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I recinti e la negazione dell’attraversamento

“Atto di architettura per eccel- lenza il recinto è ciò che stabili- sce un rapporto specifico con un luogo specifico ed insieme il principio di insediamento con il quale un gruppo umano propo- ne il proprio rapporto con la natu- ra-cosmo. Ma anche, il recinto è la forma della cosa, il modo con cui essa si presenta al mondo esterno, con cui essa si rivela” (Gregotti).

Il margine come recinto è l’ele- mento fisico che deriva dall’azio- ne del recintare, che comporta la costituzione di uno spazio in- terno separato dal resto col fine di appropriarsi di una parte di territorio. Si costruiscono recinti per indicare una proprietà privata rispetto a un esterno pubblico, quindi per limitare l’accesso e l’attraversamento di un’area e per chiuderla all’ambiente circo- stante. I recinti, nel momento in cui stabiliscono un interno, sono quindi gli elementi materici che impediscono gli accessi: sono sia semplici cartelli di avviso di non attraversamento, sia veri e propri sistemi di chiusura, come muri, reti, palizzate, ecc. “Recin- to”: 1. Spazio scoperto cinto in- torno e racchiuso da muri, siepi, filari di piante, reti metalliche e palizzate, o anche da capan- ne e piccole case; il perimetro stesso formato dagli elementi di recinzione: un recinto di antiche mura circondava la città; un am-

pio fosso gira intorno al recinto; in architettura il termine è spesso riservato a indicare uno spazio ben delimitato, a carattere sacro (come il tèmenos greco) o co- munque finalizzato alla vita reli- giosa (per es., il chiostro). Come sistema che delimita il libero percorrere dell’uomo, il recinto può essere associato sia ai grandi sistemi di limitazione, come la Muraglia cinese, sia a quelli piccoli di divieto di pas- saggio. “Recinto è tutto ciò che costituisce il territorio attraver- so la pura funzione di impedire l’attraversamento. Non neces- sariamente l’attraversamento di un corpo fisico, eventualmente quello dello sguardo, o di una legislazione. Questa definizione (...) è quella che ci permette di assumere sotto un’unica no- zione oggetti apparentemente diversi (...)”(Gregotti). In pratica il recinto è un elemento di defi- nizione di uno spazio chiuso e protetto, che con la sua costru- zione regola le modalità sia di attraversamento dello spazio da parte dell’uomo, sia di accesso allo spazio, con l’apertura ad esempio di determinati passaggi rispetto ad altri. Il recinto nega l’attraversamento, nel momento in cui costituisce un sistema in- terno con proprie ragioni diver- se dall’esterno o costruisce un dialogo complesso tra dentro e fuori, nel momento in cui defini-

sce regole tra lo stare all’interno e il muoversi verso l’esterno. Il recinto, quindi, è emblema sia del controllo sia del passaggio del margine che definisce. “Il recinto circoscrive e regola attra- verso le porte uno spazio aperto che si ritiene in qualche modo privilegiato e diverso da quello che ne è la sua antitesi: il fuori”. (Scolari). Il recinto è anche ciò che delimita un luogo a carattere sacro. Nella religione greca era chiamato tèmenos il recinto de- limitato dal territorio circostante, ritenuto proprietà del dio cui era stato consacrato. Ma il recinto sacro è anche il chiostro, luogo chiuso e appartato, in cui avviene la vita religiosa degli ordini che si dedicano ad essa. L’idea di re- cinto sacro deriva dall’archetipo radiale del cerchio in cui è inscrit- ta la croce: “immagine archetipa e generale dell’organizzazione centrata e radiale, questa figura è quella, tra i geroglifici egiziani, che indica la città. (...) Di fatto è la forma del cosmo e della ter- ra, la loro recinzione ideale. (...) Si prenda Stonehenge, recinto sacro che riproduce l’ordine del cosmo. La sua forma è talmente universale da aver indotto qual- cuno a metterla in relazione con quella della nuova Gerusalemme così come è descritta nell’Apo- calisse di San Giovanni, archi- tettura altrettanto universale se non altro perché progettata da

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Dio. Così si è scoperto che la Nuova Gerusalemme coincide in forme e dimensioni alla qua- dratura del cerchio di Stonehen- ge”.(Gregotti). Secondo questa lettura, il recinto come luogo sacro dato dall’organizzazione del cerchio e della croce, è uno schema immanente, derivante da necessità sociali che è vis- suto a lungo nelle organizzazioni dei villaggi e delle prima città. Nei primi villaggi il recinto circolare e l’organizzazione di uno spazio centrale definiscono un modo di abitare insieme in comunità, dove la composizione secondo uno schema centrato stabilisce distanze eguali tra le singole case, così da essere considerata un esempio di democrazia. “L’e- sempio delle case Tupinambà potrebbe indurre a considerare l’organizzazione centrata come prototipo di una democrazia pri- mitiva o comunque semplice: equidistanza come uguaglianza: tavole rotonde, girotondi, giochi di bambini”. In Camerun i recin- ti-fattoria massa secondo una logica di uguaglianza sociale, nel rispetto della figura del padrone, si configuravano con case poste in circolo sul recinto e seguendo una logica di privilegio gerarchi- co la casa del capo era posta al centro dello spazio. Il recinto, in- teso nel senso sacro, ha un forte legame con l’archetipo radiale. Sebbene abbia perso nel tempo

la configurazione del cerchio e della croce, rimane viva la sua es- senza sacrale quando definisce luoghi al cui interno si abita una realtà altra ed estranea rispetto all’esterno e regolata da codici propri e da una propria spiritua- lità. La sopravvivenza dell’arche- tipo nel suo carattere di sacralità si ha nei luoghi in cui ci si dedica a pratiche rituali non solo religio- se ma anche laiche: sono definiti da nuovi recinti “sacri” i luoghi al cui interno gli oggetti assumono un significato altro da ciò che è all’esterno e sono sottomessi a proprie regole. Di questo tipo si possono considerare i luoghi dello spettacolo, dello sport, di culto, i giardini, ecc.

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Dio. Così si è scoperto che la Nuova Gerusalemme coincide in forme e dimensioni alla qua- dratura del cerchio di Stonehen- ge”.(Gregotti). Secondo questa lettura, il recinto come luogo sacro dato dall’organizzazione del cerchio e della croce, è uno schema immanente, derivante da necessità sociali che è vis- suto a lungo nelle organizzazioni dei villaggi e delle prima città. Nei primi villaggi il recinto circolare e l’organizzazione di uno spazio centrale definiscono un modo di abitare insieme in comunità, dove la composizione secondo uno schema centrato stabilisce distanze eguali tra le singole case, così da essere considerata un esempio di democrazia. “L’e- sempio delle case Tupinambà potrebbe indurre a considerare l’organizzazione centrata come prototipo di una democrazia pri- mitiva o comunque semplice: equidistanza come uguaglianza: tavole rotonde, girotondi, giochi di bambini”. In Camerun i recin- ti-fattoria massa secondo una logica di uguaglianza sociale, nel rispetto della figura del padrone, si configuravano con case poste in circolo sul recinto e seguendo una logica di privilegio gerarchi- co la casa del capo era posta al centro dello spazio. Il recinto, in- teso nel senso sacro, ha un forte legame con l’archetipo radiale. Sebbene abbia perso nel tempo

la configurazione del cerchio e della croce, rimane viva la sua es- senza sacrale quando definisce luoghi al cui interno si abita una realtà altra ed estranea rispetto all’esterno e regolata da codici propri e da una propria spiritua- lità. La sopravvivenza dell’arche- tipo nel suo carattere di sacralità si ha nei luoghi in cui ci si dedica a pratiche rituali non solo religio- se ma anche laiche: sono definiti da nuovi recinti “sacri” i luoghi al cui interno gli oggetti assumono un significato altro da ciò che è all’esterno e sono sottomessi a proprie regole. Di questo tipo si possono considerare i luoghi dello spettacolo, dello sport, di culto, i giardini, ecc.

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