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Il concetto di impresa nella Reorganization

Quanto sia erronea la convinzione che in un’economia di mercato l’unica reazione coerente di fronte allo stato di insolvenza di un’impresa sia la sua liquidazione nell’interesse dei creditori, lo dimostra l’esempio degli Stati Uniti. In effetti, questo Paese, che non può certamente essere accusato di un eccesso di dirigismo o interventismo statale a scapito dell’iniziativa economica privata, ha da tempo adottato un sistema di procedure concorsuali particolarmente sofisticato e ricco di soluzioni alternative per il superamento della crisi delle imprese, tanto da poter essere senz’altro considerato sotto molti aspetti come il più avanzato sul piano comparativo.

Come è stato ampiamente illustrato in precedenza, è noto come già nel secolo scorso, quando negli altri ordinamenti nazionali, ivi compreso quello inglese, prevaleva ancora nettamente il concetto di fallimento inteso come sanzione da applicare al debitore responsabile per non aver saputo evitare il dissesto del suo patrimonio409, il diritto americano si caratterizzava per una visione assai più pragmatica al riguardo: l’insolvenza, lungi dall’apparire una colpa per la quale il debitore doveva essere punito con la sua eliminazione dalla vita degli affari, veniva considerata normalmente poco più che un incidente professionale, che poteva capitare a qualsiasi operatore economico, e di fronte al quale il compito dell’ordinamento positivo era anche e soprattutto quello di offrire al debitore onesto, ma sfortunato, la possibilità di chiudere con il passato e di ricominciare su basi nuove la propria attività. In seguito, allorchè il processo di rapida industrializzazione del Paese veniva interrotto dalle prime grandi recessioni che investivano interi settori produttivi, il principio del favor debitoris è stato ulteriormente sviluppato, fino a portare all’accoglimento dell’idea che il fallimento (“straight bankruptcy”), con la conseguente liquidazione

409 V. Bonell, op. cit., p. 700: “Non occorre qui ripetere che tradizionalmente le procedure

concorsuali, pur nel contrasto tra porre in primo piano l’interesse dei creditori di soddisfarsi subito e nel miglior modo possibile sul patrimonio del debitore oppure privilegiare l’esigenza di quest’ultimo di chiudere con il passato e di riprendere la sua attività liberato dal peso dei debiti, erano comunque rivolte al soddisfacimento di interessi di natura privata. Ne conseguiva che anche il tipo di soluzione che di volta in volta veniva adottato per superare il singolo caso di insolvenza dipendeva in definitiva dal fatto che tra le stesse categorie di persone si riusciva o meno a trovare un accordo sulla base di reciproche concessioni: ed infatti, la soluzione concordataria, che era l’unica possibilità per evitare l’automatica liquidazione del patrimonio dissestato, presupponeva, oltre ad una richiesta in tal senso avanzata dal debitore, l’adesione quanto meno della maggioranza dei creditori, mentre in assenza di un accordo tra le due parti in causa all’autorità giudiziaria altro non restava che disporre la liquidazione dei beni del debitore, nonostante ciò potesse in concreto significare la distruzione di un complesso produttivo di per sé tuttora efficiente o comunque in qualche modo risanabile”.

del patrimonio del debitore, non dovessero costituire l’unico mezzo per far fronte ad una eventuale situazione di dissesto, ma che, quanto meno trattandosi di imprese di certe dimensioni, convenisse prevedere anche la possibilità di un loro risanamento, da tentare attraverso la riorganizzazione (“reorganization”) della loro struttura economica e finanziaria.

Alla luce delle precedenti considerazioni, possiamo affermare che il processo fallimentare non si occupa più dell’esecuzione ed estinzione dei crediti, poiché l’esistenza stessa dell’impresa come entità economica, il suo ruolo e la sua organizzazione assumono il primo piano410. Nell’impresa confluiscono lavoro, capitale e l’interesse pubblico. Secondo questa visione il diritto fallimentare finirebbe per comprendere anche una nuova disciplina lavoristica, per le società commerciali anche i rapporti partecipativi e, soprattutto in relazione alle grandi imprese, le condizioni giuridiche in base alle quali può essere fatto valere l’interesse pubblico alla continuazione dell’impresa con una data posizione di mercato.Il diritto fallimentare americano diventerebbe cioè parte del diritto dell’impresa.

La teoria del diritto dell’impresa vuole “considerare l’impresa non più solo come strumento dei proprietari per il soddisfacimento dei propri utili, bensì come istituzione, che mette al servizio della generalità beni economici … e che esercita un influsso pubblico e politico come centro di potere privatistico”. Esige pertanto una prospettiva scientifica, che integri col diritto societario anche la posizione giuridica dei dirigenti d’impresa (i “manager”), dei lavoratori e dell’interesse pubblico, fino a diventare un omnicomprensivo diritto di un’organizzazione. In questa teoria i creditori rimangono sullo sfondo – nonostante anch’essi, al pari dei proprietari,

410 Sul punto, Bonell, op. cit., p. 700: “Il fatto è che in tutte le società industrializzate

l’impresa, specie se di medie o grandi dimensioni, ha da tempo cessato di identificarsi con l’attività del suo titolare, per assumere invece una sua rilevanza autonoma vuoi dal punto di vista strettamente economico, vuoi da quello sociale. Di fronte a questa evoluzione lo stesso diritto non poteva restare indifferente: e così, come durante la sua attività normale la gestione, invece di continuare ad essere rimessa all’assoluta discrezionalità dell’imprenditore, subisce ormai una serie di condizionamenti e interferenze sia all’interno che all’esterno, anche e soprattutto in occasione di una sua eventuale crisi la decisione sulla sua sorte non viene più considerata una questione che interessi soltanto il titolare ed i creditori di questi. Sarebbe peraltro errato parlare in proposito di un inevitabile conflitto di interessi, quasi a voler significare che l’interesse pubblico è in tutti i casi rivolto alla conservazione dell’impresa. Al contrario: di fronte ad una crisi irrimediabile è nell’interesse non soltanto dei creditori, ma anche di tutte le altre categorie di persone in qualche modo legate all’impresa (dipendenti; pubblico dei risparmiatori; imprese concorrenti) nonché della stessa collettività procedere al più presto alla liquidazione del patrimonio aziendale ed alla paritetica distribuzione del ricavato. Soltanto quando le attuali difficoltà appaiono in qualche modo superabili si può determinare un contrasto nelle rispettive valutazioni, nel senso che nell’interesse dei creditori ad una immediata soluzione della crisi faccia riscontro l’opposta esigenza pubblica di non lasciare nulla di intentato per risanare l’impresa e garantire così la sua sopravvivenza”.

abbiano apportato all’impresa i mezzi necessari per il suo funzionamento, il capitale, talora in misura maggiore rispetto ai proprietari; l’elemento più importante è dato dalla crescente attenzione che viene prestata alla sorte dell’impresa, intesa come organizzazione produttiva.

In altre parole, l’impresa non è più inquadrata nell’ambito del diritto reale di proprietà facente capo al suo titolare, perché, da un lato, essa non racchiude più soltanto attrezzature, magazzino, macchinari ed altri beni materiali, ma si compone essenzialmente di management, di valori immateriali ed astratti e, dall’altro, perché quegli stessi valori di cui è espressione si riflettono sulla sfera giuridica di terzi e perfino dell’intera collettività. Sotto tale aspetto si è affermato che chi gestisce un’impresa dispone, più che di beni materiali, di un’organizzazione con cui provvede alla produzione di beni ed alla prestazione di servizi. Da qui la necessità che la crisi imprenditoriale venga, ove possibile, superata per il recupero di valori che diversamente andrebbero dispersi con grave danno non soltanto per chi gestisce, ma anche per ogni altro soggetto che ne è coinvolto. Nell’impresa si sono rinvenuti altri interessi rilevanti: quelli che ineriscono ai risultati della ricerca scientifica ed economica, quelli relativi ai marchi ed ai brevetti acquisiti ed inevitabilmente legati alla produzione industriale, quelli concernenti la professionalità e l’esperienza realizzata in un determinato settore, quelli riguardanti la libera concorrenza e l’intera economia nazionale.