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Il concetto di valutazione delle risorse umane

Nei paragrafi precedenti è stata sottolineata l’importanza delle risorse umane, e di conseguenza delle loro capacità, abilità e competenze, all’interno di qualsiasi organizzazione, in quanto esse stanno alla base del successo di qualsiasi impresa.

Per poter creare la strategia del presente, immaginare quella futura e pianificare il tragitto di sviluppo, evitando gli errori del passato, l’azienda ha bisogno di persone e competenze adatte. Le risorse umane in azienda rappresentano qualcosa di più di un semplice fattore di produzione: sono al tempo stesso fattore strategico e linfa vitale dell’azienda, ma allo stesso tempo possono divenire un fattore critico se viene meno il delicato equilibrio tra il dato individuale della persona e il dato organizzativo assegnatole. La mancanza di un’adeguata conoscenza delle risorse umane può portare ad un progressivo

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impoverimento dell’organizzazione con profonde ricadute a livello economico, strategico, motivazionale e a livello di clima e cultura aziendale. Detto in altri termini, se è vero che le persone rappresentano un asset strategico, le aziende non possono trascurarle e l’unico strumento atto a presidiare il delicato equilibrio tra persona e organizzazione è la valutazione. Essa rientra a tutti gli effetti nel processo di valorizzazione delle risorse umane, rappresenta il presupposto per esplicitare e quantificare il valore associato alle caratteristiche dell’individuo, ai suoi comportamenti, al ruolo o alla posizione ricoperti e ai risultati ottenuti.

2.2.1 Cenni storici

La valutazione del personale, nelle sue diverse eccezioni, è un termine entrato nell’uso corrente aziendale solo da alcuni decenni, anche se i concetti che essa esprime sono molto antichi, forse addirittura quanto la vita sociale, questo perché le relazioni interpersonali, comportano inevitabilmente la formulazione di giudizi sulle persone. La parola “valutazione”, infatti, vuole dire giudizio, stima, perizia, o più raramente misurazione; non è intesa come espressione di giudizi improvvisati o basati sul buon senso, ma come una vera e propria attività professionalmente complessa, che per essere svolta ha un costo, ecco perché chi chiede tale giudizio lo utilizza al fine di migliorare i propri comportamenti e risultati. Il verbo valutare infatti sta ad indicare la necessità di esprimere un’opinione formale e all’interno di criteri espliciti per mezzo della quale il comportamento professionale della persona, nel suo insieme e in diverse sue parti costituenti, riceva una categorizzazione.

Nell’ambito della valutazione devono esistere necessariamente almeno due soggetti: da un lato il valutatore, ovvero colui che pone in essere l’azione del valutare, dall’altro il valutato, cioè colui che subisce la suddetta azione. Occorre sottolineare che, in un qualsivoglia sistema organizzativo che si rispetti, sia esso un’azienda o un diverso contesto sociale, tutti i soggetti devono essere valutati, in una successione che, partendo da colui che ricopre la posizione organizzativa più alta, a quella più bassa.

La valutazione del personale è sempre esistita: a proposito di ciò A. Zerilli afferma che gli uomini sono sempre stati giudicati dai loro superiori, sia che tale giudizio fosse esplicito, in veste di note di qualifica o di rapporto, sia che fosse espresso implicitamente, sotto forma di parere favorevole o contrario ad un determinato provvedimento

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(promozione, aumento di stipendio, trasferimento)6. Di valutazione del personale, o

comunque di valutazione dei meriti, si inizia a parlare tuttavia solo per designare una procedura organica e sistematica di espressione dei giudizi nei confronti del personale. L’esigenza di una tale procedura affiora con lo sviluppo delle grandi organizzazioni. Infatti il sorgere delle organizzazioni, che esse siano politiche, religiose, militari o produttive, ha sempre reso necessario formulare dei giudizi sui membri delle organizzazioni stesse: la necessità di misurare l’impatto delle risorse umane in azienda, tramite processi di valutazione, ha origine riconducibile alle prime forme di organizzazione scientifica del lavoro.

A proposito di ciò S. Pugliese sostiene che uno dei principali fondamenti delle teorie di F.W. Taylor era che la direzione aziendale, dopo aver definito accuratamente le mansioni e i risultati attesi dal loro esercizio, doveva selezionare la persona in grado di ricoprire al meglio la mansione, ovvero valutarne i requisiti, e successivamente valutarne la performance ottenuta. Inoltre Pugliese sostiene che le successive scuole delle risorse umane hanno poi interpretato e orientato il processo di valutazione quale metodo di indagine dei bisogni e della motivazione delle persone a lavoro ed hanno perciò privilegiato l’uso di strumenti psicosociali a discapito degli aspetti relativi alle performance e alle conoscenze tecnico- specialistiche. Con l’affermarsi della scuola sistemica, emerge un approccio articolato alla valutazione della risorsa umana nell’organizzazione, che è però prevalentemente centrato sui processi gestionali piuttosto che sullo sviluppo delle persone.7

Diversi autori nel tempo si sono soffermati sul concetto di inevitabilità della valutazione: E. Auteri e O. Busana sostengono che la valutazione sia un’attività fondamentale della gestione e come tale nessuno tra coloro che hanno la responsabilità di conduzione del personale può sottrarvisi. Che siano sotto esame le caratteristiche psicologiche, attitudini comportamentali, risultati concretamente raggiunti sul lavoro, potenzialità di sviluppo professionale e di carriera è comunque fondamentale esprimere tali giudizi o apprezzamenti perché, coerentemente con essi poi, vengono intraprese azioni di gestione eque e fruttuose sia per gli individui stessi che per l’azienda8.

6 A. Zerilli, La valutazione del personale, Franco Angeli, Milano, 1999 7 S. Pugliese, Valutazione e sviluppo delle competenze, IPSOA, Milano, 2004 8 E. Auteri O. Busana, La gestione degli uomini, ETAS, Milano, 1985

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Nel corso degli anni, i sistemi di valutazione sono stati concepiti in maniera differente, soprattutto in seguito al cambiamento culturale che ha caratterizzato la seconda metà del Novecento e con la successiva reazione ad esso.

F. Avallone in relazione a quanto appena detto afferma che “le rivolte operaie ed il movimento studentesco del ’68, nella loro critica al potere costituito, chiesero e ottennero un radicale cambiamento dei sistemi di valutazione. Nelle scuole e nelle università si praticò, almeno in parte, l’esame collettivo e il voto politico; nelle aziende tramontarono rapidamente i sistemi di valutazione del personale (note caratteristiche, schede di merito, ecc.) che, per decenni, avevano scandito una rudimentale valutazione delle prestazioni e, più spesso, dei singoli lavoratori. L’intento dichiarato era di sottrarre a chi occupava una posizione di potere uno strumento che tradizionalmente era stato impiegato per premiare e punire, per indirizzare e condizionare la vita degli altri, per imporre norme e modelli di comportamento.

Anche i contratti collettivi di lavoro risentirono di questa impostazione: gli aumenti retributivi, per un lungo periodo di tempo vennero riconosciuti in cifra fissa ed identica per tutti i lavoratori e i meccanismi normativi eliminarono di fatto ogni forma di incentivazione legata alla performance individuale o collettiva. L’idea di espellere la valutazione dal mondo del lavoro si dimostrò un’illusione.

Dato che la valutazione è un atto tipicamente umano, anche le organizzazioni, che sono costituite dagli uomini che le compongono, non possono esimersi dal valutare continuamente i diversi aspetti della realtà e i comportamenti delle persone che vi operano. Nel decennio successivo si verificò, come spesso accade in questi casi, una reazione contraria. Nuovi slogan si affermarono: meritocrazia, valorizzazione delle differenze, miglioramenti retributivi legati ai risultati effettivamente raggiunti. In molte organizzazioni iniziò una nuova fase diretta a valutare, con strumenti via via più raffinati, posizioni, prestazioni, e potenziale. Anche la ricerca in psicologia del lavoro ha risentito di questo clima: la direzione e la gestione per obiettivi richiedevano un ampio e serio lavoro di valutazione dei risultati, della performance, delle risorse, delle potenzialità”9.

Oggi possiamo affermare che processi di valutazione del personale hanno trovato applicazioni in diversi ambiti e si pongono alla base della gestione delle risorse umane:

9 F. Avallone, Analisi della realtà e valutazione nelle organizzazioni in L. Borgogni (a cura di),

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dalla Selezione e Reclutamento del personale con l’obiettivo di individuare i candidati più adatti a svolgere determinate attività alla gestione e pianificazione delle carriere, dalla valutazione delle performance alla gestione di un sistema premiante interno, dalla ricerca delle competenze necessarie all’organizzazione alle attività di formazione ad hoc. Una tale diffusione di questa attività può essere ricondotta alla naturalezza del processo valutativo.

In qualsiasi tipo di organizzazione, quindi, non è possibile non valutare: la valutazione è compresa in qualsiasi manifestazione comportamentale, nel gioco delle relazioni interpersonali, nella dinamica dei gruppi e delle organizzazioni.

Valutare significa, fondamentalmente, intervenire nella realtà orientandola e dirigendola; prendere una posizione specifica rispetto alla molteplicità dei significati possibili. L’atto di valutare, in questa prospettiva, è un atto di attribuzione di significato, con forte valenza decisoria, che implica una specifica assunzione di responsabilità.

2.2.2 Gli attori della valutazione

Una delle principali variabili che determina il risultato di un processo di valutazione consiste negli attori che lo attuano. Infatti alcuni studi, portati avanti da Snell e Bohlander10, hanno mostrato che esistono diverse motivazioni del fallimento di molti

programmi di valutazione, tra le quali si riscontrano:

 La mancata discussione sui risultati del processo tra valutatore e valutato, un’attività che invece dovrebbe essere sempre svolta, in quanto permette il confronto diretto tra i due attori contribuendo alla trasparenza della valutazione e soprattutto permette un coinvolgimento del valutato, rendendolo parte attiva della sua valutazione con risvolti positivi dal punto di vista dell’impegno e della motivazione al lavoro;

 L’assenza di preparazione dei manager alla valutazione dei propri collaboratori: l’attività di valutazione infatti può divenire dannosa se chi la conduce non è in grado di farlo con la giusta attenzione e preparazione;

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 La mancanza di informazioni necessarie per condurre la valutazione o l’impossibilità dei manager di osservare i propri collaboratori;

 La mancata percezione dei benefici derivanti dal dedicare tempo e risorse alla valutazione, dovuta alla carenza di preparazione dei manager ma anche al fatto che la valutazione del personale non dà vantaggi esplicitamente quantificabili ma agisce su tutta l’organizzazione ad un livello più profondo, meno evidente, ma altrettanto determinante;

 Carenza di indicazioni chiare per i collaboratori sui comportamenti e/o performance oggetto di valutazione, sugli standard di riferimento e sugli strumenti scelti.

Per evitare che ciò accada, è importante scegliere con cura il soggetto che dovrà occuparsi di portare aventi il processo di valutazione e gli strumenti di cui lo stesso dovrà avvalersi. Scegliere il valutatore giusto è fondamentale affinché accresca la credibilità dei modelli valutativi adottati, i quali per quanto sofisticati e ben progettati possono perdere di efficacia laddove il valutatore non risulti in grado di gestirli, perché non ne comprende il metodo o perché non ne ha focalizzato le finalità.

Mentre in passato il lavoratore veniva valutato dal suo capo diretto, secondo una direzione top-down, oggi il sistema di valutazione consiste nel coinvolgimento di più attori, verso quella che viene definita valutazione a 360 gradi, ovvero una valutazione della persona da parte di una pluralità di attori, con modalità, finalità e strumenti diversi.

Gli attori coinvolti nel processo sono:

 Il capo o superiore gerarchico: in questo caso la valutazione è intesa nel senso più classico, ovvero nella logica del top-down, in cui è il superiore a risultare la persona migliore, con la giusta preparazione e competenze, per poter valutare l’operato dei propri subordinati e collaboratori, anche se spesso può accadere che quest’ultimo non abbia la possibilità di effettuare una valutazione affidabile per mancanza di strumenti o delle condizioni adeguate ad esprimerla;

 L’individuo: in questo caso si tratta di una autovalutazione,attuata soprattutto in previsione di un colloquio del lavoratore con il proprio superiore, durante il quale verranno esplicitati i risultati della valutazione effettuata e pianificate le eventuali attività da svolgere. Essa risulta appropriata nel caso in cui l’azienda voglia

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responsabilizzare la persona nello svolgimento delle proprie attività e nella determinazione dei propri piani di sviluppo;

 I collaboratori: essi risultano adatti nella valutazione dei comportamenti dei manager, quali lo stile di leadership, le abilità comunicative, l’attenzione alla persona;

 I colleghi: in questo caso la valutazione prende il nome di peer evaluation, ovvero valutazione tra pari, nel senso che tra valutatore e valutato non esistono rapporti di subordinazione.

Essi risultano valutatori validi, poiché condividendo la quotidianità lavorativa con il valutato hanno modo di osservarne attentamente comportamenti e attività. L’affidabilità dei risultati tuttavia può essere messa a rischio delle relazioni di amicizia e personali che si possono creare all’interno dell’ambiente di lavoro, come dal verificarsi di comportamenti di competizione tra colleghi o dalla paura di poter rovinare il clima del proprio gruppo di lavoro;

 I clienti: possono essere coinvolti nel processo di valutazione sia quelli esterni che quelli interni.Nel primo caso si tratta di indagini di customer satisfaction, mentre nel secondo caso del servizio che può essere offerto dal lavoratore verso altre aree aziendali.

La valutazione a 360 gradi, permette alle persone di prendere coscienza dei propri comportamenti, di conoscersi e migliorarsi mediante i giudizi degli altri.

Rappresenta uno strumento di gestione di maggiore complessità rispetto ad altre forme di valutazione poiché richiede coerenza e collegamento con le procedure periodiche di valutazione delle persone e delle competenze, e con i relativi sistemi di ricompensa. Sintetizziamo di seguito gli aspetti positivi che caratterizzano la valutazione a 360 gradi:

 È un sistema completo, che permette di avere una valutazione da prospettive multiple;

 Concede una migliore qualità delle informazioni;

 Si focalizza sulla prospettiva del cliente interno ed esterno;

 Risulta meno sensibile a fenomeni di distorsione della valutazione, poiché proviene da una pluralità di soggetti;

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Oltre a tali aspetti, la valutazione a 360 gradi presenta anche degli aspetti negativi, tra i quali riscontriamo:

 Il fatto di essere un sistema complesso può rendere difficile combinare tutte le valutazioni;

 Può intimidire alcuni soggetti e creare di sentimenti di conflittualità o generare coalizioni;

 Possono verificarsi opinioni contrastanti;

 La necessità di far ricorso a valutatori esperti e formati;

 Il rischio di perdita di affidabilità se i valutatori non sono anonimi.