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Il Business nei social media e il microtargeting

Secondo la teoria dell’impatto sociale, ogni grande varietà di cambiamenti degli stati psicologici e delle emozioni soggettive, moventi ed emozioni, valori e credenze che si verificano nell’individuo sono il risultato della reale, implicita o immaginata, azione di altri individui (Latane, 1981). In tal modo si crea un’influenza reciproca che porta alla formazione di gruppi, i cui individui si rifanno spesso a una persona di riferimento all’interno del gruppo stesso, che abbia appunto reazioni simili agli stimoli degli stati psicologici ed emotivi. L’impatto sta quindi nella metabolizzazione e nell’integrazione del pensiero altrui nel proprio alveo personale sia emotivo che razionale. Secondo questa teoria gli altri sono visti come fonte, dal momento in cui i cambiamenti di condizione o di stato si presentano come target. La forza e l’intensità emotiva dell’impatto sociale sono aspetti che definiscono il target in base a fattori di tipo relazionale e di frequenza delle interazioni, di cui l’intensità emotiva stabilizza i fattori legati all’aspetto fisico mentale e all’intensità delle interrelazioni sociali.

65 Se si collegano tali concetti alla teoria dei gruppi all’interno dei social network, si possono vedere tali meccanismi amplificati e le interazioni sociali con il loro impatto sull’individuo scavalcano il concetto di prossimità andando a creare legami di fiducia anche con individui mai visti di persona ma con i quali si possono istaurare legami dialogici sulla base dei contenuti proposti e visualizzati, creando comunque un legame di prossimità e fiducia. Sono importanti a questo punto fattori quali la sensibilità e l’assertività che consentono di identificare le proprie emozioni nella gerarchia di bisogni e di decidere o meno di esprimere la propria opinione.

All’interno del contesto dei social media si abbracciano quindi le sfere sociali, d’intrattenimento, emozionali e lavorative. La socializzazione permessa dai media ha quindi fatto traslare da una conversazione anonima di trasferimento di dati da una parte all’altra a un sistema di engagement reciproco dato dalla reattività e dal dialogo più immediato tra prosumer. L’uso dei social media inoltre ha permesso e influenzato il cambiamento riguardo a chi sia influente sul mercato. Questo a livello prosumeristico permette a chiunque di poter far parte di un gruppo, di inserire le proprie idee sulle varie piattaforme, di connettersi e di creare influenza. Ciò accade sia a livello di utente medio amatoriale che a livello corporate, e sempre di più i due poli si avvicinano secondo schemi dialogici e di interscambio di dati, in quello che sopra è stato definito come traslazione web del paradigma capitalista, in cui tutto si gioca sulle interazioni e sullo scambio di dati per poter conoscere meglio, avvicinarsi o creare un target di persone da bisogni ancora latenti. L’aumento della comunicazione globale al di là della prossimità ha consentito e consente maggiori sfide per i consumatori, il marketing e i brand.

I social media vengono utilizzati dai brand non solo per presentare, sponsorizzare e far conoscere i loro prodotti, ma anche per capire e conoscere meglio i potenziali clienti. Gli small business soprattutto, ma anche le grandi aziende, hanno scoperto nelle piattaforme social una fonte interessante nella quale poter istaurare un legame con il proprio cliente potenziale, avvicinandosi all’utente prosumeristico soprattutto attraverso gli influencer, o comunque delle persone di riferimento, che abbiano interesse a far conoscere i loro prodotti, che li provino, con il rischio che possano anche non consigliarli: e qui ritorna molto chiaro il concetto di democratizzazione orizzontale nei social: per una comunicazione efficace bisogna fidarsi e correre il rischio di perdere un po’ di reputazione. La reputazione per le imprese ad oggi risulta fondamentale, perché con la rete entra in rapporto molto più dialogico con il cliente e da questo ne trae spunto, oltre che proposte e la narrazione dei brand diventa fondamentale.

In tal modo le imprese possono venire a contatto appunto con i web prosumer, e generare insieme a loro, anche e soprattutto analizzando i loro comportamenti web, strategie sviluppo del prodotto e di impresa a livello di comunicazione e marketing. Ciò che le imprese fanno è cogliere dei bisogni non ancora emersi o incontrati, attraverso la collaborazione con il consumatore: il marketing si fa dialogico, l’impresa si racconta in varie sfaccettature, e l’utente a sua volta analizza, apprende e contribuisce, scientemente o meno alle strategie di mercato delle imprese.

66 Le informazioni e i dati che i prosumer lasciano grazie alla loro attività online vengono messi da parte e categorizzati, dandoci di base un ordine. Vengono quindi utilizzati per l’advertising in modo da far ricevere il messaggio molto più facile e veloce, ma soprattutto preciso. Ci sono infatti dei segmenti potenziali di mercato che sono molto difficili da raggiungere, e lo si fa in modo diretto, con la consapevolezza o meno dell’utente. Le informazioni riguardanti il genere, gli interessi, l’educazione, le abitudini, gli amici su Facebook e i follower su Instagram o Twitter, permettono di profilare al meglio l’advertising per ogni singolo individuo o cluster, di modo che questi ultimi non vengano di base bombardati da pubblicità inutili e di scarso interesse. Ciò va ad eliminare l’insoddisfazione e l’irritazione dell’utente che scrolla i suoi feed alla ricerca di stimoli o interessi.

La rete, attraverso i social media, diventa un enorme focus group per le aziende, che tramite l’analisi dei dati e dei comportamenti degli utenti, o semplicemente rifacendosi a persone di riferimento propongono il loro prodotto e la loro storia, muniti anch’essi di un account social a cui fare riferimento se il prodotto, o meglio l’impresa, può suscitare interesse. Ciò non succede solo con le imprese, ma anche con i gli user prosumer, che hanno la possibilità, soprattutto su Instagram di poter sponsorizzare in base ai propri insight i loro contenuti, aspirando a diventare anche essi influencer o a creare una community che possa interagire con le proprie proposte. I brand si concentrano sempre di più sul microtargeting, andando a coinvolgere i cosiddetti micro influencer, ovvero le persone che hanno meno di 100.000 followers del proprio canale social, una

long tail, che si trova al di sotto dei middle e dei macro influencer ( con più di 500.000 followers).

Non risulta quindi più essenziale contattare grandi star e personalità di spicco famose in modo trasversale, i brand vanno a studiare la rete e i suoi network. I micro influencer a livello quantitativo quindi hanno certo meno followers, ma questi ultimi sono più partecipativi, responsabili e reattivi interagendo maggiormente. La piattaforma che più si presta a tale strategia per ora è Instagram, che per la sua architettura consente maggiore spazio per la parte visuale oltre che per raccontarsi attraverso le stories, che possono essere brevi o lunghe ma sono molto semplici da creare, anche con l’utilizzo talvolta di semplici templates. Quando aumentano i follower, inevitabilmente diminuisce il tasso di engagement, perché un influencer dovrà gestire molte più interazioni e sarà meno interattivo con il proprio pubblico, proprio per una questione di numeri.

Il microtargeting si definisce quindi nel momento in cui l’audience non è molto ampio, le interazioni in quantità di individui che partecipano non sono tante ma tra gli individui del target invece sono molte ( Kerpen, 2011). Inoltre grazie all’online i brand possono avere accesso dati reali delle attività prosumeristiche, potendo così creare delle categorizzazioni molto più precise rispetto alle classiche stime di mercato. I brand a questo punto possono disporre di un numero maggiore di influencer, poiché il costo di ingaggio di un gruppo di questi è decisamente inferiore a quello di ingaggiare una celebrità, molto spesso disinteressata anch’essa ai micro movimenti del

67 mercato, ma che punta maggiormente alle grandi aziende e viceversa essendo i budget in gioco decisamente più elevati.

Ovviamente gli influencer devono essere interessati, se comunicano efficacemente e onestamente con le loro community ai prodotti che un brand vuole sponsorizzare: si crea quindi un sorta di sistema B2B traslato nel web, tra azienda e influencer, il quale si suppone conosca bene la propria base di follower. Lo sponsorship, il marketing online e l’engagement hanno traslato l’attenzione cognitiva verso un punto di vista economico e commerciale, trasformando la partecipazione e l’attenzione legate al reach in valore commerciale.

Quindi l’azienda riesce a raggiungere una base meglio targettizzata poiché l’influencer funge da filtro con la propria stessa base di persone che lo seguono, e lo seguono per interesse riguardo alla sua persona e a ciò che propone nel proprio canale. I brand dall’altra parte si devono assumere il rischio che alla persona che hanno scelto come riferimento il prodotto può anche lasciare insoddisfazione, non ottenendo quindi il risultato sperato. E ovviamente questo viene amplificato grazie al seguito di prosumer.

In tal modo però le aziende riuscendo ad avvicinarsi in maniera più dialogica al pubblico, devono incrementare la propria responsabilità sociale e inoltre garantire la qualità del prodotto, poiché i follower attenti e reattivi ai quali si propongono ne fanno molta attenzione, proprio per i concetti di prossimità e vicinanza che caratterizzano i gruppi.

Se si prendono ad esempio i prodotti culturali, il linguaggio del marketing e della comunicazione in senso di dare valore commerciale ai prodotti, innesca processi di suscitazione di interesse che non sono riconducibili ad una ricerca personale, ma piuttosto, e spesso in modo negativo a target, sia che si parli di editoria ad esempio, che di musei. Con la traslazione del capitalismo digitale, stanno cambiando i termini e i codici comunicativi. Il modo più corretto di agire a livello comunicativo, per coinvolgere le persone è colpire il loro lato emotivo e sentire senso di inclusione e umanità, poiché molto spesso la comunicazione a mero fine commerciale, senza alcuna storia alle spalle, che sia per raccontare un prodotto o un movimento, rimane sterile e priva si senso: a quel punto il prosumer distoglierà l’attenzione inevitabilmente dal fenomeno. L’importante è sempre lasciare spazio all’immaginario collettivo e alla libera iniziativa del singolo, che tramite il gruppo può e deve potersi continuare ad esprimere liberamente, con dovuti correttivi derivanti da un’educazione al mezzo esperita attraverso l’uso stesso del medium. Ecco che in tale contesto emerge l’importanza della reattività e dei micro gruppi web, data la possibilità di esprimersi, il pubblico non sarà solo tale, ma essendo partecipativo sarà parte attiva del movimento, implementando conoscenza, condivisione e reazioni, creando quindi discussione.

Ciò che è importante è il raggiungimento e il coinvolgimento delle persone, o meglio che esse vengano coinvolte e raggiungano da sole ciò che gli interessa attraverso anche stimoli esterni, non per forza dettati da un audience engagment sobillante e insistente (si vedano ad esempio i contenuti sponsorizzati su Instagram, a proposito della profilazione tramite big data).

68 Il meccanismo della microtargetizzazione, inoltre può suscitare delle perplessità per quanto riguarda la privacy degli utenti e la loro intenzione dell’uso del media. Una preoccupazione importante può essere quella che il microtargeting, tramite l’uso dei dati personali degli utenti e delle loro attività networked possa condurre alla manipolazione e all’uso non corretto dei dati confidenziali delle persone. Questo rischio in principio non è molto facile da comprendere e da capire, se sussista oppure no, poiché le persone volontariamente (e spesso gratuitamente) scelgono di loro spontanea volontà cosa, come e quanto mostrare di loro stessi nei social network.