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La proroga del termine originario

CAPITOLO II: L’attuazione della direttiva 1999/70/CE in Italia

2. Il d.lgs n.368/2001

2.4. La proroga del termine originario

L’art.4, al primo comma, detta i principi generali che regolano la possibilità di prorogare il termine originario del contratto: “Il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni”.

La prima condizione di ammissibilità, rappresentata dal consenso del lavoratore, suona in realtà tautologica dal momento che il contratto di lavoro, esigendo per il proprio perfezionamento l’accordo delle parti, richiede allo stesso modo il consenso di entrambe perché il rapporto possa procrastinarsi per un periodo di tempo superiore a quello originariamente pattuito. Con riguardo a tale consenso, che deve essere prestato anteriormente o almeno contestualmente all’inizio dell’attività lavorativa fornita in regime di proroga, non è stabilito alcun obbligo di forma che, quindi, deve essere considerata libera. Tuttavia, poiché l’art.4, secondo comma, attribuisce espressamente al datore di lavoro l'onere della prova circa “l'obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano l'eventuale proroga”, i datori di lavoro avranno tutto l’interesse ad utilizzare la forma scritta per avere certezza del momento in cui la proroga è stata accettata.

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L’esplicitazione di tale prima condizione ricalca comunque il testo della disciplina previgente, che prevedeva all’art.2 il consenso del lavoratore come elemento imprescindibile per la proroga.

Elementi di continuità con la l. n.230/1962 si riscontrano inoltre nelle disposizioni per le quali il contratto può essere prorogato una sola volta e per la stessa attività lavorativa per cui era stato stipulato, nonché nella norma che pone espressamente a carico del datore di lavoro l’onere della prova delle ragioni giustificative della proroga. E’, invece, scomparso il riferimento all’eccezionalità della proroga e alla contingenza e imprevedibilità delle esigenze che la legittimavano nella precedente disciplina ed è stata cancellata la regola per cui il contratto prorogato non poteva avere una durata superiore a quella del contratto iniziale.

La nuova disciplina risulta conforme alla normativa comunitaria, avendo recepito tutte e tre le misure indicate nella clausola 5 della Direttiva CE/99/70 per la prevenzione degli abusi: l’indicazione delle ragioni oggettive giustificatrici del rinnovo, l’indicazione del numero massimo dei rinnovi, la determinazione di una durata massima totale del contratto.

Con riferimento a tali “ragioni oggettive” il tenore generale della previsione spinge a credere che si debba ammettere la ricorrenza di qualsiasi ragione oggettiva51, anche diversa da quella presente nell’originario contratto, permettendo in tal modo un più ampio ricorso all’istituto. Restano invece sicuramente escluse quelle ragioni di carattere soggettivo, derivanti da una scelta meramente discrezionale del datore di lavoro o da particolari esigenze o necessità del lavoratore.

La proroga deve comunque riferirsi alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato, intendendosi però l’identità della causa tipica che ha legittimato il termine iniziale, e non delle mansioni svolte. La proroga è quindi condizionata dal verificarsi di

51F. Bianchi D’Urso - G. Vidiri, Il nuovo contratto a termine nella stagione della

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un’occasione di lavoro identica a quella iniziale, ovvero provocata dalle stesse esigenze dell’impresa che hanno determinato l’assunzione iniziale, potendosi adibire il lavoratore anche a mansioni diverse52.

Posto quanto fin ora visto, la proroga è nulla: a) per mancanza del consenso del lavoratore;

b) perché pattuita in relazione a contratto di durata iniziale superiore a tre anni;

c) perché la durata complessiva del rapporto supera i tre anni; d) perché pattuita per più di una volta;

e) perché difettano le ragioni oggettive;

f) perché non si riferisce alla medesima attività lavorativa per la quale il primo contratto era stato stipulato.

In tali ipotesi la proroga è inefficace, con la conseguenza che il rapporto prosegue come se non fosse stata pattuita e che verranno, pertanto, applicate le sanzioni previste all’art.5, commi primo e secondo, per il proseguimento del rapporto di lavoro oltre la scadenza del termine.

La norma in oggetto prevede un “periodo di tolleranza” di venti giorni per i contratti di durata inferiore a sei mesi o di trenta giorni negli altri casi, durante il quale al lavoratore è dovuta soltanto una maggiorazione retributiva (pari al 20% fino al decimo giorno e al 40% per ogni giorno ulteriore), avente funzione sanzionatoria e deterrente nei confronti del datore di lavoro, in quanto volta a disincentivare la prosecuzione del rapporto, e risarcitoria per il lavoratore, per l’ulteriore effettuazione di attività in regime precario. Durante l’arco di tempo considerato il legislatore presume la buona fede del datore di lavoro, conservando la validità del contratto a termine vista la brevità del periodo in questione. Se però il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il trentesimo giorno negli altri casi, il

52P. Bozzao, L’estensione del lavoro a termine oltre il primo contratto: la nuova disciplina,

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contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. In tal caso il legislatore lascia operare una presunzione assoluta di frode alla legge, cui fa corrispondere la più grave sanzione della conversione ex nunc.