5. Tribunale e uffici di sorveglianza
5.1 L’ufficio di sorveglianza di L’Aquila
Ha giurisdizione sulla Casa di reclusione di Sulmona e sulle Case circonda-riale di L’Aquila e Avezzano.
5.1.1. La Casa di reclusione di Sulmona, carcere di massima sicurezza, accoglie, nella quasi totalità, detenuti sottoposti al regime di Elevato Indice di Sorveglianza (415), oltre 22 “collaboratori di giustizia” e 8 detenuti c.d.
“comuni”. È in atto l’ampliamento della struttura, con la costruzione di un nuovo padiglione, destinato ad accogliere altri 200 ristretti in regime di EIS, il che imporrà come urgente e ineludibile l’esigenza di rafforzare l’organico dell’Uffi-cio di sorveglianza di L’Aquila.
I detenuti del circuito “AS” (alta sorveglianza) sono ristretti in forza di titolo correlato a delitti di matrice “mafiosa”, nel cui ambito numerosi sono i detenu-ti in passato sottoposdetenu-ti al regime differenziato di trattamento ex art. 41 bis O.P.
Si tratta di soggetti in espiazione di pene detentive considerevoli (molti gli er-gastolani e i condannati a 30 anni di reclusione), aventi un’età media superiore a quella dei detenuti degli istituti di media sicurezza. Per essi l’attuazione del principio costituzionale (art. 27.3 Cost.), che esige che l’esecuzione della pena sia funzionale alla rieducazione del condannato e che la stessa sia attuata in forme tali da preservare la dignità della persona, impone una cura particolare, dovendo essere garantite misure di trattamento consone, sia dal punto di vista quantitativo che da quello della continuità della relativa offerta. È perciò estremamente im-portante che gli organici del personale che compone il gruppo di osservazione e trattamento (in primis gli educatori, ma anche gli appartenenti al Corpo di Po-lizia Penitenziaria) siano adeguati e che le opportunità di svolgere un’attività lavorativa o culturale siano congrue (artt. 12 e 15 dell’O.P.). È del pari decisivo l’approntamento di un efficiente presidio sanitario, capace di rispondere con professionalità e sollecitudine alle esigenze diagnostiche e di cura dei detenuti, amplificate dalla lunga durata della carcerazione e dalla maggiore età media.
Rispetto a ciascuna di tali esigenze si registrano, tuttavia, significative criticità.
L’organico del personale destinato all’osservazione ed al trattamento è compo-sto di soli cinque educatori a fronte di una popolazione detenuta che si appros-sima alle cinquecento unità (destinata ad aumentare nei prossimi anni), numero certamente insufficiente a garantire quell’approfondita analisi delle carenze fi-siopsichiche e delle ulteriori cause di disadattamento sociale (art. 13 O.P.) che costituisce la base per la formulazione del programma di trattamento, elemento chiave delle valutazioni devolute alla magistratura di sorveglianza.
Ancor più desolante il quadro delle opportunità di lavoro, di scarsa consistenza essendo quelle diverse dalle effimere e turnarie esperienze nelle attività “dome-stiche” (c.d. scopino di sezione o portavitto). Infatti le sole opportunità lavora-tive offerte dall’Amministrazione sono le seguenti:
- 30 detenuti (AS3) impiegati nel laboratorio di falegnameria;
- 27 detenuti (AS3) impiegati nel laboratorio di calzoleria;
- 31 detenuti (AS3) impiegati nel laboratorio di sartoria;
- 2 detenuti (AS1) impiegati nel laboratorio di panificazione.
Insoddisfacenti l’accesso a corsi di istruzione e l’assistenza sanitaria.
Altre criticità evidenziate dal dirigente dell’ufficio attengono al fatto che la mag-gior parte dei detenuti è allocata in camere detentive originariamente conce-pite per accogliere un solo ristretto, attualmente adattate a cella doppia;
per quanto la superficie complessiva a disposizione dei detenuti non sia tale da implicare una condizione inumana (art. 3 CEDU come interpretato dalla Corte EDU con la nota “sentenza Torreggiani”), non vi è dubbio che la sistemazione non è ottimale ove si consideri che ad essa vengono assoggettati non pochi er-gastolani e comunque soggetti con una lunga carcerazione alle spalle ed un non breve fine pena, i quali devono occupare letti impilati a castello.
Limitatissime, infine, sono le risorse per ammettere i detenuti ad attività di sva-go: non esiste una palestra, che consenta l’esercizio in attività ginniche, potendo i detenuti fruire esclusivamente delle aree di passeggio e di un solo campo da calcio, peraltro fruibile secondo turnazioni non brevi.
Quanto alle opportunità risocializzanti, si segnala la lavorazione presso il teni-mento agricolo, dove lavorano 9 detenuti che si occupano della biodiversità e del recupero e della moltiplicazione delle varietà autoctone in via di estinzione, con progetto presentato presso la Cassa delle Ammende. Inoltre, i detenuti fruiscono del laboratorio teatrale e di musicoterapia, a seguito di protocollo con il Conser-vatorio dell’Aquila, del laboratorio di apicoltura per il quale si sta progettando attività di produzione di miele, del laboratorio UNICEF per la realizzazione di Bambole Pigotte, del laboratorio di panificazione dove sono realizzati pane e pizza per la popolazione detenuta, ed infine del Progetto “Il cuore oltre il muro”.
5.1.2 La Casa circondariale di L’Aquila attualmente ospita 175 tra detenuti ed internati, dei quali ben 150 sottoposti al regime art. 41 bis O.P. , dato che colloca detto istituto tra quelli con la maggior concentrazione di detenuti ap-partenenti a tale categoria in Italia, pur essendo stato progettato per tutt’altro impiego.
Le conseguenze di tale vizio di origine sono evidenti e difficilmente emendabi-li. I detenuti sottoposti al regime differenziato di trattamento, alla luce della di-sciplina vigente ed in funzione del raggiungimento dell’obiettivo della recisio-ne di ogni loro collegamento con l’associaziorecisio-ne criminale di riferimento, sono organizzati, all’interno dei penitenziari, in piccoli gruppi di socialità (in genere, quattro unità per gruppo). In attuazione di quanto previsto dal disposto di cui al comma 2 quater, lett. a) dell’art. 41 bis, ed allo scopo di scongiurare l’interazione con altri detenuti o internati appartenenti alla medesima organizzazione ovvero
ad altre alleate, tali gruppi sono organizzati in modo da comprendere soggetti non provenienti dalla medesima area geografica ed è imposto ai rispettivi appar-tenenti il divieto di colloquiare con detenuti assegnati agli altri gruppi di socialità.
Peraltro molte delle aree aperte, destinate ai passeggi, sono di superficie ristret-tissima, il che preclude un’effettiva possibilità di sano movimento a soggetti che già godono per una sola ora al giorno della permanenza all’esterno.
Le limitazioni connaturate al regime differenziato necessitano di spazi che renda-no possibile il conseguimento di tali finalità, ma la Casa circondariale di L’Aquila non è idonea allo scopo, essendo al suo interno comprese sezioni destinate ad accogliere un numero di detenuti ben superiore a quello dei singoli gruppi di socialità: si verifica di frequente, perciò, l’allocazione di diversi gruppi all’interno dello stesso ambiente, anche per i ristretti che non dovrebbero avere tra loro contatti. La promiscuità di gruppi di socialità che dovrebbero essere tra loro
“impermeabili” rischia di vanificare le finalità del regime carcerario ed è occa-sione di gravi tensioni tra i detenuti, destinatari di numerose contestazioni di-sciplinari (“inosservanza di ordini o di prescrizioni”, art. 77, co. 1, n. 16 D.P.R.
230/2000 relative a interlocuzioni tra soggetti appartenenti a gruppi di socialità differenti) cui, di norma, segue il reclamo al Magistrato di sorveglianza (ben 202 nell’anno in oggetto), con grave dispendio di energie.
Il dirigente del Tribunale di Sorveglianza segnala, inoltre, la pessima gestione del servizio cucina, cui sono adibiti detenuti di media sicurezza, per la maggior parte stranieri, del tutto privi di competenze professionali specifiche (eppure in nu-merosi penitenziari italiani sono attivi corsi di addestramento professionale dai cui diplomati sarebbe ragionevole attingere per la bisogna, in modo da garantire un’alimentazione decente ai carcerati in 41 bis, tanto più che agli stessi - diversa-mente da quanto previsto invece per tutte le ulteriori categorie di ristretti - è fatto divieto di cucinare in cella, potendo esclusivamente avvalersi - per un tempo limitato - di fornellini per riscaldare cibi precotti).
Le restrizioni imposte dal regime di vigilanza limitano fortemente la possibili-tà dell’offerta relativa alle attività trattamentali, essendo possibili sono quelle relative ai lavori “domestici”; per quanto attiene all’istruzione, si segnalano 2 iscritti alla ex scuola media presso il CPIA; 5 a varie facoltà universitarie.
Gli internati in Casa di Lavoro in regime ex art. 41 bis O.P. sono 4.
L’applicazione delle restrizioni tipiche del regime differenziato di trattamento agli internati costituisce una criticità che pone seri interrogativi sulla legittimità della normativa, sembrando che il legislatore abbia del tutto omesso di conside-rare la diversa natura e la diversa funzione della detenzione in funzione di espia-zione della pena rispetto a quella correlata all’esecuespia-zione di misura di sicurezza.
Sono, infatti, del tutto carenti gli elementi del trattamento che consentono al Magistrato di sorveglianza di esprimere un compiuto giudizio in merito all’ade-sione dell’internato all’opera rieducativa; il che rileva ai fini della valutazione della
cessazione della pericolosità sociale, tanto più importante perché la condizione di restrizione non ha un termine massimo di durata. Ne consegue, spesso, un sostanziale stallo nel giudizio, che preclude di fatto la possibilità di pervenire a conclusioni ragionevoli sulla pericolosità del soggetto, fin tanto che il decreto applicativo del regime speciale non sia revocato ovvero annullato in sede giuri-sdizionale. È certo, comunque, che, l’amministrazione è inadempiente al dettato normativo, mancando di predisporre le condizioni perché agli internati sia pos-sibile accedere ad opportunità di trattamento coerenti con la natura della Casa di Lavoro e cioè, com’è ovvio, ad attività lavorative non effimere come quelle domestiche, le uniche attualmente previste.
5.1.3 La Casa circondariale di Avezzano è istituto a custodia attenuata, che ospita attualmente n. 47 detenuti “comuni” (di media sicurezza e scarsa pe-ricolosità sociale, in espiazione di pene di norma non superiori a 5 anni), di cui 15 stranieri (12 nord africani, 2 rumeni, 1 albanese ed 1 brasiliano). I detenuti definitivi sono 28.
L’istituto non evidenzia particolari problematiche o criticità, se non la carenza di opportunità di lavoro per i carcerati; l’offerta di istruzione è più ampia e variegata rispetto agli altri istituti, comprendendo percorsi di primo livello, di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana per detenuti stranieri, di inglese modulare.
Il Direttore ha comunicato che le ulteriori attività formative e professionali svol-te negli anni precedenti non sono stasvol-te ulsvol-teriormensvol-te finanziasvol-te, ma, per fortu-na, una rete di volontariato molto organizzata ed attiva costituisce una valida risorsa per il trattamento, facilitando la sperimentazione anche extramuraria dei detenuti.