2. LA DECORAZIONE DELLA CHIESA
2.2 IL CICLO CRISTOLOGICO
L’elemento che più di tutti distingueva la chiesa di S. Croce dagli altri edifici di culto presenti in città e che la rese celebre nei secoli a venire, era l’imponente ciclo cristologico che ne decorava le pareti. Una serie di ben dieci tele, ad opera dei pittori tardo-manieristi più noti della scena veneziana, traduceva visivamente gli episodi salienti della vita, morte e resurrezione di Cristo, configurandosi come una vera e propria Biblia pauperum dell’epoca controriformista. Lo storico Florio Miari, riprendendo e incrociando le informazioni desunte dal Piloni46, dal Ridolfi47 e da Lucio Doglioni48, lasciò ai posteri una descrizione
46
G. PILONI, Historia… cit., p. 288. Il Piloni si limita a riportare esclusivamente i nomi dei pittori che presero parte all’impresa decorativa.
47 Il Ridolfi cita singolarmente le opere all’interno delle vite dei vari artisti. Riguardo all’Aliense scrive:
“Evvi in Cividale di Belluno, nella Compagnia della Croce, la Cena di Cristo, l’Orazione nell’orto, la presa di quello dai soldati, e la flagellazione alla colonna; nelle quali opere egli usò molto studio, ed in particolare nella Cena, che ritrasse da un piccolo modello di figure di cera, la quale piacque a qualunque professore, e fu molto lodata dal vecchio Tintoretto, che predicava il vivace ingegno ed il valore di Antonio” (Cfr. C. RIDOLFI, Le Maraviglie dell’Arte ovvero le vite degli illustri pittori veneti e dello stato descritte da Carlo Ridolfi, Venezia 1648, ed. a cura di D. Von Hadeln, Roma 1965, p. 443). Per Carlo Caliari: “Per la Compagnia della Croce di Cividale ha espresso il Salvatore condotto al monte Calvario” (Ivi, p. 86). Per Palma il Giovane: “Ma giungiamo fino a Cividale di Belluno, dove altre cose vedremo dell’autore. Nella Compagnia della Croce dipinse il Crocefisso tra i due ladri” (Ivi, p. 409). Nelle vite di Andrea Vicentino e Paolo Fiammingo, invece, il Ridolfi non fa menzione alcuna del loro lavoro in S. Croce. Per quanto riguarda le opere di Domenico Tintoretto, il Ridolfi le attribuisce al padre Jacopo, ma tale questione verrà qui analizzata in separata sede (Ivi, p. 49).
48 L. D
OGLIONI, Notizie istoriche e geografiche… cit., p. 36: “Nella Chiesa poi di S. Croce può dirsi, che vi si conservi una raccolta preziosa di ammirabili opere; poiché […] si scorgono espressi in dieci gran quadri da valorosi pennelli i misterj della nostra Redenzione: cioè 1. la Cena di G. C., 2. il Bacio di Giuda, 3. la Cattura del Redentore di Antonio Aliense, 4. Gesù Cristo avanti a Pilato di Domenico Tintoretto, 5. la Flagellazione del già detto Aliense, 6. la Coronazione di spine di Domenico Tintoretto, 7. Il portar della
sintetica ma esaustiva del gruppo di opere che decoravano la parte superiore dell’aula, specificando per ognuna di esse soggetto ed autore:
“La Cena, il Bacio di Giuda, la cattura del Redentore e la flagellazione
eransi eseguite da Antonio Aliense. Gesù dinanzi a Pilato, e l’uomo-Dio coronato di spine, erano opere di Domenico Tinoretto. Carlo Caliari figlio di Paolo Veronese in altro quadro aveva rappresentato Cristo nell’atto di portare la Croce incontrato dalla Veronica e da altre donne. La Crocefissione era di Jacopo Palma il giovine. Andrea Vicentino era autore della deposizione dalla Croce; e Paolo Fiammingo figurata aveva la resurrezione di Cristo”.49
Il ciclo fu di una novità dirompente per la realtà artistica bellunese del secondo Cinquecento, come si è visto, ancora tenacemente abbarbicata a manifestazioni antiquate e tradizionaliste di ascendenza rinascimentale. Molteplici e multiformi sono infatti i punti di rottura rispetto alle consuetudini locali, a cominciare dalle modalità secondo cui questo imponente progetto venne realizzato. Rispecchiando una tendenza che sempre più si stava facendo strada nella metropolita Venezia di fine secolo, la committenza affidò l’esecuzione dei teleri non ad una singola figura, bensì ad un’articolata equipe di pittori dall’affine formazione. Non pare infatti una coincidenza il fatto che i protagonisti di questa impresa avessero tutti orbitato, per un periodo di tempo più o meno lungo, intorno alle botteghe del Tintoretto e del Veronese e che il loro rapporto lavorativo fosse già pienamente consolidato in forza di precedenti collaborazioni. Domenico Tintoretto, l’Aliense e Carlo Caliari, ad esempio, avevano avuto l’occasione di operare l’uno a fianco dell’altro nella Scuola dei Mercanti; Domenico Tintoretto, Palma il Giovane e Andrea Vicentino avevano lavorato in San Zulian e tutti avevano, chi più, chi meno, ruotato intorno al grande cantiere di Palazzo Ducale.
Il risultato fu un ciclo che, pur senza annullare completamente le singole personalità, si presentava perfettamente coerente ed unitario sotto il profilo estetico e contenutistico, il tutto in brevi tempi. Il vantaggio principale di questo nuovo modus operandi era infatti proprio quello di ridurre drasticamente le tempistiche di consegna; una singola persona
Croce di Carletto Caliari, 8. la Crocifissione di Giacomo Palma il giovine, 9. la deposizione dalla Croce di Andrea Vicentino, e 10. La Resurrezione di Paolo Fiamingo”.
49 F. M
IARI, Dizionario… cit., p. 140. L’elenco viene ripreso anche in F. MIARI, Cronache bellunesi… cit., p. 140.
avrebbe impiegato molti anni per condurre a compimento un incarico di tale portata, cosa che non era forse ammissibile qualora vi fosse stata una motivazione urgente e pressante alla base della commessa.
Secondariamente, il ciclo si impose sul panorama locale per i caratteri prettamente pittorici che esso denotava. Certo, il manierismo aveva già fatto la propria comparsa sul territorio provinciale, ma il suo era stato un ingresso in sordina, compiuto attraverso singole opere sparpagliate in sedi e località distanti tra di loro. Esse rappresentarono, di fatto, degli episodi eccezionali e indipendenti nel contesto bellunese, che difficilmente riuscirono, per i succitati motivi, ad imporsi all’attenzione e a farsi promotori di un radicale cambiamento in un’area così conservatrice come quella montana. Le tele veneziane di S. Croce rappresentarono, per contro, una manifestazione a tal punto grandiosa ed imponente da non poter essere sottovalutata o, peggio ancora, ignorata. Il divario esisteste con i dipinti di pittori quali Nicolò de Stefani e colleghi era infatti molto ampio e riguardava aspetti che andavano dall’impaginazione stessa dell’immagine, alla ricerca luministica e coloristica, alla resa dei movimenti. Come si vedrà successivamente nel dettaglio, i teleri erano delle vere e proprie macchine scenografiche alla maniera tintorettiana, popolate da personaggi in pose dinamiche, spesso serpentinate o spezzate, e strutturate lungo direttrici scorciate. Delle visioni concitate dunque, rese ancor più nervose ed emozionali dal luminismo molto contrastato, talora ai limiti del violento si potrebbe dire, che le accendeva, senza tuttavia arrivare mai ad intaccarne la piena leggibilità. Erano proprio questi i caratteri che le rendevano perfetti strumenti di propaganda agli occhi della Chiesa post-tridentina, atti a scuotere, con la loro forte carica emotivo-drammatica, la coscienza del fedele astante e a incoraggiare la sua completa immedesimazione con il soggetto ritratto, in vista della meditazione e del convincimento spirituale. Si comprende così come l’impiego a Belluno dei migliori pittori veneziani del momento, in luogo degli artisti locali, non rispondesse pertanto a una scelta solo qualitativa, bensì a una più profonda esigenza espressiva.
Infine, ultimo, ma non meno importante, aspetto di novità era rappresentato dal contenuto dei dipinti. Il tema della Passione di Cristo non era certamente estraneo ai programmi decorativi delle chiese bellunesi quattrocentesche e cinquecentesche, ma in tali circostanze esso era stato trattato secondo modalità profondamente differenti rispetto a quanto verificatosi poi in S. Croce. Nella totalità dei casi, infatti, la narrazione degli ultimi istanti di vita di Gesù non era stata affidata ad un ciclo unitario, ad una serie di quadri cioè, che seguiva, passo dopo passo, in sequenza cronologica, l’intero sviluppo degli eventi; al suo posto, la committenza medioevale e rinascimentale aveva preferito l’opera singola,
incentrata su un unico episodio della vicenda. L’uso che veniva fatto di queste immagini e la valenza loro attribuita era comunque molto differente con riguardo al secondo Cinquecento. Nel caso specifico del polittico, ad esempio, le scene relative alla Passione e alla Resurrezione di rado erano inserite nello scomparto centrale, in qualità di soggetto principale; per loro si prediligeva piuttosto una collocazione complementare e marginale, in lunette o pinnacoli. Con il passaggio alla pala d’altare propriamente intesa, il tema continuò a rivestire un’importanza secondaria rispetto alle raffigurazioni dei santi, tanto che episodi come la Crocefissione e il Compianto sul Cristo morto, essenziali per la futura religiosità controriformista, vennero impiegati solo qualora vi fosse una mensa esplicitamente dedicata a questi misteri.50 A differenza di quanto avvenne in altre città, il Concilio di Trento non innescò un cambiamento immediato dell’arte bellunese sul versante dei contenuti (oltre che su quello formale, come si è visto). Relativamente contenuto fu, infatti, l’aumento delle rappresentazioni eucaristiche e cristologiche, che sul breve periodo continuarono ad essere trascurate a favore delle tematiche consolidate della tradizione. Negli stessi anni questo particolare soggetto aveva invece riscontrato grande successo a Venezia. Qui, infatti, gli editti dottrinali inerenti il sacramento dell’Eucarestia avevano esercitato un deciso influsso sull’immaginario artistico, che si esplicitò dapprima nelle pale d’altare e, successivamente, nei grandi teleri narrativi. L’iniziale predilezione per l’impiego del tema nella pala è facilmente spiegabile con il fatto che, essendo essa posizionata appena al di sopra dell’altare, si prestava perfettamente a creare la stretta associazione ideologica con il sottostante sacramento che il Concilio auspicava. Questo si tradusse però nella ricorrenza di determinati episodi (Crocefissione, Deposizione,
Resurrezione), ovvero quelli che meglio di tutti permettevano di concentrare l’attenzione
sul corpo nudo e sofferente del Redentore e di comprendere la reale portata del suo sacrificio.51 Sulla scorta di particolari esigenze devozionali, le scene della Passione si estero ben presto ai grandi teleri, che, in forza del loro formato e dell’ubicazione assegnatagli, poterono accogliere anche le scene fino a quel momento quasi completamente estromesse dalla decorazione degli altari, prime tra tutte l’Ultima Cena, la
Lavanda dei Piedi e la Salita al Calvario. L'uso di più dipinti per illustrare le tappe della
vicenda finale di Gesù fu inizialmente prerogativa delle cappelle del Santissimo Sacramento, il cui numero e ricchezza andò esponenzialmente crescendo proprio all’indomani dagli anni Sessanta. Date le dimensioni spesso ridotte dello spazio a
50 P. H
UMFREY, La pala d’altare veneta… cit., p. 1138.
disposizione, al loro interno si collocava tuttavia una serie limitata di dipinti, due o tre in genere, che non copriva dunque l’intera vicenda, ma solamente alcuni passaggi. Questi gruppi di opere non possono pertanto essere considerate dei cicli pittorici a tutti gli effetti, in quanto, come ha giustamente notato Giovanna Sarti, essi non si presentavano come un racconto, ma si limitavano a recuperare l’idea di racconto. Il fedele diveniva in questo modo narratore e interprete attivo della storia, essendo chiamato a colmare gli intervalli narrativi sulla scorta di una conoscenza pregressa degli eventi e delle loro tipologie rappresentative, visive o mentali.52 Bisognerà attendere la fine del secolo per vedere i cicli cristologici in senso stretto iniziare a dispiegarsi lungo le pareti delle navate e ad incrementare la propria consistenza. In un momento storico in cui la Chiesa riformata andava predicando l’esigenza di una coralità dell’esperienza religiosa, queste sequenze di opere, essendo offerte alla vista di tutti i fedeli, divenivano un prezioso strumento per stimolare la devozione collettiva intorno al tema capitale della Passione. 53 L’immagine, pur giocando da sempre un ruolo importante in termini di ritualità, assunse ora uno status ancor più privilegiato, innalzandosi a tramite imprescindibile fra parola (scritta e parlata), liturgia e devozione popolare. Questa funzione capitale accordata ai cicli cristologici trova riscontro nei testi teologici dell’epoca, che sottolineano esplicitamente in più occasioni come essi fossero delle premesse essenziali al ricordo e alla meditazione sul sacrificio di Cristo, riproposto a sua volta nella messa. Tiberio Codronco nel 1589 sostenne addirittura che un’adeguata meditazione sui temi evocati dal rituale doveva trovare il corrispettivo nella rappresentazione mentale (e non solo, aggiungeremmo noi) di un episodio della Passione:
“Al Memento, pensa all’oratione che fece il Signore nell’orto, all’agonia e
sudore di sangue, e come fu da tutti abbandonato, ricordati haver fatto questo per te particolare, e come a volte l’hai lasciato solo, fuggendo per paura di patire. Quando il sacerdote stende le mani sul calice, considera, quando il
52 G. S
ARTI, “Figurar nell’imaginatione”: la cappella del Sacramento e il ciclo cristologico, in Venezia Cinquecento, VII, 16 (1998), p. 82. Esempi di questa tipo di decorazione sono ravvisabili nella chiesa di S. Moisè, la cui cappella del Sacramento è decorata dalla Lavanda dei piedi di Jacopo Tintoretto e dall’Ultima Cena di Palma il Giovane, e nella cappella maggiore di San Cassiano, dove si possono scorgere, a fianco della pala con la Resurrezione, una Discesa al Limbo e una Crocefissione ad opera ancora del Tintoretto (1565-1568). Sull’uso dei temi cristologici nella decorazione delle cappelle del Sacramento si veda anche: S. MASON RINALDI, “Hora di nuovo vedesi…”. Immagini della devozione eucaristica a Venezia alla fine del Cinquecento, in Venezia e la Roma dei Papi, Venezia 1987, pp. 171-196; S. MASON RINALDI, Un percorso nella religiosità veneziana del Cinquecento attraverso le immagini eucaristiche, in La chiesa di Venezia tra Riforma Protestante e Riforma Cattolica, a cura di G. Gullino, Venezia 1990, pp. 185-194.
53 G. S
Signore fu preso, legato, flagellato, coronato di spine, & condennato a morte da Pilato; pensa i dolori, che pativa per li tuoi peccati, & alla sua grande innocenza, pigliando sopra di sé quella pena, che tu meritavi; facendo il sacerdote le croci, pensa come fu fatta la croce di legno, e fu posta sulle spalle del Signore, e la portò al monte Calvario, e fu inchiodato in quella, e pregalo, che ti dia forza per poter portare la tua croce, e t’inchiodi di tutto nel suo amore. Inalzandosi l’hostia, pensa quando fu inalzata la croce, e come diede un horribil crollo quel santissimo corpo con eccessivo dolore […] & innalzandosi il calice, pensa all’abondanza del sangue, che correva dalle sue santissime ferite, & offerisci all’eterno Padre con viva memoria questo gran sacrificio della passione, e morte del suo figliolo vero agnello immacolato per suo honore, & gloria, & per scancello dei tuoi peccati, e de prossimi tuoi. Quando si ripongono l’hostia & il calice sopra il corporale, ricordati della morte del Signore, e come fu deposto in croce, & posto nel monumento involtato in un lenzuolo bianco, & alla porta fu posto una gran pietra, dolendoti di tutto questo, e del cuor tuo, vedendolo duro come pietra, freddo & immondo senza porta, o guardia de sentimenti per seppellirti con Christo in questo: Nel secondo Memento, considera tutto questo tempo, ch’il Signore dimorò morto nel sepolcro e come discese poi al limbo, e cavò i santi Padri da quello, e pregalo per l’anime de morti, che per i meriti della sua passione, siano da quei tormenti, che patiscono liberati. Percuotendosi il Sacerdote il petto, farai tu il medesimo, pensando al sentimento che hebbe il populo de giudei, dolendosi d’haver dato morte al Signore, e confonditi, poi che non hai tu quel dolor della sua amarissima passione”54
Un primo timido esempio di ciclo cristologico si registra in S. Nicolò dei Mendicoli, dove Alvise dal Friso, Palma il Giovane e altri ignoti pittori realizzarono, entro il 1587, una serie di tele per ornare la restaurata navata centrale. Il programma decorativo, in realtà, era solo parzialmente incentrato sugli ultimi momenti di vita di Cristo, dal momento che esso includeva anche scene quali l’Annunciazione, l’Adorazione dei pastori e Gesù al Tempio. Tuttavia, pur configurandosi più come una generale storia della vita del Redentore che non
54 T. C
ODRONCO, Viaggi spirituali, dell’huomo christiano, al cielo, Venezia 1589, citazione riportata in: G. SARTI, “Figurar nell’imaginatione”… cit., pp. 94-95.
come una specifica figurazione del suo martirio, esso si inseriva appieno (per la sua parte finale) nella tendenza sopra descritta (fig. 19).55
Fig. 19
Navata centrale della chiesa di S. Nicolò dei Mendicoli a Venezia con i teleri cristologici
Tra i casi più significativi, sia per consistenza numerica che per aderenza al racconto biblico, si annoverano invece quelli della chiesa di S. Zualian e della scuola di S. Fantin. Per quanto concerne il primo, esso constava di ben tredici dipinti, che seguivano quindi in maniera serrata, passo dopo passo, ogni episodio della vicenda a partire dall’Entrata di
Cristo a Gerusalemme fino ad arrivare alla Resurrezione, aggiungendo a margine anche il
momento non prettamente attinente dell’Annunciazione. Esso costituisce sicuramente, sotto il punto di vista dello sviluppo narrativo, l’esempio più prossimo a S. Croce, poiché, se si escludono i tre brani iniziali, i due cicli risultano pressoché identici nella strutturazione della sequenza pittorica. È inoltre interessante notare come alla sua esecuzione, nella prima metà degli anni Ottanta, presero parte, a fianco di Leonardo Corona, proprio alcuni dei pittori che lavorarono anche in S. Croce, ovvero Palma il Giovane, Domenico Tintoretto e, forse, Andrea Vicentino (fig. 20).56
55 Per una rapida panoramica sul ciclo e le opere che lo compongono si veda: A. G
ALLO e S. MASON RINALDI, Chiesa di San Nicolò dei Mendicoli: arte e devozione, Milano 1995.
56 Gli episodi che vengono rappresentati nel ciclo sono: l’Annunciazione, l’Ingresso di Cristo a
Gerusalemme, la Lavanda dei piedi, l’Orazione nell’orto, Cristo davanti a Caifa, la Flagellazione, l’Incoronazione di spine, Cristo davanti a Pilato, l’Ecce Homo, Cristo e la Veronica, la Crocefissione, la Deposizione e la Resurrezione. Per approfondimenti in merito al ciclo di San Zulian e alla figura di Leonardo Corona si veda: V. SAPIENZA, Intorno a Leonardo Corona (1552-1596). Documenti fonti e indagini storico-
Fig. 20
Interno della chiesa di S. Zulian con le Storie della Passione di Cristo
Il secondo, invece, risale ad un’epoca leggermente successiva rispetto ai precedenti, attestandosi intorno agli anni 1600-1604, e vede come protagonista assoluto ancora una volta il già citato Leonardo Corona, affiancato da aiuti. L’artista questa volta lavora all’interno di una scuola, ma la sua operazione è tuttavia pienamente equiparabile a quelle sopra menzionate, dal momento che lo spazio prescelto (l’oratorio) è assimilabile ad un ambiente chiesastico esistendo al suo interno un altare attivamente impiegato per le funzioni religiose della congrega. Si trovano qui giustapposte delle tele di grande formato che riportano sulle pareti della sala una sequenza che a questa data sembra ormai essere diventata canonica per gli spazi più capienti e per i committenti più abbienti: Orazione
nell’orto, Cattura di Cristo, Cristo davanti a Caifa, Flagellazione, Incoronazione di spine, Ecce Homo, Salita al Calvario, Cristo inchiodato alla Croce e Deposizione.57 Ognuno di questi cicli presentava ovviamente delle proprie specificità nella strutturazione della
contestuali, tesi di dottorato, Corso di dottorato in Storia antica, archeologia, storia dell’arte, Università degli Studi Ca’ Foscari, XXI ciclo, discussa nell’A.A. 2007-2008, rell. A. Gentili e M. Brock, in particolare pp. 145-168.
57 Le scuole di Venezia, a cura di T. Pignatti, Milano 1981, p. 51 e per ulteriori approfondimenti: N. I
VANOFF, Il ciclo pittorico della Scuola di San Fantin, Venezia 1963; P. ZAMPETTI, Guida alle opere d’arte della Scuola di S. Fantin, Ateneo Veneto, ristampa a cura di I. Chiappini di Sorio, Venezia 2003.
Nello stesso ambiente, appena pochi anni prima, aveva lavorato anche Palma il Giovane, realizzando per il soffitto una serie di tredici tele dedicate al Purgatorio, che fu ultimata solo nel dicembre 1600, a ridosso cioè del ciclo cristologico.
singola immagine come in quella della progressione stessa, dettate dalle particolari esigenze devozionali della committenza, ma al di là di ciò essi rispondevano sempre e comunque tutti al più generale bisogno della Chiesa post-conciliare di fare propaganda. Nel suo saggio dedicato alle tele di S. Croce, lo studioso G. Fossaluzza scriveva che nella chiesa bellunese “vi era l’occasione per emulare i più articolati cicli pittorici […]
realizzati […] nelle Scuole della capitale, con protagonista soprattutto Tintoretto e i suoi allievi”58. Alla luce delle considerazioni appena espresse, questa teoria può ritenersi solo parzialmente condivisibile. Essa non tiene infatti conto del fatto che il tema della Passione di Cristo faticò ad entrare negli spazi confraternali, dove di norma si continuò a prediligere