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L’AMMINISTRAZIONE DEI COMUNI DI CONFINE DURANTE LA GUERRA Allo scoppio della guerra, come già visto nei capitoli precedenti, le aree di confine furono invase

1.3 I rapporti fra la popolazione e l’amministrazione militare

Come già detto in precedenza, dai documenti presenti nell’archivio comunale di Colle non emergono molte informazioni relative all’atteggiamento della popolazione nei confronti

66 Ibidem.

67 ACC, Anni 1897-1918 Pratiche varie, Sottocartella Anno 1917 – Cat.11 Agricoltura e commercio, Comunicazione

del commissario civile di Cortina al comune, 29 aprile 1917.

La domanda per ottenere il permesso di alpeggio doveva indicare la precisa delimitazione dell’area di cui si chiedeva l’uso, la data di inizio e termine dell’alpeggio, il nome e il cognome del richiedente, la sua maternità e paternità, la data e il luogo di nascita.

68 ACC, Anni 1897-1918 Pratiche varie, Sottocartella Anno 1916 – Cat.5 Finanza, Lettera di Ciccolini al commissario

Cirelli in merito al cambio di moneta, 15 dicembre 1916.

69 ACC, Anni 1897-1918 Pratiche varie, Sottocartella Anno 1916 – Cat.8 Leva e truppa, Comunicazioni varie relative

al Bureau Zuricois pour la Recherche des disparus, marzo-aprile 1916.

70 Ibidem.

71 ACC, Anni 1897-1918 Pratiche varie, Sottocartella Anno 1916 – Cat.10 Lavori pubblici, Comunicazione del

91 dell’amministrazione militare italiana che li governava. Inoltre, dai pochi rimasti risultano atteggiamenti opposti; vi sono ad esempio dei fonogrammi, spediti dal commissario Di Stefano (successore di Ciccolini) al comando della 18a Divisione in zona di guerra, ma anche al re e ai

corpi d’armata, in cui si legge che l’intera popolazione di Colle era riconoscente alle forze in campo per averla liberata.

Popolazione redenta Comune S. Lucia, commemorando 2° anniversario sua liberazione esprime sentimenti di alta riconoscenza S.V., eroici reggimenti che l’hanno ricongiunta madre patria72.

Sebbene l’amministrazione italiana avesse cercato di farsi ben volere dalla popolazione locale, dubito che quest’ultima, nel giro di due anni, avesse dimenticato i propri cari al fronte, anni di amministrazione austriaca e forse la fedeltà all’Imperatore. Si può ipotizzare che preferisse fare buon viso a cattivo gioco mentre aspettava il ritorno del proprio esercito e dei propri uomini, anche per evitare guai con le autorità italiane e finire deportata chissà dove in Italia, come le quaranta persone allontanate nel 1915. A confermare questa tesi vi sarebbe un documento, purtroppo per la maggior parte illeggibile, di cui riportiamo la parte iniziale (la più leggibile). In questo brano è espresso il malcontento dell’impiegato comunale, che si lascia sfuggire un commento in presenza del commissario Di Stefano su come si stesse meglio prima, quando ad amministrarli c’erano gli austriaci.

S. Lucia, 11-10- 1917

Per opportuna conoscenza pregiomi riferire alla S.V.

Nel pomeriggio del giorno 9 corr. essendomi recato all’ufficio postale per avere spiegazione circa lo smarrimento di un campione senza valore raccomandato spedito a Milano, nonché di una lettera privata che imbucata il giorno 26, portava il bollo del giorno 28, vi trovai il [parte ill.] postale, Sig. Stettermeier solo, il quale, nel punto di allontanarmi borbottò in modo però che io potessi sentire: «Sotto gli austriaci si era trattati meglio e si era pagati anche meglio».

Lo chiamai in ufficio per avere spiegazione di quelle parole. Lo Stettermeier negava di aver detto nei precisi termini [parte illeggibile] ammetteva di aver detto che gli austriaci trattavano meglio; alla mia osservazione che nel ciò fare lui commetteva un reato, ribatteva che lui aveva piacere di essere internato73.

72 ACC, Anni 1897-1918 Pratiche varie, Sottocartella Anno 1917 – Cat.6 Governo, Fonogramma di Di Stefano al

comando della 18a Divisione, 26 maggio 1917.

73 ACC, Anni 1897-1918 Pratiche varie, Sottocartella Anno 1917 – Cat.10 Lavori pubblici, Bozza di lettera di Di

92

La teoria di uno spirito anti-italiano espresso dalla popolazione di Colle, soprattutto nei primi mesi di occupazione, è stato anche confermato da Dario Fontanive, nel suo volume Marciavano per l’Imperatore. Colle Santa Lucia. Storia di una piccola comunità alpina durante la prima guerra mondiale74. Da varie fonti da lui consultate emergerebbe un sentimento di rifiuto verso l’occupante, espresso anche da azioni di disturbo alle attività belliche italiane, condotte da singoli o da gruppi di persone. Ad esempio, il sergente maggiore Umberto Massimi riportò nel suo diario che il 16 giugno vi era stata un’imboscata alle carovane dei rifornimenti nella zona di Larzonei (fra Colle e Pieve di Livinallongo) in cui perfino la popolazione aveva imbracciato i fucili e sparato sugli italiani75. Fu allora che i soldati capirono che gli abitanti di questi due comuni non avevano mai chiesto che qualcuno arrivasse a liberarli. Il commento di Massimi all’imboscata non si fece attendere: «E questi sono i paesi irredenti che aspettavano con ansia i fratelli liberatori!!! E sono tutti così in queste regioni!»76. In effetti, anche nelle pagine seguenti del suo diario, l’opinione che

si era fatto delle popolazioni locali non cambiò. Il 20 giugno chiese ad esempio il permesso di accompagnare un suo superiore a Belluno, perché viaggiare da soli nelle terre redente era ritenuto pericoloso77.

I quaranta internati in Italia, secondo Fontanive, sarebbero a loro volta un sintomo del timore delle autorità italiane che fra la popolazione civile potessero nascondersi spie o collaborazionisti. Questi timori potrebbero essere poi una diretta conseguenza della fredda accoglienza ricevuta da parte dei collesi al loro arrivo e quindi del dubbio di una possibile ostilità della popolazione stessa nei confronti dei soldati italiani. La maggior parte degli internati erano uomini, ma vi furono anche delle donne, come Filomena Agostini, originaria di Colle, ma sposata a Pocol (Cortina d’Ampezzo)78. Il marito combatteva fra le file austriache e sebbene la donna non potesse muoversi

a causa di un problema di varici alle gambe, il Comando di Piazza di Cortina aveva comunque consigliato di tenerla sotto controllo, perché non sembrava molto ben disposta nei confronti delle truppe italiane. Quando fu guarita, anche se non costituiva apparentemente una grossa minaccia, le autorità italiane decisero che era meglio internarla, sospettavano che sarebbe potuta diventare una spia per il nemico79. Bastava infatti solo un dubbio per far internare una persona in Italia.

74 Dario Fontanive, Marciavano per l’Imperatore. Colle Santa Lucia. Storia di una piccola comunità alpina durante la prima guerra mondiale, Pro Loco Colle Santa Lucia, San Vito di Cadore-Belluno, 2001.

Una fonte importante per ricostruire lo stato d’animo della popolazione verso l’occupante sarebbe la documentazione giudiziaria, che però non mi è stato possibile reperire.

75 Ivi, p. 57. 76 Ibidem. 77 Ivi, p. 58. 78 Ivi, p. 75. 79 Ibidem.

93 I timori per l’avversione della popolazione alla causa italiana furono espressi chiaramente anche dal comandante del corpo d’armata, che, quando gli abitanti di Pian protestarono perché costretti a percorrere solo la via sorvegliata per recarsi a Villagrande e a presentare i documenti ogni qualvolta fossero chiesti, egli rispose che dovevano ricordarsi che tutti gli abitanti di Colle erano ritenuti sospetti per il loro attaccamento al cessato governo austriaco e che dovevano essere accuratamente sorvegliati per evitare il ripetersi di atti ostili80. Sembra poi che il clima di anti

italianità si diffondesse ancor più quando giungeva la notizia dei decessi di collesi sul fronte italiano81. Inoltre, la rimozione del parroco, don Francesco Declara, aumentò ulteriormente la tensione fra popolazione e autorità militari italiane.

Vi furono comunque anche dei rapporti amichevoli, come quando Luigi Manucci, ufficiale dell’esercito italiano originario di Roma, e Maria Caterina Colcuc, di Colle Santa Lucia, si innamorarono. I due giovani si sposarono il 17 luglio 1917, sebbene il padre di Maria, Pierantonio, fosse contrario alla relazione. In guerra era già morto il figlio Giacomo, diciassettenne arruolatosi negli Standschützen, Luigi in quanto uomo non gli aveva fatto nulla di male, ma Luigi in quanto soldato italiano era una delle cause della perdita di suo figlio, per questo si oppose all’amore dei due giovani82. Da questi episodi si può dedurre quanto la situazione a Colle fosse complessa e di difficile gestione.

2. Rocca Pietore e Selva di Cadore: l’arrivo delle truppe

La situazione per i due comuni italiani era invece diversa, per certi versi meno complessa, avendo loro potuto mantenere le proprie amministrazioni comunali, ma l’arrivo delle truppe perturbò comunque la loro realtà.

Entrambe queste comunità, ancor prima dello scoppio della guerra, iniziarono a vederne le prime avvisaglie soprattutto nella continua richiesta del governo di manutenere e rinnovare le proprie vie di comunicazione.

Nelle aree montane le carreggiate erano spesso costituite da semplici mulattiere e i comuni si resero presto conto che avrebbero dovuto costruire vere e proprie strade per rispondere alle richieste del governo, ma anche ai nuovi bisogni dei comunisti.

Nel maggio del 1914, nel comune di Rocca, si iniziò a costruire la strada che dal capoluogo doveva portare alla frazione di Sottoguda, fino ad allora costituita solo da una mulattiera83. Nello stesso periodo fu anche avviata la costruzione della strada che da Rocca avrebbe dovuto portare a Santa

80 Ivi, p. 81. 81 Ivi, p. 84. 82 Ivi, p. 127.

94 Maria delle Grazie84. Oltre alle strade bisognava anche sistemare i ponti, che avevano bisogno di

manutenzione continua, poiché il legno con cui erano costruiti era sensibile all’umidità e alle intemperie85. Un’altra strada era in costruzione nella zona di Sorarù e Pezzè. Oltre a strade e ponti,

anche gli argini dei fiumi necessitavano di attenzione continua, poiché le piene rischiavano di corrodere la strada, per questo era importante occuparsene costantemente, anche per evitare danni alla carreggiata86. Se dal punto di vista delle vie di comunicazione, l’arrivo delle truppe aveva

costretto il comune a nuovi lavori di manutenzione, in altri casi, come per i lavori al municipio, essi furono bloccati proprio a causa dell’andirivieni di soldati, che durante il conflitto ne utilizzarono alcune stanze87.

Lo stesso fermento nella costruzione e sistemazione delle strade stava avvenendo a Selva, dove le vie di comunicazione, come nei comuni limitrofi, erano in pessimo stato, mancavano infatti i soldi per una manutenzione continua. Il comune si trovò più volte nella condizione di dover vendere titoli di debito pubblico o di contrarre mutui per poter sistemare le proprie vie88.

Più o meno nello stesso periodo iniziarono anche i lavori per la costruzione della strada del Passo Staulanza, che avrebbe collegato Selva a Zoldo Alto, e si iniziò a discutere di una strada verso Colle, nella zona vi era però un forte pericolo di caduta frane, la posizione della strada andava dunque valutata attentamente da esperti89. Tale via sarebbe servita per la realizzazione di un progetto della Direzione delle Poste e dei Telegrafi, che ambiva a creare un servizio di posta fra Colle e Selva, impiegando due “pedoni”90, che si sarebbero scambiati la corrispondenza sul

confine, ma l’amministrazione delle Poste Austriache si rifiutò di concorrere alla spesa poiché contraria al progetto91. Sembra dunque che già nel 1912 non vi fosse un grande desiderio di

collaborazione fra i due Paesi, ma le vere prime avvisaglie di un possibile scontro si hanno però solo nell’aprile del 1914, quando con una circolare il Ministero della Guerra comunicò al comune

84 Ibidem. 85 Ibidem.

86 ACR, Deliberazioni della Giunta dall’ottobre 1913 al 30 marzo 1917, Delibera del marzo 1914.

87 ACR, Deliberazioni della Giunta dall’ottobre 1913 al 30 marzo 1917, Delibera del dicembre 1915 in merito al

preventivo del 1916.

88 ACSC, Anno 1912, Cat.10 – Lavori pubblici, Comunicazioni varie relative alla manutenzione delle strade.

L’amministrazione comunale non era però autorizzata a scegliere da sola il mezzo di finanziamento dei lavori pubblici, doveva infatti avere l’approvazione della Giunta provinciale amministrativa di Belluno, che preferiva che il comune contraesse dei mutui, piuttosto che vendere titoli del debito pubblico, poiché tale azione poteva intaccare la bilancia economica.

89 ACSC, Anno 1912, Cat.10 – Lavori pubblici, Corrispondenza relativa alla costruzione di una strada fra Selva e

Colle, 2 gennaio 1912.

90 www.storiapostalemagazine.it/numero10/Veneto%20espresso.htm

Per pedoni intendiamo gli addetti al servizio di pedoneria, a cui si faceva ricorso nelle aree in cui non erano presenti degli uffici postali. Era un servizio tipico della posta austriaca all’inizio del secolo scorso, che consisteva nel ritiro e nella consegna della posta a domicilio.

91 ACSC, Anno 1912, Cat.10 – Lavori pubblici, Corrispondenza fra il comune e la direzione delle poste e dei telegrafi,

95 di voler costruire nuove strade nei territori montani di confine. Nello stesso documento le zone dolomitiche furono definite come «zone d’importanza militare». Qualcosa si stava muovendo92.

Oltre a questo, nell’inverno del 1914/1915, la Sottoprefettura di Pieve di Cadore chiese al comune di tenere le strade sempre sgombere dalla neve, indicando ciò come fondamentale per la difesa del Paese.

La superiore Autorità Militare ha avvisato la necessità, data l’attuale situazione politica, che durante l’entrante stagione invernale, e nell’eventualità di possibili operazioni militari vengano, in quanto sia possibile, mantenute sgombere dalla neve le principali vie di comunicazione dalla regione di frontiera93.

Questo fervore nella costruzione e manutenzione delle strade non fu solo la risposta ad una necessità dei comunisti o politica, fu anche un modo per creare nuovi posti di lavoro quando le frontiere con l’Austria e la Germania furono chiuse e la provincia di Belluno dovette trovare una soluzione ad una terribile ondate di disoccupazione94. Che questo problema fosse grave in tutta la

provincia, anche a causa dei rientri forzati dei migranti, lo leggiamo chiaramente in alcuni documenti del 1914. Le persone che furono costrette a rientrare a Selva dagli Imperi centrali furono 32. Trentadue persone che dovevano però occuparsi anche delle loro famiglie, per un totale di 55 persone private delle proprie entrate95. Questa cifra è comunque molto bassa rispetto ai 25.000

rimasti senza lavoro in tutta la provincia di Belluno. L’amministrazione provinciale si trovò in seria difficoltà, doveva trovare un lavoro a tutti questi migranti e per risolvere il problema decise di creare un comitato che si occupasse del loro reinserimento nella società bellunese96. I disoccupati non chiedevano sussidi, poiché sapevano che i sussidi non sarebbero mai bastati a sfamare le loro famiglie, volevano impieghi, così da poter essere autonomi. Alla fine, la Camera dei Deputati si vide costretta ad intervenire, concedendo prestiti ai comuni per soccorrere i disoccupati e per avviare lavori pubblici, in modo da aumentare la richiesta di manodopera97. Il fatto che a Selva la cifra di emigrati costretti a rientrare fosse così bassa è dovuto al fatto che molti migravano in Paesi transoceanici e in questo caso non furono costretti a rientrare, almeno inizialmente.

92 ACSC, Anno 1914, Cat.10 – Lavori pubblici, Circolare del Ministero della Guerra, 25 aprile 1914.

93 ACSC, Anno 1915, Cat.10 – Lavori pubblici, Missiva della Sottoprefettura di Pieve di Cadore al comune, 8

novembre 1914.

94 ACSC, Anno 1915, Sottocartella Cat.10 – Lavori pubblici, Comunicazioni del governo al comune, primavera 1915. 95 ACSC, Pratiche varie dal 1904 al 1920, Corrispondenza fra il comune e il comitato provinciale neocostituito in

merito alla disoccupazione a Selva, settembre 1914.

96 Ibidem.

96 A Rocca la situazione non era molto diversa. Vi erano 950 disoccupati per i quali il comune doveva creare dei posti di lavoro, anche per questo decise di chiedere un prestito di 50.000 L per la costruzione e sistemazione di opere pubbliche, così da aumentare la propria richiesta di manodopera98. In effetti, il comune non aveva fondi per poterli aiutare direttamente, così l’unica

soluzione valida fu quella di avviare nuovi lavori pubblici, chiedendo un prestito alla commissione provinciale. Delle 50.000 L richieste, 10.000 sarebbero state però destinate agli inabili al lavoro99.

Solo a maggio del 1915 si ebbe la certezza che una guerra sarebbe scoppiata anche fra Italia e Austria-Ungheria. Le prime truppe raggiunsero Selva e Rocca verso la fine del mese e i comunisti capirono finalmente che il timore di uno scontro armato sulle loro montagne era divenuto realtà. I primi segni della presenza delle truppe a Rocca si hanno in una delibera del 23 maggio 1915. Un incendio era scoppiato a Caracoi e uno degli abitanti, Pietro Pezzè, sebbene la sua casa fosse in fiamme, era rientrato ed era salito al secondo piano per recuperare alcuni dei suoi averi a lui più cari. Il fuoco però aveva avvolto nel frattempo l’intero edificio e l’uomo non riusciva più ad uscire. In quel momento sopraggiunsero alcuni soldati del 7° Alpini e uno di loro, Angelo Schiocchetti, si fece portare una scala, la risalì fino al secondo piano, entrò dalla finestra e salvò l’uomo, portandolo fuori appena in tempo; dopo pochi minuti la casa fu inghiottita dalle fiamme e crollò. I soldati aiutarono poi la popolazione a spegnere l’incendio100.

A Selva, il primo incontro fra la truppa e la popolazione non fu invece altrettanto positivo. Le autorità militari italiane allontanarono fin da subito il parroco di Selva don Luigi Fiori e quello di Pescul don Giovanni Juris. La vicenda è molto curiosa, perché i due parroci erano italiani e non avevano mai dimostrato sentimenti filoaustriaci, il loro allontanamento risulta dunque sospetto101.

Don Fiori aveva sempre goduto della piena stima e dell’affetto della popolazione, poiché si era sempre occupato con dedizione delle anime della sua parrocchia102. Lo stesso valeva per don Juris,

un sacerdote dotto, zelante e studioso103. Quando la guerra scoppiò, l’intera Val Fiorentina fu

invasa dalle truppe, che si accamparono nei terreni intorno ai villaggi e gli ufficiali andarono ad occupare svariati edifici, fra cui anche la canonica. Dopo nemmeno tre settimane dal loro arrivo,

98 ACR, Deliberazioni della Giunta dall’ottobre 1913 al 30 marzo 1917, Delibera del marzo 1915.

Di questi 950 non è detto che tutti fossero migranti costretti a rientrare dagli Imperi centrali, ma sicuramente alcuni di loro lo erano. Purtroppo non ho trovato alcun documento in archivio che facesse la distinzione fra disoccupati perché costretti a rientrare dagli Imperi Centrali o che si videro negata la possibilità di emigrare nuovamente a causa della chiusura dei confini e disoccupati, che erano sempre rimasti in loco.

99 Ibidem.

100 ACR, Deliberazioni della Giunta dall’ottobre 1913 al 30 marzo 1917, Delibera del maggio 1915.

La giunta comunale, venuta a conoscenza dell’azione eroica compiuta, propose una ricompensa al valore civile per il soldato Schiocchetti che si era gettato con coraggio fra le fiamme.

101 Don Paolino Rossini, 1915: i parroci a Selva furono arrestati, in «Val Fiorentina. Bollettino Parrocchiale di San

Lorenzo e Santa Fosca – Selva di Cadore», Anno LXXVI, n°1, p. 11.

102 Ibidem. 103 Ibidem.

97 le autorità militari fecero arrestare entrambi i parroci con l’accusa di spionaggio104. Che tale accusa

fosse vera o meno, gli abitanti si trovarono privati fin da subito di entrambe le loro guide spirituali, fatto che li portò ad essere ancor più frastornati dagli avvenimenti che stavano accadendo loro. Stupisce che i due parroci fossero stati allontanati ancor prima di don Francesco Declara, parroco di Colle e di origini austriache.

Gli abitanti di Pescul scrissero immediatamente al vicario del vescovo per informarlo dell’accaduto, esprimendo tutta la loro costernazione per la sventura che li aveva colpiti105. Una

lettera in cui era narrato lo stesso fatto arrivò al vicario dal cappellano militare presente in loco. Nella stessa, il cappellano sottolineava la necessità di porre rimedio immediatamente all’accaduto, poiché non faceva buona impressione sulla popolazione che i parroci fossero stati allontanati dalle truppe in maniera così sbrigativa e con poche spiegazioni.

Molto Reverendo Vicario, scrivo in fretta queste due righe. Come credo già saprà, sono stati arrestati i parroci di Selva e Pescul come sospetti di spionaggio. A me non consta su quale fondamento si fondi l’accusa. Ad ogni modo urge provvedere allo scopo di togliere la triste impressione prodotta… Suo dev.mo Settimio Pambianco Cappellano Militare106.

Entrambi furono incarcerati a Belluno ed entrambi provarono la loro innocenza, ma nessuno dei due fece ritorno in parrocchia. Don Fiori fu chiamato alle armi nel 1916, mentre don Juris passò gli anni della guerra a Frassené, pur restando titolare della parrocchia di Pescul107. Sembrerebbe dunque che l’accusa di spionaggio fosse solo una scusa per allontanarli dal paese e probabilmente per far nominare un parroco più influenzabile dalle autorità militari. La vicenda però non finì lì, i giornali diedero ampio spazio alla notizia fra le loro pagine, dando per vere delle mere ipotesi e