblighi a fare sì che l’impresa faccia certificare i suoi bilanci da società di revisione”259, non è considerato controllante ai fini concentrativi.

255 In particolare, si veda COMMISSIONE, caso n. IV/M.062, Eridania/Issi, 30.07.1991, punto 5. 256 COMMISSIONE, COM 2008/C 95/01, punto 67.

257 CGUE, causa T-2/93, Air France/Commissione, 08.03.1995, punto 65, in cui la Corte riporta che

“il «business plan» che contiene le scelte principali dell’impresa comune è stato definito congiuntamente dalla British Airways e dalla TAT e non potrà essere modificato senza il consenso della TAT” (nostra sottolineatura).

258 COMMISSIONE, COM 2008/C 95/01, punto 66. 259 G. AGHINA, op. cit., pag. 496.

88

6. (segue) I PATTI PARASOCIALI.

Resta, infine, da analizzare la relazione rilevante ai fini del controllo che viene ad instaurarsi tra le partecipazioni minoritarie e i patti parasociali260. L’analisi di questa

relazione si concentra su ciò che tradizionalmente viene definito nella dottrina antitrust “controllo da sindacato”261 o anche “controllo coalizionale”262. Infatti, nella prassi i

patti parasociali si sono rivelati gli strumenti più utilizzati per consentire ai soci di minoranza di influire sulla governance della partecipata; infatti, nella maggior parte dei casi, essi rappresentano “strumenti per garantire il controllo di un singolo azionista di minoranza, piuttosto che […] strumenti con cui azionisti di minoranza qualificata si coordinano per poter controllare l’effettiva valorizzazione del proprio investimento”263.

I sindacati, in ottica antitrust, vengono studiati non tanto nella prospettiva di “un soggetto giuridico a struttura collettiva o associativa”, bensì in quella di “un accordo parasociale, col quale si regola pattiziamente l’esercizio del diritto di voto inerente alle azioni o alle quote di una determinata società, ovvero un «gruppo di persone o di imprese», secondo l’espressione utilizzata dall'art. 7, comma 2, l. n. 287/90”264.

Spostando l’attenzione sul profilo della disciplina normativa, tanto nelle società quotate265 che in quelle non quotate, i patti parasociali vengono generalmente suddivisi

in tre categorie: i sindacati di voto, aventi ad oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano, i sindacati di blocco266, che

incidono sul governo della società “bloccando” determinate scelte gestorie, e i sindacati di gestione o controllo, aventi per oggetto o per effetto l’esercizio di un’influenza dominante (si veda l’articolo 2341-bis c.c.)267. Il sindacato generalmente inteso, nel

260 La dottrina italiana si è molto occupata del tema, in particolare cfr. P. G. JAEGER, Il problema

delle convenzioni di voto, in Giur. comm., fasc.2, 1989, pag. 201 e ss., che richiama un importante lavoro di B. VISENTINI, I sindacati di voto: realtà e prospettive, in Riv. soc., fasc. 1, 1988, pag. 1 e ss. Inizialmente, il tema del sindacato era legato alla validità dello strumento giuridico. Ad oggi, questo dibattito può dirsi sopito.

261 Secondo M. NOTARI, op. cit., pag. 409, nota 2016, “[t]ale forma di controllo «da sindacato»

viene ritenuta dalla dottrina quasi unanime estranea alla nozione di controllo societario ai sensi dell’art. 2359 c.c.”.

262 Si veda L. CAPRIO, op. cit., pag. 565, secondo cui i patti parasociali possono essere “strumenti

con i quali si allarga la cerchia degli azionisti che rilevano per il controllo, come possono essere strumenti con i quali si favorisce la dissociazione tra proprietà e controllo”.

263 L. CAPRIO, op. cit., pag. 566.

264 V. DONATIVI, I “confini” del controllo congiunto, in Giur. comm., fasc.4, 1996, pag. 560, nt 33,

secondo cui tale ragionamento è, ormai, dato per certo nella dottrina antitrust italiana e straniera.

265 In riferimento alle società quotate, si ricordano in aggiunta anche i patti parasociali per

l’acquisto concertato di azioni, quelli per favorire o contrastare un’OPA e quelli di consultazione,

Documenti correlati