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L’ANNO DELL’OCCUPAZIONE AUSTRO-UNGARICA 1 La ritirata italiana dopo Caporetto

4. La ritirata austro-ungarica

Dopo un anno di occupazione, il 4 novembre 1918 la guerra finì. L’offensiva di Vittorio Veneto fu uno dei momenti più importanti della prima guerra mondiale sul fronte meridionale, come lo era stata la disfatta di Caporetto dell’anno precedente. Vittorio Emanuele Orlando, a capo del governo italiano in quel momento, non voleva terminare la guerra con le forze nemiche ancora in territorio italiano, così costrinse il generale Diaz a preparare un’offensiva sul Piave140. Il forzamento della linea da parte delle divisioni inglesi e dei pontieri italiani fu solo il primo passo. Le unità austriache, che avrebbero dovuto contenere l’avanzata, intervennero solo in parte, poiché in alcuni casi si rifiutarono di obbedire agli ordini dei loro comandanti141. Anche l’aviazione ebbe

135 ACR, Cat 8 1915-1918 Classe 2 Fascicolo 9 Danni di guerra subiti dal comune, Lettera di Lazzaro Dell’Antone

a Manacrolla, 16 luglio 1918.

136 ACR, Cat.8 – Carteggio extraterritoriale durante l’anno d’invasione. Novembre 1917 – novembre 1918, Carteggio

fra il sindaco e i soldati al fronte, 1918.

137 Ibidem.

138 ACR, Cat 8 1915-1918 Classe 2 Fascicolo 9 Danni di guerra subiti dal comune, Lettera di Lazzaro Dell’Antone

a Manacrolla, 16 luglio 1918.

139 Ibidem.

L’unico modo che i rifugiati in Italia ebbero per comunicare con le famiglie rimaste nell’area occupata dalle truppe austriache fu quello di spedire lettere e cartoline tramite la Croce Rossa e attraverso la Svizzera neutrale.

140 Paolo Pozzato, Battaglie di logoramento e spallate, in «Dizionario storico della prima guerra mondiale» a cura di

Nicola Labanca, Editori Laterza, Bari, 2014, p. 111.

Per approfondire ulteriormente il tema della battaglia finale di Vittorio Veneto: Joseph August, La vittoria italiana

del Piave nelle memorie dell’Arciduca Giuseppe, Società anonima poligrafica italiana, Roma, 1934; Tibor Balla,

Lorenzo Caleddu, Paolo Pozzato, La battaglia di Vittorio Veneto. Gli aspetti militari, Gaspari, Udine, 2005; Aldo Cabiati, La riscossa. Altipiani-Grappa-Piave, Corbaccio, Milano, 1934.

165 un ruolo importante per migliorare l’efficacia dell’offensiva, tanto che interi corpi austriaci restarono isolati grazie a delle azioni aeree e si ritirarono senza quasi combattere. Alla fine si decise il cessate il fuoco, ma l’Austria lo ordinò un giorno prima del previsto (per l’Italia era fissato per le 16 del 4 novembre), così moltissimi soldati austriaci furono fatti prigionieri nell’ultimo giorno di combattimenti142. Nella sola battaglia di Vittorio Veneto furono catturati dall’esercito italiano

300.000 soldati degli eserciti avversari143. Con la firma dell’armistizio non si fermò però

l’avanzata italiana, l’esercito di Diaz continuò ad occupare i territori che l’Austria avrebbe dovuto cedere con la firma della pace anche nei giorni seguenti il 4 novembre 1918144.

A Rocca, i primi segni della ritirata iniziano ad apparire già il 29 ottobre, quando don Filippo Carli notò che lungo la strada che da Caprile porta a Digonera passarono più di cento autocarri. L’offensiva sul Piave aveva già avuto il suo effetto anche fra le montagne145. Il 30 ottobre

passarono degli interi reggimenti, lo stesso il 31, il 1° novembre un battaglione di bosniaci ottenne il permesso dagli ufficiali di saccheggiare il paese.

Tutta la notte è un viavai di bande armate che mettono sottosopra le case, rubando viveri, biancheria, vestiti, denaro e oggetti di valore, minacciando la vita degli abitanti. Parte del bestiame viene ucciso da quella gente selvaggia e feroce e parte fu salvato dai paesani sulle montagne di Sorasass Negher e di Soffedera146.

2 id. [Novembre]

In questi paraggi v’è tutto uno scompiglio. Ieri ed oggi ho celebrato la Messa, ma pochissimi vi assistettero. I Bosniaci se ne sono andati, ma giungono da Caprile e Saviner altri predoni e ripetono il saccheggio. La popolazione ha messo in salvo ben poche cose. Molte persone rimasero solo col vestito che indossavano; molte famiglie senza farina e condimento. Alla sera anche il parroco sottoscritto è costretto a fuggire dalla canonica a fucilate e a rifugiarsi a Palue, lasciando la casa in balia dei soldati austriaci147.

3 Novembre _ Domenica

142 Ibidem.

143 Luca Gorgolini, I prigionieri di guerra, in «Dizionario storico della prima guerra mondiale» a cura di Nicola

Labanca, Editori Laterza, Bari, 2014, p. 152.

Per approfondire il tema dei prigionieri di guerra si consiglia la consultazione dei testi di Luca Gorgolini, I dannati

dell’Asinara. L’odissea dei prigionieri austro-ungarici nella Prima guerra mondiale, Utet, Torino, 2011; Camillo

Pavan, I prigionieri italiani dopo Caporetto, Camillo Pavan, Treviso, 2001; Paolo Pozzato, Prigionieri italiani, in «Gli italiani in guerra. Conflitti, identità, memorie, dal Risorgimento ai giorni nostri», Vol. III, «La Grande Guerra: dall’intervento alla “vittoria mutilata”», Utet, Torino, 2008, pp.245-252; Giovanna Procacci, Soldati e prigionieri

italiani nella Grande guerra. Con una raccolta di lettere inedite, Bollati Boringhieri, Torino, 2000; Alessandro

Tortato, La prigionia di guerra in Italia 1915-1919, Mursia, Milano, 2004.

144 Daniele Ceschin, Italia occupante Italia occupata, in «Dizionario storico della prima guerra mondiale» a cura di

Nicola Labanca, Editori Laterza, Bari, 2014, p. 51.

145 APR, Registro dei decessi, Appunti del 29 ottobre 1918.

146 APR, Registro dei decessi, Appunti di don Filippo Carli, 1° novembre 1918. 147 APR, Registro dei decessi, Appunti di don Filippo Carli, 2 novembre 1918.

166

Oggi, tornato a Rocca non o potuto nemmeno celebrare la Messa, né fare alcuna funsione in causa del disordine che vi regnava. Il saccheggio continua, metodico, desolante. Quasi tutta la popolazione di Rocca e Col fugge a Soffedera e sulle montagne circostanti. Alla sera v’è saccheggio a Palue e a Pian148.

4 id.

Saccheggio. Perché le case sono ormai nel massimo disordine e spogliate, i barbari assalgono le persone con la rivoltella in pugno e col fucile, minacciando e chiedendo denaro. Alcune persone dovettero consegnare notevoli valori149.

5 id. I paesi maggiormente saccheggiati sono Rocca – Troi – Col – Sorarù – Pezzè e Saviner. Soffersero qualche danno anche Palue, Pian, Costa e Caracoi. Furono risparmiati felicemente Sottoguda e Soffedera. I soldati saccheggiatori furono Bosniaci, Ungheresi, Tirolesi ed anche di quelli di Livinallongo, di Rucavà e d’Ampezzo. Questa sera arrivano qui duemila bosniaci e vi pernottano. Sono più disciplinati degli altri, tuttavia mettono il colmo al disordine e alla desolazione prodotti dai primi. Il paese e le case sono ridotti ad uno schifoso mondezzaio150.

6 id.

Di buon mattino il reggimento di Bosniaci parte per Digonera – Bruneck. Sulla strada Caprile – Digonera passano le ultime bande disordinate e si aspettano con ansia i nostri militari italiani. I Bersaglieri sono già arrivati a Selva. Veniamo a sapere che le truppe austriache di passaggio per Arabba sfondarono le porte di quella chiesa, fracassarono il Tabernacolo, profanando le sacre Specie, gettandole per terra e bruciandole o calpestandole. A Rocca fortunatamente non riuscirono ad abbattere le porte della Chiesa, benché per tre ore continue abbiano provato di farlo a colpi di palo. I nostri soldati ch’erano prigionieri in Austria ritornano a gruppi. Lungo la via Fedaia-Sottoguda- Rocca ne sono passati oggi trecento circa. A sera i primi bersaglieri nostri giungono a Caprile e poi ritornano in Selva.

Finalmente siamo liberati e il tricolore italiano sventola di nuovo nei nostri paesi151.

Così si conclude la cronaca della guerra di don Filippo Carli, appuntata nel registro dei decessi di Rocca. Dopo una settimana di enormi sofferenze e di grande paura, finalmente i bersaglieri erano arrivati a liberali dall’invasore e anche i primi prigionieri italiani poterono fare finalmente ritorno a casa. La guerra era finita, ma le sofferenze che aveva portato alla popolazione erano enormi. Fino all’ultimo gli abitanti di questo comune avevano dovuto subire delle violenze e, almeno da quanto leggiamo nella cronaca di don Carli, erano state peggiori in questi ultimi giorni rispetto a quando gli austriaci arrivarono ad invadere il comune.

148 APR, Registro dei decessi, Appunti di don Filippo Carli, 3 novembre 1918. 149 APR, Registro dei decessi, Appunti di don Filippo Carli, 4 novembre 1918. 150 APR, Registro dei decessi, Appunti di don Filippo Carli, 5 novembre 1918. 151 APR, Registro dei decessi, Appunti di don Filippo Carli, 6 novembre 1918.

167 Come apprendiamo da questi scritti, nemmeno Livinallongo del Col di Lana, comune già quasi completamente distrutto dagli scontri che avvennero sul suo territorio, fu risparmiato. Pur essendo un comune austriaco, le truppe non ebbero alcun rispetto per la chiesa di Arabba e devastarono tutto ciò che era rimasto al suo interno e che aveva superato i bombardamenti152.

Per quanto riguarda l’altro comune austriaco preso in esame in questo lavoro, Colle Santa Lucia, anche questo non fu risparmiato. Da un documento emerge però che chi danneggiò l’archivio comunale non furono le truppe austriache in ritirata, bensì quelle italiane. Il 5 novembre 1918, la cancelleria del municipio fu completamente devastata da un reparto di Bersaglieri Ciclisti dell’11° Battaglione con a capo il Capitano Dante Mazzucco. I soldati distrussero la cassaforte a colpi di mazza per poi fare lo stesso con l’intera cancelleria e con i documenti in essa contenuti153.

Selva di Cadore fu invece risparmiata. Durante la ritirata, infatti, passò di qui solo un drappello di soldati bosniaci che rubò delle capre e delle galline dalle stalle, oltre a una mucca, ma che furono obbligati a restituire quando la popolazione adirata si rivoltò contro di loro154. Non vi furono invece atti di violenza, almeno per quanto ne sapeva il sindaco, né durante l’occupazione, né durante la ritirata. Il comando di tappa di Belluno gli aveva infatti scritto perché stava indagando sulle violenze commesse dall’occupante e gli aveva chiesto di inviare un resoconto. Qui sotto riporto la risposta del sindaco alla richiesta di informazioni del comando di tappa.

Nessun atto di violazione contemplato dalla retroscritta nota si può segnalare. È da notare però che qui non si è avuta occupazione militare, solo posto di gendarmeria. Le requisizioni eseguite vennero tutte effettuate per ordinanza e quantunque gravi pure servando una regola legalizzata. Si ebbero qui ruberie di derrate nei campi da parte di Soldati momentaneamente stanziati qui per lavori di fieni ma non violenze o maltrattamenti di persone. Approfittavano dell’oscurità per rifornirsi di viveri di cui erano assolutamente alverde155.

Purtroppo, non sono stati rinvenuti altri documenti a conferma dell’assenza di violenze, potrebbe anche essere che gli atti di questo tipo siano stati mantenuti nascosti per vergogna o per timore, soprattutto per quanto riguarda eventuali stupri, di cui si ha invece notizia nel resto della provincia.

152 Ibidem.

153 ACC, Pratiche diverse. 1897-1918, Sottocartella Pratiche anno 1918 – Conto dall’1-11-1917 al 31-12-1918,

Protocollo di seduta della Consulta Comunale assunta, 12 giugno 1919.

154 ACSC, Anno 1919. Dalla Cat.1 alla Cat.8, Cat.7 – Grazia, giustizia, culto, Informazioni relative alla ritirata,

febbraio 1919.

155 ACSC, Anno 1919. Dalla Cat.9 alla Cat.15, Cat.11 – Agricoltura, industria, commercio, Lettera del sindaco al

Comando di Tappa di Belluno in merito alla richiesta di informazioni relative alle violenze perpetrate dal nemico sulla popolazione nell’anno dell’occupazione, 5 febbraio 1919.

168 Un piccolo accenno vale la pena farlo anche per il comune di Alleghe, poiché per quanto emerge dai documenti consultati è l’unico in cui avvenne un assassinio. Durante il saccheggio della propria casa, Giuseppe Del Negro di Perazza si era opposto ai soldati, ma uno gli aveva sparato in pieno petto e lui era caduto a terra morto sul colpo156.

Le difficoltà e le sofferenze per queste popolazioni montane non erano comunque finite, è vero, il conflitto bellico era terminato, gli uomini sopravvissuti stavano rientrando, ma in queste aree la popolazione dovette rimboccarsi subito le maniche per ricostruire i propri villaggi, le proprie comunità, le proprie famiglie, che la guerra aveva distrutto e frammentato. Molto doveva ancora essere fatto per ricominciare a vivere.

169 CAPITOLO V