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Il caso particolare degli operai della TODT

La Germania aveva prestato attenzione sin dall’avvento del nazismo al reperimento di manodopera. Il III Reich si trovò infatti, dalla metà degli anni Trenta al ’45, in continua carenza di lavoratori.496 L’Italia, in qualità di paese alleato, venne

incontro a queste esigenze aprendo le frontiere all’emigrazione verso la Germania.497

Dopo l’8 settembre e il “tradimento” dell’Italia, la situazione degli operai italiani in Germania e in Italia cambiò radicalmente. Successivamente a questa data, il III Reich, dopo questa data, sempre bisognoso d’incrementare la propria produzione, cominciò a sfruttare le industrie del Nord Italia. Le dinamiche economiche di quegli anni sono molto complesse. Non vi era da parte tedesca un piano unico e coerente, ma diverse strategie perseguite da influenti ministri e dalla Wermacht stessa in contraddizione le une con le altre.498 Esulando queste considerazioni dalla ricerca, si ricorda che nel

febbraio del ’42 si affermò da parte tedesca, in via generale, una politica che tentava

495 A. della Libera, Sulle montagne per la libertà, Op ,cit., pp. 248-249. 496 G. Corni, Il sogno del grande spazio, op. cit., p. 85.

497 Ivi, p. 86.

498 Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-45, Torino, Bollati Boringhieri, 1996. Capitoli

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di sfruttare la manodopera direttamente nel paese natio, senza deportarla.499 Questo

principio venne applicato differentemente a seconda dell’influenza che esercitavano i ministri nazisti o la Wermacht. Ciò che è importante evidenziare, relativamente a questi fatti, è che la produzione di armi o la riparazione dei sabotaggi partigiani avvantaggiavano ora non più lo stato Italiano, ma la RSI e la Germania nazista. Si capisce quindi come la produzione e gli operai vennero direttamente coinvolti nella nuova fase del conflitto.

I partigiani, dopo aver spiegato ai lavoratori come in questo nuovo contesto il lavoro avvantaggiasse i tedeschi, tentarono di coinvolgerli nella lotta. I garibaldini non pretendevano che gli operai abbandonassero l’impiego per la montagna, ma proponevano loro di rimanere in fabbrica per sabotare o rallentare la produzione. Questa via era, per lavoratori e partigiani, la più realistica da scegliersi, oltre che la più efficace.

La Germania si serviva di diverse organizzazioni per il rastrellamento della manodopera: una di queste era la TODT.500 In territorio straniero essa si occupava principalmente della realizzazione delle opere di difesa. In Italia l’organizzazione cominciò ad incrementare considerevolmente il numero dei propri operai dopo la stagione estiva del ’44, quando le sorti partigiane sembravano volgere al peggio. Molti, dopo che la Resistenza pareva non poter più sostenere la lotta al nazifascismo, credettero opportuno rifugiarsi nella TODT per sfuggire ai fascisti.501 La differenza

principale, tra i normali operai e quelli dell’organizzazione, stava nel fatto che i secondi costruivano trincee e antiaeree contro gli Alleati. Per questo motivo gli operai della TODT venivano giudicati essere colpevoli del prolungamento della guerra, a differenza dei lavoratori generici che venivano coinvolti indirettamente o in modo meno grave da questa responsabilità. Relativamente a questo argomento si dispone di un manifesto che si rivolge agli operai della TODT e ai lavoratori al servizio dei tedeschi e dei fascisti.

“Operai della Organizzazione Todt! Operai al servizio dell’invasore e del servo fascista! La belva nazista sta morendo e la marmaglia fascista è imbestialita in vista della sua fine. Attenzione che non trascinino anche voi nella loro stessa fossa. Cessate ovunque e immediatamente il lavoro. Guardatevi dalla deportazione e dalla morte. Sono i vostri fratelli partigiani, combattenti della libertà, che ve lo consigliano. Unitevi a noi nella lotta di liberazione della Patria. Distruggiamo questa odiosa razza e il suo servo fascista che tante calamità hanno procurato alla nostra terra.

Disertate, fratelli operai, i lavori che non servono altro che a prolungare la guerra. Chi di voi non è nelle possibilità di farlo, saboti la produzione. I Patrioti vi daranno tutti gli aiuti necessari. Ricordate, operai dell’O.T.[leggersi Organizzazione TODT], operai al servizio

499 Riguardo i riferimenti alla politica economica tedesca e il provvedimento del febbraio ’44 cfr. Ivi, p.

89.

500 Il nome TODT deriva dal cognome del ministro degli armamenti tedesco Fritz Todt. Negli anni di

cui stiamo parlando, a causa della morte di Todt nel 1942, il ministro era però Albert Speer. Per altri riferimenti sull’organizzazione cfr. Ivi, p. 87.

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dell’invasore tedesco o del servo fascista, che dovrete rendere conto a noi del vostro operato. Saremo inesorabili con coloro che saranno rimasti sordi a questo nostro appello. Tutti sanno che non perdoniamo. Le nostre Brigate, formate da valorosi e decisi combattenti quali tutti voi conoscete, hanno ordini precisi in merito.”502

Dal manifesto si può vedere bene come il discrimine per distinguere gli operai al servizio del nemico, sebbene tutti colpevoli di collaborare, sia quello di appartenenza o meno alla TODT. Si può notare come questo manifesto sia una sintesi delle tipologie di stampa rivolta ad operai e ai nemici. Infatti l’operaio della TODT era un profilo ‘grigio’, appartenente alla popolazione “nostra” ma lavoratore per i tedeschi. Non si poteva quindi rivolgersi a loro come si faceva con gli altri operai o la gente comune. Emerge infatti uno schema retorico altalenante, che alterna le lusinghe (“fratelli operai”) alle minacce (“hanno precisi ordini in merito”). Il monito finale rivolto agli operai della TODT è molto più duro di quelli rivolti in genere agli operai.

I partigiani

La propaganda partigiana produsse anche un manifesto per i combattenti. Tale scritto fu stampato il giorno seguente il grande rastrellamento avvenuto in Cansiglio tra il 9 e il 10 settembre 1944. L’attacco tedesco aveva travolto e disperso le formazioni partigiane e convogliato l’odio delle distruzioni e delle rappresaglie contro la Resistenza. In seguito allo scontro l’unità dei battaglioni si era perduta per la dispersione dei combattenti che avevano riparato in pianura. Si può capire quindi perché, in questa situazione difficile, si ricorse alla propaganda.

Riportiamo alcuni passi significativi del manifesto:

“Garibaldini delle Brigate “Vittorio Veneto”

Il nemico invasore, tante volte ricacciato dalle contese soglie del Cansiglio, (…)ha raccolto in uno sforzo supremo le sue energie e ha lanciato concentricamente contro di noi migliaia di uomini con numerose artiglierie e mezzi pesanti. (…) Esso è stato ovunque contenuto e in qualche punto volto in disperata fuga (…). Ora, di fronte al rinnovarsi dei suoi disperati tentativi, ed allo scopo di deluderlo nelle sue mire di annientarci, abbiamo attuato la tattica tante volte utilmente usata della guerra partigiana: a gruppi, a piccole squadre, siete passati attraverso la maglia d’acciaio delle sue forze e avete raggiunto la pianura (…). L’impotente rabbia del tedesco si è sfogata sulle povere case dei montanari, sulle loro umili abitazioni, sulle poche masserizie (…). È un ingiustizia enorme che chiede, come ogni sacrilegio, la sua giusta vendetta riparatrice.

Per le mille ferite inferte a questa nostra sacra terra, per i lutti, per i dolori (…), per l’orgoglio infine di riacquistare, armi in pugno, ogni nostra libertà, noi continueremo audacemente e decisamente la nostra guerra di liberazione. Le nazioni Alleate (…) sanno quanto pesi sulla bilancia della guerra ogni nostra azione e questo riconoscimento sarà di somma importanza al momento in cui verranno discusse le condizioni di pace!

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Fazzoletti Rossi del Cansiglio! Il sacrificio dei compagni caduti in combattimento non deve rimanere vano (…). Riprendiamo compagni le nostre armi, rinforziamo le nostre squadre e le nostre compagnie, e liberi uomini sui liberi monti d’Italia, riscattiamo la terra dei padri che ci lasciarono onorata e libera.”503

Il testo sottolinea in primo luogo che il Cansiglio fu abbandonato a causa della schiacciante superiorità nemica, per evitare un’inutile carneficina. I partigiani non avrebbero quindi lasciato le popolazioni al loro destino per vigliaccheria, ma per l’impossibilità di difenderle. La ritirata non è “fuga” ma “la tattica tante volte utilmente usata della guerra partigiana”. I garibaldini non avrebbero fatto altro che rimanere coerenti alle strategie sempre utilizzate. Si puntualizza poi che la violenza compiuta ai danni della gente è imputabile solo e soltanto al nemico. Anzi, dovere dei partigiani era di vendicare quella ingiustizia. Dopo aver chiarito le responsabilità avute negli eventi accaduti il giorno prima, il manifesto passò a ricordare l’importanza della guerra partigiana. Essa, dopo la vittoria, sarebbe stata fondamentale nel determinare condizioni di pace meno gravose. Infine troviamo l’appello più forte: quello a vendicare i compagni caduti affinché il loro sacrificio non fosse vano.

Il messaggio del 10 settembre si rivolge ai partigiani ribadendo tutte le maggiori motivazioni a sostegno della resistenza ai nazifascisti. I grandi rastrellamenti avevano portato morte e distruzione nei paesi del Quartier del Piave, della Vallata e del Cansiglio. Era possibile che tra i partigiani stessi si facesse strada l’idea che la colpa per quelle devastazioni fosse da imputare alla Resistenza. Il senso di responsabilità pesava doppiamente perché molti combattenti provenivano dai paesi devastati dalle violenze e dagli incendi. In quel caso la propaganda fu funzionale alla riaffermazione dell’identità resistenziale e, soprattutto, nacque dall’esigenza di contattare i partigiani non più inquadrati nelle formazioni militari.504

503 ASREV, busta 19, fasc. b: Garibaldini delle Brigate “Vittorio Veneto” del 10 settembre 1944. 504 M. Reberschack, motivazioni della resistenza e l'atteggiamento delle popolazioni, op. cit., p. 63.

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