LACUNA NORMATIVA E INTERPRETAZIONE SISTEMATICA. Come detto, nell’ambito del diritto antitrust comunitario e italiano non esiste una disciplina normativa ad hoc relativa ai legami strutturali verticali o orizzontali; di conseguenza, la prassi e la giurisprudenza hanno cercato in via interpretativa di ricondurre il fenomeno, con risultati non sempre soddisfacenti, o sotto la disciplina delle intese restrittive della concorrenza (articolo 101 TFUE e articolo 2 l. ant. per gli accordi ad oggetto l’acquisto di partecipazioni minoritarie), o nell’ambito dell’abuso di posizione dominante (articolo 102 TFUE e articolo 3 l. ant., nel caso in cui tale acquisto venga effettuato da parte di un soggetto in posizione dominante), o in quello del controllo sulle concentrazioni (Reg. (CE) 139/2004 e articolo 5 e ss. l. ant.)362. In linea
generale, è opportuno premettere che la riconducibilità del fenomeno all’interno delle intese restrittive e dell’abuso era sostanzialmente “obbligatoria” prima dell’entrata in vigore del primo Regolamento comunitario in materia concentrativa (Reg. (CEE) 4064/89), in assenza di una normativa sulle concentrazioni363. Tuttavia, a seguito
dell’entrata in vigore di tale regolamento (e, a maggior ragione, a partire dal “nuovo” regolamento attualmente in vigore), gli articoli 101 e 102 TFUE hanno trovato sempre meno applicazione364, anche se astrattamente non è venuta meno, tanto che, secondo la
Commissione, “[b]enché il regolamento sulle concentrazioni non sia applicabile in tali casi, secondo una giurisprudenza consolidata è possibile applicare gli articoli 81 e 82 del trattato CE per valutare le partecipazioni azionarie di minoranza e i problemi che esse possono comportare sotto il profilo della concorrenza”365.
Nel diritto antitrust europeo, il problema dei legami strutturali è stato analizzato dalla Commissione per la prima volta nel caso Mecaniver366 e, in tale sede, è stato
affermato che nell’analisi dei legami partecipativi rilevano gli effetti concreti che derivano dall’acquisizione della partecipazione minoritaria, in grado di incidere sul grado di concorrenza del mercato in cui operano l’acquirente e la partecipata. Per quanto attiene al profilo del passive investment (e, dunque, dell’interesse finanziario sotteso all’acquisto), la Commissione si è espressa in senso contrario rispetto alle valutazioni di
362 Per una ricognizione delle normative applicabili, si veda A.J. BURNSIDE, Minority
Shareholdings. An Overview of EU and National Case Law, in e-Competition, n. 56676, www.concurrences.com, 2, par. 1.
363 M. C. CORRADI, op. cit., pag. 396.
364 Cfr. G. D. PINI, op. cit., pag. 904; A.J. BURNSIDE, op. cit., secondo cui, dopo il caso Philip
Morris, “[…] there has been virtually no development of Article 101 practice”.
365 COMMISSIONE, Libro verde sulla revisione del regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio,
COM(2001) 745 definitivo, 11.12.2001, punto 107 (fa riferimento alla precedente numerazione del Trattato della Comunità europea).
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carattere economico sopra affrontate, stabilendo che “[…] l’acquisto di una partecipazione di minoranza […] per esclusive finalità di carattere finanziario non dovrebbe avere, di regola, alcuna ripercussione negativa sul grado di concorrenza dei mercati […]”367.
Il tema è stato successivamente sviluppato dalla Commissione in due celebri casi, per i quali si può parlare di vere e proprie “dottrine giuridiche”: il caso Philip Morris368 e il
caso Gillette369. Nel primo, si fa riferimento a una complessa operazione di acquisto di
pacchetti partecipativi di minoranza, oggetto dapprima dell’indagine della Commissione e poi della Corte di giustizia370. La Corte, che in ultima istanza fu chiamata a valutare
l’operazione, stabilì che nel caso di acquisto di partecipazioni siffatte bisogna valutare l’operazione alla luce della disciplina delle intese371. Inoltre, venne stabilito che al di
sotto della soglia del 25 % (nella fattispecie, il 24.9 %) l’acquisto è considerato irrilevante ai fini concorrenziali perché rispondente a finalità di mero finanziamento (“passive investment”), anche se la Corte non si è espressa propriamente nel senso di una loro rilevanza a fini concorrenziali. Infatti, secondo la Corte, “[b]enché la Philip Morris, […] data la sua partecipazione agli utili […], abbia interesse alla riuscita della stessa, tuttavia il suo intento principale resta comunque […] quello di aumentare la quota di mercato e le entrate delle proprie imprese”372. E’ chiaro, allora, che viene fatto
riferimento all’interesse finanziario soltanto in via incidentale e ciò non è sufficiente per considerare questa pronuncia un precedente rilevante ai nostri fini. Del resto, questa sentenza, per quanto attiene al riferimento alla suddetta soglia, non può più avere rilevanza nell’ordinamento comunitario, a maggior ragione dopo l’introduzione della nozione di influenza determinante in materia concentrativa. Infatti, se si ammettesse la contemporanea esistenza nell’ordinamento suddetto (e, dunque, anche in quello
366 COMMISSIONE, caso n. IV/30.666, Mecaniver/PPG, 12.12.1984.
367 L. VASQUES, op. cit., pag. 132 e ss, nostra sottolineatura. L’autore, in particolare, riferisce che
questo sia un atteggiamento condivisibile, contrariamente, invece, a M. C. CORRADI, op. cit., pag. 397, secondo il quale, per questo motivo e a ragione, il caso Mecaniver non deve essere annoverato nell’ambito dei casi che costituiscono un precedente in materia in quanto “[…] la Commissione non si pose nemmeno il problema del passive investment, verificando solamente che sussistesse o meno la possibilità che si instaurasse un rapporto di controllo”.
368 CGUE, cause riunite 142 e 156/84, British American Tobacco Company Ltd/R. J. Reynolds Industries
Inc, 17.11.1987.
369 COMMISSIONE, caso n. IV/33.440, Warner-Lambert/Gillette e altri, 10.11.1992 e
COMMISSIONE, caso n. IV/33.486, BIC/Gillette e altri, 12.05.1993.
370 Si fa riferimento a due accordi, quello del 1981, “I accordo”, e quello del 1984, “II accordo”.
Nell’ambito del I accordo, era previsto che la società Philip Morris acquisisse il 50 % da Rembrandt Group (RG) in Rothmans Tobacco Holding (RTH), la quale controllava la Rothmans International (RI), concorrente di Philip Morris. Dato che, secondo la Commissione, il suddetto accordo era in violazione sia della normativa sulle intese che sull’abuso di posizione dominante, le parti stipularono il II accordo, con cui Philip Morris rinunciò al 50 % in RTH e ottenne una partecipazione diretta in RI (pari al 24, 9 %) dei voti. Si vedano i par. 3 e ss. della decisione.
371 Si veda L. VASQUES, op. cit., pag. 135 e, in particolare, il punto 37 della decisione, in cui si
specifica che “[i]l fatto che un’impresa acquisti una partecipazione al capitale di un’impresa concorrente […] può tuttavia costituire un mezzo idoneo per influire sul comportamento commerciale delle imprese in questione, in modo da restringere o da alterare il gioco della concorrenza […]”.
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nazionale) di una nozione di influenza determinante ai fini concentrativi e un sistema di soglie di acquisti partecipativi ai fini della disciplina delle intese, si incorrerebbe inevitabilmente nel rischio di “pericolose sovrapposizioni di discipline”373. Sarebbe
molto complesso, nei singoli casi, individuare quando una determinata soglia partecipativa (sicuramente sopra il 25%) possa condurre le autorità competenti ad applicare la disciplina delle intese oppure quella delle concentrazioni: per questo, onde evitare l’incertezza interpretativa, è auspicabile non tenere in considerazione la dottrina
Philip Morris.
Nel caso Gillette, diversamente, la Commissione ha affrontato la fattispecie, oltre che nell’ottica delle intese374, anche dal punto di vista della disciplina dell’abuso di
posizione dominante e nell’ottica di un’operazione riguardante il capitale di debito (“debt capital”) e non quello di rischio375. Secondo la Commissione, infatti, a seguito
dell’operazione, Gillette era in grado di abusare della sua posizione dominante sul mercato, grazie alla nuova veste di creditore assunta nei confronti del suo principale concorrente376. Anche in tal caso, tuttavia, risulta complesso utilizzare questa decisione
come precedente, sia perché comunque non si fa riferimento (a differenza del caso
Philip Morris) a una soglia rilevante, ma soprattutto perché riguarda un’operazione che
non incide a livello di “equity” (con acquisto di “voting stocks”)377.
In conclusione, in questi due casi la Commissione ha utilizzato due distinte fattispecie per regolamentare il fenomeno dei legami strutturali, in assenza di una normativa anti-concentrativa. Premesso che, per le notevoli differenze, il caso Gillette non è applicabile come precedente e, quindi, come caso generale, la dottrina si è chiesta se sia possibile estendere la dottrina Philip Morris a casi analoghi, anche a seguito del regolamento sulle concentrazioni. In effetti, ci sono almeno due casi (Exxon/Mobil378 e VEBA/VIAG379) in cui è stata applicata la soglia elaborata in questo precedente, ma
con riferimento a operazioni di concentrazione. In generale, però, come è stato rilevato dalla stessa Commissione nei casi analizzati, l’applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE agli acquisti di partecipazioni minoritarie è di per sé problematico, in quanto le modalità con cui essi vengono realizzati nella pratica sono difficilmente sussumibili in
373 L. VASQUES, op. cit., pag. 136.
374 Si veda COMMISSIONE, cit., punto 35, per quanto riguarda l’acquisto del 100 %, dalla società
olandese Eemland (sua concorrente nel mercato dei prodotti per la rasatura), dell’attività dei rasoi Wilkinson Sword.
375 Gillette aveva erogato alla concorrente un prestito convertibile pari al 22 % delle azioni emesse
e del capitale assimilato e aveva acquistato il 13, 6 % delle passività.
376 Si veda COMMISSIONE, cit., punto 25.
377 Per quanto riguarda questa posizione, cfr. M. C. CORRADI, op. cit., pag. 402 e G. D. PINI,
Passive-Aggressive Investments cit., pag. 672 e ss.
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quelle previste per le intese e gli abusi di posizione dominante. Per quanto riguarda in particolare l’articolo 101 TFUE, viene rilevato prima di tutto il fatto che difficilmente viene individuato un “accordo” tra imprese, ma anzi, sempre più spesso, tali accordi nascono da contratti tra “l’acquirente ed un azionista, il più delle volte terzo rispetto al rapporto concorrenziale”380. Inoltre, talvolta l’acquisizione viene effettuata attraverso
una serie di operazioni di acquisto di azioni sul mercato borsistico381.
Diversamente da questa impostazione, vale la pena richiamare l’approccio più incisivo seguito dall’AGCM nel già citato caso Parmalat/Granarolo Felsinea382, nel quale si
riporta la c.d. dottrina Philip Morris in applicazione ad un caso di intesa restrittiva della concorrenza (articolo 2 l. ant.). L’autorità, infatti, riporta che “[l]’acquisizione […] di una partecipazione di minoranza nel capitale sociale di un concorrente, pur non essendo […] da sola sufficiente ad integrare una violazione dell’art. 2 della legge n. 287/90, può tuttavia costituire indizio di una riduzione del grado di competitività esistente tra la società partecipata e la società partecipante”383. Questo assunto, definito
in riferimento ai “principi dell’ordinamento comunitario, espressi sia dalla Corte di Giustizia CE sia dalla Commissione e chiaramente recepiti dall’Autorità”384, consente
all’AGCM di affermare che “[…] l’acquisto […] di una partecipazione di minoranza in una società concorrente non rientra nell’ambito di applicazione della normativa a tutela della concorrenza solo laddove tale acquisto risponda ad una mera finalità di investimento
finanziario passivo”385, ma “[l]a fattispecie risulta […] vietata ogni qualvolta si accerti che
essa costituisce un mezzo idoneo ad influire sul comportamento commerciale delle imprese in questione, in modo da restringere o falsare il gioco della concorrenza sul mercato”. Questo consente all’Autorità di concludere che un acquisto di tal genere (e
379 COMMISSIONE, caso n. COMP/M.1673, VEBA/VIAG, 12.06.2000, punto 78 e ss. 380 G. D. PINI, op. cit., pag. 904.
381 COMMISSIONE, Libro bianco “Verso un controllo più efficace delle concentrazioni nell’UE,
COM(2014) 449 final, 9.07.2014, punto 40 e A. J. BURNSIDE, op. cit., su questo aspetto riporta che l’ipotesi di “[…] an unwelcome shareholder can pose to the company freely pursuing its own commercial objectives” non è regolata dal diritto antitrust e nella “saga” Ryanair/Aer Lingus (di cui al paragrafo 4) ciò ha manifestato tutta la sua dannosità.
382 Il gruppo Parmalat e il gruppo Granarolo avevano realizzato un’operazione da realizzarsi in tre
fasi: (i) prima di tutto, Parmalat avrebbe acquistato il 10 % del capitale sociale di Granarolo; (ii) in secondo luogo, le parti si sarebbero impegnate a stipulare accordi di collaborazione commerciale; (iii) infine, Parmalat, in caso di buon esito delle precedenti fasi, avrebbe acquistato un’ulteriore partecipazione nella concorrente.
383 AGCM, Parmalat/Granarolo Felsinea cit., parte IV, par. 2.2.
384 AGCM, Parmalat/Granarolo Felsinea cit., parte IV, par. 1, che richiama il caso Philip Morris e il
caso Gillet; AGCM, provv. n. 2881, Titanus Distribuzione/Cinema 5, in Boll., 11, 1995; AGCM, provv. n. 563, Cementir/Merone, in Boll., 12, 1992.
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dunque, si potrebbe dire, anche un passive investment386) insieme ad altre circostanze di
fatto o di diritto è in grado di definire una restrizione della concorrenza.
Dal punto di vista della disciplina comunitaria e italiana delle concentrazioni, viceversa, operazioni siffatte possono comportare l’apertura di un’indagine da parte delle autorità antitrust soltanto nei casi in cui l’acquirente sia in grado di esercitare un’influenza determinante (articolo 3 Reg. concentrazioni e articolo 7 l. ant.) e, a seguito dell’acquisto, le imprese in questione superano le soglie di fatturato previste (articolo 1 e 5 Reg. concentrazioni e articolo 6 e 16 l. ant.). Sebbene non sia previsto in tale sede un controllo “diretto” sui legami strutturali e personali, giova ricordare che le “parti notificanti” un’operazione di concentrazione sono tenute a comunicare sia alla Commissione che all’AGCM l’esistenza di tali legami (a seconda della rispettiva competenza), anche se la soglia di rilevanza (oltre la quale scatta l’obbligo di comunicazione) è del 10 % (o 5 % se la società è quotata)387. Di conseguenza, al di
sotto di tali soglie vige una totale irrilevanza giuridica della partecipazione. Dunque, questa informazione consente, laddove l’autorità lo ritenga opportuno, di adottare misure correttive388 a seguito della valutazione di idoneità dell’operazione (c.d.
autorizzazione della concentrazione sotto condizioni). Nella normativa interna, questo potere dell’AGCM trova fondamento nell’articolo 18, comma 3 l. ant., per il quale “[l]’Autorità, se l’operazione di concentrazione e già stata realizzata, può prescrivere le misure necessarie a ripristinare condizioni di concorrenza effettiva, eliminando gli effetti distorsivi”; viceversa, nella normativa comunitaria, l’articolo 8, paragrafo 2 del Reg. concentrazioni prevede che “[l]a Commissione può subordinare la decisione a condizioni e obblighi destinati a garantire che le imprese interessate adempiano gli impegni assunti nei confronti della Commissione per rendere la concentrazione compatibile con il mercato comune”. La Commissione, in attuazione a tale disposizione, ha elaborato una Comunicazione circa le operazioni di
386 Analogamente, si veda M. C. CORRADI, op. cit., pag. 406, che tuttavia critica l’atteggiamento
(contraddittorio) seguito dall’autorità nel successivo AGCM, provv. n. 5427, Privatizzazione Seat, in Boll., 44, 1997.
387 Si veda AGCM, Formulario concentrazioni, Prospetto C, sez. I e, in particolare, Prospetto D, sez.
I e II dove si specifica che “[l]a sezione deve essere compilata per ciascuno dei soggetti indicati nel prospetto C, qualora detenga, individualmente o insieme ad altri soggetti, partecipazioni non inferiori al 10 per cento del capitale sociale o delle azioni aventi diritto di voto (5 per cento se si tratta di società quotate in borsa) in imprese (diverse da quelle già indicate al paragrafo C4 - società controllate) che operano su mercati interessati dalla concentrazione (indicati nel prospetto E) o che controllano imprese operanti su tali mercati” (nostra sottolineatura).
388 Come riportato da E. M. MILANESI e A. WINTERSTEIN, op. cit., nella prassi antitrust della
Commissione in sede di controllo delle concentrazioni questi legami sono stati “smantellati” “[…] by imposing either structural remedies (i.e., divestiture of shareholdings and/or severance of interlocking directorships) or behavioural ones (e.g., setting-up of ‘Chinese walls’)”.
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“deconcentrazione”389, tra le quali, in particolare, è incluso l’ordine di cedere le
partecipazioni di minoranza390. Anche se non è sicuramente la misura correttiva più
utilizzata dalla Commissione, merita menzionare anche l’accettazione della rinuncia ai diritti relativi a partecipazioni di minoranza in una concorrente. Infatti, in questi casi la Commissione si è mostrata attenta al tema del “passive investment” e ai relativi problemi concorrenziali, dal momento che specifica di poter adottare tale correttivo “quando è possibile escludere, viste le circostanze specifiche del caso, che i proventi
finanziari derivanti da una partecipazione di minoranza in un’impresa concorrente
susciterebbero di per sé riserve sotto il profilo della concorrenza”391. Dunque, come è
evidente, in ambito concentrativo il sindacato su una partecipazione di minoranza non di controllo è solamente “ex post”, in quanto si realizza soltanto dopo che l’operazione è stata notificata e, nel caso di partecipazione minoritaria non connessa all’acquisto del controllo, l’operazione in sé diviene irrilevante. Viceversa, tale operazione acquista rilevanza ai fini concentrativi grazie alle misure di “deconcentrazione”. Tuttavia, il controllo in sede antitrust è anche di natura eventuale, dato che l’autorità di vigilanza deve accertare l’incompatibilità con il mercato, in quanto non è un giudizio che consegue automaticamente alla qualifica dell’operazione come concentrazione392.
389 COMMISSIONE, Comunicazione della Commissione concernente le misure correttive considerate adeguate a
norma del regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio e del regolamento (CE) n. 802/2004 della Commissione, 2008/C 267/01, 22.10.2008.
390 Per un esempio, si veda COMMISSIONE, caso n. COMP/M.3653, Siemens/VA Tech,
13.07.2005, punto 491 e ss.
391 COMMISSIONE, Comunicazione cit., punto 59, che richiama il caso Siemens, di cui si veda il
punto 327 in cui “[l]a participation de 28 % […] pourrait en principe, du point de vue financier, […] faire preuve de moins d’agressivité […]” (nostra sottolineatura).
392 Si veda COMMISSIONE, Commission Staff Working Document accompanying the document White
Paper “Towards more effective EU merger control”, SWD(2014) 221 final, 9.07.2014, punto 45, “[w]hen the acquisition of a minority shareholding is unrelated to acquisition of control, the Commission cannot investigate or intervene against it. Only a merger party’s pre-existing minority shareholdings in a competitor or a company active in an upstream or downstream market can be taken into account by the Commission in the context of a notified merger concerning a separate acquisition of control” (nostra sottolineatura).
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5. (segue) LA PROPOSTA DI MODIFICA DEL REGOLAMENTO (CE) N. 139/2004 PER COLMARE “L’ENFORCEMENT GAP”.
Premesso lo sforzo interpretativo seguito dalle autorità antitrust e dalla giurisprudenza comunitaria per inquadrare giuridicamente il fenomeno dei legami strutturali e personali all’interno della disciplina delle intese e dell’abuso di posizione dominante, è doveroso riferire che la Commissione è intervenuta con una consultazione pubblica sulla proposta di riforma del Reg. concentrazioni393 e, successivamente, con un
Libro bianco in cui ha raccolto gli esiti di tale consultazione394, al fine di includere le
partecipazioni non di controllo nell’ambito della disciplina anti-concentrativa (c.d. “merger control”).
Il problema avvertito dall’autorità antitrust è sia quello della conoscenza dell’acquisto di una partecipazione minoritaria non di controllo e, quindi, del regime procedurale applicabile alle imprese, sia quello del regime sostanziale da applicarsi alla singola operazione una volta che essa, tramite notifica o ex officio, venga a conoscenza dell’autorità. L’esigenza di addivenire a una modifica del Reg. concentrazioni sembra che sia sorta a partire dalla nota vicenda Ryanair/Aer Lingus, che ha fatto emergere un vero e proprio “enforcement gap” nella disciplina concorrenziale delle concentrazioni395. Infatti, nel caso appena richiamato, era emersa l’impossibilità di
adottare un provvedimento antitrust mirato a elidere i legami partecipativi tra le parti di un’operazione che presentava notevoli problemi anti-competitivi. Brevemente, Ryanair
Ltd (di seguito, Ryanair) nel 2006 aveva iniziato ad acquistare azioni quotate della
società concorrente Aer Lingus con l’obiettivo esplicito di acquistarne il controllo e, in un breve arco temporale, la sua quota aveva raggiunto il 25 % del capitale sociale; pertanto, Ryanair aveva lanciato un’offerta pubblica di acquisto (OPA) sul restante capitale sociale, notificando l’operazione alla Commissione ai sensi dell’articolo 4 Reg. concentrazioni. La Commissione non l’autorizzò a causa della sua incompatibilità col mercato: il problema, però, è che la decisione riguardava solo l’eventuale acquisito del controllo esclusivo tramite offerta pubblica; infatti, non veniva considerata la
393 COMMISSIONE, Commission Staff Working Paper “Towards more effective EU merger control”,
SWD(2013) 239 final, 25.06.2013.
394 COMMISSIONE, Libro bianco cit., con i seguenti allegati: (i) Commission Staff Working Document
Impact Assessment, SWD(2014) 217 final; (ii) Commission Staff Working Document Executive Summary of the Impact Assessment, SWD(2014) 218 final; (iii) Commission Staff Working Document, SWD(2014) 221 final.
395 Cfr. G. D. PINI, op. cit., pag. 903; F. GHEZZI e G. D. PINI, op. cit., pag. 95 che addirittura
parlano di “frustrazione patita dalla Commissione”; A. J. BURNSIDE, op. cit., par. 2, secondo il quale questo caso rappresenta il “[…] prime example of a shareholding epitomising the enforcement gap”.
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percentuale minoritaria che fino a quel momento era detenuta da Ryanair396.
Conseguentemente, Ryanair avrebbe potuto mantenere il legame strutturale con la concorrente, non essendo applicabili, secondo la Commissione, né l’articolo 8, par. 3 Reg. concentrazioni in merito all’ordine di dismissione della partecipazione azionaria, né l’articolo 8, par. 4 Reg. concentrazioni, poiché nei fatti l’OPA non era stata eseguita (e non c’era stata una concentrazione in termini tecnici)397. Aer Lingus aveva impugnato la
decisione ritenendo che “[…] la Commissione ha violato” l’articolo 8, par. 3 e 4 Reg. concentrazioni “[…] ritenendo […] di non essere competente ad obbligare la Ryanair a
disfarsi della sua partecipazione di minoranza nel suo capitale, né a adottare misure opportune per ripristinare la situazione esistente prima della concentrazione […]”398 in quanto, secondo la
ricorrente, “[…] la partecipazione della Ryanair sortirebbe significativi effetti negativi sulla concorrenza […]”399. Successivamente, Ryanair aveva nuovamente lanciato
un’OPA (questa volta totalitaria) sul capitale sociale della Aer Lingus e la Commissione, dopo la notifica dell’operazione, l’aveva nuovamente vietata400.
Dunque, questa complessa vicenda ha spinto la Commissione a formulare tre proposte di modifica del Reg. concentrazioni401. In primis, viene consigliato un sistema
di notifica (“notification system”) e segnatamente l’estensione dell’attuale sistema di controllo delle concentrazioni (che si fonda su una conoscenza ex ante dell’operazione) alle acquisizioni di partecipazioni di minoranza non di controllo, ovviamente a determinate condizioni402. In questo caso, come specifica la Commissione, l’operazione
non potrebbe essere conclusa prima dell’autorizzazione (“standstill”) da parte dell’Autorità, in analogia con la disciplina “generale” delle concentrazioni403: dunque,
l’operazione concentrativa non deve essere attuata prima della notifica, né prima della