partecipativi sui mercati oligopolistici. – 3. I legami strutturali e personali. Profili di regolamentazione degli “interlocking directorates” in ambito finanziario. – 4. Il “public enforcement” comunitario e italiano nella disciplina delle partecipazioni minoritarie, tra lacuna normativa e interpretazione sistematica. – 5. (segue) La proposta di modifica del Regolamento (CE) n. 139/2004 per colmare “l’enforcement gap”. – 6. Le soluzioni interpretative prospettabili.
1. PREMESSA. LA RILEVANZA DELL’INTERESSE FINANZIARIO NELLO STUDIO DEI LEGAMI STRUTTURALI.
La trattazione del capitolo precedente ha avuto ad oggetto le partecipazioni minoritarie che, in presenza di determinati elementi di natura giuridica o fattuale, consentono di esercitare un’influenza determinante sulla società partecipata e, quindi, veicolano una forma di controllo rilevante ai fini della normativa antitrust sulle concentrazioni. In questa sede, invece, la trattazione si concentra sull’analisi di quelle particolari ipotesi di acquisto di partecipazioni di minoranza che, pur non essendo dotate di un quid pluris veicolante il controllo concentrativo, costituiscono dei legami tendenzialmente stabili di natura partecipativa o, in generale, strutturale tra le imprese coinvolte.
Al fine di delimitare l’ambito di indagine del presente capitolo, è doveroso rilevare che, quando si fa riferimento in ambito giuridico al tema dei legami strutturali, si allude soltanto alle partecipazioni al capitale di rischio, cioè ai legami intrasocietari che si realizzano tramite gli acquisti di dette partecipazioni. Viceversa, negli studi di economia politica e di organizzazione industriale il tema è affrontato in chiave più
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ampia, fino a ricomprendere anche i legami “obbligazionari” e quelli fondati sugli strumenti finanziari partecipativi287. In tali casi, dunque, anziché avere una
partecipazione al capitale di rischio, le imprese costituiscono dei legami strutturali tramite operazioni che incidono direttamente sul capitale di debito288. Tuttavia, pare
opportuno espungere dalla trattazione l’analisi giuridica ed economica di queste operazioni, sia perché gli effetti anticompetitivi che si creano sono i medesimi (e la dottrina economica, non a caso, tratta il fenomeno in chiave unitaria), sia perché lo studio del controllo fino a questo capitolo si è concentrato soltanto sulla “proprietà” delle imprese e non, chiaramente, sul piano debitorio.
Posto ciò, è opportuno innanzitutto fornire una definizione di questo fenomeno. La via più agevole è individuarne una “in negativo”, vale a dire una in grado di descrivere la categoria giuridica di riferimento al netto delle partecipazioni di minoranza in grado di veicolare il controllo. Seguendo questa impostazione, logicamente residuano quelle partecipazioni di minoranza che non presentano tale facoltà289. Sinteticamente, allora, esse possono essere definite come “stake in the capital
of another firm […] that do not yield any control or material influence on its business”290,
vale a dire partecipazioni che non consentono al relativo titolare o possessore l’esercizio di una qualche forma di dominio sulla partecipata. A questo punto, deve esser menzionata ancora una precisazione, per evitare il rischio di generalizzare l’indagine a ogni fenomeno di acquisto di partecipazioni: per società o impresa partecipata si deve intendere esclusivamente quella concorrente all’impresa acquirente, cioè quella operante nello stesso mercato rilevante oppure in un mercato connesso rispetto a quello in cui opera l’acquirente. Dunque, per comprendere la differenza tra i due fenomeni, appare convincente la separazione che viene offerta dalla dottrina economica, secondo la quale, da un lato, si può individuare il c.d. controllo societario (“corporate control”) e,
287 Cfr., per un’analisi effettuata da un’economista, D. GILO, The anticompetitive effect of passive
investment, in Michigan Law Rev., 2000, vol. 99, pag. 21; e M. C. CORRADI, Le partecipazioni societarie che non veicolano il controllo: riflessioni di economia e diritto antitrust, in Riv. dir. comm., fasc.4-6, 2007, pag. 364, nt 1 e pag. 368, nt 8 per le riflessioni svolte da un giurista.
288 Si veda M. C. CORRADI, op. cit., pag. 373.
289 Si veda OCSE, Antitrust Issues Involving Minority Shareholding and Interlocking Directorates,
DAF/COMP(2008)30, punto 1, in cui si fa una summa divisio tra partecipazioni di minoranza che veicolano una forma di “control over the target” e quelle che rappresentano “purely passive investments”.
290 OCSE, cit., pag. 126; inoltre, cfr. OFFICE FOR FAIR TRADING, OFT1218, Minority interests
in competitors, cura di DotEcon Ltd, 2010, par. 3.10, “a stake in a firm where that stake means the holder has a financial interest in the performance of the firm […], but that the stake is insufficient for it to exercise material influence over the conduct of the firm” (nostra sottolineatura); COMMISSIONE, Annex to the Commission Staff Working Document Towards more effective EU merger control, SWD(2013) 239 final, Part 2/3, punto 31, “[a]lthough […] minority shareholdings do not allow influencing the target’s decisions, they might nevertheless raise competitive concerns […]” (nostra sottolineatura).
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dall’altro, l’interesse finanziario (“financial interest”)291. Infatti, in ambito concentrativo
il controllo societario è presunto (in maniera assoluta) in presenza di un acquisto di una partecipazione maggioritaria all’interno del capitale di un’impresa; in caso di partecipazione minoritaria, invece, è possibile distinguere il fenomeno del controllo (in senso stretto) – nei casi analizzati al capitolo precedente – dal mero interesse finanziario sotteso all’acquisto di tali partecipazioni.
Sempre sotto questo punto di vista, nella dottrina giuridica si distingue tra legami strutturali attivi e passivi292: nel caso dei legami attivi, si fa riferimento a quelle
partecipazioni minoritarie che permettono all’impresa acquirente l’esercizio di un dominio sulla partecipata, tale però da non sfociare in un’influenza determinante, ad esempio attraverso la nomina di un amministratore nel consiglio di amministrazione o l’esercizio dei diritti delle minoranze veicolano una forma embrionale di dominio, ma non di controllo. Nel secondo caso, invece, si tratta di partecipazioni esclusivamente finalizzate alla percezione degli utili della partecipata. Questa distinzione è efficace in quanto evidenzia come nel caso delle partecipazioni minoritarie sia possibile distinguere, in un primo momento, tra quelle idonee a veicolare una forma di controllo singolo o congiunto e quelle che non presentano tale caratteristica e, in quest’ultima categoria, è possibile separare ulteriormente quelle partecipazioni minoritarie che consentono l’esercizio di un potere “attivo” non di controllo e quelle che incidono soltanto a livello di distribuzione degli utili (riconducibili al fenomeno del “passive investment”)293. Vale la pena anticipare che, in entrambi i casi, queste partecipazioni
comportano problemi di natura concorrenziale. L’attenzione all’interesse finanziario sotteso all’acquisto, allora, diviene l’unità di misura tramite la quale “misurare” gli effetti anti-competitivi che si producono a livello intrasocietario e, soprattutto, nel mercato
291 Si veda, S. C. SALOP e D. P. O’BRIEN, Competitive Effects of Partial Ownership: Financial Interest
and Corporate Control, in Antitrust L.J., n. 67, 2000, pag. 562 e ss., secondo i quali il financial interest consiste nel “[…] the acquiring firm’s entitlement to a share of the profits of the acquired firm” e il corporate control, invece, nella “[…] ability to control or influence the acquired firm’s competitive decision making”. Analogamente, si esprime OFFICE FOR FAIR TRADING, op. cit., par. 3.3, che parla in generale di “minority interest”, citando FINANCIAL ACCOUNTING STANDARDS BOARD OF THE FINANCIAL ACCOUNTING FOUNDATION, Statement of Financial Accounting Standards No. 160, Noncontrolling Interests in Consolidated Financial Statements, an amendment of ARB No. 51, in Financial Accounting Series, n. 299-B, 2007, pag. 1, in cui si riporta che “[a] noncontrolling interest, sometimes called a minority interest, is the portion of equity in a subsidiary not attributable, directly or indirectly, to a parent”.
292 Ne parla G. D. PINI, Legami strutturali al vaglio della disciplina antitrust: lacuna normativa o
interpretativa?, in Giur. comm., fasc.5, 2014, pag. 893. Questa distinzione, a dire il vero, non è ricorrente in tutti gli autori che in dottrina si sono occupati di questo tema: si veda M. C. CORRADI, op. cit., pag. 370, che parla di “una serie di situazioni intermedie”.
293 Espressione utilizzata da S. C. SALOP e D. P. O’BRIEN, op. cit., pag. 567, GILO, op. cit., pag.
2 e ss., richiamato da G. D. PINI, Passive-Aggressive Investments: Minority Shareholdings and Competition Law, in European Business Law Review, fasc.5, 2012, pag. 592, secondo il quale “[a] passive investment occurs when a firm acquires nonvoting shares entailing the right to a share of the rival’s profits, but neither influence over the rival’s competitive behavior” (nostra sottolineatura).”
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rilevante, poiché anche la mera detenzione di quote di capitale di rischio in una concorrente per fini “lucrativi” è indice di una condotta anticoncorrenziale.
Inoltre, sempre concentrando l’attenzione sull’interesse finanziario sotteso all’acquisto, mentre nel caso del controllo societario l’attenzione dell’analisi giuridica ed economica è concentrata sugli incentivi a competere dell’impresa “acquisita”, in questo caso è esattamente il contrario. Pertanto, nell’analisi dei legami partecipativi che si collegano all’interesse finanziario dell’impresa acquirente, assume un’importanza strategica - sia dal punto di vista della “corporate governance”, sia da quello antitrust - la stretta relazione che si riscontra tra i legami partecipativi e i legami personali (“interlocking directorates”). Occorre fin da subito anticipare che, infatti, questa relazione aumenta la trasparenza sulle condotte che le imprese legate realizzeranno in futuro, andando a ridurre “l’incertezza sulle strategie adottate dai rivali ed instaurando al contempo un costante flusso informativo”294. In Italia, poi, questo fenomeno
caratterizza in maniera particolare i settori bancario295 e assicurativo296 (alias,
finanziario), che sono “caratterizzati da una trama di partecipazioni di minoranza o incrociate […] e legami di natura personale, che si sovrappongono alle rigidità strutturali derivanti da una pervasiva regolamentazione settoriale”297.
E’ doveroso concludere questa premessa, riferendo altresì che i legami strutturali in linea astratta non sollevano problemi di limitazione della concorrenza tra le imprese, anzi possono giocare “un ruolo positivo sul mercato”298. Un investimento in
partecipazioni di minoranza può essere reso necessario da varie esigenze: innanzitutto, la società acquirente potrebbe avere la necessità di accedere a nuove tecnologie che si trovano esclusivamente nella materiale disponibilità della società partecipata (e, magari, sono coperte da privative industriali che ne impediscono la conoscenza senza una
294 G. D. PINI, op. cit., pag. 894.
295 Si veda l’istruttoria svolta da AGCM, provv. n. 16249, Banca Intesa/San Paolo IMI, in Boll., 49,
2006.
296 Si veda COMMISSIONE, caso n. COMP/M.1712, Generali/INA, 12.01.2000 con il
commento di F. GHEZZI, Intrecci azionari e concorrenza. Il caso Generali/Ina, in Merc. conc. reg., fasc.2, 2000, pag. 245 e ss.
297 M. BERETTA e G. FAELLA, I legami personali nel controllo delle operazioni, in Concentrazioni
bancarie e tutela della concorrenza. Atti del seminario di studi su “Concentrazioni Bancarie e tutela della concorrenza dopo l’entrata in vigore della Legge sul Risparmio: considerazioni teoriche e problemi applicativi, a cura di E. BANI, Pisa, 19 maggio 2007, pag. 90.
298 F. GHEZZI e G. D. PINI, Partecipazioni di minoranza e disciplina europea delle concentrazioni tra
imprese Osservazioni sulle proposte di ampliamento dell'ambito di applicazione del Regolamento n. 139/2004), in Riv. soc., fasc.1, 2014, pag. 100. E, Inoltre, cfr. OCSE, cit., pag. 46, nt 101, “[c]ourts have recognised that the acquisition of a minority shareholding cannot be viewed as illegal or abusive as such” (nostra sottolineatura); E. M. MILANESI e A. WINTERSTEIN, Minority shareholdings, interlocking directorships and the EC Competition Rules – Recent Commission practice, in Competition Policy Newsletter, N. 1, 2002, “[t]he acquisition of a minority shareholding as such does not amount to a restriction of competition”.
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partecipazione al capitale sociale della titolare); allo stesso tempo, la società acquirente potrebbe avere bisogno di accedere a risorse finanziarie aggiuntive, in caso di esigenza di liquidità; potrebbe anche avere necessità di accedere a un determinato “know how” manageriale per penetrare nuovi mercati299. Pertanto, la seguente analisi, seguendo
un’impostazione antitrust, si concentra sulla rilevanza anticoncorrenziale di questi legami.
A tal fine, la dottrina economica ha approfondito questi fenomeni e ha individuato una serie di effetti che, specialmente in mercati oligopolistici300, creano
notevoli problemi di tenuta della concorrenzialità degli operatori economici e della stabilità del mercato. Dunque, ai fini della presente trattazione vengono analizzati gli effetti anticoncorrenziali esclusivamente in mercati oligopolistici; infatti nella concorrenza perfetta, per esempio a causa dell’assenza di barriere all’ingresso, il problema dei legami strutturali “difficilmente potrebbe condurre ad una restrizione della concorrenza”301 e, allo stesso tempo, in riferimento al monopolio, “il problema,
per definizione, non potrebbe porsi all’interno del mercato”302. In questo contesto,
allora, verranno esposte le soluzioni che l’ordinamento giuridico comunitario e italiano offrono a questo fenomeno, tenuto conto che non esiste al momento una normativa ad hoc, a differenza, in particolare, degli Stati Uniti e, tra i paesi dell’Unione Europea, del Regno Unito, dell’Austria e della Germania303. Allora, nell’ordinamento nazionale e in
quello europeo il problema consiste nell’individuarne un referente normativo nella disciplina delle concentrazioni e, in generale, degli altri due capisaldi del diritto della
299 Cfr. COMMISSIONE, SWD(2013) 239 final, part 2/3, cit., 25.6.2013, par. 21.; OCSE, cit., par.
21.
300 Si veda J. CLARK, Toward a concept of workable competition, in American Ec. Rev., fasc.30, 1940, pag
241, secondo il quale la concorrenza perfetta “does not and cannot exist and has presumably never existed”.
301 M. C. CORRADI, op. cit., pag. 395, nt 58.
302 Si veda la nota sopra e, similmente, G. D. PINI, op. cit., nota 50, secondo il quale “[t[anto più il
mercato si avvicina alla concorrenza perfetta tanto più improbabili saranno gli effetti unilaterali”. Addirittura, si guardi a OCSE, cit., pag. 20, in cui si riporta che “[…] anti-competitive effects are likely to occur if the market is oligopolistic, with significant barriers to entry […]” (nostra sottolineatura).
303 Per gli Stati Uniti, si veda la Section 7 del Clayton Act, che proibisce l’acquisto di
partecipazioni in società concorrenti e esenta dal divieto gli acquisti effettuati “solely for investment”, a patto che venga superata la soglia del 10 % (punto 9, lett., c). L’operazione deve essere notificata alla Federal Trade Commission (FTC) e al Department of Justice (DOJ). Per un commento, si veda M. C. CORRADI, op. cit., pag. 430 e ss.; per il Regno Unito, l’Enterprise Act (EA2002) obbliga, in generale, la notifica all’autorità di vigilanza (“Competition and Market Authority”) delle operazioni di acquisto che attribuiscono una “material influence” sulla partecipata; in Austria, è previsto l’obbligo di notifica di un’operazione di acquisto del 25 % all’autorità di vigilanza (“Bundeswettbewerbsbehörde”); in Germania, il Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen (“GWB”) prevede che l’autorità di vigilanza (“Bundeskartellamt”) può controllare le partecipazioni di minoranza non di controllo all’interno della nozione di concentrazione (§37 GWB), le quali sono soggette a notifica preventiva (§39 GWB), se raggiungono le soglie previste (§ 37(1) no 3 GWB e § 37(1) no 4 GWB). Per un’analisi dettagliata della normativa tedesca, si veda J. P. SCHMIDT, Germany: Merger control analysis of minority shareholdings – A model for the EU?, in Concurrences, fasc.2, 2013, pag. 207 e ss.
100
concorrenza, ovvero le intese restrittive della concorrenza e l’abuso di posizione dominante.
101
2. (segue). GLI EFFETTI ANTI-COMPETITIVI GENERATI DAGLI INCROCI PARTECIPATIVI SUI MERCATI OLIGOPOLISTICI.
La prassi della Commissione e dell’AGCM ha evidenziato in varie occasioni gli effetti anticoncorrenziali dei legami di natura strutturale. In particolare, la Commissione ha riferito che “[è] sicuramente un principio assodato dell’economia anti-trust imperante il fatto che, in genere, l’esistenza di legami fra due imprese concorrenti sotto forma di una partecipazione significativa di un’impresa nel capitale dell’altra può alterare i loro stimoli a competere”304. Anche la Corte di giustizia dell’Unione europea
ha seguito lo stesso ragionamento, ritenendo che “[…] l’acquisto di una partecipazione di minoranza in una società direttamente concorrente può, qualora costituisca un mezzo idoneo per influire sul comportamento commerciale delle imprese in questione, restringere o alterare il gioco della concorrenza sul mercato”305. Seguendo
un’impostazione di metodo fatta propria dalle suddette autorità, è possibile trattare il fenomeno in due distinti momenti: dapprima, vengono analizzati gli effetti anticompetitivi di tipo unilaterale e, secondariamente, quelli di tipo coordinato, sempre all’interno di rapporti orizzontali tra imprese. Infatti, in prevalenza, le autorità antitrust e la dottrina hanno tenuto in considerazione quasi esclusivamente i rapporti anticoncorrenziali all’interno dello stesso mercato e, raramente, in mercati diversi – dimensione dei rapporti “verticali” tra imprese, come, ad esempio, quelli che si ingenerano tra produttori nel mercato a monte e distributori nel mercato a valle)306.
A) Per quanto riguarda gli effetti di natura unilaterale (“horizontal unilateral effects”), essi riguardano sia i legami strutturali attivi, sia quelli passivi e consistono, in primo luogo, nella diminuzione degli incentivi a ridurre i prezzi (condotta aggressiva per eccellenza) e ad aumentare le quantità prodotte: quindi, come è evidente, diminuiscono gli incentivi a competere in maniera sana in un contesto oligopolistico. Questi effetti sono dovuti al fatto che si produce un fenomeno di “internalizzazione” di una quota parte dei profitti e/o delle perdite della rivale, proprio grazie all’investimento partecipativo che l’acquirente ha realizzato all’interno del capitale sociale della concorrente307. Pertanto, all’acquirente si pone un’alternativa o, in termini economici,
304 COMMISSIONE, caso n. IV/M.1383, Exxon/Mobil, 29.09.1999, punto 452.
305 L. VASQUES, Partecipazioni di minoranza e concorrenza nell’ambito della disciplina antitrust italiana e
comunitaria, in Riv. dir. impresa, 1996, p. 137, nt 42.
306 Secondo COMMISSIONE, COM 2004/C 31/03, considerando n. 5, si ha tale condizione
quando “[…] le imprese interessate sono concorrenti effettivi o potenziali sul medesimo mercato rilevante”. Viceversa, il contesto “verticale” è determinato da COMMISSIONE, COM 2008/C 265/07, considerando 2, nel caso in cui “[…] le imprese interessate operano su mercati rilevanti diversi”.
307 Si veda COMMISSIONE, SWD(2013) 239 final, Part 2/3, punto 4, secondo la quale “[…] if
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un “trade-off”308. Se l’impresa acquirente, nel ridurre i propri prezzi, sarà in grado di
ottenere profitti maggiori rispetto alla perdita subita dalla partecipata (e che ha internalizzato in termini di minori utili da dividendi o attraverso una riduzione o una totale eliminazione del guadagno in conto capitale), allora significa che ha un incentivo a competere e, di conseguenza, il legame strutturale (sia esso attivo o passivo) non comporta problemi di natura concorrenziale. Se, viceversa, comparando i profitti derivanti da una condotta concorrenziale (la diminuzione dei prezzi) con le perdite che subisce la partecipata, risulta che tali perdite sono maggiori (ad esempio, non vengono percepiti dividendi), allora si è prodotto automaticamente un notevole disincentivo a mantenere una condotta concorrenziale; un aumento dei prezzi da parte dell’acquirente può diventare conveniente “in ragione delle vendite recuperate dal concorrente partecipato”309. Detto altrimenti, una “condotta competitiva che dovesse comportare
guadagni in termini di quote di mercato e profitti, a svantaggio dei concorrenti dei quali si detengono partecipazioni, verrebbe premiata sotto il profilo dei ricavi derivanti dalla
gestione ordinaria, ma verrebbe «punita» sotto quello dei ricavi derivanti dalla gestione finanziaria”310. Come è evidente da queste considerazioni, l’effetto anti-competitivo
sussiste a prescindere dalla reale volontà dell’acquirente, poichè discende dalla mera detenzione della partecipazione, e a prescindere dal fatto che le altre imprese (operanti nel mercato oligopolistico) agiscano allo stesso modo: questi effetti si producono anche se tali legami si realizzano tra sole due imprese311. L’altro effetto anti-competitivo di
tipo unilaterale consiste nella diminuzione degli incentivi ad entrare all’interno di un nuovo mercato, nel quale è operativa l’impresa partecipata (“incumbent”)312. Ciò si può
verificare se l’ingresso possa comportare una riduzione del valore della partecipazione, nel caso in cui l’acquirente (“new entry”) volesse entrare in tale mercato313. Ma lo stesso
dicasi all’opposto, vale a dire nel caso in cui la “new entry” sia la partecipata e la
on their competitors’ profits of a reduction in their own output or an increase in their own price”.
308 Come riportato in maniera efficace da M. C. CORRADI, op. cit., pag. 373.
309 G. D. PINI, op. cit., pag. 898. Anche secondo AGCM, provv. n. 3086, Parmalat/Granarolo
Felsinea, in Boll., 23, 1995, “[…] la redditività della partecipazione di minoranza acquistata è strettamente collegata al miglioramento dei risultati di gestione dell’impresa partecipata, obbiettivo evidentemente incompatibile con la presunta volontà di mantenere un atteggiamento di reciproca rivalità concorrenziale”.
310 F. GHEZZI, op. cit., pag. 258 (nostra sottolineatura) e, similmente, AGCM, IC 36, punto 258,
nt 134, secondo la quale “[…] ciò che vincola un’impresa ad aumentare i propri prezzi è la consapevolezza che, se da una parte, ottiene maggiori ricavi (dovuti ai prezzi più elevati), dall’altra i ricavi tendono a ridursi in quanto parte dei propri clienti si rivolgerà ad imprese concorrenti. Le partecipazioni al capitale (e quindi ai profitti) di imprese concorrenti tende ad attenuare il secondo effetto (quello che ‘spinge’ a favore della fissazione di prezzi più bassi) e quindi l’equilibrio di mercato sarà caratterizzato da prezzi più elevati”.
311 Si veda D. GILO, op. cit., pag. 11, secondo cui si producono i medesimi effetti “[…] even if
there are firms in the industry that did not invest in a competitor”.
312 Si veda COMMISSIONE, SWD(2013) 239 final, Part 2/3, punto 14 e ss.
313 Per un caso concreto, si veda COMMISSIONE, caso n. COMP/M.4153, Toshiba/Westinghouse,
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“incumbent” l’acquirente, che già opera nel mercato. Secondo autorevole dottrina314, in
questi due ultimi casi è opportuno differenziare il caso in cui nel “nuovo” mercato siano presenti o una sola impresa oppure due o più imprese. Mentre nel secondo caso è difficile sostenere che vi siano disincentivi all’ingresso, nel primo si determinerebbe un