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Il contratto a tempo determinato nell’ordinamento britannico

Nel documento Il contratto di lavoro a tempo determinato (pagine 119-123)

CAPITOLO III: L’attuazione della direttiva 1999/70/CE nei principal

4. Il contratto a tempo determinato nell’ordinamento britannico

In Inghilterra la direttiva n. 1999/70/CE ha trovato attuazione, con un anno di ritardo rispetto all’Italia, ad opera della Fixed-Term Employees (Prevention of Less Favourable Treatment) Regulation 2002, del 30 luglio 2002, entrata in vigore il 1° ottobre 2002 e della Fixed-term Employees (Prevention of Less Favourable Treatment) Regulations (Northern Ireland) 2002 SI of Northern Ireland n. 298 del 24/09/2002.

La legge si rivolge esclusivamente ai “dipendenti” (employees) e non ai lavoratori in generale (workers), restando così esclusi dall’ambito di applicazione della stessa gli individui i cui rapporti di lavoro operano in modo semi-autonomo ed i lavoratori occasionali. Essa non trova inoltre applicazione in riferimento ai programmi di formazione organizzati dal Governo o finanziati in tutto o in parte da un'istituzione della Comunità europea, alle esperienze lavorative (stage non superiori ad un anno) previste come parte di un corso di istruzione superiore, ai lavoratori collocati tramite agenzia di lavoro temporaneo, agli apprendisti, ai membri delle forze armate.

Il legislatore inglese fornisce immediatamente la definizione di contratto a tempo determinato, ossia un contratto di lavoro in cui l’apposizione di un termine è consentita a fronte di una delle seguenti ragioni:

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a) scadenza di un termine specifico prefissato; b) esecuzione di un determinato incarico;

c) il verificarsi o non verificarsi di qualsiasi altro evento specifico diverso da quello dell’ordinario raggiungimento della pensione da parte di un lavoratore che esercita le medesime mansioni del prestatore a tempo determinato. Con riguardo al tema della successione di più contratti a termine, nella Regulation n. 8, rubricata “Successive fixed-term contract”, si prevede la trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato nei casi in cui il lavoratore venga occupato, con continuità di impiego, con contratti a termine successivi per un periodo superiore a quattro anni, senza che ricorrano ragioni obiettive. È fatta salva la possibilità per la contrattazione collettiva di modificare la durata massima di quattro anni (comma 5, lett. a), di specificare il numero massimo di contratti a termine successivi e dei rinnovi (comma 5, lett. b), nonché di individuare le ragioni obiettive che giustificano il rinnovo dei contratti a termine o, comunque, la necessità di impiegare quei lavoratori in contratti a termine successivi (comma 5, lett. c).

La normativa in oggetto non stabilisce quindi un principio di tassatività delle ragioni di apposizione del termine, dal momento che l’individuazione delle ipotesi di apposizione del termine è comunque rimessa all’autonomia collettiva.

Ai sensi della legislazione del lavoro inglese, molti diritti del lavoratore dipendono dal fatto che il prestatore abbia prestato la propria opera per un determinato periodo di tempo presso lo stesso datore di lavoro.

Giunti alla scadenza naturale del contratto a termine, infatti, se il lavoratore ha due anni di servizio, il mancato rinnovo del contratto viene considerato alla stregua del licenziamento e il datore di lavoro deve dimostrare che c'è un “motivo giusto” per non rinnovare il contratto. Se invece il servizio prestato è di un anno, il lavoratore ha diritto a una dichiarazione scritta che

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indichi le ragioni del mancato rinnovo contrattuale. Il licenziamento sarebbe per esempio ingiusto se il contratto non venisse rinnovato, ma un'altra persona fosse assunta con un altro contratto a tempo determinato per svolgere la medesima mansione.

Nell’ipotesi di risoluzione anticipata del rapporto (se prevista dal contratto), i dipendenti a tempo determinato hanno inoltre diritto ad un periodo minimo di preavviso di:

 1 settimana se hanno lavorato ininterrottamente per almeno 1 mese;  1 settimana per ogni anno di servizio, se hanno lavorato

ininterrottamente per due o più anni.

Al medesimo modo, il prestatore che intende sciogliere in anticipo il contratto, deve consegnare la comunicazione con una settimana di anticipo se ha prestato la sua opera per un mese o più.

Tali periodi sono da intendersi come un soglia minima, dal momento che il contratto può prevedere un periodo di preavviso più lungo.

Se un datore di lavoro non fornisce il preavviso adeguato il dipendente può agire in giudizio per rivendicare la violazione del contratto.

Nelle ipotesi di esubero, inoltre, i lavoratori a tempo determinato con un’anzianità di servizio di due anni hanno diritto all’indennità di licenziamento, al pari dei lavoratori a tempo indeterminato.

La normativa inglese prevede che il lavoratore assunto a tempo determinato abbia diritto a non essere trattato meno favorevolmente rispetto ad un lavoratore a tempo indeterminato comparabile (comparable permanent employee). I criteri di identificazione del “comparable permanent employee” sono fondamentalmente tre: lavoratori alle dipendenze dello stesso datore di lavoro, impiegati nel medesimo o analogo lavoro tenuto conto di un livello simile di qualifiche e competenze, lavoratore impiegato presso lo stesso stabilimento, oppure lavoratore che soddisfa il primo dei requisiti elencati, ma che si trova in uno stabilimento diverso.

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Un altro punto focale della normativa inglese riguarda il diritto di informazione del lavoratore a tempo determinato circa i posti vacanti disponibili nello stabilimento (Regulation 3.6). Un dipendente risulta informato soltanto se la “vacanza” è contenuta all’interno di un avviso cui sia stata data idonea pubblicità o, comunque, che il dipendente abbia avuto la ragionevole opportunità di visionare nel corso del rapporto di lavoro o di cui egli abbia ricevuto una ragionevole notizia in qualsiasi altro modo. Il legislatore si occupa inoltre di definire i casi in cui il licenziamento del lavoratore a tempo determinato avviene senza giusta causa. Alla Regulation 6.3 sono infatti elencate una serie di motivazioni, tra le quali si ricordano: il fatto che il lavoratore abbia avviato un procedimento nei confronti del datore o abbia fornito prove o delle informazioni in relazione a cause promosse da altri dipendenti, abbia affermato la violazione della presente normativa da parte del datore, si sia rifiutato di rinunciare ai propri diritti, oppure il datore di lavoro ritenga o sospetti che il lavoratore abbia fatto o intenda porre in essere uno di questi comportamenti.

La medesima sanzione si applica ai casi in cui il lavoratore sia un rappresentante dei lavoratori o si sia candidato alle elezioni.

La legislazione britannica, dunque, presenta una regolamentazione “minimalista”, tanto da indurre a domandarsi se, di fatto, i livelli minimi di tutela della direttiva comunitaria siano stati garantiti. In tal senso, basti pensare alla previsione della durata massima di 4 anni, ben al di sopra della media degli altri Paesi europei (2-3 anni), all’ampio margine di intervento lasciato alla contrattazione collettiva, all’assenza di specifiche ipotesi legittimanti l’apposizione del termine e, ancora, al fatto che al datore di lavoro sia sufficiente fornire la prova della sussistenza di “ragioni obiettive” (concetto già di per sé ambiguo) per evitare la conversione del contratto.

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