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I procedimenti di protezione internazionale

Come anticipato nelle note introduttive, l’immigrazione è il tema dell’anno per la politica, per l’Europa, per il mondo, e lo è anche per la giurisdizione che, ancora una volta, deve essere capace di rispondere alle sollecitazioni della realtà ed appre-stare i presidi indispensabili per tutelare “i diritti senza terra… che vagano nel mondo glo-bale alla ricerca di un costituzionalismo anch’esso gloglo-bale che offra loro ancoraggio e garanzia”

(S. Rodotà), in cerca di opportunità economiche o per sfuggire a condotte perse-cutorie, conflitti interni, cambiamenti climatici e disastri naturali.

Com’è noto, la maggior parte dei migranti proviene dall’Africa sub-sahariana, passando per la Libia dopo un lungo viaggio attraverso l’Africa; spesso l’Italia è soltanto una tappa versopaesi più a nord. La durata media del viaggio dal paese di origine, organizzato da trafficanti di esseri umani operanti per lo più in Niger e Sudan, è in media di 20 mesi, mentre il tempo di permanenza in Libia è di circa 14 mesi. Vi è una ragionevole certezza che il lungo tempo del viaggio sia spesso vissuto in un contesto di violenze (anche sessuali), torture e detenzioni, talvolta anche lavori forzati per pagare ai trafficanti un viaggio che costa in media 1.500 dollari. Sono questi, infatti, i racconti che ricorrono continuamente nelle richieste di protezione internazionale rivolte alla giurisdizione, confermati da numerose in-chieste giornalistiche e dalle indagini svolte dagli uffici giudiziari di “confine”.

3.1 L’art. 10, comma 3, della Costituzione recita: “Lo straniero, al quale sia impe-dito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.”

Secondo la Convenzione di Ginevra “è riconosciuto rifugiato colui che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese”.

La norma ordinaria di riferimento è l’art. 2 lett. a) d. lgs. n. 251/2007, secondo il quale la “protezione internazionale” comprende sia lo status di rifugiato, sia la protezione sussidiaria, di cui alle successive lettere f) e h), mentre la c.d.

protezione umanitaria è disciplinata dall’art. 5 co. 6° d. lgs. n. 286/1998.

Il Giudice è chiamato ad accertare e valutare le circostanze di fatto (talvolta sup-portate da altri elementi o documentazione, se disponibili) che il migrante pre-senta con la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, per verificare se siano soddisfatti i requisiti sostanziali per la protezione internazionale. L’onere della prova della persecuzione grava, infatti, sul richiedente lo status di rifugiato, ma l’allegazione sul fumus persecutionis è supportata dall’attività di ufficio nella ri-cerca delle informazioni sulle condizioni geopolitiche del Paese di provenienza.

Il secondo livello di protezione, in difetto delle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato, è quello della protezione sussidiaria. In tal caso, lo straniero ha diritto alla protezione nella prospettiva di danni gravi ed ingiusti-ficati che potrebbero attingerlo nel caso di ritorno al paese di origine, ossia la tortura o altre forme di trattamento inumano, la condanna a morte o la minaccia grave contro la propria vita derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Vi è infine, come anticipato, una terza categoria rappresentata dalla protezione umanitaria, che può essere concessa quando sussistono gravi motivi di ca-rattere umanitario, alla luce degli obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano. La normativa sul punto non è chiara, ma si può affermare che il rilascio di permessi di natura umanitaria (principio di non refoulement) è consentito, sia pure in assenza di elementi identificativi del fumus persecutionis, sulla base di cir-costanze di fatto che inducono a ravvisare un pericolo effettivo per l’integrità psi-cofisica dello straniero. La giurisprudenza di merito più recente, preso atto della dimensione economica della migrazione, spesso scaturente dallo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali del Paese di provenienza, inizia a riconoscere le motivazioni umanitarie anche sotto il profilo della impossibilità di sopravvivenza del migrante nel Paese d’origine per l’estrema povertà che l’attinge.

Un tentativo di analisi del fenomeno per l’anno trascorso conferma una sorta di quadro etnico: i dati UNHCR - Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati - confermano, infatti, che gli immigrati sbarcati in Italia nel 2016 pro-vengono soprattutto da Nigeria (15%), Gambia (10%), Somalia (9%), Eritrea, Guinea e Costa d’Avorio (8%). La spinta all’emigrazione da questi paesi deriva da fattori di instabilità politica e sociale e, di riflesso, di natura economica; le incursioni di Boko Haram, in particolare, sono le principali responsabili della emigrazione dalla Nigeria, un Paese in cui il solo 2015 ha fatto registrare quasi 11mila morti violente.

Questi dati per la giurisdizione sono cruciali perché per la valutazione della domanda di protezione deve aversi riguardo anche alle vicende politiche del paese di origine al momento della decisione giurisdizionale, oltre che al fatto che l’istante abbia già subito persecuzioni, alla sua situazione individuale (il passato, l’età, il sesso) e a qualsiasi accadimento successivo alla fuga. Poiché è evidente la difficoltà obiettiva per chi fugge dal proprio paese d’origine di docu-mentare circostanze ed eventi che possano supportare la richiesta di protezione, ogni domanda deve essere esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine. Il che comporta che il giudice ha davvero un ruolo attivo per l’accertamento del fatto e che la giurisdizione diviene vero e proprio presidio del rispetto dei diritti umani fondamentali e delle norme internazionali e sovrana-zionali di riferimento, vagliando la credibilità soggettiva del richiedente rispetto all’onere di provare la sussistenza degli atti di persecuzione nel paese d’origine.

3.2 Lo strumento processuale individuato dal legislatore è il rito sommario di cognizione, alternativo al processo a cognizione ordinaria, finalizzato a velociz-zare e semplificare il contenzioso civile, caratterizzato da un’istruttoria sommaria e da un provvedimento conclusivo nella forma dell’ordinanza, destinato ad at-teggiarsi a giudicato (artt. 702-bis, 702-ter e 702-quater c.p.c.).

Negli anni passati tali istanze venivano esaminate dal Tribunale di Ancona (ed in appello dalla locale Corte), perché in quella città ha sede la Commissione Terri-toriale per il riconoscimento della protezione internazionale, competente sia per la regione Marche che per l’Abruzzo.

Col d. lgs 142\2015 (che ha modificato l’art. 19 del d.lgs. 150\2011, con decor-renza dal 30\9\2015) si è invece stabilito che se lo straniero si trovi accolto o trattenuto in un centro di accoglienza per i richiedenti asilo, o in un centro di identificazione ed espulsione, la competenza spetta al Tribunale del capoluo-go del distretto di Corte d’Appello in cui ha sede il centro. Di conseguenza, il Tribunale di L’Aquila in prima battuta, e dalla primavera del 2016 anche questa Corte, sono stati investiti da un gran numero di ricorsi: presso il Tribunale ciò ha comportato un abnorme aumento delle sopravvenienze, passate da 4741 del precedente anno di riferimento (1.7.2014-30.6.2015), a 6471, con un aumento del 73%; mentre presso la Corte, in soli tre mesi, al 30.6.2016 sono stati iscritti circa 200 appelli in detta materia.

La novella ha, altresì, integrato la normativa vigente disponendo non solo che il Tribunale decida entro sei mesi, ma anche che, “in caso di rigetto”, la Corte d’Appello provveda a sua volta entro sei mesi dal ricorso così come la Corte di Cassazione. Il legislatore sembra quindi avere individuato il ricorso come atto introduttivo, così superando il contrasto giurisprudenziale sorto in precedenza.

Certo, allora, il fatto che la volontà del legislatore è quella che i procedimenti de quibus siano trattati in modi e tempi più celeri rispetto a quelli ordinari, resta il dubbio che ciò possa avvenire solo per le impugnazioni dei richiedenti asilo, e non anche per quelle avverso provvedimenti di accoglimento o di concessione della protezione “minore”.

L’entità e la drammaticità del problema hanno già suggerito all’esecutivo di ri-disegnare la normativa processuale, nell’ottica di un effettivo snellimento del procedimento (si parla di provvedimenti camerali inappellabili), oltre che della creazione di un vero e proprio giudice specializzato dell’asilo, che possa assicurare indirizzi giurisprudenziali uniformi.

È auspicabile che il proposito sia effettivamente mantenuto, pur dovendosi ri-badire che non può essere accettabile una riduzione dell’accesso alla giustizia e delle garanzie per la piena tutela dei diritti umani fondamentali.

Nel frattempo, le nuove competenze e il notevole impatto numerico dei proce-dimenti, che gravano su uffici già in forte sofferenza, impongono alla Sezione Civile della Corte una riorganizzazione del lavoro, anche con l’apporto dei

giudici ausiliari in appello, che garantisca una riposta sollecita, pena l’aumento insopportabile dei costi individuali (lo stato di incertezza, la “vita sospesa”, in cui resta il richiedente asilo per un tempo troppo lungo) e sociali (costi di acco-glienza precaria e di sicurezza della collettività) di cui abbiamo già sperimentato l’insostenibilità.

La giurisdizione, dunque, è chiamata a dare concretezza alla norma Costituzio-nale in materia d’asilo, per essere veramente Stato di diritto e di diritti, punto di riferimento per arginare marginalità e discriminazioni, come è scritto nel DNA di un paese che ha visto circa 24 milioni di italiani emigrati tra il XIX° e il XX°

secolo, e che oggi vede quasi 5 milioni di cittadini italiani residenti all’estero.

Nella consapevolezza che il viaggio di chi giunge nel nostro paese non è solo estensione spaziale, ma divario tra ricchezza e povertà, tra dignità e mortifica-zione, tra vita e morte, e che la storia insegna che, in un mondo globalizzato ma sempre più afflitto da intollerabili disuguaglianze, nulla può fermare chi intende migliorare la propria esistenza e quella dei suoi figli, anche a prezzo dell’abban-dono della propria terra e del rischio della vita.