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Il tempo “libero” e la co-creazione

Nel momento in cui si sviluppano grandi capitali, il rapporto tra tempo dedicato al lavoro e alle attività di produzione ma va a dipendere di più da quello che è il progresso dello Stato della Tecnica e dalla sua evoluzione e quindi della tecnologia che viene messa in atto in quel momento storico. Primariamente quindi va considerato il mezzo della tecnica, poi l’uso che si fa di esso. In questo contesto Marx, già verso la fine del IX secolo introduce il cosiddetto concetto di general

intellect, ovvero del sapere sociale, costituente del progresso tecnologico e dell’automazione.

“…. nella misura in cui si sviluppa la grande industria, la creazione della ricchezza reale viene a dipendere meno dal tempo di lavoro e dalla quantità di lavoro impiegato che dalla potenza degli agenti messi in moto durante il tempo di lavoro, la quale a sua volta - questa loro poderosa efficacia – non sta in alcun rapporto con il tempo di lavoro immediato che costa loro la produzione, ma dipende piuttosto dallo stato generale della scienza e dal progresso della tecnologia, o dall’applicazione di questa scienza alla produzione.”15 Le macchine sono organi di “intelligenza umana” (Marx, 1864-65), prodotte dall’uomo e dal suo intelletto. Il movente della produzione e del progresso è l’uomo stesso, che in un processo evolutivo della tecnica perfeziona il suo stato e aumenta l’automazione e l’interconnessione tra individui. Il sapere sociale è sempre esistito, non è mai scisso dall’individuo. Si può manifestare tramite il progresso e il rapporto tra lavoro, produzione e consumo e attraverso la circolazione e la produzione di informazioni, di cooperazione e di dialogo. Il concetto si può quindi estendere al tempo attuale alla co-produzione e alla condivisione in gruppi massicci e sterminati, data la grande disponibilità di dati ai quali si ha accesso ogni giorno, volente o nolente.

Il pensiero marxista del celebre frammento sulle macchine, non può non essere di sconvolgente attualità, in un paradigma socio-economico di stampo prettamente capitalista.

Con il progresso tecnologico aumenta inoltre il tempo libero, che una volta veniva riempito con l’intrattenimento dato dalla televisione, canale monodirezionale di informazione. Guardare la televisione era quasi un dovere da assolvere, e la dose di tempo spesa nel guardarla incideva molto sull’individuo e sulla sua cultura.

“La televisione è un medium di massa, e un medium di massa non può che mercificarci e alienarci. […] inoltre di fronte all’ingenuità e alla sprovvedutezza di certi ascoltatori, io stesso non vorrei dire certe cose e quindi mi autocensuro. Ma a parte questo, che non è tanto questo, la televisione è un medium di massa in sé: dal momento che qualcuno ci ascolta nel video, ha un rapporto tra inferiore e superiore. […] alcuni spettatori

35 che culturalmente, per privilegio sociale, prendono queste parole e se le… ma in genere è proprio dal video che le parole cadono sempre dall’alto, anche le più democratiche, le più vere, le più sincere. […] Parlavo della televisione in sé, come medium di massa, come mezzo della circolazione di massa. Quindi mettiamo che ci sia tra noi qui un’analfabeta, che viene intervistato. Si trasmette sempre un’aria autoritaria come da una cattedra. Parlare dal video è sempre parlare ex catedra, anche quando questo è mascherato da democraticità eccetera eccetera.”16

In queste parole, Pasolini può sembrare affine nel pensiero a un concetto di cultura elitaria, dove la massa è spettatore inerme di fronte a ciò che vede nel teleschermo. Ma ciò che vuole sottolineare con le sue parole è il ruolo mistificatore della televisione come medium di massa, che non permette un dialogo inter-partes, ma solo univoco. Quindi un individuo di qualsiasi estrazione sociale può estrapolare dal contenuto che vede qualsiasi interpretazione possibile rispetto a ciò che viene “emanato” dal tubo catodico. Ciò che secondo il pensatore manca è il dialogo e il rapporto umano con le diversità e le peculiarità, che vanno a scomparire dietro al concetto di omologazione. La tv è andata man mano a sostituire altre attività, soprattutto sociali, oltre che intellettive.

Si va a ridurre il contatto umano creandosi un surrogato sociale. Una persona si sente confortata e conforme a ciò che guarda se il programma in questione è affine, sentendosi così meno sola. Il meccanismo della televisione andava a creare una sostituzione nell’investimento del tempo: si sovrainveste nel consumo a discapito delle attività sociali e relazionali.

Con l’avvento di Internet e successivamente del social media, l’individuo, anche come cittadino si trova a disposizione una quantità di informazioni maggiore da cui attingere e da selezionare. Non che il fenomeno del watching alone sia scomparso, ma vi è una possibilità di confronto reciproco ed esprimibile. Ecco, ciò che è importante a questo punto è ribadire che non si deve tanto guardare al mezzo, ma ciò che la tecnologia permette di fare con un determinato mezzo e come questo viene utilizzato. Con i “nuovi media” non c’è più la stessa correlazione con la passività che c’era quando l’unica fonte informativa era la televisione (o la radio), ma c’è la possibilità di co-creazione e di impegno reciproco per innescare processi creativi. Gli individui, da solo consumatori passivi si sono ritrovati ad essere anche produttori. Ogni giorno infatti milioni di utenti creano contenuti, che vengono visualizzati, condivisi, interpolati, estrapolati, rielaborati da altrettanti milioni di altri utenti, creando un circolo di dati di una quantità notevole.

La connessione reciproca permette di svolgere più attività contemporaneamente, si creano nuove interfacce per comunicare i prodotti, che vengono sempre più associati a un’idea, o a una persona che diventa “referente”, “ambasciatore”, di quell’idea o di quel prodotto, che ne parla cercando confronto. Si può mettere nella propria wishlist un libro mentre si parla dello stesso con una persona che si incontra fisicamente o sul web. Si può comperare una crema che viene utilizzata da

36 persone entusiaste che si seguono tramite il proprio account social, che ne parlano attraverso i propri canali di comunicazione. Si possono condividere conoscenze e scambiarsi informazioni di ogni tipo e interesse, fino alla creazione anche di grandi gruppi organizzati in rete, che fungono da supporto, da ascolto, ma anche da piattaforme di pianificazioni di manifestazioni sociali. Si crea così un surplus cognitivo (Shirky, 2012) attraverso un meccanismo di pensiero cumulativo. Si innesca la manifestazione di una cultura partecipativa che secondo gli interessi liberi di ogni individuo porta a un’atomizzazione della vita sociale tramite la creazione di community sempre più specifiche e tematiche. Harry Jenkins17 sostiene che sempre più istituzioni, associazioni e

business abbiano adottato una retorica della partecipazione, che porti valore reciproco tra destinatario e ricevente, con un uso del mezzo che permetta l’espressione del sé in senso di dialogo

inter partes. Ciò porta al fatto che ognuno di noi possa assumere delle decisioni, anche collettive,

avendo la possibilità di esprimersi attraverso una molteplicità incredibile di veicoli che permettono di utilizzare differenti pratiche per dare forma al pensiero. I media networked permettono di condividere e produrre molti contenuti culturali e, come Jenkins stesso dice, si creano dei circoli di condivisione che portano alla partecipazione degli individui rispetto a contenuti soggettivamente rilevanti e di interesse.

Si possono così innescare grandi cambiamenti sociali partendo dall’essere sé stessi, senza particolari modifiche nel proprio comportamento o atteggiamento. L’atto di creare qualcosa, diventa anche atto di creare qualcosa pensando agli altri e alle reazioni che ne possono derivare. È in questo processo che l’individuo, tramite surrogato tecnologico, trova un antidoto alla propria solitudine, spostando il baricentro continuamente verso innumerevoli direzioni a seconda degli stimoli che co-crea.

L’individuo partecipa al discorso sociale come se la sua opinione contasse davvero: ciò può essere visto anche come una grande illusione in quanto non è così scontato emergere per ciò che si pensa come individuo se non si fa parte di un gruppo. Fare parte di un gruppo interconnesso è diventato quasi la normalità, e spesso lo stesso individuo non è conscio se non tramite un riconoscimento che viene dall’esterno. Il tempo libero che si ha a disposizione e si crea diventa quindi indispensabile per poter istaurare questo tipo di dialoghi, molto spesso dimostrativi e che cercano inclusione e accettazione.

La reazione, la partecipazione fanno parte dell’evento che si va a creare con tramite un contenuto e ogni persona è portata a reagire e a comunicare la propria reazione. I tempi possono anche essere davvero stretti: nascono così le fast reaction. Possono essere risposte sotto forma di immagini, stickers, cuori, “mi piace” all’opinione che si dà in merito a un argomento e questo molto spesso basta per il riconoscimento e l’appagamento dall’aver espresso il proprio pensiero. Ciò che conta è che ci sia qualcuno che reagisca a quello che viene detto e postato.

37 Emblematici della fast reaction sono i meme: elementi grafici correlati a scritte che identificano emozioni, situazioni specifiche o riassumono informazioni, mettendo già in conto che l’informazione è già stata acquisita o esperita in altro modo da chi li guarda e li condivide. Danno quindi per “scontato” che una persona che li vede sappia subito di ciò di cui si stia parlando, ovvero il contenuto del meme stesso. I contenuti possono essere tra i più vari: dall’intrattenimento alla diffusione di informazioni di rilevanza culturale (la stessa Treccani Online, nell’ultimo anno si è impegnata a creare meme a scopo divulgativo). I meme permettono di creare, discutere e condividere opinioni e informazioni in modo molto veloce e immediato.

Il surplus per essere efficace deve essere disponibile in modo aggregato, tutte le creazioni individuali sono infine quindi, interdipendenti tra di loro.

Il cambiamento culturale, dettato dal new media, non può essere analizzato da un punto di vista egocentrico, poiché il media si presenta come uno strumento a costo relativamente basso che può permettere come prima accennato, una condivisione organizzata che sia disponibile e aperta. Si sostanzia un cambiamento paradigmatico del modo di comunicare, che influisce sulla società stessa e sul dialogo tra parti. Cambia il modo di consumare, poiché oltre a consumare si produce: ed ecco che emerge il concetto di prosumer. Tale concetto coinvolge sia la produzione che il consumo, senza focalizzarsi più sull’uno che sull’altro. Il prosumerismo con Internet ha sicuramente acquisito notevole centralità, considerando gli user generated content. Già per Marx, consumo e produzione a livello teorico risultavano di importanza simile, per quanto concerne il capitalismo, anche se all’epoca la produzione aveva in concreto maggiore importanza.

Il prosumerismo, in una forma più nuova di quella definita da Alvin Toffler nel 1980, incide

notevolmente sulla forma attuale di capitalismo in particolare nell’uso e nel controllo, poiché vi sono appunto sistemi a basso costo per poter comunicare e trasmettere prodotti e idee. Si può affermare infatti che con la co-creazione soprattutto attraverso il Web il capitalismo sia giunto a una differente fase rispetto alle precedenti, ove il produttore era nettamente separato dal consumatore. Potrebbe sembrare anche oggi che il capitalismo continui ad essere dominato dalla produzione, dalle fabbriche. Ma con lo spostamento, già iniziato dopo la seconda guerra mondiale del focus sui servizi, le prospettive in realtà sono cambiate. Il capitalismo infatti si è evoluto in molte forme e l’epoca di internet ha ampliato le possibilità, includendo il “capitalismo google” (Fuchs, 2012b). Fuchs infatti sostiene che il prosumerismo sia una delle tante tendenze del capitalismo moderno, e non sia appunto oggi la qualità unica che lo caratterizza, anche se ricopre un ruolo molto importante. Sta infatti diventando un aspetto decisamente dominante, e in questo momento storico si pensa che ricopra un grande ruolo nel descrivere il capitalismo moderno, appunto (Fuchs, 2012a:711). Nel capitalismo di tipo prosumeristico ci si è mossi oltre la separazione tra consumatore e produttore verso una separazione sinergica e doppia: prosumer as

consumer e prosumer as producer. I secondi si collocano come lavoratori negli uffici e nelle

38 meglio durante le ore di lavoro settimanali, i p-a-c invece largamente nel weekend e dopo lavoro. Attualmente lo sfruttamento del prosumer in entrambe le accezioni sta prendendo posto nella stessa ambientazione e spesso allo stesso tempo. In questo modo entrambi i tipi di prosumerismo si intersecano tra di loro e si crea una sinergia e ciò porta ad un nuovo punto di arrivo nei loro punti di unione, temporale e di interesse comune (Ritzer, 2015).

Il capitalismo nella sua forma prosumeristica assume una forma diversa grazie all’evoluzione della tecnologia e il tempo libero diventa una risorsa globale condivisa attraverso nuove modalità di partecipazione e condivisione. Un individuo inoltre, non paga per usufruire di social Network come Twitter, Instagram e Facebook: eppure attraverso queste piattaforme avvengono grandi scambi di informazioni che possono portare anche al consumo e viceversa. Ciò accade anche per siti come Amazon, dove si può acquistare risparmiando in tempo e costi per spostarsi e per ricercare l’oggetto d’acquisto.

In questo contesto, il coordinamento tra contatto umano e attività concreta producono quindi conoscenza e di conseguenza la sua diffusione, in modo più rapido e partecipativo. Ogni dato, viene recepito in continuazione e riutilizzato, rielaborato e anche ricontestualizzato, in un processo che si potrebbe definire di continua ricerca. I media non sono perciò un mondo separato dal reale e ne fanno parte, essendo strumento per l’azione e il movimento sociale oltre che catalizzatore di aggregazione.